Al momento della scelta dell'indirizzo di questo blog, dopo una serie di tentativi a vuoto alla ricerca di un nome semplice e pertinente, la sorpresa: "regola" era libero! L'architettura è oppressa da leggi e regolamenti, i termini più altisonanti della "creativa" cultura architettonica erano già occupati ma una parolina così semplice e antica e comprensibile da tutti, cioè "regola", era libera!
Questo blog parla appunto di "regole" contro la sregolatezza architettonica.


31 maggio 2012

L'IMCL DI PORTLAND PREMIA IL BORGO CORVIALE DI E.M.MAZZOLA

Questa è dunque la prima accusa che noi formuliamo contro di voi: l’iniquità dell’odio vostro per il solo nome di tradizionalista. Quella stessa ragione che sembra scusare la vostra iniquità, in realtà l’aggrava e la refuta: voglio dire l’ignoranza. Che cosa infatti di più iniquo per gli uomini dell’odiare una cosa che ignorano, anche se è meritevole di odio? Essa non merita il vostro odio, se voi non sapete che lo meriti. Se la conoscenza di ciò che essa meriti fa difetto, come difendere la fondatezza di un odio, che non può essere provato dal fatto, ma dalla intima conoscenza? Quando gli uomini odiano perché ignorano quale sia l’oggetto del loro odio, non può allora darsi che esso sia tale da non meritare d’essere odiato? Così dunque noi contestiamo ambedue le cose, e l’una con l’altra, la loro ignoranza di ciò che odiano e l’ingiustizia di un odio per ciò che essi ignorano”.

Questo splendido e incalzante atto di accusa è tratto dall’Apologeticum di Tertulliano, ma con l’introduzione, da parte mia, di una pesante e strumentale mistificazione: al posto di “tradizionalista”, nel primo periodo, l’oggetto dell’odio cui l’autore si riferisce è il “cristiano”.


Intanto è bene chiarire che non voglio apparire per quello che non sono, cioè Umberto Eco, ma devo solo ringraziare la lunga serie economica del Corriere della Sera (1 euro) di classici greci e latini della BUR.

Certo che, fatte le dovute proporzioni, l’ostracismo da parte del mondo accademico e della cultura urbanistica dominante del nostro paese nei confronti di chi si occupa di architettura e urbanistica tradizionale, nell’insegnamento come nella professione, presenta caratteri qualitativamente analoghi e congruenti con quelli del brano: l’odio preconcetto nei confronti di ciò che non si conosce e/o non si vuole conoscere e riconoscere. Si è mai visto un concorso di architettura non dico vinto, ma che abbia presentato nella rosa di premiati o segnalati almeno un progetto ispirato alla tradizione o alla classicità? Niente sforzi, non lo trovereste. Ho sempre pensato invece che, in assenza di un pregiudizio ideologico, in un concorso non dovrebbero essere premiati progetti sostanzialmente uguali o dello stesso genere, come invece accade, ma, tra quelli meritevoli, una gamma di soluzioni proposte, una selezione rappresentativa di varie idee e tendenze. Questo dovrebbe essere lo scopo di un concorso: esaltare le differenze, oltre che premiare il progetto migliore. Così non è. In Italia però, perché altrove invece la situazione è molto diversa.

E così accade che un progetto di rigenerazione urbana in cui al posto di un “gratta terra”, quale il Corviale a Roma, ha ricevuto un prestigioso premio negli USA, a Portland, Oregon, da parte dell’International Making Cities Livable. Il progettista è naturalmente l’amico Prof. Arch. Ettore Maria Mazzola.

Non sarò io a raccontare i dettagli della 49th International Making Cities Livable Conference on True Urbanism: Planning Healthy Communities For All & Exhibit on Successful Designs For Healthy Inclusive Communities, durante la quale è stato presentato il progetto da Mazzola ed è stato consegnato il premio, perchè non c’ero.

C’è invece il link al resoconto che mi ha mandato E.M. Mazzola, che offre un quadro più ampio del contesto in cui il riconoscimento si è inserito.

Io ho linkato un video e, soprattutto, insisto su questa palese contraddizione che dimostra il chiuso provincialismo accademico di casa nostra: c’è un progetto diverso, assolutamente diverso da quelli che generalmente circolano nelle riviste (quali non saprei, dato che oramai sono tutte scoppiate sotto il peso di internet e della loro noiosissima ripetitività) o in internet o nelle varie sagre dell’architettura dove invece che la porchetta si espongono progettifici industriali in serie; ammetto, come fa Tertulliano, che questo progetto possa anche essere “meritevole di odio” ma perché non mostrarlo, non cercare di capirlo? “Che cosa infatti di più iniquo per gli uomini dell’odiare una cosa che ignorano”.


Se si è così sicuri che esso progetto, una volta conosciuto, divulgato, reso pubblico, diventato oggetto di discussione, sarà disprezzato dai più, perché allora ignorarlo, non volerlo conoscere, tenerlo nascosto? Quanto più grande sarebbe la vittoria una volta che il giudizio sul progetto fosse unanimemente negativo in quanto consapevolmente e criticamente riconosciuto come sbagliato, non adeguato, peggiore addirittura di ciò che vuole andare a sostituire!

Invece….niente, non accade niente. Il metodo prevede il silenzio e il disconoscimento della esistenza stessa di quel progetto. Possibile che, tra le tante cazzate (unico termine adeguato al caso) che non lasciano tracce di sé tra quelle che si presentano in convegni, seminari, mostre, lezioni universitarie, mai una volta che un progetto diverso come quello del Borgo Corviale non possa trovare un perfido critico o docente che se la senta di sputtanarlo pubblicamente invitando il suo autore? Sarebbe una grande soddisfazione, per il perfido critico, ovviamente. Non è forse degno quel progetto, almeno per la sua veste grafica, di mettere piede nel sacrario di un’aula universitaria?

Sia chiaro, E.M. Mazzola non ha bisogno di entrare in un’aula dell’Università pubblica italiana per dimostrare le sue capacità, tanto meno per essere legittimato. Altrove fuori d’Italia il suo lavoro è apprezzato e parecchio, e non mi riferisco solo al Premio a Portland, ma ad altre situazioni quali la Biennale di Architettura Classica e Tradizionale di Mosca, cui Ettore partecipa con 12 pannelli dedicati ai progetti per il Corviale e per lo Zen di Palermo in Russia, e ad altre ancora su cui adesso è opportuno non insistere.

Il fatto è che, parafrasando Martin Luther King, I have a dream: che non esistano le Biennali di Architettura Classica e Tradizionale e le Biennali di Venezia, che non hanno attributi dichiarati, ma che di fatto sono a senso unico, anche se dicono di mettere in mostre varie tendenze. Non è vero, mettono in mostra variazioni della stessa tendenza.
Questa non è cultura, semplicemente è “ignoranza di ciò che odiano e l’ingiustizia di un odio per ciò che essi ignorano”.


P.S.
Riporto di seguito il commento che memmo54 ha lasciato sul blog Archiwatch di Giorgio Muratore, nel post dedicato proprio al premio in oggetto. Mi sembra colga un punto essenziale ma spesso trascurato dell'odio per la tradizione da parte della cultura ufficiale:

"Ciò che non si perdona ad Ettore è l’assoluta mancanza di riferimenti “illustri” recuperati tra i maestri internazionali. Quelli citati sulla vulgata bibliografia che ogni architetto pone innanzi a se come dichiarazione d’appartenenza
Non una citazione di alcun personaggio di spicco: non si intravede Mis Vanderrò, non si scorge Gropìus, tantomeno Le Curvasier.
Difetta anche di Dudok, Asplund, Bonatz, Oud, De Klerk ud ed altri nordici.
Ciò è letteralmente imperdonabile.
Ci si può ispirare al più lontano maestro islandese , finlandese, lappone, swahili o polinesiano..
Chiunque è benvento ed apprezzato: riconosciuto ed omaggiato.
La storia di tutti (…indistintamente “tutti”…di tutte le epoche di qualsiasi tendenza e/o ispirazione) è seriamente ed ampliamente considerata nonchè apprezzata.
Quella propria no !
Robetta, minuzie di cui non vale la pena interessarsi.
Stanche rimasticature beaux arts… al massimo “barocchetto” decadente. Le più astiose s’imperniano intono al mesto concetto di “falso storico”: come se la storia fosse solo quella nostra, contingente, e tutto il resto un sogno: incubo indotto da un demone pervicace.
Come definire quest’atteggiamento che lascia fuori, sminuisce e dileggia, per definizione, ciò che appartiene ed è sempre appartenuto alla propria cultura.
Provinciale ? Ci sono, forse, termini più adatti ?
Autolesionismo ? Cupio dissolvi ?
Eppure si sentono “impapocchiare” fumose spiegazioni sul al passo con i tempi, vagheggiamento di tempi futuri cui adeguarsi necessariamente, laboriose subornazioni della sociologia progressiva e democratica nonchè altre amenità .
M proprio questa mancanza, questo profilo quotidiano, dimenticato ma vero, è la carta vincente.
Saluto
memmo54
"

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30 maggio 2012

DOV'ERA, COM'ERA



Dov’era, com’era, senza se e senza ma.

Sì, il ricorso a parole d’ordine, a vieti luoghi comuni perfino, per rafforzare la perentorietà dell’unica soluzione possibile, coerente, logica, umana.

Non c’è nessuna spiegazione da dare, c’è solo un imperativo categorico da rispettare.

Niente esercizio di capacità critica, niente seghe mentali, niente intellettualismi: com’era e dov’era, senza se e senza ma.

Non esiste alternativa, esiste solo il problema economico e organizzativo, il resto è scontato, ovvio. Deve essere scontato e ovvio.

Niente concorsi, niente architetti, se non come costruttori, niente critici, niente fiera della vanità. Niente giovanilismo assistenziale.

Nessuna pensata, nessuna idea, nessuna sperimentazione.

Com’era, dov’era.

Per i morti, per i vivi, per le città, per l’Emilia-Romagna.

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28 maggio 2012

L'ARCHITETTURA COME SALUTE PSICO-BIOLOGICA QUOTIDIANA

Linko questa intervista rilasciata dall'amico Stefano Serafini, introduttiva ad una programma Master di II livello PISM, Università di Roma Tre, Facoltà di Architettura.
Stefano Serafini è Direttore del settore ricerca di Biourbanistica, sito italiano della Società Internazionale di Biourbanistica e fa parte del Gruppo Salìngaros.
L'intervista è sotto forma di slides accompagnate dalla voce.


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12 maggio 2012

DISINFORMAZIONE: LA FALSA SCIENZA SUI GRATTACIELI

Ecco arrivato proprio adesso per e-mail un caso "di scuola" di sciocchezze pseudo-scientifiche per propagandare un nuovo grattacielo a Seul.
Mi ha attirato in verità il titolo, altrimenti neanche lo avrei guardato quel progetto:"Lo studio danese BIG sceglie Seoul per il progetto delle Cross Tower".
Caspita, mi sono detto, adesso sono i progetti che scelgono le città e non viceversa.

Sembra che i progettisti abbiano progettato un progetto in studio e poi abbiano trovato da venderlo, in questo caso a Seoul. Praticamente avrebbero fatto i piazzisti. La riprova che questa architettura "ad oggetti" è puro design. Invece che per il soggiorno si progetta per la città, gli edifici come l'arredo urbano. Propongo che la Biennale d'Architettura la trasferiscano al Salone del mobile di Milano, sarebbe più corretto e più serio e anche gli slogan immaginifici e incomprensibili che vengono di solito utilizzati si rivelerebbero per quello che sono: marketing pubblicitario senza contenuti.
Ma veniamo alla parte "scientifica" che è addirittura esilarante:

"Il futuro grattacielo, dalla geometria insolita, prevede la realizzazione di tetti verdi e vivibili appositamente pensati per le passerelle orizzontali, che saranno arredate con viali alberati pedonali, aree da gioco e spazi comuni, garantendo una soluzione che limita il surriscaldamento durante la stagione estiva".

Provate a stimare la superficie dei tetti in quel progetto rispetto alla superficie complessiva di tutti i piani e ditemi voi se è possibile parlare di limitazione del surriscaldamento estivo.
Forse nel piano immediatamente sottostante, ma questo dimostra che è una pubblicità subdola perchè suggerisce ciò che non può essere. Inoltre, a fronte di un eventuale risparmio energetico nel blocco orizzontale sospeso tra i due verticali, c'è la perdita del primo solaio completamente a contatto con l'esterno.
Per fortuna che ogni tanto c'è qualche commento troppo zelante che rende evidente a tutti la vera natura del grattacielo che tutto potrà essere meno che sostenibile dal punto di vista energetico e che tutto l'ambaradan di parole che vengono appiccicate addosso a questi progetti sono solo pubblicità per il progettista e per la vendita dell'immobile.

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9 maggio 2012

CONSIDERAZIONI SUL MODERNO: SCAMBIO EPISTOLARE IN DUE PUNTATE - 2°

Questa è la mia risposta alla lettera dell'amico Arch. Mario Maschi, pubblicata IN QUESTO POST.
Questa corrispondenza è del febbraio 2006, e aveva tratto lo spunto dalla minacciata demolizione della sede della Camera di Commercio.
Ne è scaturito uno scherzoso e amichevole scontro di opinioni sull'antico e sul moderno. Per una pura coincidenza con l'attualità, in questa mail viene citato Papa Benedetto XVI, che domenica prossima sarà ad Arezzo e la cui visita ha suscitato, come sempre, aspettative e polemiche, e Beppe Grillo, che è il caso del giorno. Ma qui c'è il Grillo comico in un video sugli architetti.


Carissimo Mario
Ho ancora in bocca il retrogusto della tua garbata e divertente canzonatura a mio danno e ciò mi gratifica oltremodo, non tanto, come malignamente si potrebbe credere, perché io mi ritenga superiore e quindi inattaccabile dalle altrui ironie, quanto perché il trovare qualcuno che fa dell’ironia un linguaggio è piacevole e rassicurante scoperta, in un mondo che l’ironia pare aver completamente dimenticata.

Tanto lusinghiero quanto immeritato è il paragone con il nostro illustre concittadino cui tante doti ed esperienze ho da invidiare, senza menomamente reggere il confronto, avendo, ahimè, con lui in comune solo il nome.

Posso tuttavia fare l’auspicio che tu, emulo di Mons. Giberti, non armi la mano di un sicario, per imitare lo stesso scellerato gesto contro Pietro Aretino, documentato anche dalla sottostante rima di tale Francesco Berni il quale, evidentemente, non amava il nostro:

Tu ne dirai e farai tante e tante,
lingua fracida, marcia, senza sale,
che al fin si troverà pur un pugnale
meglior di quel d'Achille e più calzante.
Il papa è papa e tu sei un furfante,
nodrito del pan d'altri e del dir male;
hai un pie' in bordello e l'altro in ospitale,
storpiataccio, ignorante e arrogante.



Osservo anche che mi hai preso molto sul serio e ciò vieppiù mi onora, dato che non credevo di aver scritto cose di importanza così capitale né così strane da meritare una tua così ben argomentata replica. Ma l’aspetto più divertente della tua risposta è il fatto che, stando al giuoco tra modernisti e antichisti cui accenni, mi sembra che tu, modernista (se mi consenti di semplificare collocandoti in questa categoria), senta “il fiato sul collo” dell’onda antichista e, come dire, avverta il terreno delle tue convinzioni franare sotto i piedi, davanti all’assalto di una masnada di architetti e impresari che, succubi del mercato e proni alle richieste dei propri clienti, si lasciano “violentare” per vile denaro facendo, cioè, marchette con l’uso improprio e debordante di archetti sbilenchi su colonne con piano basamentale costituito da terrazze a sbalzo.

Tanto terrore da dove nasce? E’ così debole la tua fede nell’architettura come rappresentazione della modernità da farti temere perfino gli inconsapevoli, incolpevoli e sgangherati assalti di quattro elementi parodistici del repertorio antichista?
Non posso crederlo perché, conoscendoti, so che sai distinguere bene l’effetto dalla causa e il tuo timore deve essere ben più profondo e motivato e ha un nome: fallimento della città moderna, almeno di quella conosciuta, quella reale, costruita, non di quella che è ancora nella mente, nei rotoli di lucido e nelle speranze frustrate di noi architetti.
Le forme che tu tanto aborri e che (fammi credito di un minimo di capacità critica) neanche io accetto supinamente sono solo l’effetto e la reazione a lustri passati da noi architetti a dibattersi tra utopia e realtà, tra la nostra cultura auto-referenziale e i bisogni frustrati della “gente”.

So di essere obbligato, dall’incalzare delle tue argomentazioni e dalla necessaria brevitas, a ricorrere a grandi semplificazioni (quale l’affermazione pesante e impegnativa testè fatta), ma è dalla dialettica degli opposti che si può sprigionare una scintilla di verità, nella disincantata convinzione, tuttavia, che ognuno resterà abbarbicato alle proprie certezze e convinzioni sperando, al più, di convincere gli incerti (tanto per attingere al lessico elettorale di questi giorni).

Tra gli innumerevoli spunti che tu mi offri, ne scelgo due che proverò ad argomentare:

1) Mi sfugge fortemente il nesso esistente tra i nostri figli che navigano nella rete e la presunta necessità di stare al passo coi tempi in architettura. E’ come dire: siamo passati dalla penna d’oca al portatile dunque dobbiamo passare dal mattone al vetro. C’è un salto logico: la casa tradizionale funziona benissimo, basta introdurre i necessari adeguamenti, la penna d’oca non funziona affatto. E’ vera invece l’aspirazione ad una architettura che “sottilmente” interpreti il nostro tempo portando i segni della tradizione: purtroppo questa architettura è per pochi architetti capaci (non certo per me) e potrei citarne, a puro titolo di esempio, due: Gino Valle e Natalini. Ma il mio ragionamento è umile (anche qui nessuna affinità con l’Aretino Pietro) e parte dalla convinzione che a fronte di pochi bravi ve siano molti di meno bravi e che questi (me incluso, sia chiaro) si limitino ad “attingere” al lavoro altrui. Se questo è vero, ed è sicuramente vero, meglio, molto meglio “attingere” a ciò che la tradizione ci ha lasciato, piuttosto che replicare nelle città le stramberie modaiole.
Il mio ragionamento esclude la genialità, che è un dono di pochi, ma riguarda la normalità del nostro fare quotidiano che, guarda caso, è al servizio dei nostri clienti e, soprattutto, dei figli, nipoti e pronipoti. Per tornare alla genialità, cui molti architetti aspirano, vorrei darti del “genio” una bella definizione di un antropologo: “un genio è un catalizzatore della sua cultura, colui che riesce a cogliere nel fiume del continuum culturale tutti i segmenti, i temi che vi interagiscono e ne presenta una sintesi che li oggettiva e li rivela a se stessi”. Non c’è dubbio dunque che tendenzialmente l’interpretazione dell’architettura come sintesi di passato e presente e come prefigurazione del futuro sia quella giusta ma i geni, ripeto, sono merce molto rara.

2) Tu porti, spericolatamente, in architettura una categoria deprecata dal Cardinale Ratzinger e introduci l’espressione di “relativismo architettonico” appiccicandomelo come marchio d’infamia, quasi fossi una strega. Per me che dell’intelligenza di Ratzinger sono un sincero ammiratore (credo che Pietro Aretino propendesse più per le suore!!) è un invito a nozze. Premesso che quella parte del tuo scritto mi sembra lievemente confusa e quindi posso avere equivocato, proverò ad interpretare e immagino che tu volessi dire, usando la categoria di relativismo, che sarebbe grave errore attribuire pari dignità ad ogni tendenza architettonica, perchè l’una ha più dignità dell’altra (inutile spiegare a quale ti riferisci). Penso che il Papa mi perdonerebbe se avesse il piacere di leggere queste nostre facezie, e perciò dichiaro, stando al tuo gioco, di essere relativista in architettura (ma solo in architettura, eh, non scherziamo) con una propensione per l’architettura tradizionale. Il mio collega Giulio Rupi che, in uno dei suoi schizzi goliardici, ha diviso gli architetti aretini tra antichisti e modernisti tracciando una linea verticale in un foglio e collocando ognuno più o meno lontano dalla riga a seconda di quelle che lui ritiene essere il loro orientamento culturale, mi ha collocato tra gli antichisti sì ma vicino alla linea: sarei, cioè, un border line (se vuoi sapere dove ti ha collocato chiediglielo). Ritengo questa collocazione da un canto una debolezza, perché il marketing professionale richiede idee decise, dall’altro una forza perché gli architetti non lavorano per se stessi, come vogliono far credere le riviste, ma per gli altri cioè per il mercato e oggi il mercato chiede cose per te deprecabili (cioè io faccio marchette e tu le rifiuti). Non si tratta di atteggiamento spregiudicato, si tratta di non vivere in un perenne stato di frustrazione e alienazione a sentirsi dire no, no, no: quei no hanno pure un valore e credo sia “da architetti” ascoltarli per capire la realtà e interpretarla. Tutto torna in fondo: la prostituta e l’architetto sono i due più antichi mestieri al mondo e dunque non possono non avere qualche affinità (meno male che il Papa non avrà questa mia).

Concluderò non eludendo la tua curiosità sul perché io faccia un distinguo tra edilizia di base ed edifici specialistici. Potrei affermare, in maniera seriosa, che basta girare per il centro storico di Arezzo per trovare molte abitazioni che, salvo caratteri stilistici lievemente diversi, sono simili se non uguali (perdonami la semplificazione) e trovare invece la Cattedrale e la Santissima Annunziata che sono profondamente diverse tra loro come diverso è il tempo in cui sono state edificate ed entrambe molto diverse dalle abitazioni. Ma preferisco consigliarti (e lo consiglio a tutti) il DVD dello spettacolo di Beppe Grillo a Roma con un brano di 8 minuti dedicato agli architetti. Potrei raccontartelo ma la comicità non si racconta, si gode. Se ti fa piacere ne ho fatto un breve clip che non posso mandarti per e-mail perché troppo pesante, ma te lo farò avere su CD e lo farei avere anche all’Ordine se non temessi una denuncia per pirateria informatica.

8 minuti di spettacolo e ironia, come ironica è questa mia, augurandomi di essere stato all’altezza della tua.

Saluti
Piero



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