Al momento della scelta dell'indirizzo di questo blog, dopo una serie di tentativi a vuoto alla ricerca di un nome semplice e pertinente, la sorpresa: "regola" era libero! L'architettura è oppressa da leggi e regolamenti, i termini più altisonanti della "creativa" cultura architettonica erano già occupati ma una parolina così semplice e antica e comprensibile da tutti, cioè "regola", era libera!
Questo blog parla appunto di "regole" contro la sregolatezza architettonica.


31 ottobre 2010

RIGENERARE LE PERIFERIE URBANE

Leggi tutto...

22 ottobre 2010

DALLA PERIFERIA SUBURBANA ALLA ECO-CITTÀ GIARDINO



AVOE
A VISION OF EUROPE
Università degli Studi di Ferrara
Facoltà di Ingegneria Via Saragat 1.

Seminario sulla Trasformazione delle Periferie in Eco-Città Giardino Casi di Studio Europei e Statunitensi
DALLA PERIFERIA SUBURBANA ALLA ECO-CITTÀ GIARDINO.

RICOSTRUIRE CORVIALE: 500 MILIONI DI EURO DI GUADAGNO PER L’ENTE PUBBLICO, 300 MILIONI PER IL PRIVATO E HOUSING SOCIALE PER 6500 PERSONE. RILANCIO DELL’ECONOMIA ITALIANA IN 4 ANNI

Due progetti di abbattimento dell’ecomostro e ricostruzione del Nuovo Corviale di Roma, pronti e completi di piano di fattibilità, presentati oggi all’Università di Ferrara, facoltà di Ingegneria. Nel corso dell’evento DALLA PERIFERIA SUBURBANA ALLA ECO CITTÀ GIARDINO (organizzato da AVOE, Università di Ferrara e Gruppo Salìngaros), i progetti degli architetti Ettore M. Mazzola e Gabriele Tagliaventi offrono una prospettiva innovativa all’economia nazionale e accendono il dibattito politico, alla presenza di vari amministratori pubblici.

I progetti (una piccola ecocittà giardino da 20000 abitanti nel progetto di Tagliaventi e un borgo tradizionale ispirato a S. Saba da 8500 abitanti quello di Mazzola), sono stati presentati con un solido corredo di dati numerici accuratamente documentati che dimostrano non solo la fattibilità economica ma la redditività altissima per le casse dell’ente pubblico e dei privati coinvolti nell’operazione, oltre alla possibilità di assegnare gratuitamente dei nuovi alloggi ai legittimi assegnatari dell’edilizia popolare.

Questo può essere l’inizio di una nuova politica urbanistica italiana, con allacci al mutuo sociale, e alla funzione di azienda dell’ATER” ha dichiarato l’on. Teodoro Buontempo, assessore alla casa della Regione Lazio. Gli fa eco Stefano Serafini, direttore della Società Internazionale di Biourbanistica: “Realizzare questo progetto pilota avvierebbe la soluzione del problema delle periferie italiane, restituirebbe attrattiva, vivibilità e dignità politica al nostro Paese”. “Su questa linea si sta muovendo anche il Comune di San Lazzaro di Savena”, dice l’assessore all’urbanistica di Bologna Leonardo Schippa.

In sintesi questi i dati secondo le due ipotesi di fattibilità economica proposte, da realizzarsi in 4 anni:
- Spesa abbattimento Corviale, 9 milioni di euro;
- Realizzazione di alloggi per nuovi residenti (tra 2000 e 13000), con ricavo tra 50 e 300 milioni di euro;
- Realizzazione di spazi commerciali con ricavo 180 milioni di euro;
- Profitto complessivo del pubblico da 250 a 520 milioni;
- Profitto complessivo dei privati coinvolti da 100 a 300 milioni di euro;
- Realizzazione autofinanziata di housing sociale per 6500 abitanti autofinanziata;
- Realizzazione autofinanziata di un parco, servizi pubblici e attività socializzanti;
- Sviluppo dell’occupazione e dell’artigianato edile della piccola e media imprenditoria locale, con ricadute positive nel settore del restauro del patrimonio architettonico.

A Vision of Europe
Gruppo Salingaros
International Society of Biourbanism
Laboratorio Civicarch Università di Ferrara

Leggi tutto...

15 ottobre 2010

GREGOTTI VUOLE SALVARE LE VELE DI SCAMPIA!

Leggo nel Riformista che Vittorio Gregotti vuole salvare le vele di Scampia. Dopo il sovrintendente che le vuole vincolare adesso abbiamo il grande architetto che afferma che devono essere completate e “messe sotto tutela”.
Quello del completamento è un refrain che oltre che vecchio e auto-assolutorio, comincia a diventare alquanto malinconico ma il “mettere sotto tutela” l’edilizia sociale pubblica è proprio nuova, almeno per me.
Cosa intenderà Gregotti? Farla piantonare dalla polizia? Oppure mettere insieme squadre di manutentori appositamente costituite allo scopo, a spese nostre naturalmente? Oppure una squadra di manutentori insieme a squadre di assistenti sociali e mediatori culturali? Chissà!
Ad essere sincero mi sembra molto più preoccupante il soprintendente che non l’architetto Gregotti, in cui leggo più una inconscia (o conscia) auto-difesa per interposto progetto, essendo anche lo Zen oggetto di critiche analoghe a quella di Scampia e di qualche sacrosanta proposta di demolizione.

A questo proposito ricordo una lamentela di qualche anno fa in cui si diceva che in Italia non si demolisce mai niente! Non mi riferisco a Gregotti del quale non saprei dire, ma a coloro, ed erano tanti, che lamentavano un certo immobilismo della cultura urbanistica italiana. Naturalmente, ma è davvero un ricordo senza nomi, ci si riferiva all’edilizia privata; quella certamente scadente, talvolta anche abusiva, abusi di necessità il più delle volte senza per questo voler esaltare l’illegalità come un valore, sicuramente anonima quanto ad autore. Però erano case, in cui la gente viveva, spesso frutto di lavoro e di fatiche. Erano case come Scampia (oddio, più che case queste chiamiamole riparo), come Corviale, come Zen, come Laurentino. Perché quelle si volevano demolire e queste no? Cosa hanno in comune questi formicai? Molte cose, ma due in particolare: l’essere pubblici e l’avere un padre con nome e cognome. Le altre erano orfane.

Per costruire il Laurentino leggo che sono state completamente “demolite” le case abusive precedenti. Come fossero quelle case e come fosse l’insediamento nel suo complesso non lo so. Però so che guardando alcune borgate romane, in cui l’edilizia spontanea, nel senso ex-abusiva perché condonata, è sovente intervallata da edilizia progettata e ci si rende facilmente conto che è molto più semplice integrare la prima in un disegno urbanistico che le consenta di diventare città, piuttosto che la seconda, fatta di segni forti dal disegno astratto e scollegato da ogni riferimento al territorio o alla viabilità. Non esiste alcuna possibilità di comprendere questi oggetti dalle dimensioni considerevoli e dalle forme bizzarre in un disegno urbano ragionevole.
Come non esiste alcuna possibilità che un progetto come le vele di Scampia possa diventare accettabile.

Ma i segni forti non devono essere demoliti, quelli anonimi e deboli e recuperabili alla trama urbana sì.
Vorrei fare un’ipotesi per assurdo per sapere quale sarebbe il giudizio dell’architetto Gregotti e di tutti coloro che difendono progetti come questo: mettiamo che le Vele, o il Corviale o analoghi, non fossero case popolari, ma alberghi o residence in qualche località balneare di grande popolarità. Mettiamo pure che fossero mantenute, per ovvi motivi, in buono stato di manutenzione. La domanda è: sarebbero lodate e difese a spada tratta con la stessa forza o piuttosto, in caso di minaccia di demolizione, i nostri non gioirebbero considerandola una conquista di civiltà e una vittoria sulla bieca speculazione?

La domanda è retorica perché la risposta è certa. Se è vero, e sappiamo essere vero, significa che dietro questa difesa non esistono motivazioni oggettive o merito in relazione al progetto, ovviamente, ma una scelta puramente ideologica di difendere se stessi e la propria storia. E’ una scelta di tipo puramente concettuale, perché non conta il prodotto in sè ma conta il contesto storico, politico, culturale in cui il progetto è maturato, è stato progettato ed eseguito, conta l’idea stessa che ha prodotto quel progetto. Conta la storia personale dell’architetto che l’ha progettato e quella collettiva del periodo in cui è nato.
Ad essere sinceri a me della storia personale degli architetti che hanno progettato quella roba lì non interessa proprio niente e certamente non interessa a chi è costretto a viverci.

Per questo motivo chi accusa coloro che ne vogliono la demolizione di scelta puramente ideologica in parte sbagliano ma in parte hanno ragione.
Sbagliano perché quegli stessi edifici, collocati in situazioni ambientali, storiche e culturali completamente diverse sarebbero considerati, giustamente, degli errori architettonici e umani colossali privi di qualsiasi qualità e, dato che non esiste possibilità di un loro miglioramento, l’unica soluzione sarebbe demolirli.
Hanno ragione perché quelli non sono, relativamente agli autori, tanto edifici quanto concretizzazioni di un’idea mostruosa, cioè simboli, e l’unico modo per abbattere quell'idea è abbattere gli edifici stessi. Demoliti quelli, e sostituiti con edifici civili, potrà restare la malinconia e il rimpianto solo per un ristrettissimo gruppo di persone. Ma sarebbe un fatto personale di scarso interesse pubblico.
Non posso credere, mi rifiuto di credere che Gregotti, che ha i suoi meriti, che sa cos’è e come si fa un progetto (l’importante è che non ce lo spieghi) possa ritenere le Vele di Scampia edifici da salvaguardare.
Architetto Gregotti, se le immagini dunque al mare, ad esempio sulla sputtanatissima costa spagnola accanto a centinaia di altri edifici simili, e si faccia un esame di coscienza. Nessuno chiede abiure, ma nemmeno irragionevoli e improbabili difese.

Pietro Pagliardini

Leggi tutto...

14 ottobre 2010

STRADE- 8°: LÉON KRIER

É la volta di Lèon Krier con due brani tratti da altrettanti suoi libri: Architettura. Scelta e fatalità, Laterza, 1995 e L'armonia architettonica degli insediamenti, LEF, 1995.
Personaggio carismatico per la forza e la tenacia delle sue idee, rispettato anche dai suoi avversari, negli ultimi ha ottenuto molti riconoscimenti e molti successi. In Italia, invece, e non è un caso, trova ostacoli insormontabili all'approvazione dei suoi progetti.
Nei due brani che seguono è assolutamente singolare il fatto che Krier consideri le auto come parte integrante del paesaggio urbano e prescriva precise regole per parcheggi e mobilità, tentando di rendere possibile una civile convivenza tra auto e pedoni. Tentativo difficile ma, secondo me giusto e coraggioso.

LÉON KRIER
Architettura. Scelta o fatalità
Laterza, 1995

....- Bisognerebbe evitare, se è possibile, di spianare le colline, colmare le valli, addolcire le pendenze. Gli elementi distintivi di un sito devono, al contrario, essere valorizzati; il disegno della pianta e del profilo urbano deve mettere in rilievo le specificità del luogo.
- Le strade senza uscita, i sensi unici, dovrebbero essere evitati a ogni costo, salvo per situazioni topografiche eccezionali: promontori, penisole, ecc.

Le forme degli spazi urbani
La forma della città e degli spazi pubblici non può essere l'oggetto di sperimentazioni personali. Gli spazi pubblici possono costruirsi solo sotto forma di strade (spazi lineari) e di piazze (spazi nodali). Gli spazi pubblici, che siano proporzionali alle dimensioni di una grande metropoli o che posseggano l'intimità di uno spazio locale, devono in ogni caso offrire un carattere permanente e familiare, poiché le loro dimensioni e proporzioni si fondano su una cultura millenaria di strade e di piazze. Un'insufficiente quantità e di spazi pubblici è una falsa economia, ma un'eccessiva quantità è un falso lusso.
Gli spazi pubblici non dovrebbero occupare, nel loro insieme, più del 35% e meno del 25% della superficie totale di un quartiere.
Gli spazi pubblici sono articolati in strade, piazze, cortili, passaggi.
I houlevards, i viali, le grandi piazze, i recinti, i giardini pubblici, gli spazi pubblici, i campi per le fiere, i campi da golf, non si trovano all'interno dei quartieri urbani, ma ne costituiscono i chiari limiti.
- La superficie degli isolati diminuisce verso il centro e aumenta verso il perimetro di un quartiere.
- Il limite di un'agglomerazione deve, in genere, essere una passeggiata collegata ai sentieri e alle piste, consentendo così passeggiate circolari nella campagna circostante senza dover usare le strade e l'automobile.

Traffico e spazi pubblici
- Il traffico più intenso non deve attraversare i quartieri, ma essere tangente a questi e alle circoscrizioni; deve essere canalizzato sui grandi boulevards, sui viali, sui parkways, che ne costituiscono i limiti fisici.
- Gli spostamenti veicolari e pedonali richiedono spazi a scale e geometrie differenziate.
- Il controllo della velocità dei veicoli non deve essere regolato unicamente dalla segnaletica (gobbe, coppe rotatorie, semafori, guard-rail, ecc...), ma anche articolando il carattere civile e urbano delle strade e delle piazze mediante la loro pavimentazione, il verde, le luci, l'arredo, l'architettura, la configurazione geometrica, ecc...
- Gli spazi pubblici all'interno del quartiere (le piazze così come le strade) devono presentare un elevato grado di intimità urbana. Gli edifici simbolici devono occupare i luoghi privilegiati, i punti di convergenza delle prospettive urbane. Le differenze di scala, di materiali e di volumi devono essere giustificate dal tipo e dallo statuto civico degli edifici e non devono dipendere unicamente dal capriccio dell'architetto o del proprietario.
- La piazza centrale è riservata ai pedoni.
- Alcune parti della strada principale saranno chiuse al traffico solo per alcune ore.
Il parcheggio degli autoveicoli, parallelo al marciapiede, è raccomandato almeno su di un lato nella maggior parte delle strade.
- I viali pedonali stretti passeranno attraverso gli isolati e saranno collegati tra loro in modo da creare un tessuto coerente all'interno del quartiere, non intralciato dal traffico.
I parcheggi sotterranei devono essere incoraggiati al di sotto degli isolati centrali. I parcheggi multipiani saranno piccoli e dispersi; non avranno fron¬ti su strada o saranno .mascherati da un edificio di 5 metri di profondità contenente uffici o ateliers.
Il parcheggio a corte sarà riservato agli isolati periferici del quartiere.

Zonizzazione policentrica delle funzioni
Le funzioni saranno disposte a scacchiera. Le funzioni residenziali e altre saranno congiuntamente distribuite in ogni isolato, per parcella o per piano. Lungo la strada principale e sulla piazza centrale, le funzioni commerciali saranno situate esclusivamente al piano terra; non saranno permesse al di so¬pra del piano ammezzato e al di sotto del piano terra.
Le piccole e medie imprese e altre funzioni non residenziali e non inqui¬nanti vanno localizzate all'interno del quartiere....

LÉON KRIER
L'armonia architettonica degli insediamenti
LEF, Libreria Editrice Fiorentina, 2009

Io propongo di introdurre i termini di classico e vernacolare in urbanistica e nella progettazione urbana per dare un nome alle diverse geometrie della rete urbana geografica, degli spazi pubblici e della disposizione degli edifici. E’ noto che Le Corbusier contrastò la geometria a meandro della “strada dell’asino” con la rettilineità Euclidea della “strada dell’uomo”. Allo stesso modo, la lingua francese distingue fra “insiemi spontanei” e “insiemi ordinati”. Proprio come se ciò che è spontaneo fosse un fattore di disordine: e che, al contrario, la retta e la squadra appartenessero assolutamente ad una categoria superiore, fossero la razionalità stessa.
Gli insiemi spontanei non sono più “medioevali” di quanto i piani a griglia di ferro siano “moderni”. L’andamento curvilineo non è necessariamente Romantico e quello rettangolare non è automaticamente razionale e privo di arte. L’uso consapevole dei modi dell’architettura vernacolare e classica e la loro combinazione con adeguate geometri di rete, ci permette di creare nuovi insediamenti che competono con i migliori insiemi del passato.
L’armonia architettonica degli insediamenti” concettualizza l’analisi e la manipolazione delle realtà architettoniche e urbane che fino ad adesso sono considerate il sottoprodotto di contingenze socio-politiche piuttosto che una consapevole volontà estetica.


Quadro 2

I tre quadri (esempi storici; prospettive urbane; piani urbani) illustrano le nove possibili combinazioni dell’urbanistica e dell’architettura vernacolare-classica. In realtà, raramente si incontrano esempi puri ma quasi sempre combinazioni delle nove categorie. L’ultimo quadro aiuta a meglio comprendere ed apprezzare i luoghi storici; essi consentono anche di progettare in maniera più consapevole gli ingredienti della grande scala urbana o dei complessi edilizi, armonizzano i nuovi edifici con le posizioni esistenti. In base alle circostanze ci sono giustificazioni razionali  per progettare brevi meandri o aperte vedute rettilinee.
Quadro 2
Ciò che è egualmente certo è che queste richiedono forme architettoniche estremamente differenti. Potete giudicare meglio le varie combinazioni, i dosaggi e l’armonizzazione visitando i luoghi storici e lasciar decidere alle vostre sensazioni. La “qualità del dosaggio” schedata illustra il mio personale impulso e la mia esperienza. Io trovo che generalmente gli spazi pubblici dotati di regolarità geometrica e di parallelismi richiedono un alto grado di ordine architettonico. In generale, l’architettura modesta non è appropriata agli spazi dotati di grande formalità.....

Post correlati:
STRADE-1°: PALLADIO E JANE JACOBS
STRADE-2°:CHRISTIAN NORBERG-SHULZ
STRADE 3°: RUDOKSKY E MUGNAI
STRADE- 4°: MARCO ROMANO E CAMILLO SITTE
STRADE-5°: ETTORE MARIA MAZZOLA
STRADE – 6°: KEVIN LYNCH
STRADE-7°: FRANCESCO FINOTTO SU KARL HEINRICI
JANE JACOBS
JANE JACOBS: STRADE
UNA LEZIONE DI URBANISTICA
MORE ETHICS OR MORE AESTHETICS?
CITTA' ORGANISMO O CITTà MACCHINA
LA CITTA' DELLE REGOLE

Leggi tutto...

10 ottobre 2010

VIOTTOLI - 15°: WILLIAM VON STRADEN

4 LUGLIO 2025
Viottoli 15°, William Von Straden


E’ interessantissimo il passo del trattato del Von Straden in cui si fa assertore convinto della necessità del viottolo e della sua pregnanza urbanistica. Sentite cosa dice a proposito del viottolo: “Una città è tutta nei suoi viottoli. Il viottolo è il segno della città, il suo significato intimo e più vero. Cosa c’è nella città al di là del viottolo?

In Von Straden che ha scritto questo trattato nel 1843, c’è già la contestazione della città lecorbuseriana, il presagio della crisi.
Per lui la città si esprime nel viottolo: le piazze, i punti nodali, i viali, i vialetti, le prospettive, tutto si risolve nel viottolo.
E’ un’intuizione che fa pensare...

3 Commenti
Ettore Maria ha detto...
Caro Piero, come sempre hai colto in maniera magistrale in questo tuo bellissimo Post l’essenza dello spazio e il significato della città.
Proprio ieri ho condotto i miei studenti per i viottoli dell’agro romano e si sono tutti esaltati per l’esperienza pregnante di quelle strutture viarie.
Ti manderò quanto prima i loro bellissimi schizzi.
Grande! Come sempre! Complimenti.
A presto, Ettore

Pietro Pagliardini ha detto...
Caro Ettore, mi fa piacere che tu abbia colto il significato, il grande valore del viottolo.
Pensa che nella mia città c’è un tale Architetto, l’estensore del regolamento urbanistico, che ha regolamentato i viottoli uno per uno, suddividendoli in 9 categorie diverse a seconda del fondo viottolare, dei raggi di curvatura etc. e prescrivendo per ogni tipo di viottolo le percorrenze e la cadenza del passeggio.
Gli manderò gli schizzi dei tuoi studenti!
Pietro

Anonimo ha detto...
Viottoli?
Walter Forst Whithmahnn ha scritto su questo tema pagine memorabili di grande poesia, dove l’essere umano si trascende, dove la realtà si apre a nuove esperienze:
Viottolo, viottolo, viottolo!
Ti percorro, ti rincorro, ti traverso...
Nel viottolo mi perdo e di lì più non ritorno...

Vilma

P.S.: Questo testo è chiaramente uno scherzo, e un regalo di compleanno, perpetrato da Giulio Rupi ai danni miei e di un paio di "clienti" e che io ho riproposto tal quale, in attesa di avere il suo permesso a farlo, che do per scontato arriverà. Ogni tanto vale la pena prendersi e prendere in giro.

Speriamo che Ettore e Vilma, se mai avessero più voglia di lasciare un altro commento, non si inibiscano pensando: "...ma adesso quello mi rifà il verso e quell'altro dopo lo pubblica pure!".
Non potrà accadere più: i sessanta anni arrivano una volta sola.
Pietro

Leggi tutto...

3 ottobre 2010

STRADE - 7°: FRANCESCO FINOTTO SU KARL HENRICI

Francesco Finotto è l’autore di La città aperta, Marsilio, 2001, che pone l’Ottocento al centro dei suoi interessi come il secolo in cui si pongono le basi dell’urbanistica moderna. I brani riportati nel post illustrano e commentano la teoria dell’urbanista tedesco K. Henrici (1842-1927).


FRANCESCO FINOTTO


Il pittoresco come bello relativo
Henrici non riteneva accettabile il sentimento di impotenza, la sfiducia nei confronti del pittoresco: certo ad incollar facciate pittoresche sulle piatte strade moderne, oppure ad accumular facili arredi sulle strade si otteneva solo un ridicolo ammasso di ornamenti. Il pittoresco inteso come accentauzione dei contrasti, parcellizzazione delle forme, vivacità dei contorni era solo una ricetta, che spiegava ben poco. Ma non c’era ragione per continuare ad imitare l’arte italiana o quella francese nella disposizione degli spazi urbani: bisognava riprendere la pura, antica arte tedesca, con il cuore, il sentimento e la pratica. Il pittoresco non sarebbe più stato inattuale se divantava nazionale. Se invece di utilizzare il sistema moderno di costruire le città, che appiattiva le diversità, si fosse fatto ricorso alla tradizione storica. Valorizzata in tutti i modi la diversità dei luoghi: ci si aspetta di vedere in Italia e Grecia qualcosa di diverso che in Germania; in montagna qualcosa di differente rispetto alla pianura.

Il pittoresco non è l’accumulo casuale dei detriti della storia, né il mero effetto dell’azione del tempo. In realtà il pittoresco non è altro che il bello relativo. Non quello ideale, che si può evocare con la pittura o la scultura, arti prive di scopo immediato, autosufficienti, che valgono per sé. Il pittoresco è il lato piacevole dell’architettura, che commuove il popolo e suscita l’amore per la patria.
L’arte di costruire la città, o di fare i piani urbanistici, non consiste infatti nella produzione di un oggetto in se stesso compiuto. L’impianto di una città è un oggetto di uso comune: “La completa corrispondenza allo scopo rende ogni oggetto di uso comune anche bello, e la bellezza pienamente adeguata allo scopo è il fine del’arte di costruire la città” (1). Il pianificatore deve conoscere i mezzi e i modi per determinare gli effetti di bellezza, deve possedere le capacità di prevedere gli effetti spaziali del suo piano.
Bisognava allora andare avanti nel tentativo di mettere in piedi una grammatica della visione che rendesse accettabile il volto della città moderna; continuare lo sforzo di oggettivare rapporti, regole, dimensioni, armonie in un mondo dove la modernità stava frantumando tutti gli spazi: annientando le differenze visibili, sterminando gli oggetti, disintegrando i contesti, dando per scontata una cultura della visione oggettiva, che prescindesse dalla commutazione di tutti i significati.
Si passa allora dalla meccanica dell’emozione degli architetti illuministi alla retorica della visione dei teorici tedeschi: dall’eloquenza degli spazi infiniti alla dialettica degli spazi chiusi. Ormai non si tratta più di impressionare, comunicare sensazioni, suscitare timore, sorpresa o entusiasmo: si deve solo poter vedere. Tutti gli oggetti sembrano più piccoli quando ci si allontana (2). Le prospettive interminabili, con il monumento trattato come point de vue, così care ala poetica del sublime, diventano noiose. Buone solo per lo sguardo miope che si accontenta di facili impressioni………
Bisogna andare oltre alla teoria della successione delle piazze. Concepire la strada stessa come una successione di fondali, che frantumano la prospettiva illimitata: che articolano le masse, imprimono ritmo, variano la luminosità, graudano luci e colore.

La razionalità delle strade concave
Ma come fare per non cadere nell’occasionale, nell’arbitrario? Che cosa garantisce la razionalità del disassamento stradale? Semplicemente la teoria dell’incrocio.
Nelle città storiche gli isolati arrivano agli incroci con gli angoli retti, e compensano il disassamento delle strade mediante la piegatura dei lati. In questo modo il mancato parallelismo delle strade viene assorbito nei cortili, negli spazi interni, non produce deformazione negli edifici. Nei lotti ciò che conta è l’angolo retto e la forma allungata della figura. In questo modo si facilita la suddivisione dello spazio e la costruzione degli edifici. Infatti, sia l’angolo acuto sia quello obliquo creano numerose difficoltà costruttive: non sono graditi in architettura. Inoltre la figura allungata garantisce maggior superficie, più fronte stradale, e quindi minori costi d’urbanizzazione, con lo stesso numero di angoli.

Come la teoria del’archetipo spaziale garantisce a Sitte un fondamento di razionalità nell’analisi delle piazze così la nuova teoria dell’incrocio consente a Henrici di dimostrare la razionalità delle strade curve e rendere evidente l’irrazionalità di quelle rettilinee. L’isolato tradizionale, prodotto dalla successione di singole case a schiera, pur incorporando notevoli asimmetrie non abbandona mai la regola aurea dell’angolo retto. L’isolato moderno, prodotto dall’intersezione tra il rettifilo e la strada diagonale, diventa un mero residuo triangolare. É pertanto irrazionale un allineamento che per garantire il rettifilo taglia glia gli angoli e produce isolati triangolari,. Inservibili in architettura; è razionale invece l’allineamento che tiene fermi gli angoli retti e muove i lati, alternando concavità a convessità. In fondo fino a quando l’allineamento è stato inteso come servitù è sempre prevalsa la scala architettonica: gli arretramenti o avanzamenti imposti agli edifici non cancellavano la sinuosità dei percorsi. Quando è comparsa la teoria dell’allineamento come ricostruzione per isolati, allora si è imposto il rettifilo illimitato. Questa è la ragione fondamentale per cui Henrici si schiera contro l’Umlelung, contro la ricostruzione per zone, inutile scorciatoia che altera i caratteri pittoreschi del tessuto urbano.

La città per parti
Anche per Henrici il disegno dei piani d’espansione inizia con la collocazione dei nuclei monumentali, come per Delay. La città infatti doveva essere suddivisa in parti, ognuna dotata di autonomia e caratterizzata da un addensamento di edifici monumentali, dislocati intorno a piazze. Tuttavia il loro collegamento non doveva essere attuato mediante il tracciamento dei rettifili, ma attraverso la dislocazione di un tessuto stradale differenziato, ramificato, che riproducesse il corso dei grandi fiumi, dove le correnti non procedevano mai nei due sensi; che aderisse ai luoghi, rispettasse gli invisibili limiti delle proprietà, per dar modo di costruire direttamente o di vendere a chi voleva costruire per sé.

Inoltre non bisognava esagerare con gli alberi lungo le strade: condivideva con Sitte l’idea che la bellezza delle strade dipendesse dall’effetto architettonico: era sbagliato fare di ogni strada un’allée, di ogni piazza un giardino. Gli alberi infatti nascondono le facciate, impediscono la percezione unitaria dello spazio, Andvano utilizzati con parsimonia, nei luoghi appropriati, solo lungo certi tratti stradali, e nei giardini interni agli isolati.
Così come andava utilizzato con molta parsimonia il Bauwich, l’obbligo di distanziare tra di loro gli edifici, dal momento che interrompendo la linea di fuga, segmentando lo spazio, si distruggeva la continuità della vista prospettica. L’edilizia chiusa infatti non era meno igienica di quella aperta. Come aveva dimostrato ampiamente Nussbaum: le correnti d’aria hanno una forma ad onda e penetrano in ogni spazio sufficientemente ampio, dunque l’edilizia isolata non gode di nessun vantaggio in termini di ricambio d’aria rispetto a quella chiusa. Casomai nei distacchi s’infiltra più facilmente la polvere della strada. L’edificazione retrostante poteva essere impedita semplicemente indicando dei limiti di massimo inviluppo all’interno degli isolati, in modo da riservare uan certa quantità di spazio ai giardini privati. E come aveva mostrato Retting l’edilizia aperta non era più economica di quella chiusa, ma i risultati estetici erano sicuramente disastrosi. Dunque un conto era promuovere quartieri di ville in periferia per le classi benestanti, e un altro cercare di esportare in tutte le città un sistema costruttivo tipico di altre regioni, imporre attraverso la zonizzazione tipologica un’artificiosa ed ingiusta bassa densità.
Quanto al traffico bisognava evitare gli incroci tra strade principali, risolverli mediante piazze o spazi allungati; le strade secondarie potevano solo sfociare in quelle principali, mai attraversarle.

Henrici dunque si rivela il San Paolo dell’arte di costruire la città. Trasforma il messaggio di Sitte infondendogli una nuova carica. Rivendica la superiorità dell’arte sulla tecnica: nonostante che la scienza del traffico, l’economia politica, la legislazione e l’igiene abbiano stabilito nuove condizioni spetta all’arte far da guida, prendere in mano il timone dei tempi nuovi. Non soltanto i nuclei monumentali , che davano identità a ciascuna parte della città, potevano essere costruiti sulla base della nuova retorica degli spazi chiusi, ma anche le loro connessioni, le strade, dovevano essere tracciate utilizzando io medesimo principio: l’architettura stradale doveva essere concepita come arte di concepire lo spazio, riconoscendo al principio della concavità altrettanta importanza che a quello della convessità nella costruzione delle forme plastiche.

Lo spazio, la luce, i colori sono i materiali fondamentali di quest’arte nobile, che si nutre di sottili trasgressioni, muove le masse, arretra i corpi, innalza le fronti; che davanti all’universalità della modernizzazione afferma l’individualità della storia e del sito di ogni città. Il pittoresco resta il valore guida, ma spogliato dalla patina superficiale, dallo splendore delle guglie e pinnacoli: è un pittoresco strutturale, asciutto, quasi scarnificato nella composizione dei volumi, dotato di un’intima razionalità costruttiva. Henrici mostra così, al di sotto della veste pittoresca, una propensione per lo spazio, per la regola compositiva, che rifiuta l’arricchimento superficiale, considera l’arredo, il decoro una soluzione di ripiego, minore, falsa…..

Note:
1) Woran ist zu denken bei Aufstellung eines Stadtischen Bebauungnsplanes, p.166
2) Beitrage zur praktischen Asthetik in Stadtebau, p.22


Post correlati:
STRADE-1°: PALLADIO E JANE JACOBS
STRADE-2°:CHRISTIAN NORBERG-SHULZ
STRADE 3°: RUDOKSKY E MUGNAI
STRADE- 4°: MARCO ROMANO E CAMILLO SITTE
STRADE-5°: ETTORE MARIA MAZZOLA
STRADE – 6°: KEVIN LYNCH
JANE JACOBS
JANE JACOBS: STRADE
UNA LEZIONE DI URBANISTICA
MORE ETHICS OR MORE AESTHETICS?
CITTA' ORGANISMO O CITTà MACCHINA
LA CITTA' DELLE REGOLE

Leggi tutto...

Etichette

Alemanno Alexander Andrés Duany Angelo Crespi Anti-architettura antico appartenenza Ara Pacis Archistar Architettura sacra architettura vernacolare Archiwatch arezzo Asor Rosa Augé Aulenti Autosomiglianza Avanguardia Barocco Bauhaus Bauman Bellezza Benevolo Betksy Biennale Bilbao bio-architettura Bontempi Borromini Botta Brunelleschi Bruno Zevi Cacciari Calatrava Calthorpe Caniggia Carta di Atene Centro storico cervellati Cesare Brandi Christopher Alexander CIAM Cina Ciro Lomonte Città Città ideale città-giardino CityLife civitas concorsi concorsi architettura contemporaneità cultura del progetto cupola David Fisher densificazione Deridda Diamanti Disegno urbano Dubai E.M. Mazzola Eisenmann EUR Expo2015 falso storico Frattali Fuksas Galli della Loggia Gehry Genius Loci Gerusalemme Giovannoni globalizzazione grattacielo Gregotti Grifoni Gropius Guggenheim Hans Hollein Hassan Fathy Herzog Howard identità Il Covile Isozaki J.Jacobs Jean Nouvel Koolhaas L.B.Alberti L'Aquila La Cecla Langone Le Corbusier Leon krier Léon Krier leonardo Leonardo Ricci Les Halles levatrice Libeskind Los Maffei Mancuso Marco Romano Meier Milano Modernismo modernità moderno Movimento Moderno Muratore Muratori Musica MVRDV Natalini naturale New towns New Urbanism New York New York Times new-town Nikos Salìngaros Norman Foster Novoli Ouroussoff paesaggio Pagano Palladio Paolo Marconi PEEP periferie Petruccioli Piacentini Picasso Pincio Pittura Platone Popper Portoghesi Poundbury Prestinenza Puglisi Principe Carlo Purini Quinlan Terry Referendum Renzo Piano restauro Ricciotti riconoscibilità rinascimento risorse Robert Adam Rogers Ruskin S.Giedion Sagrada Familia Salingaros Salìngaros Salzano Sangallo Sant'Elia scienza Scruton Severino sgarbi sostenibilità sprawl Star system Stefano Boeri steil Strade Tagliaventi Tentori Terragni Tom Wolfe toscana Tradizione Umberto Eco università Valadier Valle Verdelli Vilma Torselli Viollet le Duc Vitruvio Wrigth Zaha Hadid zonizzazione