Al momento della scelta dell'indirizzo di questo blog, dopo una serie di tentativi a vuoto alla ricerca di un nome semplice e pertinente, la sorpresa: "regola" era libero! L'architettura è oppressa da leggi e regolamenti, i termini più altisonanti della "creativa" cultura architettonica erano già occupati ma una parolina così semplice e antica e comprensibile da tutti, cioè "regola", era libera!
Questo blog parla appunto di "regole" contro la sregolatezza architettonica.


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5 maggio 2009

OGNI SANA RIVOLUZIONE URBANISTICA DEV’ESSERE ORIZZONTALE

Questo articolo, scritto da Paolo Masciocchi, da Pietro Pagliardini e da Nikos Salìngaros, è stato pubblicato da Il Foglio il 30 aprile 2009.
Il Vice Direttore Esecutivo de Il Foglio, Daniele Bellasio, ci ha autorizzato a postarlo.


LA NUOVA CITTÀ PER ESSERE DAVVERO MODERNA DEVE RIDIVENTARE MEDIEVALE


Il dibattito di questa stagione politica, teso tra città da ricostruire e incentivi a rideterminare periferie e aree urbane sterili, mostra che l’Italia si sta preparando ad un’importante revisione del pensiero urbanistico delle città. Per meglio contribuire a questo cambiamento radicale, desideriamo esporre la nostra proposta.


La ragione per la quale si realizza una città è la costruzione e la crescita della comunità dei cittadini che la abitano. E la comunità urbana non riesce a svilupparsi al di fuori di proprietà geometriche molto precise dell’abitato.
“Città” significa una rete di spazi pubblici definiti dal tessuto edilizio urbano, da realizzare con dimensioni in scala umana, secondo proporzioni e rapporti matematici che possono risultare facilmente sensibili all’intervento umano. Su questa struttura geometrica, che richiede l’attività degli esperti e non può essere demandata alla politica, va a sovrapporsi lo sviluppo di una maglia connettiva che permette l’interazione di singole reti molto diverse tra loro, come quella pedonale, del trasporto pubblico, la rete automobilistica e la rete industriale degli autotrasporti e delle ferrovie. In forza di questa visione, è possibile creare una città compatta nella dimensione orizzontale, che costituisce il punto di partenza per uno sviluppo corretto dello spazio civico. È uno sbaglio credere di ottenere la densità giusta attraverso una crescita verticale della città, perché tale dimensione alimenta un processo di scollegamento tra gli elementi urbani e tra le persone. La nostra soluzione vuole spazzare via la debolezza delle posizioni circolanti con alcune indicazioni precise.

Riteniamo occorra una progettazione delle piazze pubbliche in situ, senza preconfezionate geometrie standard (tipiche quelle a semicerchio), perché ogni luogo genera la propria geometria urbana come conseguenza naturale dell’applicazione di codici generativi.

La nuova città va concepita come una rete di connessioni a cui case ed edifici si devono adattare. [Il tessuto urbano vive di questa simbiosi, e i manufatti architettonici devono trovare collocazione nella sfera della geometria connettiva degli spazi della città. E ancora, desideriamo allontanarci dai prodotti abitativi mirati e dedicati ad una specifica funzione: i quartieri solo residenziali, le aree solo commerciali, o industriali, o di servizi, nonché le soluzioni urbanistiche rivolte ad un target determinato]. La nuova città costruita secondo il nostro modello assomiglia più al tessuto urbano medioevale che a quello tipico della pianificazione di stampo moderno.

La natura è inclusa in modo intimo, su piccola scala, e strettamente collegata alle strutture artificiali, con la stessa logica dei frattali. Se dunque la matrice centrale è l’individuo, tutto ciò che straborda dalle dimensioni umane è da eliminare alla radice.

Lo studio della biofilia urbanistica ha dimostrato che l’uomo ha bisogno d’uno stretto contatto con la natura, cioè la città umana deve mescolarsi con piante e verde alla scala più intima dell’ambito cittadino, quella del diretto contatto. Tuttavia non basta unire edifici e verde senza criterio, specie se la natura diviene un elemento addolcente e giustificativo di orrori architettonici.

Operare secondo il gusto compositivo individuale dell’urbanista, può condurre facilmente a far smarrire alla natura la sua stessa funzione integrante l’abitato, come è accaduto nelle città intrise del modernismo di Le Corbusier, dei palazzi fluttuanti tra prati sterili e non vissuti.
Gli esempi migliori di aggregazione di edificato e natura sono da ricercare in ciò che rimane dei piccoli giardini della città tradizionale ottocentesca, e ancora nei centri storici delle città europee che sono gli unici a favorire lo scambio sociale. È invece fuori da ogni logica scientifica di vivibilità il miscuglio delle tipologie urbane verticaliste con il verde a corollario, anche inserito a dosi massicce. Tutte le soluzioni così prospettate sono dei non-luoghi utopici, validi solo a suscitare le attenzioni del marketing e un fracasso sensoriale. Infatti, queste tipologie artificiali di abitato non definiscono comunità di esseri umani a causa della loro geometria, che risulta ostativa per sua natura a tale sviluppo.

Dunque, occorre capire cosa si nasconda dietro l’espressione “città-giardino”, perché il nome in sé esercita fascino su molti, inducendo una visione semplice e immediata fatta di un sentimento di ritorno alla natura e di una reazione al caos e al disordine della città contemporanea. Il movimento d’opinione e l’eco mediatico indirizzato a proporre nuovi orizzonti di urbanità ci spinge a consigliare ai politici di non seguire modelli già risultati fallimentari. Tra gli slogan della sinistra pseudo-ambientalista e la visione decisionista della destra, che nelle amministrazioni locali fanno il gioco delle archistar e degli immobiliaristi, occorre che si faccia largo un’opzione innovativa e culturalmente valida, da cui chi governa può attingere senza pregiudizi.

L’urbanistica è una scienza giovane, che risulta essere ancora incompleta, perché dominata da uno spirito fondato su dogmi autoreferenziali. È tempo che la politica e i cittadini se ne accorgano, e contribuiscano a favorire una visione più corretta del rapporto tra il costruire e il vivere bene.

Paolo Masciocchi
Pietro Pagliardini
Nikos Salìngaros


La foto aerea di Arezzo è tratta da Virtual Earth

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19 marzo 2009

LETTERA A "IL FOGLIO"

Il post che segue è una lettera pubblicata su Il Foglio del 19 marzo 2009, scritta da Carlo Maria Acerbi che mi ha gentilmente autorizzato alla pubblicazione. Mi è sembrata particolarmente pregevole per capacità di sintesi e per rigore argomentativo.

L' idea di città che vi si legge sembra aver convinto anche il Direttore del giornale, Giuliano Ferrara, a giudicare dalla compiaciuta risposta.

*****

di Carlo Maria Acerbi

Il politico inglese Ebenezer Howard, alla fine del XIX secolo, in un pamphlet illustrato, "Garden city of Tomorrow", sogna e pubblicizza una città perfetta, una città nuova, una città verde, una città non densa.
E' un utopista urbano come ce ne furono tanti all'epoca, ma le sue teorie purtroppo fecero breccia nel cuore dei grandi architetti modernisti.

La teoria di Howard si basa sull'analisi della qualità del vivere nella città e nella campagna, unendo gli aspetti positivi dei due mondi opposti si ricava la città-campagna. Un programma che, da visione poetica e romanzesca, viene studiato e proposto come modello politico e amministrativo di controllo del territorio multicentrico, economicamente efficiente. A chi non piacerebbe vivere in campagna con i servizi e le opportunità della città, si chiede il politico. Già, a chi non piacerebbe?

A vedere gli effetti di questa teoria ci sarebbe da mettersi a piangere, non c'è città europea non toccata da questo sogno. Il fenomeno della città giardino ha portato a edificare in larghezza, ed espandere città all'infinito, a non progettare più spazi veramente pubblici. Un piccolo giardino per tutti, villette, condomini, palazzoni costruiti al centro di giardinetti, inquietanti, rifugio di drogati, stupratori, cani incontinenti.

Dove sta la fine della città? Dove inizia la campagna? Non si può definire, c'è sempre qualche edificio residenziale tra un comune e l'altro. Ecco cos'è la città-giardino, il sogno del verde che da solo dà qualità alla città, ed è finito che la campagna e il verde si stanno estinguendo.
Progettisti illuminati, pensano ancora a questo mondo incantato, la verità è che il sogno della città verde è un incubo.

L'idea di aumentare la densità della città a Milano è tanto criticata, sembra ancora un tabù parlare di densità, di concentrare. Ma guardiamo agli esempi di città veramente dense, alla loro efficienza, alla loro bellezza. Ritorniamo a parlare di città come paesaggio veramente antropomorfo, come è sempre stato. Sembrerebbe impossibile a sentire le polemiche di chi lancia allarmi di cementificazione che la città più visitata al mondo sia proprio New York, è una bella città.

Per non parlare di Venezia, città piuttosto costruita, una laguna cementificata, ma chissà, forse se fosse rimasta una palude com'era una volta oggi avrebbe lo stesso tanti turisti.

Di cosa si sta parlando veramente, cosa sognano gli anti-cementificatori, forse un attico a Gratosoglio? O a Rozzano? Scommetto che questi progettisti vivono tutti in centro città dove la densità è più alta.

Perché non si coglie l'occasione, dopo cinquant'anni di scempi urbani, per parlare veramente di città, di infrastrutture, di densità! Ridisegnamo la città, ripensiamo ai suoi limiti, decidiamoli, e costruiamoci dentro, e costruiamoci tanto. Così si è sempre fatto, così si sono costruite le città antiche, le città medioevali, le città belle.
Solo così si può veramente salvare il verde, solo così si può parlare di campagna, di città, di paesaggio.

E non c'è occasione migliore per abbattere pure qualche mostro.

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