Al momento della scelta dell'indirizzo di questo blog, dopo una serie di tentativi a vuoto alla ricerca di un nome semplice e pertinente, la sorpresa: "regola" era libero! L'architettura è oppressa da leggi e regolamenti, i termini più altisonanti della "creativa" cultura architettonica erano già occupati ma una parolina così semplice e antica e comprensibile da tutti, cioè "regola", era libera!
Questo blog parla appunto di "regole" contro la sregolatezza architettonica.


16 marzo 2008

CENTRO STUDI PER IL RINASCIMENTO URBANO - Arezzo

MANIFESTO

Presidente Giulio Rupi, consiglieri: Paola Gigli, Danilo Grifoni, Pietro Pagliardini, Roberto Severi jr, Roberto Verdelli
Presidente onorario Leon Krier

Il punto cruciale da cui hanno inizio tutte le nostre riflessioni è la constatazione di un fallimento.
Negli ultimi 60 anni, a seguito dell’inurbamento, si è costruito attorno alle città italiane come alle città di tutto il pianeta un volume di nuovi edifici pari a tre, quattro e più volte quello fino allora realizzato nei i secoli precedenti, ma praticamente nulla di quello che si è realizzato, salvo pochi episodi isolati, ha raggiunto la qualità diffusa e generalizzata di tutto quello che era stato precedentemente costruito. A questo fine non sembri banale constatare che tra le mete del flusso turistico (il primo settore dell’economia mondiale) non vi sono certo le periferie costruite negli ultimi 60 anni ma i centri storici costruiti nei millenni precedenti.


Fa immediato seguito a questa constatazione la convinzione che questo fallimento planetario non sia dovuto a uno scherzo del destino ma abbia delle cause precise nelle ideologie architettoniche elaborate nei primi anni dello scorso secolo, ideologie penetrate, trasversalmente alle divisioni politiche, nel profondo della cultura di tutto quel secolo e tuttora operanti tra la maggioranza degli addetti ai lavori, come assiomi indiscussi e indiscutibili posti alla base delle scelte operative fondamentali.
Il punto di “tracollo ideologico” va individuato nel momento in cui si è proclamata la necessità di una totale rottura con il passato, in pratica l’idea di Architettura della Modernità come discontinuità rispetto a tutto quello che era stato elaborato nei secoli e nei millenni precedenti. Così la discontinuità, e con essa la dissonanza con il passato, si fecero programma in tutti campi della modifica dell’ambiente antropico, dal territorio alla forma della città alla forma degli edifici alla scelta dei materiali e fu stesa una proibizione inflessibile su tutto quanto poteva rifarsi a quel passato.
Le conseguenze di quella scelta sono molteplici, tutte legate tra loro e tutte legate alla scadente qualità di quello che è stato poi realizzato, soprattutto nel secondo dopoguerra, sulla scia di quelle indicazioni di fondo.
* * *
1 – La rottura con il passato ha fatto sì che la città antica, con le sue caratteristiche spaziali e le sue leggi di crescita fosse considerata ormai inadeguata a suggerire la progettazione degli spazi della città nuova.
Così si è creata “dal nulla” una nuova urbanistica, si sono organizzate le espansioni urbane su criteri assolutamente diversi da quelli che avevano prevalso fino a quell’epoca e sono sorte le periferie.
I Centri Storici si articolavano in degli spazi interni, luoghi di incontro e di relazione, vocati alla pedonalità, spazi familiari e amichevoli, fatti di fronti stradali compatti e di piazze. Le periferie venivano al contrario costruite come somma di episodi architettonici che di fatto non creavano alcuno spazio interno, ma anzi si contrapponevano a spazi esterni ed estranei, scarsamente pedonali e destinati al degrado. Con il che gli spazi pubblici e di incontro, che prima si identificavano con la città stessa, divennero spazi ostili e quindi condannati a fallire.
La città, da sistema corale di edifici che ogni cittadino aveva realizzato adattando alle proprie esigenze individuali delle tipologie consolidate, divenne esposizione di episodi autonomi, liberamente creati, da valutarsi separatamente uno per uno, sulla base della capacità creativa del progettista.
Sappiamo bene che l’avvento dell’automobile ha introdotto nell’urbanistica della città nuove problematiche, ma riteniamo che questo sia un problema da risolvere conservando i valori spaziali della città europea, come essenziali e irrinunciabili per la qualità della vita del cittadino, in quanto la loro “evitabile” scomparsa sta alla base del degrado delle moderne periferie.
Riteniamo quindi che sia possibile progettare anche oggi delle vere strade e delle vere piazze e intendiamo operare perché vengano modificate tutte quelle normative edilizie che derivano dal pregiudizio urbanistico modernista e di fatto rendono estremamente difficile la progettazione di una città con spazi di tipo tradizionale.
2 – La rottura con il passato ha reso più facile e ha di fatto giustificato la rinuncia a un aspetto essenziale della città antica: l’integrazione delle funzioni.
Da allora, ogni volta che c’è stato da scegliere tra opzioni diverse, si è sempre finito per scegliere la soluzione che separava le residenze dalle altre attività e quindi aumentava la specializzazione delle diverse parti della città.
Sappiamo bene che l’urbanistica non è tanto la causa quanto piuttosto l’effetto delle trasformazioni sociali, che i centri commerciali e le zone industriali non sono soltanto scelte urbanistiche, ma se si parte dalla convinzione ideologica che si debba comunque identificare la Modernità con la separazione, la specializzazione, l’accorpamento, si finisce per scegliere sempre questa soluzione, anche quando altre soluzioni sono ugualmente possibili.
Riteniamo allora che l’integrazione della città antica debba comunque essere presa a riferimento e che si debbano sempre privilegiare quelle soluzioni urbanistiche che aumentano l’integrazione tra le funzioni e di conseguenza la quantità delle opzioni disponibili per il pedone.
3 – Il tessuto di base della città antica era un prodotto corale e anonimo di altissima qualità. I costruttori esprimevano la propria individualità all’interno di un sistema di regole e di consuetudini che venivano lentamente e costantemente rielaborate.
La rottura con la Storia ha lasciato i costruttori totalmente svincolati da qualsiasi regola e da qualsiasi codice: ne è risultata, inevitabile, una cattiva qualità dell’edilizia di base nella sua generalità.
Sappiamo bene che non esistono più le antiche civiltà organiche in cui la bellezza era il frutto spontaneo della società, ma proprio per questo riteniamo che oggi non sia possibile affidarsi al buon gusto e alla capacità artistica dei progettisti, ma si debba invece acquisire consapevolezza dei meccanismi che hanno prodotto gli ambienti della città antica per individuare regole generali e invarianti che, in nome della continuità della Storia, riteniamo tuttora idonee a progettare la città.
Solo in questa maniera l’Urbanistica e l’Architettura potranno ritornare a essere delle discipline trasmissibili al pari di qualsiasi altra disciplina (dalla Medicina all’Agricoltura etc.) e non saranno, come adesso, delle forme artistiche in cui, di contro a una pletora di mediocri non realizzati, pochi eletti quelli bravi, con la vocazione, riescono a formarsi alla bottega dei Maestri.
4 – Fino agli inizi del secolo scorso l’Architettura di tutte le epoche e di tutte le civiltà aveva mantenuto la sua figuratività, legata alla sua essenza tettonica. Si erano da sempre realizzati edifici che poggiavano solidamente sulla terra, si elevavano vincendo la forza di gravità e si concludevano infine verso l’alto.
La rottura con la Storia ha portato velocemente alla fine della figuratività nell’Architettura, e gli edifici sono divenuti pura composizione estetica di forme astratte.
Riteniamo invece che il rapporto esistenziale, istintivo, che lega l’uomo al suo ambiente richieda che gli edifici in cui vive conservino una qualche figuratività, legata all’essenza universale del costruire. Pensiamo quindi che non si possa imporre ai cittadini, nelle periferie delle città, una generalizzata perdita di figuratività degli edifici.
5 – La città antica costituiva un insieme organico integrato nel paesaggio e in questo organismo, cresciuto lentamente nei secoli, i diversi stili architettonici si sono integrati tra loro creando accostamenti assolutamente armonici.
La rottura ideologica con questa continuità storica ha fatto sì che l’espressione della Modernità venisse a identificarsi con un effetto di dissonanza e di contrasto. Ne è sorto un riflesso condizionato per cui un intervento nuovo inserito in un contesto storico deve necessariamente, sia nella forma che nei materiali, esprimere un carattere alieno rispetto al suo contesto, pena la condanna senza appello di “inautentico”.
Questa decontestualizzazione programmata, assunta come valore, ha di fatto impedito il trasmettersi di una cultura e di una pratica di rispetto per il paesaggio e per il contesto, ed è oggettivamente responsabile, nel senso più profondo, dei peggiori misfatti perpetrati (legalmente e coscientemente) dalla cultura urbanistica e architettonica ufficiale nel territorio. A tutt’oggi, nonostante che da decenni la contestualizzazione venga predicata nelle scuole di Architettura, quando all’atto pratico si deve scegliere tra diverse opzioni, l’establishment architettonico si schiera immancabilmente (diversamente dall’opinione pubblica) per la soluzione più dissonante.
Riteniamo al contrario che il nuovo debba porsi in continuità con l’esistente, che non si crea alcunché dal nulla, ma apportando (in meglio) modifiche e adattamenti a quello che è il risultato di secoli di Storia. Per ottenere questo ci si dovrà rendere consapevoli delle ragioni più profonde della struttura dei luoghi e continuare a farsene interpreti.
6 – Questo atteggiamento ideologico secondo il quale la Modernità è da porsi in totale discontinuità e quindi, di fatto, in dissonanza con l’antico, lo si ritrova anche nel campo della conservazione e del restauro. Se infatti, come sta scritto nella Carta del Restauro di Venezia, si parte dall’idea che ogni restauro dovrà evidenziarsi dal substrato originale, rifiutando qualsiasi anche leggera forma di mimetismo, si finirà con l’accettare le più vistose intrusioni moderniste applicate a preesistenze monumentali (sulle quali, correttamente, verrà esercitato un inflessibile controllo filologico) purché queste intrusioni siano chiaramente percepibili, cioè siano dissonanti con il contesto.
Riteniamo invece che bene hanno fatto i Fiorentini nel dopoguerra a ricostruire così com’era il ponte dell’Ammannati e i Veneziani a ricostruire identici il Campanile di San Marco e il Teatro della Fenice, e che bene hanno fatto gli Aretini a ricostruire in stile le case distrutte di Piazza Grande.
Riteniamo che, in presenza di preesistenze significative un’accorta operazione di mimesi sia da preferirsi a un intervento dissonante e non siamo inorriditi dai concetti di copia e di imitazione, che sono alla base della cultura urbana europea. Riteniamo che, come nel Rinascimento, la vera innovazione può derivare solo da un processo di profonda conoscenza e di continuità.
7 – Infine la rottura con la Storia ha prodotto la fine del rapporto democratico tra i costruttori e gli utenti, un rapporto di consenso da sempre intrinseco alla costruzione della città antica. Tutti i punti precedentemente enumerati possono essere interpretati anche sotto l’aspetto del ritorno a un rapporto di consenso tra l’Architettura e la gente.
Infatti la gente ama gli spazi interni della città antica, abbandona al degrado gli spazi esterni della città nuova e quando possono gli abitanti della periferia si riversano nel Centro storico. E la gente ama le strade del Centro antico anche per la varietà dell’offerta che lì viene presentata dalle diverse funzioni presenti.
Infatti la gente vuole costruzioni riconoscibili, case che sembrino case, e per sé chiede immancabilmente le soluzioni più figurative, non ama convivere con elementi dissonanti, ma ama spazi armonici, cui si aderisce spontaneamente, con l’istinto piuttosto che con l’intelletto.
Non possiamo allora accettare che un ambiente costruito possa risultare sgradevole a tutti quelli che sono obbligati a passarvi la propria esistenza e tuttavia essere legittimato dal solo fatto di piacere alla corporazione di quelli che lo hanno progettato. Ribadiamo che la distruzione di un rapporto consensuale tra l’uomo e il suo ambiente costruito mina alle radici la convivenza civile e la qualità della vita dei cittadini, ed è componente non piccola del disagio della nostra Civiltà.
Riteniamo quindi come componente essenziale del futuro Rinascimento Urbano, l’idea di gradevolezza, di piacevolezza dell’ambiente urbano e perciò auspichiamo la ricostruzione del rapporto democratico con la gente, alla quale andrà infine riconosciuto il diritto di esprimersi.

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