Ho messo insieme, senza alcuna pretesa scientifica, brani di autori di ogni epoca sul tema che io ritengo il più importante per la città: la strada.
E’ il più importante in assoluto ma lo è anche, e a maggior ragione oggi, per motivi contingenti, dopo che Le Corbusier ha teorizzato e decretato, riuscendo perfettamente nel suo intento, di distruggere, eliminare, annientare quella che è il primo elemento che costituisce la trama urbana, cioè la strada. Ci è riuscito così bene nel suo intento che questo argomento è, salvo eccezioni, completamente dimenticato da urbanisti e architetti, limitandosi al massimo a opere di arredo urbano e design, spesso di pessima fattura.
Sono convinto, invece, che non potrà esserci alcuna rigenerazione urbana e non potrà esserci più la città se l’urbanistica non ripartirà proprio dalla strada.
Questo è il primo di una serie post in cui riporto due stralci di testi lontani tra loro nel tempo e soprattutto diversi per l'appartenere uno all’architetto per eccellenza, Andrea Palladio (1508-1580), l’altro ad una giornalista-antropologa con un grande interesse per la città, e per le strade in particolare, Jane Jacobs (1916-2006). L’abbinamento è dettato, in questo caso, solo dalla totale diversità dei soggetti ma nei prossimi post altri potranno essere i criteri.
Nel compartir le vie dentro la Città si deve haver riguardo alle temperie dell'Aere, e alla Regione del Cielo, sotto la quale saranno situate le Città. Percioche in quelle di Aria frigida, o temperata, si devranno far le strade ampie, e larghe, conciosiache dalla loro larghezza ne sia per riuscir la città più sana, più commoda, e più bella: essendo che quanto meno sottile, e quanto più aperto vien l'Aere, tanto meno offende la testa; per il che quanto più sarà la città in luogo frigido, e di aria sottile, e si faranno in quella gli edifici molto alti, tanto più si dovranno far le strade larghe, acciò che possano essere visitate dal sole in ciascuna lor parte. Quanto alla commodità non è dubbio, che potendosi nelle larghe molto meglio che nelle strette darsi luogo gli huomini, i giumenti, e i carri, non siano quelle molto più commode di queste: e è eziandio manifesto, che per abbondar nelle larghe maggior lume, e per esser ancora l'una banda dall'altra sua opposita manco occupata; si può nelle larghe considerar la vaghezza de' Tempi, e de' palagi: onde se ne riceve maggior contento, e la città ne diviene più ornata. Ma essendo la Città in regione calda, si devono far le sue vie strette, e i casamenti alti: acciò che con l'ombra loro, e con la strettezza delle vie si contemperi la calidità del sito, per la qual cosa ne seguiterà più sanità: il che si conosce con l'esempio di Roma, la quale (come si legge appresso Cornelio Tacito) divenne più calda, e men sana, poi che Nerone per farla bella, allargò le strade sue. Nondimeno in tal caso per maggior ornamento, e commodo delle Città si deve fare la strada più frequentata dalle principali arti, e da passaggieri forestieri, larga, e ornata di magnifiche, e superbe fabriche, conciosiache i forestieri, che per quella passeranno, si daranno facilmente à credere, che alla larghezza, e bellezza sua corrispondino anco le altre strade della Città. Le vie principali, che militari havemo nomate; si deono nelle Città compartire, che caminino diritte, e vadino dalle porte della Città per retta linea a riferire alla piazza maggiore, e principale, e alcuna volta ancho (essendone ciò dal sito concesso) conduchino cosi diritte sino alla porta opposita: e secondo la grandezza della Città si faranno per la medesima linea di tali strade, tra la detta piazza principale, e alcuna, qual si voglia delle porte; una, o più piazze alquanto minori della detta sua principale. L'altre strade ancor elle si deono far riferire le più nobili non solo alla principal piazza, ma ancora a i più degni Tempi, palagi, portici, e altre publiche fabriche.
Nota: Ho lasciato il testo in originale salvo la grafia delle lettere s e v per renderlo più scorrevole nella lettura.
Per essere in grado di accogliere di accogliere gli estranei e di approfittarne per accrescere la propria sicurezza, come sempre accade nei quartieri più vitali, una strada urbana deve avere tre qualità principali:
1. Dev’esserci una netta separazione tra spazi pubblici e spazi privati; lo spazio pubblico e quello privato non devono essere compenetrati, come in genere avviene negli insediamenti suburbani o nei complessi edilizi.
2. La strada deve essere sorvegliata dagli occhi di coloro che potremmo chiamare i suoi naturali proprietari. In una strada attrezzata per accogliere gli estranei e per garantire lo loro sicurezza e quella dei residenti, gli edifici devono essere rivolti verso la strada; non è ammissibile che gli edifici lascino la strada priva di affacci, volgendo verso di essa la facciata posteriore o i lati cechi.
3. I marciapiedi devono essere frequentati con sufficiente continuità sia per accrescere il numero delle persone che sorvegliano la strada, sia per indurre un congruo numero di residenti a tenere d’occhio i marciapiedi dagli edifici contigui. A nessuno piace starsene seduto sul terrazzino d’ingresso o affacciato alla finestra a guardare una strada deserta (e infatti quasi nessuno lo fa), mentre c’è molta gente che si diverte a dare di tanto in tanto un’occhiata a ciò che avviene in una strada animata. [Omissis]
Condizione essenziale per attuare tale sorveglianza è che lungo i marciapiedi del quartiere sia disseminato un congruo numero di negozi e di altri luoghi pubblici, e in particolare di esercizi e luoghi pubblici frequentati nelle ore serali e notturne. Così soprattutto i negozi,i bar e i ristoranti possono favorire in modi diversi e complessi la sicurezza dei marciapiedi. Omissis
L’idea stessa di eliminare per quanto è possibile le strade urbane, di degradare e minimizzare il ruolo sociale ed economico che esse hanno nella vita cittadina, è la più pericolosa e deleteria invenzione dell’urbanistica ortodossa.
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