Al momento della scelta dell'indirizzo di questo blog, dopo una serie di tentativi a vuoto alla ricerca di un nome semplice e pertinente, la sorpresa: "regola" era libero! L'architettura è oppressa da leggi e regolamenti, i termini più altisonanti della "creativa" cultura architettonica erano già occupati ma una parolina così semplice e antica e comprensibile da tutti, cioè "regola", era libera!
Questo blog parla appunto di "regole" contro la sregolatezza architettonica.


19 febbraio 2010

LO STRANO CASO DEL PORTICATO DELLO SPEDALE DI SANTA MARIA NUOVA A FIRENZE

Con straordinario tempismo, Angelo Gueli mi ha inviato questo testo, su un "falso". Lo ringrazio.
Il testo è già stato pubblicato sul numero 24 del Giugno 2009 - anno VII di "OPERE rivista toscana di architettura".


LO STRANO CASO DEL PORTICATO DELLO SPEDALE DI SANTA MARIA NUOVA A FIRENZE
Ovvero come costruire tanto e bene anche da morti e sepolti
di Angelo Gueli

Accade di tanto in tanto che gli architetti continuino ad essere prolifici anche dall’aldilà: quello qui raccontato sembra proprio essere uno di questi casi. La faccenda sta messa così: Bernardo Buontalenti, dopo aver esercitato tanto e bene la sua professione a Firenze e dintorni, nel giugno del 1608 passa a miglior vita e fin qui niente di strano; ad eccezione di qualche presidente del consiglio destinato a vita eterna, prima o poi a tutti toccherà varcare quella soglia. Ma sta di fatto che nel febbraio del 1612, ben quattro anni dopo la sua morte, fu iniziata la costruzione del porticato “buontalentiano” dello Spedale di Santa Maria Nuova a Firenze, della cui vista tutti possiamo godere ancora oggi. L’affare però si fa più intricato per l’attribuzione, tutta da verificare, del progetto. Non uno straccio d’indizio d’incarico, non un disegno, non un cenno sui documenti d’archivio fino ad oggi è mai stato ritrovato. Ma tant’è, a dire di coloro che approfonditamente se ne sono occupati, l’attribuzione è certa, ed il disegno originario è di Bernardo Buontalenti(1).


Ecco quindi che nel 1612 Bernardo, da morto e sepolto, inizia una fabbrica che porterà a termine ben trecentocinquanta anni dopo.
Andiamo per gradi: a quell’epoca lo Spedale non era dotato di una facciata, così, seguendo l’idea buontalentiana, Giulio Parigi il Vecchio, amico e discepolo di Bernardo, si occupò di seguire i lavori di costruzione dei primi sei archi della porzione centrale del loggiato.
A cinquanta anni di distanza, nel 1661, si ricominciò a costruire realizzando altri sei moduli, completando così la facciata centrale. A quel punto anche il povero Giulio, al quale probabilmente dovrebbero essere riconosciuti molti più meriti in relazione alla realizzazione di quest’opera, aveva già da tempo abbandonato questa terra. Ancora quaranta anni appresso, tra il 1707 e il 1710, fu costruito il braccio destro del porticato. Infine, dopo un “fermo cantiere” lungo più di due secoli, fra il 1959 e il 1960 Nello Bemporad per la parte architettonica e Enzo Vannucci per la parte strutturale si occuparono della realizzazione dell’ultima porzione del porticato.

Di questa fabbrica e della storia fin qui raccontata, due mi sembrano i punti più interessanti da mettere a fuoco: da una parte il rapporto mediato dell’edificio con il suo progettista e, di conseguenza, l’inevitabile accusa di “falso antico” che l’ultima porzione di costruzione si porta appresso e dall’altro il ruolo di “restauratore” di Nello Bemporad.

Le riflessioni che possono essere fatte su questi temi sono molteplici e nessuna è indolore, in special modo quando, come in questo caso, i termini del problema finiscono inevitabilmente per dover affrontare il rapporto tra il vero e il falso, e in architettura questo territorio è molto più paludato che nelle altre arti.

Tempo addietro, durante l’ultima giornata del convegno “L’identità dell’architettura italiana”, Roberto Maestro intervenendo invitava Guido Ceronetti a fare una riflessione su vero e falso.
Con una risposta tanto fulminante quanto piena di risvolti, Ceronetti argomentava che: “…forse sarebbe meglio interrogarsi sulle categorie del bello e del brutto…”(2).
Un’affermazione di questo genere è tanto più pregnante quanto più nell’ultimo secolo è stato sentito come centrale il tema dell’autenticità in architettura. In chiara contrapposizione con il pensiero dominante, Cerronetti nella sua risposta non sembra dare alcun peso alla questione stilistica quanto invece sembra dare importanza al lato umano dell’architettura.

Con queste parole che mi frullavano per la testa e la macchina fotografica al collo sono andato in piazza di Santa Maria Nuova per fare le foto del porticato che accompagnano questo articolo. Per sfizio ho cominciato a chiedere in giro cosa sapessero del loggiato quelli che in zona ci vivono. Un paio di anziani ricordavano, qualcuno aveva sentito dire, la maggior parte nemmeno sospettava che si trattasse di un edificio completato così recentemente. Nessuno però ha mostrato segni di fastidio nei confronti della facciata Bemporadiana, cosa che, mi vergogno un po’ a dirlo, non è successa per il prospetto Michelucciano visibile attraverso le due arcate. Mi guardo bene dal ripetere i commenti fatti dai passanti che, tutti indistintamente, erano ignari del carico e della pregnanza culturale ed estetica che ci hanno insegnato ad attribuire alle opere del maestro; ma questa è un'altra storia.(3)

Pur sapendo che nessuno dei quattro lotti temporali nei quali fu realizzato il portico vide il Buontalenti come protagonista, a pochi verrebbe in testa di dire che il portico è tutto un falso. Sarà forse per il primato che noi progettisti diamo al progetto, che esso sia realmente del Buontalenti o di qualcun altro poco importa (alla base c’è un progetto e bello per giunta), sarà forse perché il portico è ormai plurisecolare, l’edificio nella sua interezza è comunque percepito come “autentico”.
Pur non volendo inoltrarmi troppo nello spinoso campo dell’autenticità, che in architettura è eccezionalmente più complesso di quanto non lo sia per le altre arti, penso che, visto l’argomento, sia importante descrivere quale sia in generale il sentire comune rispetto a questi temi. Per fare un esempio, a nessuno verrebbe in mente di dire che i dipinti di Annigoni sono dei falsi perchè il loro tratto è leonardesco, e pertanto la distanza temporale tra Annigoni e Leonardo da Vinci non è percepita in pittura come incolmabile e la vicinanza stilistica tra i due artisti è comunque ritenuta lecita, però allo stesso tempo una copia identica di un’opera pittorica che non dichiari esplicitamente di essere copia viene giustamente identificata come un falso. In architettura ciò che è valido per le altre arti visive viene ribaltato. È opinione comune che se un edificio viene replicato (San Pietro in mezzo al deserto africano, la Sfinge a Las Vegas) è irrimediabilmente kitsch e non semplicemente una copia come per le altre arti, se viene realizzato con uno stile non più alla moda allora è clamorosamente falso, per questo caso non è più valido l’assunto testé riportato per la pittura e questa volta la distanza fra lo stile in voga e il precedente è ritenuta incolmabile.(4)
Ma se, come nel caso del porticato buontalentiano o del ponte di Santa Trinita o della torre dei Georgofili, si copia alla lettera l’originale, allora la qualifica di falso più che valida per le altre arti assume dei contorni più sfumati, ovvero la copia pedissequa del dove era e come era o del dove doveva essere e come avrebbe dovuto essere non costituisce reato di falso, come nelle altre arti visive, o plagio, come in musica e scrittura, ma si trasforma cedendo il posto ad una sorta di legittimità a scartamento ridotto.

Sorvolando il valore simbolico delle ricostruzioni, che ha inevitabilmente durata generazionale (le giuste reazioni ai bombardamenti mafiosi e nazisti nei casi ricordati), resta la costruzione di edifici che dopo essere stati ri-costruiti partecipano al disegno corale delle nostre città e Firenze è un caso come un altro, anche se particolarmente bello.

Il completamento del loggiato di Santa Maria Nuova dovrebbe far riflettere sulla validità di interventi che, all’interno di contesti storicizzati, tengano conto anche di linguaggi architettonici non più di moda, che in qualche modo consentano alle città storiche di mantenere la loro coralità e identità, cosa che attraverso la maggior parte dell’architettura contemporanea obiettivamente non accade. Con ciò non intendo dire che all’interno di tessuti storici si debba intervenire esclusivamente utilizzando linguaggi architettonici del passato, ma che questi dovrebbero essere legittimamente presi in considerazione al pari dei linguaggi più comunemente sentiti come contemporanei. La lezione che viene dal completamento del loggiato di Santa Maria Nuova, al di là delle intenzioni più propriamente restauratici del suo autore, sta nel provare, senza ombra di dubbio, la legittimità di progettazioni che usino linguaggi architettonici con matrici temporali e riferimenti progettuali non recenti.

In un suo articolo del 1961(5), Bemporad, parlando del loggiato appena completato, sostenne: “Lo scopo è quello di realizzare un’unità urbanistica che l’artista concepì completa e che solo gli eventi non consentirono di realizzare tale fino ad allora”.
Ed ancora “…accettai volentieri l’incarico di completare il porticato… anche se ho sempre negata la validità dei restauri di integrazione in senso generale; nel caso particolare ritenevo invece (…) che è un dovere preciso di dare completezza ad un organismo impostato su ferree leggi di simmetria…”.

Le immagini di progetto qui proposte sono quelle che lo studio Bemporad presentò all’amministrazione pubblica alla fine degli anni 50 dello scorso secolo, al fine di ottenere le necessarie autorizzazioni. Anche attraverso queste belle rappresentazioni grafiche, Bemporad espresse una logica di restauro ampliato al reintegro, riuscendo in questo modo a rendere compiuta un’opera che meritava di essere ultimata.(6)
A soli cinquanta anni dalla realizzazione dell’ultima porzione del loggiato, un’operazione “restauratrice” come quella illustrata, a causa dei lacci burocratici e del falso moralismo imperversante che non riconosce parità di dignità a disegni in stile, oggi sarebbe difficilmente realizzabile e, visto il ruolo di questo edificio nel ridisegno della piazza, personalmente vedo in queste posizioni un’enorme limitazione a quell’ininterrotto flusso di perfezionamento che è fisiologico nelle nostre città storiche.

Nota al termine: vagando nel ciberspazio, su Wikipedia, alla voce Ospedale di Santa Maria Nuova campeggia, unica, una fotografia del porticato, ma solo della porzione realizzata da Nello Bemporad. Che questo sia un lapsus volontario o meno, la sostanza non cambia: il portico è autentico perché viene percepito come tale.


Note
1)A questo proposito si veda Lo spedale di S. Maria Nuova e la costruzione del loggiato di Bernardo Buontalenti ora completata dalla Cassa di Risparmio di Firenze a cura di Guido Pampaloni Cassa di Risparmio – FIRENZE – 1961che approfonditamente disquisisce sul motivo della certa attribuzione al Buontalenti, mentre per una più completa visione del contesto operativo del Buontalenti si veda Amelio Fara, Bernardo Buontalenti Electa 1995 , Milano.
2)Terza giornata del convegno “Identità dell’architettura Italiana”, Firenze 13-14-15 Novembre 2008.
3) Lungi da me voler dare valenza statistica a queste quattro chiacchiere fatte nel mezzo di strada, esse possono essere solo spunto di riflessione.
4)Nei paesi anglosassoni, dove è ancora radicata l’abitudine di costruire in stile, ben distinte sono le fazioni pro e contro l’architettura classicista e tradizionalista, pro e contro l’architettura di derivazione modernista. E nessuno ha paura degli “ismi” poiché lo stile, con il classico pragmatismo anglosassone, è comunque considerato come una caratteristica intrinseca della pratica architettonica. Pur nello scontro di pensiero, nel continuo e ininterrotto reciproco dileggio che contraddistingue la critica di entrambe le parti esiste di fatto un mutuo riconoscimento di legittimità culturale.
5)In Architetti d’Oggi anno 1961 n.1 Nello Bemporad “Piazza Santa Maria Nuova completamento del Porticato”
6)Gli originali sono conservati presso l’archivio comunale di Firenze.

Didascalie Immagini
1 Il braccio del porticato realizzato nel 1959 da Nello Bemporad.
2 Il braccio del porticato realizzato nel 1710.
3 Nello Bemporad Vs Giulio Parigi.
4 Scorcio della piazza oggi.
5 L’edificio demolito per far posto al nuovo braccio del porticato (prospetto sulla piazza).
6 L’edificio demolito per far posto al nuovo braccio del porticato (prospetto su via Bufalini).
7/8/9/10 Elaborati progettuali per la realizzazione dl nuovo braccio (Arch. Nello Bemporad, depositati presso gli archivi comunali).
11 Vista settecentesca della piazza di S. Maria Nuova.


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17 febbraio 2010

AUGE' E IL FASCINO DELLA STORIA

L’articolo di Marc Augè su Modena scritto per il Corriere della Sera è un piccolo capolavoro.
E’ un testo esemplare per la passione umana e la poesia con cui è scritto; si presenta, a tratti, con il tono letterario degli appunti di viaggio dell’ottocento scritti durante il Gran Tour.
E’ un testo che trasuda “sensazioni”, tanto per citare lo stesso Augè, suscitate dal fascino irresistibile dei luoghi quotidianamente vissuti ma carichi di storia:
Gli italiani sono a proprio agio con lo spazio della loro storia, in quello spazio si muovono e si ritrovano con una disinvoltura e una familiarità ereditate dai secoli passati, di modo che si può parlare al riguardo di un insieme di “luoghi”. Un luogo è un luogo nel senso pieno del termine se vi si può reperire un legame visibile con il passato e se tale legame è manifestamente presente alla coscienza di chi lo abita o lo frequenta. E’ così per un certo numero di città medie in Italia (per non parlare delle più grandi) e questo spiega il fascino durevole che esse esercitano sulla straniero di passaggio, che lo sente immediatamente, anche se non sempre ne percepisce tutte le ragioni”.


E ancora
A Modena, oltre quindi agli amici, ritrovo anche luoghi familiari e ricordi, un presente piacevole e un passato sempre più lontano. La bellezza della Piazza Grande e del Duomo mi restituisce quindi, al tempo stesso, la sensazione di una certa forma di permanenza – le cose sono sempre al loro posto, fedeli – e quella del tempo che fugge”.

Avendo la possibilità di un rapporto diretto con la città e i suoi abitanti, ci si sente vicini alla gente e alle cose…….E’ pienamente città, polis, realtà geografica, storica e architettonica, ma anche e soprattutto, realtà sociale”.

Augè affronta tutti i temi che costituiscono l’essenza della città, luogo artificiale costruito per permettere e favorire la naturale socialità degli uomini. Ed è significativo il fatto che egli riconosca che “gli italiani sono a proprio agio con lo spazio della storia, i quello spazio si muovono e si ritrovano con disinvoltura e una familiarità ereditate dai secoli passati”, quasi che l'abitare nelle nostre città storiche facesse parte del nostro patrimonio genetico.
In nome di cosa rinunciarvi, in nome di quale falsa sfida di una presunta modernità rinunciare a tutto questo? ammesso che sia possibile farlo, ammesso che sia possibile perdere del tutto la memoria, nonostante gli allucinogeni che ci vengono propinati da 60, 80 anni a questa parte da parte di spacciatori di idee assurde che hanno ridotto le nostre città ad informi aggregati di edifici che non hanno alcun altro senso che quello di renderci soli ed estranei gli uni agli altri, di farci perdere la “familiarità” con i luoghi e con la realtà sociale.



Nella foto: Progetto di Pier Carlo Bontempi con Léon Krier per Piazza Matteotti a Modena

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16 febbraio 2010

IL NUOVO LIBRO DI ETTORE MARIA MAZZOLA

Il Club di Architettura della Residenza Universitaria Segesta di Palermo organizza l'incontro con due brillanti professori di Architettura.

Il prof. Ettore Maria Mazzola, University of Notre Dame School
of Architecture Rome Studies,
e il prof. Ettore Sessa, della Facoltà di Architettura di Palermo
,

presentano il libro:

Ettore Maria Mazzola, "La città sostenibile è possibile - Una strategia
possibile per il rilancio della qualità urbana e delle economie locali",
Gangemi Editore, Roma 2010.


Data: sabato 27 febbraio 2010
Ora: 10.00 - 12.00
Luogo: Residenza Universitaria Segesta, via Gaetano Daita 11, 90139 Palermo

Ecco l'indice del volume:
1. prefazione (Paolo Marconi)
2. premessa
3. La tesi e le sue ragioni
4. Che cosa possiamo imparare dalla storia di Roma Capitale?
5. Costi (denaro e tempi di realizzazione)
6.Costi energetici
7. L’operazione urbanistica di ricompattamento
8. Un esempio pratico: Ricompattamento parziale del quartiere Barra di Napoli elaborato dagli studenti della University of Notre Dame School of Architecture Rome Studies

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7 febbraio 2010

TAVOLA ROTONDA IMMAGINARIA :LA TETTOIA DI ISOZAKI

Ecco una virtuale tavola rotonda resa possibile dalla grande memoria di Internet sulla tettoia di Isozaki a Firenze, suggeritami da Archiwtach e da Nikos Salìngaros. E’ naturalmente un divertimento fatto con assemblaggio e piccoli riattamenti testuali (qualche testo è riportato in prima persona) che può anche essere definito strumentale e partigiano, ma certamente autentico perché basato su fonti.
Forse qualcuno penserà che sia una cosa superflua, un rimestare nel passato, ma i ritorni di fiamma sono sempre in agguato, visto che il sindaco di Firenze Renzi, che è un tipetto decisionista che per ora si è comportato con una certa avvedutezza, ha recentemente provato a riproporne la fattibilità.
Quando si parla di architettura-spettacolo bisogna stare sempre all’erta perché i Sindaci sono pronti a buttarcisi con grande trasporto!




TAVOLA ROTONDA IMMAGINARIA: LA TETTOIA DI ISOZAKI

Arata Isozaki: L’intenzione fondamentale del progetto per la “Nuova uscita per il Museo degli Uffizi” è creare una struttura che permetta al museo di interagire con la città; che non solo aggiunga nuovi servizi al Museo, ma sia anche l’occasione per un’operazione di rinnovamento urbano. La nuova uscita deve non solo dare luogo a una soluzione pratica ed elegante, ma anche offrire l’opportunità di trasformare le semplici funzioni previste in spazio e architettura. Abbiamo trovato il modo in cui realizzare la nostra idea di progetto tramite la relazione con l’importante precedente dell’architettura di Vasari: la nuova uscita non può essere semplicemente inserita all’interno dell’edificio esistente senza tenere conto di ciò di cui entra a far parte, né senza dare un nuovo volto all’antico edificio rinascimentale. Il progetto si colloca nel cuore di una delle più importanti città d’arte italiane: è necessario che tenga nella massima considerazione e assuma come propria l’architettura esistente, come pure è indispensabile che si ponga in relazione con la tradizione storica toscanae fiorentina, sia in termini di forma che di materiali. Per il progetto è stato assunto come modello la Loggia dei Lanzi. (1)

Vittorio Sgarbi: Non hai alcuna consapevolezza della civiltà architettonica fiorentina e questo ti ha indotto a questo atto di superbia, che io ho cercato di contenere venendoti a trovare a Tokyo. Cercai di convincerti a dare delle misure proporzionate agli spazi, di abbassare la pensilina, di metterla sotto la finestra della Biblioteca Magliabechiana, ma tu mi guardavi e sorridevi, senza che tra di noi si stabilisse alcuna forma di collaborazione». Tu sei un'archistar e io ho osteggiato subito il tuo progetto per ragioni interne all’armonia di Isozaki. Il tuo progetto può essere approvato da un politico, ma una persona avveduta è difficile che possa dire che va bene; quindi lo scambio tra il politico e il tecnico in questo caso ha determinato un’approvazione del ministero di questo telaio per materassi. Tuttavia posso comunicare che l’attuale ministro per la cultura, Sandro Bondi, è contrarissimo al progetto di Isozaki, con la sua posizione che è più radicale della mia. Possiamo stare tranquilli perché finché c’è Bondi, Isozaki sta a casa sua, in un paese dove non ti fanno operare in prossimità di un tempio buddista ma nella periferia di Tokyo. (2)

Alberto Asor Rosa: La realizzazione dell'uscita del museo, oltre a segnare un passo decisivo per la riqualificazione dell'area, è diventata ormai un banco di prova per l'affidabilità del nostro Paese. Arata Isozaki è infatti risultato vincitore di un concorso internazionale ed ha firmato un contratto con il suo ministero per portare avanti la progettazione. L'eventualità di un ripensamento non compromette soltanto il decoro di uno dei musei piu famosi del mondo ma mette a rischio l'affidabilità del nostro Paese nei confronti dei progettisti e della comunità internazionale. Confidiamo quindi che si possa procedere alla sua realizzazione in tempi brevi. (3)

Pietro Pagliardini: Ma davvero dobbiamo credere alle motivazioni della “credibilità internazionale dell’Italia”? E l’intervento contro cui lei si è mobilitato a Monticchiello non era forse una lottizzazione convenzionata, e quindi legittima, e il mettersi di traverso a quella lottizzazione non era forse uno screditare le istituzioni? Forse che Firenze vale meno di Monticchiello? (4)

Antonio Paolucci: La pensilina di Arata Isozaki per l' uscita degli Uffizi si deve fare per tre ragioni. Permettetemi di elencarle, una dopo l' altra. Prima ragione. Isozaki è vincitore di un regolare concorso, è titolare di un regolare contratto, firmato non senza qualche solennità nel febbraio del 2001. Io, membro della Commissione, preferivo il progetto di Gregotti, non perché non apprezzi Isozaki ma perché conosco i fiorentini e immaginavo che quel segno architettonico di grande modernità raffinata e radicale avrebbe suscitato non pochi mugugni. Ma questo non significa nulla. La Commissione ha deciso a maggioranza per Isozaki. Quindi il suo progetto dovrà essere realizzato, sia pure con i limitati aggiustamenti con le ragionevoli rettifiche che Giuliano Urbani ha saggiamente raccomandato. «Pacta sunt servanda» dicevano i latini. In tutti i codici del mondo vale il principio che le obbligazioni legittimamente e liberamente assunte si onorano. Punto e basta. Seconda ragione, molto pratica e quasi brutale. Il concorso è costato dei soldi, molti di più ne costerà quando (nell' ipotesi che l' Amministrazione decidesse di rigettare il suo progetto) Arata Isozaki andrà in causa e chiederà i danni. Vincendo, naturalmente. A quel punto interverrà la Corte dei conti la quale non potrà far altro che imputare il risarcimento «in solido» a chi ha impedito la realizzazione di un regolare contratto. Terza ragione, infine, questa volta d' ordine «etico». I luoghi comuni sono quasi sempre veri. Grazie alle «querelle» sull' uscita degli Uffizi, l' antico luogo comune che vuole gli italiani inaffidabili sta avendo una smagliante, internazionale conferma. Quando si lavora in Italia non basta vincere un concorso: non basta perché gli italiani cambiano idea, non è colpa loro. Sono fatti così, gli italiani. Si sono «sempre» comportati così. La vicenda Isozaki sembra fatta apposta per confermare, posto che ce ne sia bisogno, l' opinione consolidata e condivisa che all' estero hanno di noi. (5)

Pietro Pagliardini: Dott. Paolucci, anche lei con la credibilità internazionale dell’Italia? E’ vero che non godiamo di buona fama, e con qualche ragione, ma lei non dovrebbe preoccuparsi piuttosto d’altro, cioè della qualità degli interventi in luoghi come Firenze cui lei è chiamato a sovrintendere? A me sembra che perderemmo credibilità se facessimo fare la tettoia! E anche lei, in fondo, una gran bella figura non ce la farebbe.

Sindaco di Firenze Renzi: Per quello che mi riguarda, “per i prossimi 6 mesi, fino a quando non faremo il bilancio, ci sarà un grande dibattito. Dal gennaio 2010 entriamo nella fase due, finalizzata all’anno Vespucciano, l’anno in cui vogliamo chiudere la questione Grandi Uffizi, pezzi rilevanti di tramvia, la pensilina di Isozaki. Se si parte, ci vuole un amen a farla”.(6)

Nikos Salìngaros: L’introduzione di un’estetica industriale della macchina in un luogo storico delicato come questo genera conflitti geometrici e, conseguentemente, psicologici. La microstruttura dei materiali industriali non riesce a dialogare in alcun modo con i materiali tradizionali delle strutture circostanti. Le colonne quadrate presentano un’impiallacciatura superficiale di pietra indifferenziata, mentre lo stesso telaio metallico incombe con una scala troppo grande e fuori contesto per riuscire a diventare intimamente parte dello spazio urbano che andrà ad occupare. Privo di una gamma equilibrata di simmetrie e sottostrutture, il telaio non mostra delicatezza né dettagli. Prestate la massima attenzione a come gli utenti percepiranno le dimensioni dei pilastri quadrati: mentre il telaio appare delicato nelle rappresentazioni grafiche, a causa degli esagerati rapporti di scala, l’attuale larghezza della colonna è massiccia e indifferenziata nella gamma di scala umana. Il buon funzionamento dello spazio urbano dipende dai dettagli del disegno che promuovono un senso di benessere psicologico e fisiologico, reso effettivo attraverso una gerarchia di scale e una gamma di sottostrutture. Tutto ciò è assente in questo disegno, che è pensato per lavorare alla sola scala monumentale. Né questa struttura genererebbe uno spazio urbano “protetto” che inviti all’esplorazione. È l’esperienza diretta dell’utente a rendere un luogo utilizzato, amato, vivo e che può invitare la gente ad andarvi e tornarvi più volte. (7)

Arata Isozaki: “Studierò la possibilità di nuove soluzioni. E …. quando tornerò a Firenze, sarò in grado di proporre la revisione del progetto. Su una cosa, comunque, insisto: lo spirito della mia operazione. Che non voleva e non vuole essere solo la soluzione funzionale di un problema pratico (costruire le nuove uscite dei Grandi Uffizi), ma si propone la creazione di uno spazio urbano, nuovo ma in qualche modo memore di ciò che lo circonda. Da qui deriva la scelta della pietra serena per rivestire i quattro grandi pilastri, le sedici longarine della pensilina e la facciata su cui si aprono le quattro uscite, in continuità con quanto fatto da Vasari nel loggiato degli Uffizi. Poi la mia idea era di riprendere la loggia, tipica della cultura architettonica di Firenze. La cosiddetta pensilina, infatti, non dev'essere semplicemente una protezione dalla pioggia: deve offrire uno spazio vivibile, un luogo di incontro come, appunto, lo era la Loggia dei Lanzi in piazza della Signoria. Per questo ho pensato di porre quattro piedistalli su cui collocare statue, che ricordino la collezione di statue che si affacciano sulla piazza del palazzo comunale. (8)

Pietro Pagliardini: Facciamo il punto dei pro e dei contro attingendo dalla stampa: “Contro la Loggia si sono espressi per il momento solo lei, Sgarbi, il regista Franco Zeffirelli, l'ex sovrintendente Domenico Valentino e la giornalista Oriana Fallaci”. Oggi anche Salìngaros si è espresso contro. “A favore, raccogliendo l'appello di un gruppo di intellettuali, architetti ed artisti, si sono dichiarati, tra gli altri, il maestro Zubin Mehta, gli architetti Paolo Portoghesi, Richard Rogers, Adolfo Natalini, Gianni Pettena, Ettore Sotsass, Massiliano Fuksas, Gae Aulenti, Peter Eisenman, Jean Nouvel. E poi ancora Alberto Asor Rosa, Enzo Siciliano, Sergio Risaliti, Giorgio Van Straten, Sergio Staino, il critico d´arte Germano Celant, Roberto Vecchioni e Paolo Hendel”. Sgarbi, come la mettiamo? (9)

Vittorio Sgarbi: La pensilina è un orrore! (10)

Pietro Pagliardini: E’ solo visitando il posto che ci si rende conto che l’unico progetto possibile è la ricostruzione, se interpretata o mimetica si può discutere, di ciò che c’era e, chiaramente manca. Il resto è veramente fuffa, perdita di tempo, fiato sprecato. Basta andare sul posto, vedere che c’è già un vuoto di un loggiato davanti e quello degli Uffizi deve essere riempito. A prescindere dalla pochezza di quella pensilina. Che l’autore ha scritto riprendere le proporzioni della Loggia dei Lanzi. Roba da matti! Però una commissione ha giudicato, ha assegnato un premio, ha rischiato di farla costruire quella roba, ha fatto perdere anni di tempo. Non sarà certo Isozaki il responsabile di questo danno! (11)

Giancarlo De Carlo: Le teorie Sgarbiane della difesa perché queste sono delle unità intoccabili, l’architetto contemporaneo che ci mette le mani rovina tutto: non si possono giudicare così. Può darsi che rovinino tutto. In molti casi anche tra quelli che Sgarbi ha citato rovinavano tutto ma per un altro motivo: perché non avevano qualità per stare in un ambiente qualificato. La tettoia di Isozaki degli Uffizi è una tettoia sbagliata che non ha senso ma non perché è moderna ma è una tettoia sbagliata perché disegnata sbagliata perchè Isozaki, che è un buon architetto, non ha fatto lo sforzo di capire dove stava progettando e di mettersi dentro questa coerenza, questo sistema di coerenza che era rappresentato dal Palazzo degli Uffizi e dal contesto fiorentino che aveva intorno. Ma è così che bisogna giudicare, non secondo un pregiudizio dato una volta per tutte perché un pregiudizio dato una volta per tutte non può dare altro che risultati sbagliati. Ho detto le teorie di Sgarbi, ma non è questa la cosa più pericolosa, perché la cosa piùpericolosa sono gli infiniti giudici che sono rintanati nelle soprintendenze e nei ministeri che sono molto più silenziosi e si comportano esattamente come Sgarbi. (12)

Antonio Paolucci: La pensilina degli Uffizi è un reperto archeologico, un relitto del ‘900. (13)

Pietro Pagliardini: Meglio tardi che mai!


Fonti:
1) Lotus Internationa n° 121 – progetto/contesto
2) Il Giornale della Toscana, 20 settembre 2008
3) Repubblica, 3 ottobre 2004 – Appello di alcuni intellettuali a favore della pensilina
4) De-architectura
5) Antonio Paolucci, Soprintendente Generale ai Beni Artistici e Storici della Toscana all’epoca – Corriere della Sera del 14 luglio 2002
6) Corriere della Sera, edizione di Firenze, 3 agosto 2009
7) Artonweb: Recensione del progetto per la copertura dello spazio antistante la Galleria degli Uffizi
8) Sgarbi-Isozaki: Nuove soluzioni per l’uscita dagli uffizi - Corriere della Sera 29 settembre 2001
9) Diario quotidiano di architettura- Ordine Architetti Roma
10) Exibart
11) Archiwatch
12) Giancarlo De Carlo su YouTube
13) Exibart


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4 febbraio 2010

ETEROGENESI DEI FINI

Su Avvenire del 3 febbraio è comparso un ironico editoriale di Leonardo Servadio, sempre attento al mondo del’architettura.
Servadio parte dalla notizia che a Victoria Beckham, l’ex cantante e adesso moglie del famoso calciatore, è stato chiesto (sottolineo “chiesto”) di firmare un progetto di un hotel di lusso in una delle famose isole artificiali di Dubai. La richiesta è stata incoraggiata, naturalmente, da un’offerta economica non proprio da minimi tariffari: 50 milioni di dollari!
Ma Victoria Beckham non è architetto (forse è per questo che non hanno rispettato i minimi) e allora è stata affiancata anche da un vero architetto, cioè Karl Lagerfeld, che in verità io conosco di nome come stilista di moda.


Servadio fa a questo punto una serie di considerazioni sulla crisi economica che ha colpito in maniera profonda gli architetti e sulla situazione italiana in cui c’è un architetto ogni 428 abitanti. Se poi si calcolano anche gli ingegneri edili si arriva a un progettista ogni 187 abitanti, cioè uno per ogni grosso condominio.
Conclude con la considerazione che questa situazione è figlia della spettacolarizzazione dell’architettura e che, tutto sommato, è anche possibile che il progetto della ex Spice Girl potrebbe non essere peggiore di quello di un architetto “vero”.

E così avremo un progetto firmato da una cantante e da uno stilista di moda. Finirà in tutte le riviste di moda, costume, arredamento, femminili, sui magazine, su quotidiani, settimanali, trasmissioni TV di tendenza: è l’effetto appunto della spettacolarizzazione dell’architettura; è l’effetto archistar senza archi ma con la star.
Pensavamo che il fenomeno archistar fosse il frutto maturo dell’architettura-oggetto iniziato nei primi decenni del secolo scorso, ma la fantasia del mondo della comunicazione è davvero senza limiti e oggi ci propone l’architettura-oggetto senza architetto. Geniale, c’è poco da dire.
Le archistar in fondo sono noiose. E poi sono sempre gli stessi personaggi, una quindicina, a occhio e croce. Tutti vestiti di nero, facce sofferenti o sguardi esaltati. Non sono adatti a periodi di crisi come questo. Tutto si consuma. Resta però il prodotto, purtroppo, ma questo interessa a pochi.
E allora si allarga il campo: se star devono essere, che lo siano per davvero! Non conosco la Beckham e quindi non riesco ad immaginare che taglio darà al progetto. Immagino che se chiamassero Angelina Jolie farebbe un progetto in stile umanitario. Però sarebbe corretto chiamare anche Brad Pitt che potrebbe impostare un progetto ecologicamente compatibile. George Clooney lo potrebbe fare bello e flemmatico quasi quanto se stesso. Lady Gaga sarebbe certamente più cool e trasgressiva.

Nutro, in verità, qualche speranza che questa nuova tendenza farà capire a molti quanto e perché sia giusto e doveroso, oltre che naturale e saggio, combattere il fenomeno archistar. Il libro di Nikos SalìngarosNo alle archistar”,LEF, 2009, dovrebbe essere reso obbligatorio nelle facoltà di architettura e al coraggioso editore Giannozzo Pucci dovrebbe essere assegnato un premio.

Non esiste alcuna differenza tra l’archistar e la star che firma un’architettura. Nessuna. E non lo dico per scelta ideologica o faziosa, ma proprio in base ad una legge interna all’architettura che è, prima di tutto, conoscenza tecnica dell’arte di costruire un edificio. Ora, così come la Victoria Beckham non potrà essere un architetto, nei fatti e non nel titolo, perché non può sapere niente di una costruzione e si limiterà a fare la stilista, a dare il tocco, lo stesso processo avviene con l’archistar.

Chi progetta l’edificio, chi rende possibile la realizzazione di strutture assurde e prive di senso, create solo per stupire? Le società di ingegneria, ovviamente. Niente di male, anzi, in un edificio complesso ciò è assolutamente necessario con la quantità di problematiche, reali o inventate dalla leggi, di tipo strutturale o impiantistico. Ma il fatto è che quando un’unica persona riesce a progettare contemporaneamente una serie numerosa di edifici importanti in ogni parte del mondo e nello stesso tempo a prendere parte a concorsi internazionali, è chiaro che il suo apporto al progetto è pari a quello che potrà offrire Victoria Beckham, cioè al tocco e, diciamolo, forse neanche a quello, che può essere demandato a fidati collaboratori.

L’archistar è un’azienda, né più né meno, e come tale deve comportarsi se vuole rimanere sul mercato. Benissimo! Ma l’architettura cosa c’entra e, soprattutto, come possono diventare esempio da seguire e da insegnare nelle università?

Eterogenesi dei fini: penso a critici, presunti critici, falsi critici, giornalisti, sindaci, professori. Adesso come faranno ad insegnare o osannare o desiderare i progetti di Victoria Beckham? Davvero non vorrei essere nei loro panni! E non parliamo poi di quegli architetti che li osannano e, osanna, osanna, adesso arrivano anche le star dello spettacolo, quello vero, a rubar loro il lavoro.
Quante persone mette in ridicolo questa situazione! C’è di che essere riconoscenti a Victoria Beckham.


Credits: La foto di Victoria Beckham è tratta da Wikipedia

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3 febbraio 2010

GRATTACIELI

Ho ricevuto questo disegno di Lèon Krier. I disegni di Krier sono parte integrante, e talvolta esaustiva, del suo pensiero. Questo fa parte della lotta che lui conduce al grattacielo come arrogante espressione del rifiuto della natura della città.
E’ un disegno provocatorio e anche urticante, che rievoca un fatto che ha segnato e segnerà ancora per molto tempo la storia di questo inizio del secolo, ma è chiaramente la metafora della fragilità intrinseca di questa tipo edilizio portato oggi alle estreme conseguenze. Ci sono aerei che attaccano, ma potrebbe esserci un incendio, un terremoto, un black-out; situazioni estreme, ma niente affatto improbabili, che in un grattacielo si trasformano in tragedia.



Links:

Sul concetto di Insurance Liability vedi il post Qualche numero interessante sui grattacieli.

Il futuro delle città: l'assurdità del Modernismo - Nikos Salìngaros intervista Léon Krier

Nikos Salìngaros: Grattacieli, un'epidemia mondiale

Ettore Maria Mazzola: Attualità di Giovannoni sui grattacieli

Lucien Steil: La ricostruzione di Manhattan senza grattacieli!

Camillo Langone: L'ANTICRISTO ABITA AL 53° PIANO

De Architectura: Grattacieli sostenibili e sostenuti

De Architectura: Il grattacielo famelico

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