Al momento della scelta dell'indirizzo di questo blog, dopo una serie di tentativi a vuoto alla ricerca di un nome semplice e pertinente, la sorpresa: "regola" era libero! L'architettura è oppressa da leggi e regolamenti, i termini più altisonanti della "creativa" cultura architettonica erano già occupati ma una parolina così semplice e antica e comprensibile da tutti, cioè "regola", era libera!
Questo blog parla appunto di "regole" contro la sregolatezza architettonica.


31 ottobre 2012

RICOSTRUZIONE NEL CENTRO STORICO DI AREZZO: UNA DOMANDA

Una breve premessa informativa a questo post di Giulio Rupi.
Il progetto di cui si parla ha avuto una lunga e travagliata storia brevemente riassunta in questo articolo su www.arezzonotizie.it, Al via la ricostruzione del Palazzo della Fonte, dal quale sono tratte le due immagini dei prospetti del progetto in costruzione.
Il primo progetto, di cui ho immagini troppo piccole per essere pubblicate, voleva "denunciare" in maniera evidente la sua "modernità".
I progettisti sono:
il Prof. Arch. Andrea Branzi (Politecnico di Milano), il Prof. Arch. Michele Paradiso (Università degli studi di Firenze), il Prof. Arch. Giacomo Tempesta e i professionisti Arch. Franco Lani, Arch. Antonio Bigi, Ing. Gianni Cinelli, coadiuvati dalla struttura tecnica di Banca Etruria.


RICOSTRUZIONE DEL PALAZZO DELLA FONTE NEL CENTRO STORICO DI AREZZO: UNA DOMANDA
di Giulio Rupi

Ad Arezzo, nel 1944, nel corso di un bombardamento degli Alleati, una bomba ebbe a colpire, in pieno Centro Storico, un palazzetto posto a pochi metri dalla splendida Pieve romanica, lasciando quest’ultima miracolosamente illesa.
Era questo un edificio di quattro piani, posto d’angolo all’incrocio di due strade, adiacente, su ognuno dei due fronti, a palazzi altrettanto alti. Con la bomba ne era rimasto in piedi un solo piano, creandosi una visibile stonatura, come di un dente rotto in mezzo a una fila di denti sani.

In città, da allora, si è discusso e discusso su come ripristinare l’armonia perduta, riportando quell’edificio alla sua altezza originaria. Si son presentate svariate proposte finché finalmente, dopo quasi settant’anni, ha da poco preso avvio il cantiere della ricostruzione.

A quanto si sa il progetto è passato attraverso successive versioni e da una precedente versione “modernista” e poco contestualizzata si è fortunatamente addivenuti a più miti consigli con una operazione quasi di “mimesi” che riprende le caratteristiche dell’edificio preesistente (anche se non si è mai nemmeno presa in considerazione l’idea di non progettare alcunché e rifarlo esattamente come era, ma sarebbe stato pretendere troppo!).

E tuttavia, per quanto mi ha riferito uno dei progettisti (non conosco nei dettagli il progetto) si è voluto sottolineare la storia del palazzo evidenziando il nuovo attraverso uno sfalsamento tra i piani delle facciate del vecchio e quelli del nuovo: una sorta di “risega” che mostrerà ai posteri le due fasi di formazione dell’edificio.
A questo punto si inserisce, brevissimo, il mio commento, anzi una domanda che vorrei porre ai progettisti.

C’è proprio bisogno di dare tutta questa dignità di fatto storico a un grosso barattolo appuntito di metallo, riempito di materiale esplosivo (la “bomba”) per farne un evento da evidenziare nei secoli? Che differenza con, che so, lo spigolo di un muro d’epoca demolito per sbaglio da un camion in retromarcia?
Troppo onore, amici progettisti, per una miserabile bomba della seconda guerra mondiale! Storicizziamo tutto, ma evitiamo di dare alle bombe la gloria immeritata di un segno perenne proprio in uno dei punti focali del nostro meraviglioso Centro Storico.

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30 ottobre 2012

UNA RIMPATRIATA DI ANTICHISTI

Questo post è un commento scanzonato al precedente di E.M.Mazzola su Corviale. Scanzonato perchè mi sembra un modo serio di affrontare le corbellerie che sono scritte nel programma.

Il Belpaese, non pago della quantità di opere d’arte, di siti archeologici, di opere di architettura di ogni epoca, di musei che trasudano arte e storia di arte, di città e borghi tra i più belli del mondo, della più grande varietà di paesaggi naturali e antropizzati mozzafiato e da cartolina concentrati nella misera superficie di uno stivale, sottoposti all’attacco del tempo e alla pressione dell’uomo, con un crollo al giorno di opere di valore storico-artistico inestimabile, non pago dunque di questo immenso patrimonio che non sarebbe poi male conservare per tramandarlo ai posteri e per farci anche parecchi quattrini, si potrebbe addirittura arricchire di altri due capolavori dell’architettura che il mondo ci invidia e di cui, nella nostra italica trascuratezza, non ci eravamo accorti: le Vele di Scampia e il Corviale di Roma.

Delle Vele di Scampia, purtroppo, abbiamo già perso qualche pezzo, grazie al genio distruttivo di quel picconatore, per l’appunto, del Presidente Cossiga, che volle fortemente fosse perpetrato questo scempio. Ma un po’ di tempo fa il soprintendente di Napoli si è spinto, a più riprese, a dichiarare che le Vele rimaste (una, due, e chi lo sa, chi si azzarda ad andare a contarle senza l’esercito) sono meritevoli di vincolo e di tutela.
Del Corviale invece l’architetto Mazzola ci ha informato nel post precedente che c’è una iniziativa in corso per cui “Il 30 ottobre Corviale sarà riconosciuto progetto di rinascita a valenza nazionale al Ministero dei Beni Culturali”.
Dunque è imminente la rinascita nazionale grazie al Corviale. Angela Merckel, Olly Rehn e Standard &Poor’s non aspettavano altro per farci riavere la tripla A.


Ma forse no, forse vogliono intendere qualcosa d’altro. Ma che vorrà dire allora “rinascita a valenza nazionale”? Vorrà dire che la nazione intera dovrà impegnarsi a pagare per farlo rinascere il Corviale? Intanto, se bisogna farlo rinascere allora vuol dire che è morto, e questo non è buon segno, e poi se partono con queste intenzioni ho paura che caschino male, perché se c’è da scucire soldi agli italiani con il consenso degli italiani stessi hanno proprio sbagliato momento. Forse intendono che la nazione intera dovrebbe essere coinvolta emotivamente e culturalmente per la rinascita dello stesso? Ma figuriamoci, la nazione ha cose più importanti cui pensare in questo momento. Non fosse altro, per parlare di rinascite vere, al terremoto di Emilia e Lombardia, a quello in atto nel Pollino e alla ricostruzione de L’Aquila, che mi sembrano, anche ognuna separatamente, lievemente più importanti della rinascita del serpentone.

Possibile che abbiano inteso davvero una delle tre sciocchezze di cui sopra? Diamogli credito di non essere proprio sprovveduti. Ma allora, cosa vogliono davvero?

Vogliono fare una rimpatriata, tutto qui! E che sarà mai! Sono nostalgici, quasi antichisti. Hanno la testa girata indietro e non riescono a vedere all’oggi e nemmeno al domani. Al Pantheon ci sono i monarchici che fanno la guardia alla tomba del Re? E’ apprezzabile, ci credono, ne hanno rispetto e fanno la guardia. Questi invece sono fermi agli anni ’70, al sogno delle macrostrutture in salsa italiana che, unito ad una visione sociale e politica collettivista, era una sorta di coazione a ripetere le visioni utopistiche dell’ottocento. Rifiutano la società aperta dove l’individuo è centrale anche se inserito sempre e comunque in una comunità di persone. Sono conservatori, appunto, hanno fossilizzato le avanguardie del ‘900, con una punta di romanticismo però, questo sì, perché affondano le loro radici e tradizioni nell’800, concretizzato nelle forme degli anni ’70. In fondo sono veri tradizionalisti.
D’altronde in qualche modo, chi più chi meno, li hanno vissuti quegli anni oppure ne hanno respirato gli aromi, li hanno assimilati a scuola da zelanti, nostalgici professori e queste cose restano.

Come si fa una rimpatriata? Dipende: quelle scolastiche si fanno a cena al ristorante, e in genere sono piuttosto tristi perché qualcuno inevitabilmente manca all’appello, quelle invece dell’Accademia si fanno con un bel Convegno, con i manifesti con su scritti tutti i nomi dei partecipanti, con un occhio di riguardo a non sbagliare i vari titoli, ordinario, associato, ricercatore, direttore, presidente, coordinatore di qualche cosa, insomma tutto il medagliere sul petto.
E poi bisogna che il tema sia forte, originale, che colpisca l’immaginario collettivo del proprio ambiente, ed ecco dunque “la rinascita a valenza nazionale”, che il 30 ottobre sarà riconosciuta al Ministero dei Beni Culturali.

Cosa vorrà dire quel “al” Ministero, quando sarebbe più corretto dire “dal” Ministero, questo mi è oscuro. Fa pensare più ad una speranza che ad una certezza. Come se qualcuno portasse, il 30 ottobre, questa proposta di “valenza nazionale” all’Ufficio protocollo del Ministero sperando che l'impiegato lo trasmetta con solerzia. Ma certo non seduta stante, non esageriamo. Mica pretenderanno che la Commissione competente (ci sarà pure una Commissione competente!) sia riunita in seduta permanente e anche se lo fosse che riceva subito la proposta e la deliberi e magari l’accolga in mattinata!

Eeeeh, va bene l’Accademia, vanno bene i titoli, vanno benissimo i nomi e le provenienze accademiche e istituzionali ma insomma, anche la forma va salvata e le decisioni importanti, e questa è una di quelle, è nazionale addirittura, richiede le giuste procedure, richiede il giusto tempo di maturazione, insomma. Le decisioni frettolose non appaiono mai importanti, troppo emergenziali. Questa no, questa richiede riflessione profonda, anche se il risultato finale è certamente assicurato.

Quindi, in attesa della maturazione, questi distinti signori, che mi piace immaginare con l'eskimo, che però oggi è stato rivisitato in parka, e sciarpa di lana rossa, che oggi è più tipo pashmina, potrebbero farsi un giro in internet (l’hanno già inventato da tempo) per vedere che all’estero roba analoga, anche di Maestri riconosciuti, in genere la demoliscono per ricostruirla in modo più normale e, ahimè, più populista ma più adatto alle persone che ci devono vivere e più adatto anche alla situazione sociale e politica che non è particolarmente propensa alle comuni e dove, semmai, c’è l’eccesso opposto, quello che ognuno vuole fare quello che gli pare.
Di certo non vuole vivere in un edificio lungo un chilometro, e non basterebbero nemmeno i saldi con lo sconto del 50% riducendolo a 500 metri. Temo ci sia al massimo il "Tutto fuori",

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28 ottobre 2012

CORVIALE RICONOSCIUTO PROGETTO DI RINASCITA A VALENZA NAZIONALE

di Ettore Maria Mazzola

Martedì 30 ottobre 2012, presso il MIBAC, nel Complesso di S. Michele a Ripa, Sala dello Stenditoio, si svolgerà il Forum "La forza nel Segno. Corviale e il suo territorio 35 anni dopo".
Secondo gli organizzatori “si tratta di un'importante iniziativa con cui si apre formalmente il processo partecipato, che porterà all'elaborazione del Piano strategico del sistema locale di Corviale.

Il messaggio diffuso dagli organizzatori addirittura annuncia che “Il 30 ottobre Corviale sarà riconosciuto progetto di rinascita a valenza nazionale al Ministero dei Beni Culturali”!!

Ma ve lo immaginate il Corviale portato agli allori di un immobile vincolato alle Belle Arti?

Il programma prevedrebbe anche un “confronto” … per gli organizzatori mostrarsi pluralisti è importante … non sia mai si dovesse dire che sono lì per ragioni ideologiche!
E allora prendiamoci la briga di andare a leggere i nomi degli invitati al “confronto”, (Luca Zevi, Curatore Padiglione Italia Biennale Venezia 2012; Fabrizio Battistelli, Sociologo Università La Sapienza; Massimo Billia Direttore Generale ATER; Daniel Modigliani Presidente INU Lazio; Francesco Moschini, Segretario Generale Accademia Nazionale di San Luca; Coordina : Giuseppe Pullara, giornalista; Collegamento Skype da New York: Richard Plunz dalla Columbia University) così come quelli dei vari architetti e/o esperti di arte invitati a parlare e/o confrontarsi su diverse tematiche (Maria Grazia Bellisario, Direttore Servizio Architettura e Arte contemporanee – Direzione generale per il paesaggio le belle arti l’architettura e l’arte contemporanee; Piero Ostilio Rossi, Capo Dipartimento Architettura e Progetto Università La Sapienza Roma; Maria Maddalena Alessandro, architetto, Direzione Generale PaBAAC; Barbara Pizzo, ricercatrice Università La Sapienza; Bartolomeo Pietromarchi, direttore museo MACRO; Gianni Orlandi, Professore ICT La Sapienza; Giuseppe Imbesi, Ordinario Urbanistica La Sapienza; Giorgio Nebbia, Professore Emerito; Marco Maria Medaglia, Cattid La Sapienza & Miur; Stefano Boeri, Urbanista Politecnico Milano; Pino Galeota, Corviale Domani; Achille Bonito Oliva, Curatore progetto Parco Nomade Corviale) … ci rendiamo subito conto che più che di pluralismo ci troviamo, per l’ennesima volta, davanti ad un monologo monista.


Si vorrebbe far credere ad un processo partecipativo, ma le decisioni sono già prese. Chi conosce i proclami di Pino Galeota e dei suoi affiliati di “Corviale Domani” sa benissimo che l’unico obiettivo di queste persone che al Corviale non vivono, è quello di tenere in piedi l’ecomostro, le ragioni potete immaginarvele da soli! Chi conosce le loro battaglie sa benissimo che quello che loro chiamano “riqualificazione di Corviale” mira solo ed esclusivamente alla regolarizzazione delle unità immobiliari abusive del 4° piano!
Già, quel 4° piano che nella mente confusa del progettista avrebbe dovuto ospitare i negozi e che, ovviamente, non ha mai visto nessun impavido commerciante azzardarsi ad aprire un’attività fallimentare. Quei negozi avrebbero potuto funzionare solo nella mente malata di chi credesse fermamente nell’ideologia “funzionalista” post Le Corbuseriana, sicché oggi l’intero 4° piano risulta occupato abusivamente da abitazioni, da uno studio dentistico, dalle sedi di tutti i partiti politici, e tante altre situazioni assurde!
Ebbene, secondo i signori di Corviale Domani, tutti gli abusivi del 4° piano meriterebbero la spesa di oltre 27 milioni di Euro stanziati dalla Regione Lazio e bloccati dall’ultimo assessore di passaggio il quale, agli occhi di questi signori, si sarebbe macchiato del peccato di immaginare che sarebbe stato meglio bloccare questa spesa folle, e pensare ad investire quella somma in qualcosa che migliorasse la vita dei 6500 residenti regolari.
Ecco quindi che i promotori di un processo partecipativo dovrebbero considerare che sul Corviale esistono due posizioni radicalmente differenti:
1. I sostenitori dell’ecomostro che raccontano quanto sia bello e vitale “il Quadrante di Corviale”, mostrando immagini del Buon Pastore di Brasini e della campagna romana … un complesso architettonico ed un paesaggio che, semmai, risultano mortificati dalla presenza del Serpentone. Questa “fazione”, molto attiva, propone di tutto, e organizza convegni e mostre per i quali piovono soldi pubblici che potrebbero investirsi altrove, magari a beneficio dei residenti regolari … così si assiste a proposte che vanno dalle Olimpiadi a Corviale all’uso della campagna circostante il mostro per realizzare una mostra di “sculture” e “installazioni” di arte contemporanea, dalla realizzazione di un orto pensile sui tetti di Corviale (che già ha parecchi problemi di infiltrazioni per dover prendersi pure un “tetto verde” che non porta alcun beneficio alla natura ed alle falde freatiche) all’installazione di pannelli fotovoltaici, sempre sul tetto, ecc., fino alla folle idea di far vincolare l’ecomostro dal MIBAC affinché mai a nessuno venga più in mente di promuoverne l’abbattimento.
Per un approfondimento sulle iniziative e sulla recente storia di Corviale rimando a questo mio post: Toglietemi tutto ma non il Corviale dell’aprile 2012.

2. I sostenitori dell’abbattimento e sostituzione del mostro con un quartiere a dimensione umana dotato di tutti i servizi e gli spazi per la socializzazione. Un progetto che vedrebbe il graduale spostamento, senza traumi, per i residenti, i quali lascerebbero le proprie case solo quando, a pochi metri di distanza dall’attuale edificio, saranno pronte ed abitabili quelle nuove. Un progetto che non avrebbe costi, ma solo profitti per la pubblica amministrazione. Un progetto voluto a gran voce dai residenti chiamati ad esprimersi nel lontano 2001, tanto che venne organizzato un convegno – Recupera Corviale – sempre presso la Sala dello Stenditoio del Complesso di S. Michele a Ripa, che mostrò all’intera cittadinanza la volontà popolare di abbattere lo scempio urbanistico architettonico e sostituirlo con un quartiere di case a dimensione umana.

Ebbene, in un convegno che proclama l’intento di una progettazione partecipata con i residenti, dove sono i rappresentanti del secondo schieramento? Perché nessuno è stato invitato a far conoscere l’alternativa all’accanimento terapeutico sull’ecomostro?? In base a cosa, dunque, gli astanti potranno esprimersi correttamente su da farsi???

Sembra di rivedere il fantomatico “processo partecipativo” del sindaco Alemanno sul progetto di ricostruzione degli edifici di via Giulia, dove 7 progettisti da lui scelti a tavolino svilupparono dei progetti che, obbligatoriamente, avrebbero dovuto evitare la ricostruzione filologica degli isolati di Palazzo Ruggia e Palazzo Lais, voluta dai cittadini di via Giulia e proposta dal prof. Marconi e dal sottoscritto in occasione di un progetto sviluppato con gli studenti delle università di Notre Dame, Miami e Roma Tre … i cittadini, in pratica, avrebbero dovuto esprimersi su quale dei 7 progetti, simili per concezione ideologica, avrebbe dovuto realizzarsi lungo la storica strada (Vedi Il Covile, Via Giulia).

È come in quel film comico sulla mafia in cui il padrino di turno mette il suo interlocutore davanti ad una “doppia” soluzione dicendo: “puoi scegliere, ffaai come dico ioo, oppure …. laa sseconda possibilità? Miii, nno mmela rrricordo!”.

Personalmente ho sviluppato un progetto di rigenerazione urbana per Corviale, all’epoca lo feci semplicemente a scopo dimostrativo, e non avrei mai immaginato che la cosa potesse avere un seguito, invece il progetto, in occasione della 49^ Conferenza dell’International Making Cities Livable, tenutasi a Portland, Oregon nel maggio 2012, ha perfino ricevuto il “Premio Internazionale di Progettazione Urbana come progetto esemplare di rigenerazione urbana, come riconoscimento per l’illuminata proposta di sostituzione di un ‘gratta-terra’ con una cittadella neo-tradizionale a scala umana, fatta di edifici a destinazione mista e piazze, che migliora il paesaggio, il benessere sociale ed economico, senza danneggiare gli abitanti”.

Quel progetto è stato invitato ad essere mostrato a Mosca, in occasione della Biennale 2012 di Architettura, è stato presentato a South Bend, Indiana, in occasione del Convegno “Durability in Costruction” e pubblicato negli atti del convegno, è stato mostrato ad Helsinki in occasione del Convegno “SB11 World Sustainable Building” e pubblicato negli atti del convegno, a La Spezia, in occasione del Convegno “La Cultura della Città, valorizzazione e rigenerazione urbana e ambientale” … in pratica ovunque tranne che a Roma. Ma come il mio progetto, esiste anche quello sviluppato da Gabriele Tagliaventi, anch’esso basato sull’ipotesi di sostituire il mostro.

I progetti sono noti ai signori di Corviale Domani, i quali fingono di non sapere. Probabilmente, agli occhi dei residenti, il confronto potrebbe risultare devastante per propri scopi, sicché è meglio nascondere, o meglio “condannare alla pena del silenzio”, come diceva Viollet-Le-Duc.

Ma questo non è corretto. I cittadini regolari di Corviale meritano più rispetto, e solo loro, in quanto residenti, hanno il diritto di decidere cosa sarebbe giusto e non fare sulla collina del Corviale.
Il mio progetto, come quello di Tagliaventi, non vuole essere “il progetto”, ma “un progetto”, in base al quale sviluppare un dibattito che consenta ai cittadini di esprimersi in maniera serena e, soprattutto, completa.
Un giudice non può esprimere un giudizio senza aver ascoltato i testimoni di ambo le parti, né senza aver ascoltato le diverse versioni dei fatti. Chi opera diversamente si comporta da dittatore proclamandosi democratico!

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