Al momento della scelta dell'indirizzo di questo blog, dopo una serie di tentativi a vuoto alla ricerca di un nome semplice e pertinente, la sorpresa: "regola" era libero! L'architettura è oppressa da leggi e regolamenti, i termini più altisonanti della "creativa" cultura architettonica erano già occupati ma una parolina così semplice e antica e comprensibile da tutti, cioè "regola", era libera!
Questo blog parla appunto di "regole" contro la sregolatezza architettonica.


24 febbraio 2009

PERCHE' POUNDBURY? UNA SPIEGAZIONE SEMPLICE

Pietro Pagliardini

Mediante l’urbanistica e l’architettura, l’ambiente e il paesaggio possono entrare nella città o, della città, costituire un elemento figurativo e spirituale determinante . [omissis]
Bisogna saper sfruttare questa fonte di benefici inestimabili. [omissis]
Ancora e sempre vale la norma dettata dal sole: e fra le leggi della natura e le imprese dell’uomo regnerà l’unità.
La ricerca delle unità di grandezza conforme ha stimolato l’invenzione di elementi architettonici e urbanistici tutti giustificati dalla tecnica moderna. [omissis]
Premuti come siamo dalle velocità meccaniche, avvertiamo urgente una necessità: liberare le città dalla costrizione e dalla tirannia della strada! Questa liberazione è oggi possibile.
Un esempio renderà evidente il cammino percorso: un esempio reso dalla pratica urbanistica corrente, anzi in voga, e che nelle scuole viene proposto come modello d’applicazione dei metodi di ricomposizione tendenti ad allargare le strade e a dar loro nuove sagome.
A: isolato di vecchie case
.


B: ricomposizione della proprietà fondiaria.

C: nuova disposizione edilizia, composta di edifici affaccianti su strade e su vasti cortili.

Risultati:
1) La strada rimane un corridoio, un luogo di transito comune ai pedoni, alle automobili, agli autobus, ai tram, ecc.;
2) Le facciate (le loro finestre) s’aprono sul frastuono e sulla polvere della strada o sui cortili;
3) L’orientazione delle abitazioni rimane arbitraria, perché dipende da tracciati vari che non hanno alcuna relazione con la norma solare;
4) Il verde ha una funzione limitata all’abbellimento dei cortili e non partecipa alla scenografia della strada, con mancato profitto per la città;
5) La disposizione adottata ignora i “prolungamenti della casa”, chiave del problema dell’abitazione.

Procedendo invece secondo i princìpi sviluppati nel nostro studio, si ottiene la disposizione rappresentata nella seguente figura:


Estesa agli isolati adiacenti, questa sistemazione determina spontaneamente la liberazione dei suoli riordinando le circolazioni pedonale e veicolari. [omissis]
Questo esempio basta a dare la misura della vastità del rinnovamento che proponiamo di operare mediante l’architettura e l’urbanistica. Abolita la tirannia della strada, tutte le speranze diventano lecite
”.
Estratto da Le Corbusier, Maniera di pensare l’urbanistica, Laterza, Capitolo sesto.

In questo breve brano e in questi 4 disegni c’è la più elementare spiegazione di Poundbury. Un bambino sarebbe in grado di capire: qui sta il “genio” di LC.

Basta riavvolgere il filmato di quei bei disegni ed ecco Poundbury.

Basta scorrere la rotellina del mouse in senso opposto e ….fare un salto nel passato? No, fare un feed-back, cioè una retroazione, cioè : “la capacità di un sistema dinamico di tenere conto dei risultati del sistema per modificare le caratteristiche del sistema stesso”, ed ecco Poundbury.

L’architettura si vanta spesso di essere scienza e quindi di dover sperimentare ma, nella scienza, quando gli esperimenti falliscono, se ne prende atto e si segue un’altra strada o si abbandona quel filone. Non c’è niente di scientifico nel battere la testa contro il muro della propria testardaggine e perseverare nell’errore.
Dunque occorre ricominciare da dove quell’ipotesi (che in realtà era una tesi asserita con certezza) ha avuto inizio, non si abbandona quel filone, cioè la strada e l’isolato, ma si aggiorna il sistema dinamico alle mutate condizioni sociali, economiche e culturali. Ed ecco Poundbury.

Ecco, ritorna la strada, senza la sua tirannia ma con la sua forza ordinatrice della città, con le case che vi affacciano direttamente e creano lo spazio urbano e quello sociale. L’ambiente dell’uomo torna alla sua naturalità, specifica ed unica tra tutti gli esseri viventi, che non è costituita da un substrato verde o da una natura incontaminata ma da una città costruita, murata, luogo di relazioni sociali, economiche e umane. La natura ritorna negli isolati, nei giardini privati, nei parchi di quartiere e urbani, nella campagna che sta fuori e che racchiude la città.

Quelle poche righe illustrate dai disegni sono la quintessenza dell’urbanistica moderna e della dissoluzione della città. Lì è raccolta non solo tutta la teoria ma, soprattutto, le conseguenze pratiche che essa ha avuto nella storia dell’urbanesimo dalla seconda metà del secolo scorso fino ad oggi.

A chi sostiene che non si può trascurare un genio come LC io dico che non lo trascuro affatto; anzi, è proprio perché lo considero così tanto che vorrei che fosse dimenticata, accantonata, rifiutata, respinta la sua teoria. Non mi costa niente riconoscere la sua genialità perché, estraneo al culto della personalità, non mi interessa quella, quanto le conseguenze molto poco geniali di tale genialità.

A chi sostiene che se le idee di LC hanno avuto tanto successo vuol dire che hanno trovato un humus positivo nella società e dunque erano le idee giuste al momento giusto io dico invece che erano le idee sbagliate al momento giusto. E la storia è piena di casi come questo, soprattutto nel secolo scorso, l’epoca in cui sono intervenuti nella storia uomini “grandi e geniali” che hanno tirato fuori le idee sbagliate al momento giusto, causando decine di milioni di morti i quali, immagino, avrebbero fatto volentieri a meno sia di quei geni che delle loro idee, se ne avessero intuito prima le conseguenze. Andiamoglielo a dire alle famiglie delle decine di milioni di vittime del comunismo e del nazismo, le ideologie salvifiche del ‘900, che quelli erano geni e che le loro idee erano giuste.

Erano, invece, proprio le idee ad essere sbagliate, ma le azioni erano quelle giuste al momento giusto per dar loro le gambe.
La maggioranza non ha sempre e necessariamente ragione e le sue idee non sono affatto sempre e necessariamente giuste.

Concludo con un altro brano sempre tratto da Maniera di pensare l’urbanistica, Capitolo settimo:
L’architettura e l’urbanistica sono lo specchio fedele d’una società: gli edifici ne sono i documenti più rivelatori. Occorre tuttavia che l’epoca abbai raggiunto la sua piena maturità. Nei momenti di transizione, gran parte dell’architettura è ancora soltanto nei progetti dei precursori; tuttavia questi progetti hanno valore assoluto e meritano attenzione come qualsiasi altro esempio già realizzato. Nel caso della nostra epoca, le numerose, infinite ricerche di laboratorio che hanno contrassegnato i centoventi anni della prima era industriale costituiscono un fondamento d’indiscutibile solidità.
Così, ad ogni ora del giorno, o dell’epoca, spiriti sagaci, predisposti a questo compito, sono in grado di giocare la partita del presente, che è di discernere le vie del futuro, permettendo alla società di adempiere alla sua missione e di costruirsi la sua vita. E’ in questo modo che si guida il gregge; in questo modo si guida il domani
”.

Ecco, appunto: LC ha saputo guidare il gregge. E si è trovato in buona compagnia di qualche altro “buon pastore”.

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Segnalo su Le Corbusier questi interessante articoli su BBC News e su The Australian che mi fanno sentire meno solo:

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22 febbraio 2009

URBANESIMO SOSTENIBILE: IL CASO DI POUNDBURY - 2° PARTE

di Angelo Gueli

A questo punto mi sembra opportuno introdurre alcuni argomenti più “scientifici” per favorire la comprensione del Sustainable Urbanism.
Alla fine del 2006 la Prince’s Foundation for the Built Environment commissionò una ricerca sul territorio per rispondere fondamentalmente a due interrogativi: il primo relativo alla definizione delle caratteristiche fisiche che contraddistinguono gli interventi di Sustainable Urbanism in U.K., il secondo inerente gli aspetti economici degli interventi di S.U. anche in rapporto alle altre forme di urbanizzazione.

Un'immagine più aggiornata con l'ulteriore espansione

Ecco di seguito riportati i 12 punti che definiscono caratteristiche e qualità del Sustainable Urbanism secondo la succitata ricerca:

Mixed Use: ovvero schemi urbani a predominanza residenziale che integrano destinazioni commerciali, terziarie e publiche.

Mixed Tenure: popolazione residente mista in termini di gruppi sociali, etnici, culturali e occupazionali.

Architectural Quality: l’architettura del quartiere rispondente ad alti standard qualitativi e congrua al contesto nello stile, nella scala e nella scelta dei materiali.

Mixed Housing Type: un largo spettro di scelta per le tipologie abitative in modo tale da incoraggiare la stabilità della comunità: quando la famiglia cresce o decresce è possibile trovare tipologie di alloggio rispondenti alle proprie necessita all’interno dello stesso quartiere.

Well connected to public transport
: rete di trasporti pubblici sviluppata in modo da incoraggiare l’uso della bicicletta e gli spostamenti a piedi.

Walkable neighbourhoods: comunità che abbiano attività commerciali al dettaglio raggiungibili a piedi, e viabilità strutturata in modo tale da permettere vari itinerari sia pedonali che carrabili.
High quality Urbanism that creates definible streets: disposizioni viarie e urbanistiche che creino gerarchia riconoscibili all’interno del tessuto urbano, sia per tipologie che per usi e densità.

Robust, adaptable urban Form: disposizione urbana solida e al contempo adattabile attraverso una griglia permeabile di strade che eviti i cul-de-sac ed incoraggi percorsi alternativi e la conseguente frammentazione del traffico veicolare.
Relatively high net densities: densità urbana di edificazione relativamente alta che consenta di sostenere economicamente le zone ad uso misto.
Well integrated open space: spazi aperti ben integrati, facilmente raggiungibili e che abbiano una chiara tipologia d’uso. Di conseguenza regimi di mantenimento economico di lungo termine in modo da ammortizzare il costo.
Sustanable Buildings: attenzione alla sostenibilità ambientale degli edifici.

Urban form should support a large range ofv Work/Lifestile Choices: la disposizione urbana in grado di sostenere la più vasta gamma di scelte lavorative e di stili di vita, che faciliti lo sviluppo di attività economiche e lavorative anche attraverso l’home working.

Il “rapporto” si concentra anche su alcuni punti specifici, facendo un parallelo con altre realtà urbanistiche. Per aumentare l’attendibilità della ricerca, i suoi relatori hanno preso in considerazione esempi di quartieri dimensionalmente simili e collocati all’interno della stessa città; così nel caso di Poundbury, che ricordo si tratta di un quartiere, sono state individuate altre due aree, sempre all’interno di Dorchester, ad esso paragonabili. La prima è un’area tipica del centro cittadino ovvero un’area storicizzata. la seconda è come Poundbury un’area periferica, ma di recente costruzione, con le caratteristiche della tipica periferia inglese di fine secolo.
Riporto solo alcuni dati essenziali del confronto; come già detto chiunque volesse approfondire l’argomento può farlo scaricando direttamente da internet il rapporto in originale.
È interessante osservare i dati del confronto tra i regimi dei suoli: nell’insediamento storico la stragrande maggioranza della risorsa suolo è di proprietà privata, 48% giardini privati e 20% abitazioni, limitando quindi lo spazio dedicato a viabilità (strade, piazze, passaggi pedonali), verde pubblico e parcheggi pubblici. A Poundbury questi rapporti vengono ribaltati: solo il 20% del suolo è occupato da giardini privati, ma anche il suolo occupato dalle abitazioni scende al 13% pur mantenendo un numero di unità abitative analogo. Ciò accade per la marcata differenza tra le densità dei vari quartieri, che nel caso della periferia standard è ancora più bassa, con un’alta percentuale di suoli occupati dalle abitazioni.

Nel centro storico in pratica non esistono parcheggi (per parcheggiare si usa la sede stradale) e nell’insediamento standard i giardini privati sono in genere occupati dalle macchine, viceversa nel caso di Poundbury le auto prendono posto in cortili e garage interni agli isolati in un mix di proprietà privata e pubblica.
Per quanto riguarda il rapporto di copertura delle strade carrabili, esiste una forte differenza tra la periferia standard e il centro storico: poco più del 10% del suolo nel centro storico, contro il 18% nei comparti standard e il 16% a Poundbury.

Fortissima la differenza segnalata nel rapporto tra le quantità di suolo occupate da unità edilizie destinate a scopi commerciali ed industriali nei vari esempi: nell’insediamento standard è pari a zero mentre è di 3100 mq a Poundbury e di soli 230 mq in centro storico.

Infine interessante rilevare come i prezzi medi delle abitazioni a Poundbury, paragonati a quelli delle altre due tipologie insediative, siano quelli che hanno avuto tra il 2000 e il 2006 il maggior incremento percentuale, il che dimostra che il mercato ha risposto positivamente premiando gli investitori.

Note:
-Un’attenta valutazione sulle scelte urbanistiche effettuate con questa ed altre urbanizzazioni si trova su Valuing Sustanaible Urbanism edito dalla Prince’s Foundation for the Built Environment e facilmente scaricabile dal sito internet della Fondazione
- Notizie e informazioni sul “New Urbanism”, movimento di visione urbana, possono facilmente essere raccolte su http://www.cnu.org.
- I testi tra le virgolette sono tratti dalla Carta per la ricostruzione della città europea di Leon Krier.
-Per i principi del buon progetto da parte della Prince's Foundation vedi il post: I 13 principi del buon progetto


-La foro aerea di Poundbury è tratta da Virtual Earth di Microsoft
-Le foto di Poundbury sono state scattate dall’autore del post, Angelo Gueli

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15 febbraio 2009

POSTILLA SU LE CORBUSIER

Pietro Pagliardini

Questo non è un post ma una comunicazione, una postilla ai precedenti post Dimenticare Le Corbusier e RESET . E' una risposta esterna ai molti che hanno commentato affermando che ormai Le Corbusier è superato e non esercita influenza nel mondo contemporaneo.Ecco un articolo su Timesonline dal significativo titolo:Le Corbusier: creatore del mondo moderno.

VAI ALL'ARTICOLO: Le Corbusier: creatore del mondo moderno

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11 febbraio 2009

URBANESIMO SOSTENIBILE: IL CASO DI POUNDBURY- 1° PARTE

di Angelo Gueli

L’ESEMPIO DI POUNDBURY
Venti anni fa, a Dorchester in Cornovaglia è iniziato uno dei più discussi interventi di pianificazione urbanistica dell’ultimo quarto del secolo scorso. La statura delle personalità politiche ed intellettuali che hanno voluto l’innovativo e nel contempo fortemente controverso esperimento di Poundbury di certo non ha stemperato le polemiche che accompagnano questo e gli altri interventi legati alle teorie del “Sustanaible Urbanism”(1).

Su diretto incarico del Principe di Galles, nel 1988 Léon Krier diede mano alla prima stesura del progetto per la realizzazione di Poundbury, nuovo quartiere di Dorchester.

Nel luglio del 2007 ho avuto la possibilità di soggiornare in Cornovaglia; ho così potuto verificare quanta poca attenzione sia stata posta in Italia nei confronti dei concetti di cui si fa portatrice questa sperimentazione urbana. A Poundbury, Krier ha messo in pratica le sue teorie urbanistiche tese alla riabilitazione della città tradizionale e all’uso degli elementi che la caratterizzano, sia dal punto di vista formale che spaziale. La città è pensata come un insieme di quartieri, ognuno con un suo centro dotato dei servizi primari legati al vivere quotidiano. Il principio qui applicato della policentricità delle aree metropolitane, enunciato da Krier nei primi anni ottanta dello scorso secolo, è uno dei fondamenti del “New Urbanism”(2), di cui questa è una delle realtà più significative.

Alla base della progettazione urbana stanno gli assunti che “gli spazi pubblici possono essere previsti soltanto sotto forma di strade e piazze”, che esistono precise ed esplicite gerarchie fra i vari spazi e che “la forma della città e dei suoi spazi pubblici non può essere oggetto di sperimentazioni personali”(3).

A Poundbury il centro commerciale e sociale è classicamente individuato in una piazza “mercatale”, nodo vitale degli scambi economici e sociali del quartiere. La costruzione, in gran parte già attuata, avverrà per fasi (adesso è in avanzato stato di realizzazione il terzo lotto), al termine di ognuna delle quali saranno individuabili altrettanti quartieri.
Ogni quartiere ha una sua identità e dei confini; su questi confini sono tracciate le direttrici viarie destinate ad assorbire grandi flussi veicolari. Le automobili non sono bandite dai centri cittadini, però grazie all’articolazione viaria e alla disposizione degli isolati, gli autoveicoli non sono più gli attori principali della città ma sono declassati a semplici comparse.

Foto: Dettaglio di un isolato

Ogni spostamento all’interno del singolo quartiere urbano può essere fatto camminando pochi minuti a piedi; i limiti estremi dell’agglomerato edilizio sono dettati dal limite di affaticamento, stimato in pochi minuti di camminata. Luoghi di lavoro e di residenza distano quindi poche centinaia di metri. Nella sua Carta per la ricostruzione della città europea, Krier afferma: “non ci devono essere zone industriali, zone pedonali, centri o zone di vendita… ci possono essere solo quartieri urbani che integrano tutte le funzioni della vita urbana”. Per fare in modo che funzioni lavorative e abitative si integrassero, il primo edificio realizzato a Poundbury fu una fabbrica di cioccolata, poi è venuta una fabbrica di birra e una di componentistica per computer; solo dopo la loro realizzazione sono cominciati i cantieri per gli immobili ad uso abitativo.

A Poundbury convivono edifici dal ben definito carattere borghese e porzioni a più alta densità abitativa; tutti gli immobili però hanno quella particolare qualità architettonica della tradizionale edilizia popolare inglese che garantisce alti standard estetici e, dalla complessità degli spazi urbani, si legge chiaramente la volontà di creare un tessuto sociale articolato.

Per quanto discutibile, la scelta dell’aspetto estetico della città diventa marginale rispetto ai principi sociali, ed economici ed urbanistici che in questa s’intendono affermare. C’è la precisa volontà di realizzare edifici a basso impatto ambientale, e per farlo si ricorre alla tradizione, seguendo la semplice regola che i materiali e le tecnologie devono essere più naturali possibili, locali, duraturi e facilmente riparabili. Il presupposto è che un immobile realizzato in muratura portante cavata a pochi chilometri ha un impatto ambientale infinitamente più basso di un edificio realizzato in acciaio e vetro, sia per le tecnologie usate e le conseguenti regimentazioni termiche, che per la durata dell’edificio stesso. I nostri ambienti di vita e di lavoro sono fra i maggiori responsabili delle emissioni di CO2: costruire e riconvertire in modo ambientalmente sostenibile sarà sicuramente uno dei modi di adeguarsi ai parametri del protocollo di Kyoto. Gli ideatori di Pondbury hanno individuato nella lunghezza della vita di un edificio un fattore fondamentale per la sostenibilità di un edificio stesso; progettare per trecento anni e non per cinquanta è un modo per lasciare a chi verrà dopo di noi un mondo migliore, cosa che il buon senso dei nostri nonni (a differenza di quello dei nostri padri) non avrebbe mai messo in discussione.

C’è poi l’assoluta negazione della zonizzazione come principio progettuale con la conseguente ridistribuzione sociale all’interno del nucleo cittadino.
Orgogliosamente i relatori della conferenza di studio a cui ho partecipato sostenevano che, in meno di 10 anni dall’arrivo del primo abitante, già il 25% degli abitanti vive e lavora dentro i confini naturali di Poundbury e che questa percentuale sembra destinata a crescere, grazie anche alle politiche lavorative adottate.

Dal punto di vista edilizio, esiste un rigido protocollo che detta le regole per la realizzazione delle nuove costruzioni.
Pur essendo la Prince’s Foundation un ente benefico, è importante sottolineare che gli imprenditori che lavorano a Poundbury di certo non sono dei filantropi visionari, ma, nell’assumersi gli ovvi rischi di impresa, hanno nella realizzazione di Poundbury una giusta fonte di guadagno. Non so se questa possa essere considerata una terza via, ma certo è una posizione che sta a cavallo tra l’obsoleto interventismo statalista e l’inumano capitalismo che, partendo da punti diversi, hanno creato e continuano a generare le periferie di tutto il mondo.

Nel quadro mondiale delle grandi progettazioni urbane, non si può dire che gli attori che stanno portando avanti l’esperimento urbano di Poundbury non abbiano preso una decisa posizione contro l’imperante globalizzazione, l’innarrestabile internazionalizzazione delle idee architettoniche e contro le posizioni estetico-culturali egemoni che, fin troppo evidentemente, vedono i grandi interpreti dell’architettura e dell’urbanistica mondiale al servizio dei giganti della finanza e della loro visione ipercapitalistica. Certo, a chi come me vede i grandi eventi della pianificazione urbana da lontano, appare quantomeno ironico che fra i più strenui difensori dei valori della qualità urbana ed edilizia, vista come mezzo per il riscatto e l’integrazione sociale, vi sia l’erede al trono di una delle più antiche monarchie del mondo; mentre gli eroi nostrani dell’architettura, la maggior parte dei quali si professa politicamente progressista o persino comunista, nelle loro scelte progettuali, confondendo dolosamente il profitto economico con il progresso, sono completamente asserviti ai potentati economici, che della ipertrofia metallica dei loro grattacieli e quartieri fieristici fanno bandiera, noncuranti delle ricadute ecologiche e sociali delle loro scelte architettoniche.

FINE PRIMA PARTE

Note:
(1) Un’attenta valutazione sulle scelte urbanistiche effettuate con questa ed altre urbanizzazioni si trova su Valuing Sustanaible Urbanism edito dalla Prince’s Foundation for the Built Environment e facilmente scaricabile dal sito internet della Fondazione
(2) Notizie e informazioni sul “New Urbanism”, movimento di visione urbana, possono facilmente essere raccolte su http://www.cnu.org.
(3) I testi tra le virgolette sono tratti dalla Carta per la ricostruzione della città europea di Lèon Krier.

Le immagini aeree di Pondbbury sono tratte da Google Earth

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5 febbraio 2009

DIMENTICARE LE CORBUSIER!

di Giulio Rupi

Perché “Dimenticare Le Corbusier”?
Perché dimenticare questo gigante, l’autore, il precursore di tutte le teorie architettonico - urbanistiche che stanno alla base della Modernità?
Perché dimenticare l’uomo che più di ogni altro ha influenzato il mondo delle costruzioni da ottanta anni a questa parte?
Sviluppiamo il ragionamento per punti successivi, che si collegano l’uno all’altro e che verranno nel seguito approfonditi uno per uno.

Primo punto: il Nostro aveva delle idee assolutamente folli sulla qualità urbanistica della città. Queste idee, sostenute oggi, farebbero considerare fuori di testa colui che le enunciasse.
Secondo punto: il Nostro ha elaborato delle teorie assolutamente coerenti con questa sua visione urbanistica delirante e le ha sapute imporre al mondo con una capacità affabulatoria ineguagliabile.
Terzo punto: la cultura urbanistica mondiale ha, da ottanta anni, acquisito queste teorie Corbuseriane come il Vero Unico Verbo dell’Urbanistica e da allora si è mossa su quelle direttive.
Quarto punto: a causa di quanto sopra i nove decimi di quanto si è costruito da allora su tutto il pianeta derivano direttamente da quella impostazione teorica e quindi i disastri urbanistici delle periferie del mondo sono la naturale conseguenza di quelle idee folli ricordate al primo punto.

PRIMO PUNTO: LA FOLLIA DELLE IDEE
A dimostrazione di questo punto si riportano appresso tre frasi del Nostro, riferite alla sua delirante visione della città storica e del suo destino.
Prima frase:
"Rifuggiamo dal levare lo sguardo su quel ritaglio di cielo che si disegna tra i cornicioni delle case: è uno spettacolo troppo deprimente. Da un capo all'altro della città, pressoché su tutte le strade, si apre questo grande squarcio, delimitato da una linea spezzata, dura, angolosa, tormentata. Né riesce a suscitare in noi alcune senso di eccitazione, per l'incoerenza del suo sviluppo. Resteremmo ben altrimenti impressionati se questo profilo della città stagliato contro il cielo seguisse una linea pura, tale da farci avvertire la presenza di una forza ordinatrice. Gli abbaini, le tegole, le grondaie che incoronano la città occupano nel paesaggio urbano quel posto privilegiato in cui si intersecano nettamente i due elementi che determinano la sensazione ottica. Il cemento armato vi porta la liberazione, un capovolgimento dell'ordine tradizio¬nale, per cui i tetti (tegole, abbaini, grondaie) considerati sinora un no man's land frequentato dai gatti, diventano un'im¬men¬sa superficie recuperata, un'area di città dispo¬nibile per giardini o viali per il passeggio ..."

Seconda frase:
"Sono fermamente convinto che è necessario arrivare alla decisione di demolire il centro delle grandi città per ricostruirlo daccapo".

Terza frase:
"Il cuore delle nostre antiche città, con le loro cattedrali e monasteri, deve essere abbattuto e sostituito da grattacieli".

Insomma Le Corbusier detestava tutte quelle caratteristiche di varietà, di complessità, di articolazione che caratterizzano l’architettura e l’urbanistica di ogni civiltà tradizionale del pianeta e sognava di sostituire a questa complessità una città in cui regnasse la geometrizzazione assoluta, fatta di edifici semplici, tutti a copertura piana, realizzati in cemento armato.
A semplice dimostrazione di quanto questa visione sia stata poco profetica basta ricordare che il turismo mondiale, che per adesso interessa solo il 9% della popolazione, ha un fatturato che supera quello del petrolio e degli armamenti: miliardi di persone si muovono sul pianeta per visitare gli antichi centri delle città che il Nostro avrebbe voluto distruggere, non certo le periferie costruite in coerenza con le sue teorizzazioni..
Si provi oggi il più fanatico dei Corbuseriani a proporre di distruggere il compatto Centro storico di una città per sostituirlo con blocchi isolati di cemento armato! Ma allora come si può considerare il Nostro come un Profeta dell’Urbanistica moderna se le sue teorie partono da queste idee di fondo, che si sono dimostrate sballate a ogni latitudine?
Se si vuole ancora venerare chi ha predicato tali assurdità bisognerà pur confrontarsi con la sorte che questa visione del mondo (“Che schifo i Centri Storici!”) ha subito negli ottanta anni successivi e con quello che oggi ne rimane e bisognerà pur dubitare anche delle conseguenze teoriche e progettuali che il Nostro ne ha derivato!

SECONDO PUNTO: LA COERENZA TRA QUESTA DELIRANTE VISIONE E LE SUE TEORIE URBANISTICHE
Qual’è la caratteristica del tessuto urbano di tutte le città antiche, quelle detestate dal Nostro?
Queste città sono fatte tutte di vere strade, cioè di percorsi definiti dalle facciate degli edifici che vi si affacciano, di strade che nei punti nodali si allargano a formare delle vere piazze, punti nodali caratterizzati da edifici specialistici (edifici pubblici, religiosi, etc.). Sono città fatte di edifici ognuno diverso dall’altro ma coerenti l’uno con l’altro (sono città “corali”), allo stesso tempo fatte di diversità e di armonia, sono città CONTINUE, cioè fatte di edifici collegati e sono città emergenti nel territorio, distinte dalla campagna circostante.
Sono città in cui le diverse funzioni sono integrate a livello della strada, città in cui a piedi si può svolgere la gran parte delle attività giornaliere del cittadino. E (sia detto per inciso) se solo lo si volesse, se non si fosse ancora inquinati da queste teorie, si potrebbero individuare soluzioni tecniche per mantenere nei nuovi piani urbanistici quei valori urbani e quella pedonalità, anche dopo l’avvento dell’automobile.
Ma qual’è la caratteristica fondamentale di questa città: è che una città così è fatta di “interni”, cioè di vere strade che sono percorsi interni cui manca solo la copertura per essere tali, è fatta di vere piazze, cui manca solo la copertura per essere dei salotti.
Come vorrà cambiare il tessuto di questa città quel Maestro che detesta tutto questo, che lo considera malsano, sorpassato, da azzerare? Quali teorie dovrà elaborare costui per distruggere questa città?
Teorizzerà un diverso rapporto tra uomo e natura, teorizzerà edifici immersi nel verde, in pratica la distruzione della città come “continuum” sostituita da blocchi isolati (la “ville radieuse”) in cui stanno i negozi, gli uffici, le abitazioni.
In questa nuova città non si passeggerà più come nel Corso delle vecchie città, in quanto il vero Corso saranno i percorsi interni degli edifici. In questa nuova città gli esterni tra gli edifici non saranno più dei “quasi interni” ma saranno dei veri esterni, in cui trionferà la natura: parchi, boschi, prati in cui il cittadino potrà ritemprarsi ritrovando un sano rapporto con essa (poi, in pratica, una città senza cittadini per le strade, come la Corbuseriana Brasilia di Niemeyer).
I valori della città antica sono tutti rovesciati: la continuità diventa discontinuità, la coralità diventa singola “monumentalità”, i percorsi da “interni” divengono degli esterni, la varietà delle funzioni dalla strada passa all’interno degli edifici, e via dicendo.

TERZO PUNTO: IL MONDO HA VERAMENTE ASSIMILATO QUESTA TEORIZZAZIONE
Certamente! Questa teorizzazione ha trionfato in tutte le scuole di Architettura e di Urbanistica del Pianeta e da allora il 90% delle periferie mondiali lo si è costruito secondo queste teorie. La geometrizzazione delle “lottizzazioni”, il distacco tra gli edifici, la fine della continuità, la fine della integrazione tra residenze, uffici e negozi, insomma la fine di quel tessuto urbano tanto detestato dal Nostro e la sua sostituzione con un tessuto più o meno simile a quello da lui preconizzato è quanto si è visto realizzare soprattutto nel secondo dopoguerra in tutte le periferie del mondo. E questo, data l’enorme velocità con cui in quegli anni si sono realizzati edifici per tenere testa alla travolgente urbanizzazione, ha finito per costituire, tra tutto quello che si è costruito nel pianeta fin dall’inizio dei tempi, la parte enormemente preponderante del costruito.

QUARTO PUNTO: I DISASTRI URBANISTICI DELLE PERIFERIE DEL MONDO SONO LA NATURALE CONSEGUENZA DI QUELLE IDEE FOLLI RICORDATE AL PRIMO PUNTO
Perché, per universale, unanime ammissione (però sempre scollegata dall’indagine sulle vere cause teoriche del disastro) tutto questo non ha funzionato.
Per unanime riconoscimento la stragrande maggioranza delle periferie sono luoghi lugubri, anonimi, senza vita, senza il calore delle strade e delle piazze del Centro Storico. Quando dall’aeroporto di una città si arriva in auto verso il centro si attraversano luoghi squallidi e anonimi, solo passata una certa soglia ci si accorge di essere dentro il “centro”, quel centro che noi siamo venuti da turisti a visitare, un luogo che ha caratteristiche profondamente diverse da quelle dei luoghi anonimi precedentemente attraversati.
Il fatto è che la “Ville radieuse” si è concretizzata (e non poteva essere che così!) in una serie di “anonimi casermoni” in cemento armato, isolati e giustapposti l’uno all’altro.
Il fatto è che il piano di campagna, invece che divenire un luogo ameno di contatto con la natura è divenuto uno squallido suburbio dove il verde pubblico non è certo sufficiente a rivitalizzare una integrazione perduta tra l’uomo e l’ambiente urbano.
Il fatto è che l’integrazione all’interno degli edifici non ha funzionato, gli ascensori non sono certo divenuti luoghi di socializzazione, i ballatoi sono divenuti luoghi pericolosi da evitare di notte e le funzioni accessorie alla residenza si sono dovute rifugiare in centri commerciali che hanno dato il colpo di grazia alla civiltà urbana, divenendo infine l’unico squallido luogo di socializzazione delle periferie.
Questo disastro non può essere dissociato dalla predicazione Corbuseriana perché di fatto la attua nei suoi enunciati fondamentali. Non si può sfuggire alla coerenza e alla consequenzialità di tutto il ragionamento fin qui sviluppato!

Per questo ripetiamo con sempre maggiore convinzione: “Dimenticare Le Corbusier!



Le foto sono tratte dall'articolo "la dimora dell'uomo" del sito n+1, sito che dichiara di essere comunista e applicare rigorosamente il metodo di Marx

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3 febbraio 2009

KITSCH E PASTICHE

Pietro Pagliardini

A – Leggi qui sul Corriere della Sera. Parlano del Castello Sforzesco: “Si costruirà una torre moderna per consentire l' ingresso alle merlate di sera... «Io sono per la legittimità del nuovo anche all' interno di un manufatto antico. Scarpa diceva che non c'è restauro senza trasformazione. Ma ci vuole qualità. La cosa certa è che deve essere autenticamente nuovo per rispettare la dignità del nostro tempo»

B- Chi ha detto queste cose?

A- L’ha detto Mario Botta a Pierluigi Panza. E continua: “Qualcuno ritiene che il Castello sia un manufatto ibrido: un po' autentico e un bel po' in stile Disneyland. E per questo ogni intervento è possibile. «No. La cultura del momento in cui è stato rifatto prevedeva la ricostruzione in stile dov' era e com' era: il pastiche era l' autentico di quel tempo. Oggi siamo disincantati e inorridiamo di fronte alle falsificazioni e al kitsch». Sembra di capire, leggendo tutto l’articolo, che c’è in progetto il restauro del Castello Forzesco per adibirlo a museo, pur non esistendo ancora il progetto vero e proprio, e par di capire che neanche il progettista sia stato scelto, e si parla di una “torre” che permetterà di raggiungere un’ala dello stesso.
B- Mario Botta…Mario Botta, aah, quello della Scala, quello che ha fatto quel volume che mi ricorda un ferro da stiro sopra il tetto! Chissà, forse è un ricordo degli antichi stenditoi sui tetti! Bella idea! Peccato abbia detto “autenticamente moderno”! Ma cosa vuole dire veramente, perché io l’ho sentita tante volte dagli architetti questa buffa espressione. Anche quando ho fatto la mia casa l’architetto la usava sempre quando io volevo un caminetto di mattoni e lui me lo voleva rivestire di lastre di ferro marrone tutto arrugginito. Io, per non essere maleducato, non gliel’ho mai detto, ma per me non significava proprio niente, e comunque il caminetto l’ho fatto di mattoni. Nuovo significa finito di costruire da poco o da costruire (potrebbe essere diversamente se parliamo di un progetto da fare?) ma autenticamente ….. proprio non saprei! Forse vuol dire che la novità deve essere certificata da un notaio, oppure da un pubblico ufficiale. Sarà un problema di qualche legge europea a garanzia del consumatore!
A- No, moderno non vuol dire nuovo d’età ma nuovo…di stile, di stile moderno insomma. Hai visto quei grattacieli che ciondolano o si attorcigliano che vogliono fare a Milano? Sono in “stile moderno”. Come è moderna anche la pensilina che vogliono fare a Firenze e lo Sgarbi è incazzato che non la vuole. Come è moderno anche Le Corbusier. Lo conoscerai Le Corbusier, lo conoscono tutti. Insomma, il moderno è …. moderno e basta, si capisce subito. Piuttosto non saprei se il Liberty, sai quella casa in via Malpighi con tutti quei ghirigori, sia da mettere nello stile antico o in quello moderno. Però a me non importa, mi piace e basta, lo mettano dove vogliono.

B- Ma, insomma, secondo te, questa torre al Castello Sforzesco, deve essere davvero moderna?

A- Lo stile deve essere moderno, non c’è dubbio. Oggi va “il moderno”. Ho sentito anche una giovane coppia che girava per il salone del mobile per mettere su casa e lei ha detto a lui: “Per la nostra casa voglio “il moderno”, qui c’è solo roba in stile”. In stile…. anche il moderno è in stile, che c’entra: in stile moderno. L’architetto dello stand l’ha sentita e si è permesso di dirle: “Scusi signorina, ma oggi va di moda il pastiche”. I due hanno fatto una faccia, ma una faccia, che non ti dico, sai son giovani. Allora l’architetto ha spiegato: “Pastiche, signorina, pastiche; vuol dire che uno fa una casa tutta moderna e poi ci mette qualche bel pezzo antico e fa contrasto e fa anche capire che c’ha … disponibilità. Oppure che uno fa una casa tutta antica e poi ci mette qualche bel pezzo di design moderno, ma autenticamente moderno come, che so, una chaise longue in cavallino, tipo modernariato, e fa famiglia raffinata”. “Aah, ora ho capito, grazie. Ma a me piace il moderno. Tutti i gusti sono gusti, sa!”.

B- Allora niente pastiche, perché oggi è kitsch e noi dobbiamo inorridire davanti al kitsch.

A- No, no, non è così! O meglio, è così, cioè il pastiche è kitsch ma mettere il moderno sull’antico non è pastiche e dunque non è kitsch.

B- Allora ho capito male. Ma è me il pastiche sembra proprio che voglia dire mescolare sapori diversi, insomma un pasticcio, per cui se metti il moderno sull’antico mi sembra un gran pastiche ma se metti l’antico sull’antico non se ne accorge nessuno e passa inosservata e non c’è nessun pastiche perché sono più omogenei e dunque nessun kitsch.

A- E’ proprio questo il problema! Che non se ne accorge nessuno! Invece se uno fa uno cosa oggi la deve fare autenticamente e schiettamente moderna perché ogni opera deve essere figlia del suo tempo e deve dichiarare la sua data di nascita!

B- Ah sì? Ma questi vogliono mettere una torre moderna per salire le scale e fare un’opera autenticamente moderna? Adesso ti stupisco: tu lo sia che la Torre del Filarete col cavolo che è del Filarete e invece è di fine dell’800? Allora la Torre del Filarete, col tuo ragionamento, non sarebbe stata al tempo autenticamente moderna, e non dovrebbe piacere neanche a noi, almeno dal momento in cui noi venissimo a sapere che è di fine ‘800, perché oggi il pastiche è kitsch e dunque dovrebbe farci inorridire. E come sarebbe questa storia che se uno la cosa non lo sa è felice e appena lo viene a sapere deve diventare triste, anche se la Torre è sempre la stessa e non è cambiata? E che è, come con le corna: occhio non vede, cuore non duole? Con le corna uno scopre qualcosa di peggio ma nel caso della Torre è come scoprire che la fidanzata ti ha sempre detto di avere 20 anni invece ne ha 25: se la lasci per questo vuol dire che non ti piaceva neanche prima. Ma a me, e non solo a me, la Torre del Filarete piace, e parecchio, ed è uno dei simboli di Milano, dopo il Duomo e la Scala e io vedo quello che vedo, non la carta d’identità.

A- Ma dai? Sembra proprio antica! Allora i milanesi avrebbero preso per i fondelli i turisti, e anche qualche milanese, compreso me, per tutto questo tempo? E poi dicono dei napoletani.! Allora, forse, farebbero meglio a continuare col pastiche vecchio, cioè finto-antico con finto-antico, piuttosto che col pastiche nuovo, finto-antico con autentico-moderno. Però che vuoi che ti dica, tutti i gusti sono gusti.


Le immagini sono tratte da Virtual Earth di Microsoft

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