Al momento della scelta dell'indirizzo di questo blog, dopo una serie di tentativi a vuoto alla ricerca di un nome semplice e pertinente, la sorpresa: "regola" era libero! L'architettura è oppressa da leggi e regolamenti, i termini più altisonanti della "creativa" cultura architettonica erano già occupati ma una parolina così semplice e antica e comprensibile da tutti, cioè "regola", era libera!
Questo blog parla appunto di "regole" contro la sregolatezza architettonica.


27 gennaio 2013

RIGENERAZIONE URBANA: MODELLI ASSURDI E MODELLI VIRTUOSI

di Ettore Maria Mazzola

In questi giorni è circolata la notizia (Matt Robinson su Daily Mail del 24 gennaio 2013) che in Gran Bretagna, una megastruttura residenziale (2700 alloggi) – erroneamente definita “torri” – realizzata tra il 1967 e il ’79 sta per essere “rasa al suolo e sostituita con un quartiere di case a schiera tradizionali, per ridurre la criminalità e migliorare gli standard di vita dei più poveri nella società britannica”.
La scelta non è stata, come qualche malizioso potrebbe accusare, basata sull’ideologia, oppure sulla visione “nostalgica” del Principe Carlo, bensì è stata suggerita da un lungo studio dei ricercatori di “Think-tank Policy Exchange” che ha dimostrato le seguenti cose:
1. La concentrazione di esseri umani all’interno di palazzoni multipiano esclusivamente residenziali tende ad aumentare la criminalità, facendo sì che queste strutture e quartieri divengano “no-go zone” (luoghi da evitare);
2. Chi vive in queste strutture ha maggiori probabilità di soffrire gravemente di stress, problemi di salute mentale; inoltre, tra queste persone, si registra un’impennata dei divorzi;
3. Considerato invece che vive in quartieri tradizionali di case a schiera è meno esposto a queste patologie e/o dinamiche, la sostituzione di certe realtà con quartieri di tradizionali di questo tipo può migliorare drasticamente le condizioni dei residenti.


Lo studio ha fatto emergere il desiderio dei cittadini, i quali hanno concordemente ammesso di “voler vivere in case realizzate sul modello di quelle costruite per secoli in tutto il Regno Unito, non solo per combattere la criminalità, ma anche per ridurre lo stress e salvare il proprio matrimonio!
Lo studio riporta come, nonostante l’evidenza di certi dati allarmanti, tutt’oggi oltre 140 mila famiglie inglesi vivano in realtà spersonalizzanti multipiano.
Il rapporto porta gli autori a suggerire che non solo questo quartiere degradato, ma tutti i quartieri similari realizzati nel Regno Unito negli ultimi 70 anni, essendo divenuti “no-go zones” debbano essere sostituiti al più presto!
In base ai dati del rapporto, è stato stimato che, nella sola Londra, potrebbero realizzarsi 260.000 nuove case nei prossimi 7 anni sostituendo i “grattacieli” e “casermoni” esistenti.
Boys Smith va oltre, ed elenca le problematiche relative ad un certo tipo di edilizia, auspicando che la si smetta di compiere gli errori del recente passato, ricominciando a “costruire strade lungo le quali la gente vorrebbe vivere per evitare di rendere la vita delle persone miserabile”.
Da alcuni anni, effettivamente, in Inghilterra si sta procedendo con interventi di questo genere, per esempio a partire dal 1997 come primo discorso da Primo Ministro, Tony Blair visitò un quartiere degradato proponendo la sua sostituzione con qualcosa di più umano e rispettoso dei residenti, e oggi quel quartiere è oggetto di un intervento di Rigenerazione Urbana di 1,5 mld di Sterline!
Stiamo parlando di dimostrazioni di civiltà, stiamo parlando di persone che, al di là dell’ideologia, riescono ancora a mettere in primo piano le esigenze della collettività.
Ma perché in Inghilterra certe cose avvengono, mentre da noi in Italia si viene condannati solo se si osi proporre qualcosa di simile?
Forse è il Regno Unito ad essere un Paese speciale? Forse perché lì c’è la monarchia e, conseguentemente, si è in grado di fare programmi a lunga scadenza cui i politici locali “a tempo determinato” debbono uniformarsi indipendentemente dal colore dei loro predecessori?
Non credo.
Infatti, se ci avviciniamo all’Italia, possiamo documentare il caso della Francia, dove a seguito dei fenomeni rivoluzionari delle banlieuses, lo Stato ha approvato e messo in pratica una legge che ha consentito di investire 60 mld di Euro per la sostituzione edilizia di quartieri degradati e degradanti, ma la cosa era già in atto da prima se, basti pensare al “fenomeno” di Plessis Robinson … fenomeno del quale in Italia, specie tra gli architetti e docenti di architettura, ci si guarda bene dal parlare!
Da noi è difficile che certe iniziative possano mai avvenire, probabilmente per ragioni di ignoranza, o forse per un assurdo e ingiustificato complesso di inferiorità culturale verso quei Paesi più votati al modernismo estremo, o anche e soprattutto per un vergognoso servilismo nei confronti di alcuni mostri sacri italiani.
Tutto ciò porta la stragrande maggioranza degli architetti italiani comportarsi in maniera ottusa, accusando di passatismo nostalgico, populismo, qualunquismo e quant’altro chi osi proporre certe cose.
Si rifletta però sul fatto che, proprio coloro i quali accusano di “passatismo” i sostenitori della sostituzione di quartieri degradati con esempi di urbanistica tradizionale, si comportano come i peggiori fondamentalisti-iperprotezionisti quando si tratti di dover buttare giù delle brutture del genere che, a loro dire, rappresenterebbero degli importanti "segni" o "memorie" storiche del tempo in cui sono sorti … costoro sono perfino arrivati a chiedere di porre un vincolo artistico sulle Vele di Scampia e il Corviale di Roma!.
E' ovvia la ragione, e l'ho già scritta tempo fa: gli architetti, per la maggior parte i "grandi luminari" 60-70enni, identificandosi con gli edifici che hanno realizzato, non accetterebbero mai di vedersi privare di un pezzo di se stessi … sarebbe come farsi amputare un braccio o qualcos'altro, sicché combattono anche con argomentazioni patetiche, qualsivoglia demolizione del "moderno" ... hai visto mai che prima o poi possa toccare ad un proprio edificio?
Costoro, piuttosto che pensare alla presunta importanza dell’appartenenza di un edificio al suo progettista, avrebbero dovuto – e dovrebbero – pensare a come concepire edifici che stimolino il senso di appartenenza dei cittadini a quel luogo, ma significherebbe mettere da parte la propria autoreferenzialità!
Così, in queste ultime settimane, abbiamo tristemente assistito alla patetica celebrazione, in vari modi, di personaggi come Pietro Barucci (autore di mostruosità come Tor Bella Monaca, Torrevecchia, Laurentino ’38, Quartaccio) e Michele Valori (co-progettista del Corviale con Mario Fiorentino) , personaggi che si sono resi responsabili di alcune delle più disumane progettazioni dello scorso secolo, e il prossimo 7 febbraio assisteremo alla celebrazione di un altro personaggio che ha fatto il bello e cattivo tempo dell’architettura e dell’urbanistica italiana, dirigendo Casabella e costruendo abomini come lo ZEN di Palermo: Vittorio Gregotti, il quale riceverà la sua passerella in occasione di una manifestazione organizzata presso l’Accademia di San Luca dedicata alle “Rigenerazioni Urbane in Italia”. Durante questa manifestazione verrà presentato il progetto di “rigenerazione del quartiere Acilia Madonnetta a Roma” … per chi non lo conoscesse, si tratta di un surrogato del suo ZEN di Palermo!
Ma come è possibile che in Italia si continuino a cantare le lodi di certi personaggi?
Lo ZEN è probabilmente il peggior esempio di progettazione di Case Popolari Italiano, primato tristemente condiviso con le Vele di Scampia di Franz Di Salvo, altro personaggio al quale è stato recentemente dato un tributo su alcuni blog!
Servilismo? Sudditanza psicologica nei confronti di personaggi (quelli in vita) ancora influenti per mettere una buona parola per diventare famosi? Davvero una cosa indegna!
Inutile dire che, in occasione della manifestazione dedicata a Gregotti ed alle “Rigenerazioni Urbane”, non è stato minimamente ipotizzato di presentare quei progetti di Rigenerazione elaborati da coloro i quali hanno per primi portato avanti questo discorso in Italia, professionisti che hanno elaborato progetti che dimostrano non solo come risulti possibile fare architettura e urbanistica a dimensione umana, ma che la cosa possa farsi in maniera totalmente pubblica, e a costo zero, rifocillando, piuttosto che dissanguando le finanze pubbliche, generando altresì centinaia e centinaia di posti di lavoro, migliorando fattivamente l’esistenza di tantissimi individui; i loro studi hanno inoltre dimostrato come certi progetti porterebbero delle ricadute economiche positive sull’intera collettività, anche grazie all’eliminazione di quelle problematiche elencate dallo studio inglese.
A tal proposito vorrei fare un paio di progetti che ho sviluppato di recente, non solo per spiegare come potrebbero funzionare, ma perché non vorrei recitare la parte di colui che critica gli altri senza mostrare delle alternative.
Nel caso di Corviale a Roma, se si procedesse alla sostituzione dell’abominevole complesso residenziale attuale, non solo si potrebbero insediare circa 2000 abitanti in più, per favorire l’integrazione sociale, ma si potrebbero portare una serie di attività quali una scuola materna ed elementare, una scuola media, una scuola superiore, alcune strutture sportive, una chiesa, un Municipio, un Comando dei VV.UU., un Cinema-Teatro, un Centro Culturale con Biblioteca di quartiere, un Edificio Postale, una Loggia per il Mercato, circa 58500 mq di negozi al piano terra degli edifici della spina centrale, circa 30000 mq di laboratori artigianali lungo le strade a margine, nonché un enorme parco di quartiere, inoltre l’intero quartiere e il parco risulterebbero dotati di numerose aree per il gioco dei bambini e per il tempo libero e le attività degli anziani; tutto questo potrebbe addirittura realizzarsi restituendo al territorio circa 12 ettari di terreno e, alla fine dei conti, semplicemente applicando dei prezzi calmierati e non facendo speculazione, potrebbero restare nelle casse dell’ATER circa 413 mln di euro da reinvestire per risanare altri quartieri degradati!
Stessa cosa è emersa dalla progettazione per la rigenerazione urbana del quartiere ZEN di Palermo, dove gli abitanti potrebbero crescere di 5125 unità, si potrebbe creare un enorme parco cittadino, all’interno del quale sorgerebbero anche due grandi centri polisportivi per un totale di 122750 mq, collegati a 360° da un percorso per jogging e pista ciclabile, una Clinica specializzata di 67573 mc, una Stazione di Polizia, un Comando dei Carabinieri, un Municipio, un Comando dei VV.UU., un Ufficio Postale, una Scuola Materna ed Elementare dotata Centro Sportivo da mettere a disposizione dei residenti, una Scuola Media dotata Centro Sportivo da mettere a disposizione dei residenti, una Scuola Superiore dotata Centro Sportivo da mettere a disposizione dei residenti, una Loggia per il Mercato, la nuova Chiesa di San Filippo Neri, con canonica, oratorio e centro sportivo per i ragazzi del quartiere, un Centro Culturale, un Cinema-Teatro. L’intero quartiere e il parco risulterebbero dotati di numerose aree per il gioco dei bambini e per il tempo libero e le attività degli anziani.
Anche in questo caso, le principali strade verrebbero animate da 45679 mq di negozi mentre, lungo le strade secondarie, potrebbero sorgere 46861 mq di laboratori artigianali, ogni appartamento sarebbe inoltre dotato di box auto privato, ovviamente il progetto ha previsto il rispetto della normativa in materia di parcheggi pubblici, così come anche quello per il Corviale.
Questi progetti non sono frutto di fantasticherie, né si ha la presunzione di sostenere di aver inventato il sistema di sviluppo per illuminazione divina, né tantomeno si tratta di un’imitazione dei sistemi New Urbanism o quant’altro proveniente dall’estero: si tratta semplicemente di progetti per i quali è stato ipotizzato di riutilizzare norme e strumenti in vigore in Italia finché il fascismo non decise di impedirli: certe norme e strumenti basati sul buon senso riuscirono a risanare le finanze del Comune di Roma ormai in bancarotta, quelle norme e strumenti generarono migliaia di posti di lavoro e contribuirono ad eliminare del tutto fenomeni violenti pari a quelli delle banlieuses francesi del 2005.
Perché allora non riprenderli a modello?
La crisi ci ha ormai messi in ginocchio, e i nostri edifici, così come quelli inglesi di cui allo spunto iniziale, necessitano di essere sostituiti, non solo per le ragioni di sicurezza e salute pubblica riportati nello studio inglese, ma anche perché, come denunciato dalla Commissione Europea per l’Ambiente – a causa della pessima qualità dell’architettura costruita negli ultimi 70 anni in Europa – l’incidenza in termini di fabbisogno energetico dell’edilizia industriale attuale è pari al 36%, (a fronte del 31% dell’industria e del 31% del trasporto), mentre le emissioni di CO2 dell’edilizia sono pari al 34,5 % (a fronte del 32,5% dell’industria e del 30,5% del trasporto).
Dalle stesse stime risulta che l’intero settore edilizio è responsabile del 50% dell’energia consumata a livello Europeo, di cui il 36% è imputabile al fabbisogno energetico in fase d'uso degli edifici, mentre circa il 14% è causato dal settore industriale legato all’edilizia.
Oltre a ciò va considerato che gli edifici comportano un notevole consumo di materiali ed energia sia in fase costruttiva che durante il loro uso e la loro dismissione: il settore edilizio consuma circa il 40% dei materiali utilizzati ogni anno dall’economia mondiale e produce circa il 35% delle emissioni complessive di gas serra, senza contare i consumi di acqua e di territorio, nonché la produzione di scarti e rifiuti dovuti alla demolizione.
La logica suggerirebbe quindi, al pari del Regno Unito e della Francia, di rivedere l’intero patrimonio immobiliare realizzato nell’arco dell’ultimo secolo, piuttosto che proseguire imperterriti nella produzione di edifici energivori e inquinanti … a conti fatti, una revisione del genere potrebbe risanare le esangui casse statali e, di conseguenza, potrebbero ridursi drasticamente gli sperperi di denaro pubblico e le tasse dei cittadini. Cosa stiamo aspettando?

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13 gennaio 2013

IL NUOVO MANIFESTO DELL'ARCHITETTURA 2013

di Ettore Maria Mazzola

Il 6 gennaio u.s., la vecchina sulla scopa ha portato un regalo a tutti gli architetti internauti, una bozza di quello che vorrebbe essere il Manifesto per l’Architettura elaborato dalle menti eccelse ed innovative dell’Associazione Italiana di Architettura e Critica … un’associazione che prevede appunto il connubio indissolubile tra architetti e critici, connubio necessario per poter essere o meno inclusi nel “cerchio della fiducia” di questa bistrattata professione.
Certo che, per come vanno le cose a livello professionale, ma anche economico e ambientale, un Manifesto che si prenda cura di come dovrebbe svolgersi questa professione, specie alla luce del background culturale dell’Italia, dovrebbe essere quanto meno auspicabile, del resto si parla di un settore che potrebbe risollevare le sorti di un Paese devastato dalle politiche economiche della globalizzazione.
La necessità del cambiamento del resto è evidente a chiunque risulti in grado si rendersi conto del fatto che, da quando è stato esplicitamente imposto di guardare ovunque, tranne che alla nostra gloriosa tradizione, la produzione edilizia italiana, e i problemi socio-economici, abbiano subito un drastico peggioramento.

E allora, agli occhi di chi è stufo oltre settant’anni di follie utopiche in materia architettonico-urbanistica, risulta chiaro che, piuttosto che continuare ad affannarci nell’imitazione di folli ricerche futuristiche alla base delle problematiche sociali, economiche ed ambientali che attanagliano il pianeta, risulterebbe più che logico provare a ripartire da dove avevamo smesso.
… Ma sarebbe chiedere troppo, sarebbe come voler chiedere alla Monsanto di rimettere in discussione i pesticidi e le modifiche genetiche dei campi di mais, sarebbe come chiedere ai fondamentalisti religiosi di provarsi ad aprire al dialogo interreligioso con i presunti nemici.
Ecco quindi che il “nuovoManifesto per l’Architettura proposto da Luigi Prestinenza-Puglisi, coadiuvato da Anna Baldini, Diego Barbarelli, Roberta Melasecca, Giulia Mura, Marco Sambo e Zaira Magliozzi, si viene a configurare non solo come la conferma – se mai ce ne fosse stato il bisogno – dello status-quo della materia architettonica, ma sembra addirittura voler essere una patetica riproposizione, a 98 anni di distanza, di quelle assurde teorie già contenute nel Manifesto dell'Architettura Futurista di Sant'Elia … ma con un’aggravante: Antonio Sant'Elia aveva dalla sua parte un periodo storico e artistico molto particolare, e non aveva alcuna idea dei drammatici effetti collaterali prodotti dalle sue folli idee reazionarie. Quindi, sebbene condannabile, il Manifesto del '14 possiede una miriade di attenuanti. Il nuovo Manifesto invece – forse a causa della miopia di LPP & co. nel guardasi alle spalle (sarebbe da “passatisti”), o vuoi perché come tutti i "guru" pensa di poter derivare le proprie conoscenze da se stesso (in base alla "necessità di azzerare la storia") – non può trovare alcuna clemenza da parte della corte, poiché si tratta di una pianificazione lucida e intenzionale di manipolazione della realtà mirante a rafforzare il ruolo dei critici (lui in questo caso), rispetto agli architetti: se stai con me sei “IN”, se non condividi sei “OUT”!

Giustamente, nel post precedente di Pietro Pagliardini su De-Architectura, egli ha, con grande acume, fatto un giustissimo raffronto con Socrate, scusandosi "in contumacia" con l'ateniese. Nel suo testo, Pagliardini ha giustissimamente detto: «se ci trovassimo nell’antica Atene a dover votare su di lui, scriverei il suo nome sul coccio per decretarne l’ostracismo, non territoriale ma dal consesso della critica, con la motivazione di “corruzione di giovani architetti”».

Si noti che tempo addietro, tra FB e i vari blog in giro nella rete, LPP e diversi suoi sostenitori e/o emuli, hanno organizzato svariate iniziative tese a rafforzare, o a dare un senso, al ruolo dei critici di architettura nel XXI secolo.
… Verrebbe da pensare che, se c’è poco lavoro per gli architetti, figuriamoci per i critici, e allora sì che bisogna inventare qualcosa di nuovo, qualcosa che rafforzi il ruolo dei secondi rendendo i primi dipendenti da quelli … il potere mediatico è fondamentale!

Del resto per come vanno le cose di questi tempi in Italia – dove a causa di un generalizzato atteggiamento intellettualoide si vive in un contesto dove una presunta e autoproclamata élite colta ha il diritto di parlare, mentre la massa incolta ha il dovere di accettare passivamente – questo programma rischia di avere un discreto margine di successo … ma la cosa non è assolutamente una novità come si vuol far credere.

Come infatti ho avuto modo di scrivere nel mio Architettura e Urbanistica – Istruzioni per l’Uso(1):

Le università si sono comportate esattamente come una la congregazione la quale, al pari delle peggiori sette religiose, sotto l’ispirazione di una presunta intelligenza superiore, emette una dottrina ritenuta immutabile e procede, per raccogliere aderenti, per iniziazione: l’insegnamento distorto che è stato esercitato negli ultimi settant’anni, è stato mirato alla sottomissione delle intelligenze ad una dottrina, in vista di un risultato concepito in anticipo che non si chiama MODERNITÀ ma MODERNISMO!
[…]
Vista l’analogia storica, e per meglio comprendere quello che accade in determinate situazioni, parafraserò, attualizzandolo, quanto ebbe acutamente modo di osservare nelle sue “Conversations sur l’Architecture” Eugène Viollet-Le-Duc(2) all’epoca in cui fu vittima dell’ostracismo da parte del sistema Beaux-Arts.
L’influenza esclusiva che può assumere una congregazione irresponsabile nei riguardi di un potere esecutivo responsabile è talmente grande da rischiare di non poter essere controllata: cosa può opporre un’amministrazione non competente all’opinione di un’università o un ordine professionale che lo Stato stesso (poiché è lo Stato che li sostiene) considera del tutto competente? Come ammettere che un’amministrazione che non è artista, si accinga ad assumersi le responsabilità di affidare, per esempio, la costruzione di un monumento pubblico a un uomo che rifiuta un corpo che si ritiene si recluti nell’élite degli artisti? […].
Per i grandi incarichi, comunque, dovendo rispondere a delle Normative di trasparenza e non potendola fare proprio […], l’amministrazione trova più semplice, e meno compromettente, ripararsi dietro l’opinione dell’organo colto (commissione giudicatrice decisa dall’Ordine degli Architetti o da chicchessia che, comunque, sarà composta come al solito dagli adepti della “setta” e mai dalla gente comune che dovrà vivere ciò che le si costruisce), che però non è responsabile e non è minimamente tenuto, nei confronti del pubblico, a rendere conto dei reali motivi che lo fanno agire, e ben si guarda dal rivelarlo, se lo farà argomenterà le sue decisioni con le tipiche frasi arcane miranti a far sentire il popolo come una massa di sudditi ignoranti per i quali lo Stato “buono” produce. Si capisce che in tali condizioni, in un’amministrazione che “non se ne intende” di speciali questioni d’arte, gli affari della lobby vadano alla grande. Così queste amministrazioni si trovano ben presto completamente alla mercé dei capi della congregazione e circondate dai suoi aderenti, impiegati ad ogni livello. Questi ultimi divengono tanto più numerosi e sottomessi allo spirito del corpo, quanto più sentono che la sua influenza si accresce e che il suo potere si rinsalda in tutti i servizi dei lavori pubblici. Poiché tali servizi ormai intendono esprimere una sola opinione su tutto, e visto che tutti gli “oppositori del regime” sono stati costretti a tirarsi fuori dalla mischia, credono in perfetta buona fede di essere nel giusto … fino al momento in cui, per un caso fortuito, si assiste ad un brusco risveglio. È solo a questo punto che questa responsabilità – che l’amministrazione credeva potesse accollare al corpo protetto – viene invece a ricadergli addosso come un macigno, a questo punto il corpo irresponsabile se ne lava le mani. Così facendo, si suppone, l’istituzione statale dovrebbe divenire per lo Stato imbarazzante, tuttavia inizia un tira e molla di scaricabarile finché, col tempo, ci si dimentica e si ricomincia come se niente fosse stato!
La forma dittatoriale silente che caratterizza l’ambiente dell’Architettura di oggi è assolutamente inimmaginabile alla gente che vive – o sopravvive – nelle città: gli architetti e gli studenti di Architettura si trovano in una situazione particolare a dir poco vergognosa: ripudiare le proprie idee, qualora tali opinioni e tali idee non siano ammesse dal Corpo protetto dallo Stato, o essere condannati a una specie di ostracismo se mantengono le loro idee e le loro opinioni personali. […].
È esattamente come nella riflessione di Giulio Magni a proposito dell’impostazione Beaux-Arts del suo tempo: «[…] colui che deve lavorare si trova nel bivio difficilissimo, se cioè fare come la ragione lo guida o come il generalizzato sentimento gli impone … affrontare l’impopolarità è certo un eroismo! […]».
Si rifletta sul fatto che un qualsiasi corpo (in questo caso gli Ordini Professionali) sottomesso a una dottrina, (in questo caso la Teoria Modernista imperversante nelle Facoltà di Architettura), che dipende dallo Stato tramite un legame qualsiasi, tenderà sempre a servirsi fatalmente dello Stato per far trionfare la propria dottrina! Quando a questo si aggiungono le riviste specializzate – su cui ovviamente scrivono i grandi luminari dell’Architettura e i loro emuli – che bombardano in maniera monotona e dittatoriale i lettori con architetture astruse – la frittata è fatta.
Chi si ribella a questo circolo vergognoso viene immediatamente annientato da chi comanda abusando della sua posizione protetta e privilegiata. Gli studenti, e/o i giovani architetti che provano ad emanciparsi imparano subito, a loro spese, cosa costi. Se non seguono la strada uniforme tracciata dal cameratismo, si trovano le porte chiuse; se non cozzano contro un’ostilità dichiarata, vengono condannati dalla cospirazione del silenzio: se lo studente prova a divergere dall’idea del docente non passa, o passa a stento, e dopo lunghe sofferenze, l’esame progettuale; se un giovane architetto ha la fortuna di realizzare, o semplicemente progettare un intervento tradizionale, nessuna rivista lo prende in considerazione.

Ora quindi, con questo nuovo Manifesto, ci troviamo davanti ad un documento non solo assurdo, ma per alcuni versi pericoloso a causa del contenuto di alcune delle sue 12 tesi.
Per esempio la Quinta Tesi, la cui pericolosità è già insita nel suo nome: Bisogno di utopia: … ma non sono bastate le follie del secolo trascorso per comprendere che sarebbe meglio stare con i piedi per terra?
O la Sesta Tesi, intitolata Liberare, dove si inneggia al bisogno di libertà superando il mito della produttività e dell’efficienza economica a tutti i costi.
Oppure la settima, che si intitola Sconfiggere l’ossessione del controllo … come dire, niente regole, siamo architetti!!
L’ottava poi, intitolata Il paesaggio si costruisce, arriva a decidere che, “così come un albero può, come il cemento, diventare un materiale da costruzione, il cemento può, come un albero, diventare un frammento di paesaggio” … dunque viva l’ambiente!
La più impressionante è però la nona tesi, definita Ecologie, dove si arriva all’assurdo per eccellenza: qui gli autori, scopiazzando in maniera ancora più folle le elucubrazioni visionarie e consumistiche della Ville Radieuse e del Manifesto dell’Architettura Futurista, arrivano ad affermare che

!!! «La vita è produzione e consumo di energia. Non ha senso risparmiarla» !!!

Andando avanti, ovviamente, non può mancare l’attacco alla tutela del patrimonio, sicché la Decima Tesi, dal titolo Recuperare e trasformare, si spinge alla necessita di demistificare le ideologie del recupero a tutti i costi e del falso storico e pensare che attraverso il nuovo e la competizione tra le migliori idee si possa migliorare l’esistente. Occorre puntare alla stratificazione degli interventi considerando anche le nostre come tracce del susseguirsi delle epoche.
È chiaro che con questa tesi, a parte l’inesistenza della “novità”, si voglia rafforzare l’idea del “famolo strano, famolo contemporaneo”, senza punto porsi il problema del rischio di perdere per sempre quel patrimonio che il mondo ci invidia e che dovrebbe darci da campare, sicché la l’undicesima tesi, intitolata Innovare, non fa che rafforzare quella precedente, scimmiottando la Carta del Restauro di Atene del 1931:

«Bisogna perseguire l’innovazione e la sperimentazione, come fonti di continue sorprese e aperture concettuali».

Appare quindi paradossale che, a conclusione del Manifesto, LPP presenti quello che lui definisce “testo di accompagno”, un documento che inizia con le parole “Varcare la soglia del buon senso”, il paradosso risiede nel fatto che, dati i contenuti, se mai questo Manifesto dovesse prender piede, tutti coloro i quali svolgono la professione di architetti, di urbanisti e di restauratori basandosi sulle ferree regole del buon senso e della disciplina professionale, risulterebbero banditi!
Ma è chiaro l’intento del documento, in questo primo scorcio di secolo, dove gli sforzi degli architetti sensibili alle tradizioni hanno fatto emergere dall’oscurità la loro presenza suscitando l’interesse del pubblico, c’è il timore che la gente sana di mente possa fare un confronto e discernere il bene dal male, e allora è necessario operare nuovamente un lavaggio del cervello che ricordi come la storia vada, necessariamente, periodicamente riazzerata … hai visto mai che gli architetti “ignoranti per vocazione” debbano rimettersi sui banchi a studiare per poter continuare a fare la professione?


Note:
1) E. M. Mazzola, Architettura e Urbanistica, Istruzioni per l’uso – Architecture and Town Planning, Operating Instructions, (prefazione di Léon Krier) Gangemi Edizioni, Roma 2006
2) Per la traduzione italiana: Conversazioni sull’Architettura – Edizioni Jaca Book S.p.A. op. cit.

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12 gennaio 2013

LE GRANDI SPERANZE PER L'ANNO NUOVO DI LPP

Pietro Pagliardini

Con la leggerezza necessaria a non prendere troppo sul serio l’inizio di un nuovo anno, che può anche essere un periodo simbolicamente importante per la speranze di ciascuno di noi ma che collettivamente diventa l’operazione mediaticamente più retorica e ripetitiva tra le molte che ci tormentano lungo le varie tappe di ciascun anno, mi accingo al commento di una proposta di inizio anno.

Mi riferisco al Manifesto per l’Architettura, addirittura, di Luigi Prestinenza Puglisi con la sua AIAC. Ho già scritto altre volte di provare molta simpatia per la persona perchè è intelligente, spiritoso, garbato e sempre dialogante. Poi ha quel dolcissimo , beffardo e blasè accento catanese, a me caro per vecchie consuetudini familiari, che riesce a sfumare i contrasti più forti. Inoltre anche le iniziali contano, e potersi riferire ad una persona semplicemente chiamandola LPP, beh, è una qualità impagabile e da fare invidia a chiunque.

Ma ciò detto, se ci trovassimo nell’antica Atene a dover votare su di lui, scriverei il suo nome sul coccio per decretarne l’ostracismo, non territoriale ma dal consesso della critica, con la motivazione di “corruzione di giovani architetti”.
Non nel senso in cui venne decretato per Socrate, per carità, anche perché qualche differenza tra LPP e l’ateniese oggettivamente esiste, e non me ne vorrà di certo per questo confronto, ma perché ritengo che egli blandisca i giovani inducendoli al facile peccato dell’orgoglio, convincendoli che siano la creatività e la innovazione le chiavi per diventare bravi architetti. E a scorrere le dodici tesi del Manifesto ve ne sono di ragioni per poterlo affermare. Vediamole (per il testo delle tesi rimando al link):


1)Recuperare il grado zero.
Già, senza entrare nel merito, come si può recuperare ciò che non esiste? Perché il grado zero è il Nulla che ha prodotto il Nulla di oggi. Quindi il Nulla non è recuperabile perché non esiste, per definizione, ma dal punto di vista di chi lo propone, esiste già, ossia è vecchio. Nella migliore delle ipotesi è una visione….nostalgica e conservatrice dello status quo.

2)Contenuti-linguaggio
Trovare nuovi linguaggi è l’esatto contrario della prima tesi, cioè azzerare il linguaggio. Francamente non capisco.

3)La critica
Problema irrilevante questo su cosa debba essere la critica perché interessa solo quindici persone. Siamo nell’autoreferenzialità non molto diversa da quella, criticatissima,dei politici che si parlano addosso.

4)Contro le derive del disegno
Scritta com’è lascia il tempo che trova ma, se la critica “prefigura prospettive”, LPP non può tacere che il parametricismo di Hadid (con tutto il suo seguito di cloni e imitatori) è la sola essenza di quell’architettura e quindi il nostro dovrebbe stroncarle tutte senza se e senza ma. Non mi sembra che lo faccia.

5)Bisogno di utopie
Abbiamo già dato ed è stato un fallimento, in architettura, in urbanistica, in politica e nella società in genere. Almeno tre generazioni di giovani ci sono caduti: già non trovano lavoro, non continuiamo a prenderli in giro anche con questa fuga dalla realtà.

6)Liberare
E qui siamo alla teorizzazione dell’astrattezza pura, allo svincolo cioè dell’architettura dalla sua realtà che è la prefigurazione dello spazio entro cui abita, agisce e vive l’uomo, come individuo e come parte della società, da cui non può essere disgiunto.

7)Sconfiggere l’ossessione del controllo
Sorvolo perché non l’ho capita. Come nuovo linguaggio si comincia male.

8)Il paesaggio si costruisce
Questa mi sembra il regno dell’ambiguità: c’è del vero e del falso insieme. Insomma viola il principio di non contraddizione ma soprattutto è in assoluta controtendenza rispetto all’unica concreta e ragionevole novità di questo periodo, vale a dire la netta separazione tra città e campagna, la riscoperta dei limiti unita al blocco dell’espansione – e possibilmente alla contrazione - della città nel territorio agricolo. Il tutto in nome, sempre, della libera espressione architettonica, questo feticcio che ci portiamo dietro da quasi un secolo.

9)Ecologie
Come sopra quanto ad ambiguità.

10)Recuperare e trasformare
Avrebbe potuto essere intitolata questa tesi come “L’ossessione del falso storico”. Non nel senso che se ne stiano facendo troppi, ma nel senso che non si fanno e si deve continuare a non farli. Non mi metterò certo a contestare ancora una volta questo tabù, questo pregiudizio, questo ostacolo mentale a valutare il mondo reale, mi limito a dire che d’ora in poi chiamerò quelli che altri chiamano “falso storico” come “vero attuale”.

11)Innovare
Vedi risposta a tesi 9

12)Pensare a una nuova geografia e definire il livello di intelligenza
Non esiste alcuna interazione apprezzabile tra le reti di comunicazione e la rete urbana. Esiste solo, o meglio esisterebbe se venisse applicata dovrebbe esistere, una analogia tra i principi che devono guidare il disegno e la costruzione della rete urbana e quelli delle reti di comunicazione: accessibilità, permeabilità, interazioni, nodi e connessioni, ottenuti mediante la costruzione della strada tradizionale, le connessioni, e le piazze (e non solo) come luoghi nodali. L’esatto opposto di quanto si sta facendo da decenni, un indistinto non-disegno urbano, un quadro astratto svincolato dal territorio, privo di connessioni, caratterizzato da specializzazione per aree non comunicanti tra loro, da strade nel vuoto, da vuoti che accolgono oggetti sparsi fuori da ogni relazione con l’intorno e con gli altri edifici, cui corrisponde il vuoto sociale, la destrutturazione delle relazioni umane. La non-città, la periferia, il suburbio. Cercare una interazione tra le reti di comunicazione e la città, immaginando che le prime debbano o possano modificare la seconda è un errore e una esercitazione intellettuale, buona solo a utilizzare ogni tre per due e a sproposito il termine smart-city.

Conclusioni
LPP ha decisamente fiuto e intelligenza e ha scelto il momento opportuno per proporre un Manifesto. Sa che non c’è più niente in giro, nel suo giro, degno di appartenere alla categoria architettura e in verità anche di edilizia. Sa che c’è una ripetitività assoluta, una moltiplicazioni di cloni uguali a se stessi, impostati su tre o quattro filoni figli delle genialate di alcune famose ma ormai imbolsite e sterili archistar e quindi cerca un nuovo target, un nuovo ordine. Non credo riuscirà a trovarlo basandosi sulle Tesi, perché propone le stesse cose di adesso, sostanzialmente. Sarebbe come ripetere la stessa tappa del giro. Siamo arrivati al paradosso della copia esatta di progetti di archistar, cioè dei veri attuali di modelli contemporanei.

Se invece allargasse il suo orizzonte, se riuscisse a Liberare (Tesi n°6) la mente da pregiudizi, forse potrebbe vedere che il mondo è grande, che esistono soluzioni meno appariscenti e più ecologiche (Tesi n°9), molte opportunità di Recuperare e trasformare (Tesi n° 10) per concentrare la città riempiendo i vuoti al suo interno, ridando forma alla città con la definizione dei limiti e liberando spazio alla campagna, più possibilità di Innovare (Tesi n° 11) tornando a costruzioni più tradizionali, ormai abbandonate da decenni e quindi realmente nuove.
Questo non accadrà quasi certamente, ma LPP continuerà ugualmente a rimanermi simpatico, anche se alla prima occasione saprei fare un uso giusto del mio coccio.

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4 gennaio 2013

SCUSI PER RICCIONE? SEGUA LE INDICAZIONI PER I CARAIBI!

di Ettore Maria Mazzola

A chi in Italia si preoccupava di porre un freno al consumo di territorio si potrà finalmente rispondere di dormire sonni tranquilli … il genio italiano ha trovato una soluzione “sostenibile”, anzi “green”: realizzare un atollo davanti a Riccione!

Chissà cosa avrà pensato Domenico Finiguerra – il sindaco anticemento di Cassinetta di Lugagnano, nonché leader carismatico del movimento “Stop al Consumo di Territorio” –leggendo, le parole di Cristian Amatori – capo di gabinetto del sindaco di Riccione – il quale ha affermato: «L'intento è integrare e ampliare l'offerta turistica di Riccione senza togliere nulla al patrimonio esistente sulla costa, che ha ormai raggiunto la saturazione».

… Ma che ambientalista!

La notizia è rimbalzata qualche giorno fa sul web, subito dopo che i progettisti dell’Università di Ferrara (ma non farebbero meglio a pensare alla ricostruzione post-terremoto?) e il capo di gabinetto del sindaco di Riccione hanno indetto una conferenza stampa che dava l’annuncio della prossima colonizzazione del Mare Adriatico con un atollo di un chilometro di diametro, dove ci saranno un porto (con terminal per le navi da crociera in viaggio tra Venezia, Grecia e Croazia) degli hotel, dei residence, centri di ricerca in tema di green economy (!!!), parchi, negozi: il tutto, per una popolazione di circa 3 mila persone e con possibilità di balneazione assolutamente inedite, dato che la profondità del mare, a quella distanza dalla costa, è di 12 metri.

Sarebbe utile capire cosa studieranno quei “centri di ricerca in tema di green economy” … forse varrebbe la pena che facessero degli studi che gli facciano comprendere come certi progetti, oltre a risultare deleteri in termini ambientali (green), lo sono anche in materia economica (economy).

Mi chiedo dove possa essere finita l’etica di certi docenti, professionisti e politici emiliani i quali, nonostante la crisi, e nonostante il dramma delle popolazioni terremotate e delle aziende impossibilitate a riavviare le proprie attività, pensano a lanciare proclami di costruzioni di atolli 3 a miglia dalla costa miranti al puro edonismo.

La cosa che più disturba di questa storia è la ipocrisia con la quale certi personaggi abusino di termini come “green”, “sostenibile” e “rispetto del patrimonio della costa” per perseguire i propri intenti speculativi e antiecologici.

Purtroppo, il marciume della società dello spettacolo fa sì che non occorra che tra le parole e i fatti possa esserci una corrispondenza, la cosa importante è dire delle frasi ad effetto, mostrandosi pubblicamente mentre si sostiene il proprio interesse alla tutela dell’ambiente … è quasi certo che nessuno andrà mai a verificare fino in fondo se si sia detta la verità, e se mai qualche scandalo verrà fuori, esso verrà presto dimenticato e sostituito da un’altra discussione e poi, se dei danni – economici o ambientali che siano – ne scaturiranno, saranno gli altri, ovvero noi tutti, a pagarli.

Certe notizie fanno davvero riflettere sul fatto che certi “architetti bio”, e la stragrande maggioranza delle aziende produttrici di materiali “bio” per l’edilizia, meriterebbero multe o condanne come quella datata 26 novembre 2012 emessa dal garante dell’antitrust nei confronti di alcune aziende multinazionali produttrici di alimenti a causa delle “false promesse salutiste” raccontate nei loro ingannevoli spot pubblicitari.

Una dichiarazione inquietante del capo di gabinetto del sindaco apre uno scenario preoccupante: «Superato il primo attimo di sconcerto e viste le carte, l'approccio è stato, non solo collaborativo, ma entusiastico. Da allora, con l'avvento del governo Monti, l'idea ha cominciato a marciare».

L’inquietudine è legittima! … L’operazione infatti, lascia supporre che si tratti dell’ennesima iniziativa tanto cara alla lobby bancaria che tiene sotto scacco il pianeta, quella lobby è infatti interessata a questo genere di investimenti che, con i loro costi folli, incentivano l’indebitamento pubblico e/o privato, arricchendosi mentre il resto del mondo impoverisce.

In ogni modo, se mai qualcuno avesse potuto immaginare che la cosa potesse avere un minimo di interesse economico locale, creando posti di lavoro e dando da lavorare alle imprese locali, questo qualcuno potrà subito ricredersi ascoltando le parole del Sindaco di Riccione Pironi: «la cifra pazzesca verrà reperita sotto l'ombrello del project financing: Abbiamo già ricevuto l'interessamento di imprenditori sauditi e di alcuni fondi d'investimento inglesi e olandesi».

Ma questa colonizzazione del mare italiano è italiana? È saudita? O è inglese ed olandese? Ergo, chi ne beneficerà?

Tanto per rammentare cosa nascondano certe operazioni, e vista l’analogia, ricordo che lo scorso 13 gennaio, il Corriere della Sera aveva pubblicato un articolo molto interessante che titolava: “la frenesia cinese da grattacielo è sintomo del crac in arrivo – studio inglese: le bancarotte precedute dai boom edilizi”.

Qualcuno potrebbe sminuire quell’articolo attribuendolo a Cassandra – sebbene le argomentazioni risultino inconfutabili – quindi torna utile riferirci ad un caso conclamato: il clamoroso crac tailandese del 1997 generato dalla realizzazione di opere ipertrofiche che avrebbero dovuto “modernizzare” quel Paese.

Qualche anno fa infatti, mentre si stava pensando di realizzare in quel Paese opere similari, venne pubblicata, come monito agli smemorati, questa vignetta satirica rappresentante il Sathorn Unique Tower, edificio-fallimentare simbolo della presunta modernizzazione.
Detto ciò, si ritiene del tutto superfluo rammentare a questi signori i numeri del fallimento commerciale (e ambientale) del modello cui si sono ispirati: Dubai!

C’è un ultimo punto da tenere in considerazione, punto che forse è all’origine dell’iniziativa: l’ASSENZA DI UNA NORMATIVA SPECIFICA SULL’ARGOMENTO … una vera furbata!!

Luca Emanueli, il progettista dell’iniziativa, nonché direttore del Centro di Ricerca sui Sistemi Costieri presso il Dipartimento di Architettura dell'Università di Ferrara, ha infatti candidamente affermato che per questa estensione territoriale, trattandosi di un progetto senza precedenti, si sono dovute esplorare nuove strade sotto il profilo urbanistico e legislativo …
Come dire, per evitare ogni possibile ostacolo normativo a tutela del paesaggio, ed evitare le rotture di quei rompiscatole degli ambientalisti italiani, creiamo un caso che nessuno potrà mai bloccare in nessun tribunale!

I colonizzatori stranieri ringrazieranno doppiamente: un pezzo d’Italia servitogli su di un piatto d’argento, con la possibilità di arricchirsi, nel nostro territorio, togliendo clienti al turismo della riviera romagnola!

Già possiamo immaginare la campagna pubblicitaria degli alberghi stranieri sull’atollo: vi offriamo gli stessi divertimenti della riviera romagnola, ma il nostro mare è più pulito e senza alghe!

Il simpaticissimo signor Amatori ride e ci dice che, almeno «per ora non c'è traccia di comitati anti-atollo … Ma forse perché il progetto non è ancora ufficiale!»

Che dire, davvero uno splendido esempio di attaccamento alla propria terra … e al proprio mare!

Romagnoli, svegliatevi, prima che i vostri alberghi si svuotino a beneficio dei coloni, difendete il vostro mare … che è anche il nostro!


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