Al momento della scelta dell'indirizzo di questo blog, dopo una serie di tentativi a vuoto alla ricerca di un nome semplice e pertinente, la sorpresa: "regola" era libero! L'architettura è oppressa da leggi e regolamenti, i termini più altisonanti della "creativa" cultura architettonica erano già occupati ma una parolina così semplice e antica e comprensibile da tutti, cioè "regola", era libera!
Questo blog parla appunto di "regole" contro la sregolatezza architettonica.


27 luglio 2011

LA CITTA' SECONDO ANTONIO PENNACCHI

Nel suo bel romanzo Canale Mussolini, Mondadori, 2010, Antonio Pennacchi scrive a proposito della bonifica dell’Agro Pontino:

Nel corso della storia umana i villaggi e le città si sono formati normalmente quasi tutti sulle vie di traffico. A forza di passarci – o ai punti di guado o agli incroci con altri sentieri – ogni tanto qualcuno si ferma, costruisce una baracchetta e lì cominciano a fermarsi e magari a commerciare anche altri viandanti. Allora si sparge la voce e sempre più gente va lì e tira su una nuova baracchetta, un’altra ancora e nasce la città.
Pure Roma è nata così: come emporio, come posto di scambio e di mercato tra Etruschi, Sabini e Latini. Sono quindi le strade e i traffici che normalmente fanno nascere le città.
In Agro Pontino è stato il contrario e sono state le città – quei villaggi – a far nascere le strade. E difatti sono “città di fondazione” perché non sono nati una casa qui e un’altra là spontaneamente, ma ci è venuto prima un geometra, quando ancora non c’era niente, e ha detto: “Qui ci verrà una casa, lì la chiesa, un’osteria, i carabinieri, la piazza e tutto il resto, e ogni casa che verrà dopo dovrà mantenere questa e quest’altra distanza dalla strada e da tutto il resto”. E hanno cominciato a lavorare e a tirare su i muri
”.


Pennacchi fino a 10 anni fa faceva l’operaio, non l’architetto e neppure il geometra. Però ha studiato le città di fondazione della bonifica dell’Agro Pontino, ma non solo: ha capito da autodidatta quello che molti architetti non hanno capito con anni di studio, cioè l’essenza dell’origine e della vitalità della città, vale a dire la strada. Non sempre per colpa loro, non è che gli architetti siano più stupidi degli altri esseri umani, ma perché non è stato loro insegnato, e non è stato insegnato perché neppure i docenti lo sapevano o se lo sapevano ne avevano rimosso il ricordo allo scopo di perseguire un’idea di città così semplice da diventare misera, funzionalista ma non funzionante, illuminista ma priva di ogni barlume di razionalità.
E con l’andare del tempo se ne è persa davvero la memoria, almeno nella cultura ufficiale dominante, quella che detta la linea a cui la maggioranza si adegua, per ovvi motivi di convenienza e quieto vivere - le dinamiche accademiche sono più o meno note a tutti – e con la cultura ufficiale l’ha persa la cultura diffusa, quella operante quotidianamente, quella dei 140.000 architetti italiani. Ovvio che non tutti l’hanno persa, che anzi ve ne sono non pochi e agguerriti che perseguono questa idea nella loro professione, negli studi, nell’insegnamento, e la diffondono e la fanno conoscere a quelli che, come me ad esempio, si rendono conto che la città come è adesso non è più una città e confrontandola con un centro storico, depurato delle grandi qualità artistiche, si accorgono che la differenza vera la fa proprio la strada.

Pennacchi in queste poche righe dimostra però di avere colto anche la differenza tra la crescita della città spontanea, con regole insediative che sono una somma di condizioni geografiche, economiche, sociali e antropologiche, e quella della città progettata, con regole edilizie imposte e non necessariamente condivise, frutto di scelte culturali e/o ideologiche, cioè di un sistema di idee.
Visto il personaggio, non è più rinviabile la lettura di Viaggio per le città del Duce, Laterza, 2008, dello stesso Pennacchi.

Pietro Pagliardini

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15 luglio 2011

Piazza Charles-Edouard Jeanneret-Gris, detto Le Corbusier

Dunque a Zurigo hanno rifiutato di intestare una piazza all’orologiaio svizzero Le Corbusier.

Sarebbe una buona notizia, detta così. Ma la causa del rifiuto, o meglio la sospensione, è dovuta alla sua vicinanza al regime nazista. Non che sia un fatto commendevole questo; tutt’altro, è senza dubbio riprovevole. Solo che mi viene da pensare che se in Italia dovessimo togliere i nomi delle strade di tutti coloro che sono stati vicini a regimi dittatoriali e assassini, ho l’impressione che dovremmo cercare molti nomi geografici e/o botanici per sostituirli.
E mi sarebbe piaciuto molto di più che non fosse neanche venuto in mente di intitolare una piazza a LC, piuttosto una bella strada di periferia, di quelle con ai lati tanti blocchi di edifici alti a parallelepipedo e senza tetto, disposti rigorosamente perpendicolari alla strada stessa. Quelle case con il numero civico dipinto grosso sulla testata, per far capire agli inquilini quale sia il loro posto dove dormire, perché abitare è già una parola grossa.

Una di quelle strade che hai paura a percorrere a piedi, perché può accadere di tutto senza che nessuno se ne accorga, perché non c’è mai nessuno che se ne possa accorgere - che diavolo ci deve fare uno in una strada senza vita, in una non-strada - e se per caso ci fosse farebbe finta di non accorgersene e scapperebbe di corsa in casa, ammesso che avesse la prontezza di riflessi di leggere il numero giusto.

In alternativa avrebbero potuto pensare ad una strada di una zona industriale, molto più larga e importante di quelle delle zone residenziali, per onorare il mito della funzionalità e della velocità. Quelle strade che spesso non hanno nemmeno il nome ma sono riconoscibili da un numero o da una lettera: Strada A, Strada B, ecc. Spersonalizzare i nomi, classificare e basta: spersonalizzare le case e quindi anche le strade che portano alle case. Spersonalizzare la città per spersonalizzare i cittadini.

Ecco, in verità mi sarebbe piaciuto che avessero deciso di non intitolare la piazza per fatti e non per opinioni; e il fatto è proprio questo, cioè sono i progetti di LC ad essere contro l’uomo e la sua unicità rispetto a tutti gli altri uomini.

E’ l'urbanistica di LC ad essere intrinsecamente e naturalmente vicina ai regimi dittatoriali, di qualunque colore essi siano. Ma se è venuto in mente di intitolargli una piazza, vuol dire che da un punto di vista fattuale, cioè per i progetti di LC, e per le sue folli teorie, si riteneva giusto rendergli omaggio.
Invece per questo e solo per questo non avrebbero dovuto nemmeno pensarci.

Mi viene in mente, per una di quelle associazioni di idee inspiegabili e incontrollabili, la famosa battuta di Orson Welles: In Italia, sotto i Borgia, per trent'anni hanno avuto guerre, terrore, assassinii, massacri: e hanno prodotto Michelangelo, Leonardo da Vinci e il Rinascimento. In Svizzera, hanno avuto amore fraterno, cinquecento anni di pace e democrazia, e cos'hanno prodotto? Gli orologi a cucù.

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