Al momento della scelta dell'indirizzo di questo blog, dopo una serie di tentativi a vuoto alla ricerca di un nome semplice e pertinente, la sorpresa: "regola" era libero! L'architettura è oppressa da leggi e regolamenti, i termini più altisonanti della "creativa" cultura architettonica erano già occupati ma una parolina così semplice e antica e comprensibile da tutti, cioè "regola", era libera!
Questo blog parla appunto di "regole" contro la sregolatezza architettonica.


21 agosto 2011

L'ISOLATO APERTO DELLA RIVE GAUCHE

Nella cassetta della posta ho trovato un giornale dal titolo Architetti, sotto titolo Idee, Cultura e Progetto. Ho pensato a materiale pubblicitario che fa sempre la solita fine, dopo la separazione della plastica che lo avvolge dalla carta. Poi ho visto la casa editrice, Maggioli, e l’ho sfogliata. Formato tabloid, fogli staccati tipo quotidiano, carta pesante, veste grafica studiata per una buona leggibilità. E’ già un pregio.
Sostenibilità a piene mani, ovviamente, qualche premio (alla sostenibilità), immancabile l’IPad, applicato all’architettura in questo caso.
Un titolo verso la fine attrae la mia attenzione: Sì alla rue, no al corridor. E sotto: Il quartiere Masséna, Paris, Rive Gauche. Sono costretto a leggere l’articolo. Che vorrà dire? Le Corbusier rivisitato? Oppure una sua mezza negazione? Insomma, il bicchiere sarà mezzo vuoto o mezzo pieno?


La faccio breve: si tratta di un nuovo quartiere in costruzione il cui piano urbanistico è di Christian de Portzamparc. Io ero rimasto alla Villette, quando ancora mi interessavano i nomi dei progettisti, anche se la Citè de la Musique non mi era piaciuta proprio. Cosa ha di speciale questo piano di Masséna? Ha che de Portzamparc pare essere famoso per l’isolato aperto, o open block o ilot ouverte - dico pare perché io non lo sapevo e quindi per me è una novità – e in questo quartiere c’è l’applicazione di questa novità.

Quale sarebbe la caratteristica di questo ilot ouvert? Sarebbe che le strade formano un tessuto analogo a quelle della città tradizionale, nella fattispecie credo che rimanga più o meno la trama attuale, ma gli isolati non sono costituiti da fronti continui lungo strada, bensì vengono lasciate aperture, varchi, distacchi tra gli edifici, essendo però costruiti gli incroci, cioè i punti più interessanti e singolari di un isolato. Ma qual è lo scopo di questa scelta o trovata che dir si voglia? Quella di permettere la costruzione di tanti edifici staccati l’uno dall’altro, ma abbastanza vicini l’uno all’altro, in modo tale che ogni progetto possa essere diverso dall’altro ma, è specificato nell’articolo, nel rispetto di certe sagome o profili.

Cito il brano specifico dell’articolo di Carlo Teodoli: “Dov’è l’idea chiave di de Porzamparc nel quartiere Masséna? E’ nel suo concetto di Ilot-Ouvert; un solo concetto semplice, ma che vale tutto il quartiere, e che apre a un vasto scenario, anche infinito, di “variabili” dell’architettura senza rinunciare alle “costanti” di buon funzionamento urbanistico e viabilistico del quartiere; parafrasando Le Corbusier (no alla rue corridor) de Porzamparc afferma invece: sì alla rue ma no al corridor”.
Chiaro no? Lo scopo è quello di consentire la massima libertà progettuale inserita in un tessuto apparentemente simile a quello proprio della città.

Nell’articolo vi sono una serie di foto di edifici ma non c’è alcuna planimetria. Gli edifici sono molto fantasiosi, nel senso che sono tutti diversi, come da concetto-guida, di varie altezze da quattro fino a circa 12 (almeno nelle foto del giornale; nel sito se ne vedono di molto più alti) e sono molto vicini tra loro. Non si capisce bene, o meglio, a giudicare dalle foto non vedo nessuna novità rispetto ad una città fatta di grattacieli, ma molto più bassi, cioè non sono grattacieli. Cerco su internet e trovo di più qui, su www.arthitectural.com (ma che nome impronunciabile che ha questo sito!).
Le immagini sono accattivanti e mi è impossibile capire se siano foto o rendering di altissima qualità. Per essere realtà è troppo ordinata, per essere rendering ci sono particolari troppo realistici (oggetti di uso comune che si intravedono dai parapetti traslucidi delle terrazze). Ma non ha troppa importanza, qui si capisce abbastanza bene ciò che è o dovrà essere.
Ci sono poi anche alcuni grafici che sintetizzano l’idea che sta dietro al quartiere.

La trovata è, dal punto di vista del marketing, assolutamente geniale. Lo slogan è azzeccato. Insomma, la confezione è ottima. Il risultato molto meno. Gli spazi tra gli edifici sono privi del minimo senso. Non sono strade, non hanno altro scopo che mantenere i distacchi in funzione dell’esaltazione degli edifici, sono vuoti lasciati per la vuota vanità dell’architetto e sono inevitabilmente destinati all’abbandono.

Il principio dell'ilot ouvert non è urbanistico, è architettonico. Nell’articolo della rivista c’è scritto: “…i risultati sono molto interessanti: rinuncia (de Portzamparc) a firmare l’architettura di edifici ma firma l’urbanistica del planivolumetrico come se fosse un immenso e articolato edificio, per affermare, magari senza volerlo, il ruolo del progettista “dal cucchiaio alla città” o, più semplicemente, il primato dell’architettura come disciplina globale nel design della città dove l’urbanistica (come l’ingegneria del resto) è insomma un suo autorevole affluente, ma non il contrario”.
Ecco, io credo sia vero proprio quel contrario, anche se, idealmente, le due discipline dovrebbero essere intimamente unite, come lo sono state nel passato. Penso però che questo non sia più pienamente possibile, non nel linguaggio architettonico almeno. E’ possibile invece negli aspetti tipologici e morfologici, nella indicazione planivolumetrica (come nel caso in oggetto, in fondo), nel controllo delle altezze, nella continuità della cortina stradale, che è un aspetto urbanistico e architettonico allo stesso tempo.
Insomma, il bicchiere è mezzo vuoto, la rue o è corridor o non è. Inutile tentare mediazioni tra l’isolato (sostantivo) e l’edificio isolato (aggettivo) nel lotto. Il risultato resta quello di una città priva di sequenze, una somma di oggetti cui la presenza della strada non riesce comunque a garantire una continuità.

Ma voglio finire con una nota di ottimismo estivo: prendiamola come una manovra di avvicinamento al punto di...inizio.

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19 agosto 2011

COMPLETARE LA FACCIATA DI SAN LORENZO

Un altro testo di Ettore Maria Mazzola sulla proposta del Sindaco di Firenze Matteo Renzi di completare la facciata della chiesa di San Lorenzo, argomento già affrontato nei commenti al post sulla "riqualificazione" della Piazza San Silvestro a Roma.
A fine articolo riporto qualche link ai vari pareri sulla proposta e ad una storia dei progetti per il completamento dal 1900 al 1905.

Sull’ipotesi di completare la facciata di San Lorenzo a Firenze
di Ettore Maria Mazzola

Lunedì 25 luglio 2011, il Corriere della Sera” ha pubblicato una di quelle notizie definibili “shock” in ambito architettonico e accademico: il sindaco di Firenze, Matteo Renzi, previo referendum popolare, propone di completare la facciata della Basilica di San Lorenzo secondo il progetto elaborato da Michelangelo nel 1515!
Il sindaco di Firenze, in occasione del 150° anniversario di Firenze Capitale d’Italia (2015), propone la “riqualificazione” dell’edificio, con una previsione di spesa di circa 2 milioni e mezzo di euro, in gran parte sostenuta da privati. In concreto, il piano prevede il completamento della facciata costruendo ex novo l’ingresso della Basilica.
La notizia, come era preventivabile, ha suscitato un vespaio di domande, la più ricorrente delle quali è stata: Ma è lecito riprendere in mano i progetti di un architetto scomparso più di 500 anni fa e tentare di andare incontro al suo volere con gli strumenti e le idee di oggi?



Inizialmente mi sono chiesto: ma con tutti i problemi delle periferie, del traffico e del degrado urbano che possono rilevarsi a Firenze, è davvero necessario ipotizzare una “riqualificazione” di San Lorenzo? E ancora, indipendentemente dalla facciata incompleta, considerata la vitalità della piazza in tutte le ore del giorno, pensiamo davvero che San Lorenzo sia un edificio che necessiti di essere riqualificato?
Ebbene, per non avvalorare le tesi di coloro i quali dicono di no a tutto – spesso stupidamente – e mettendo da parte questi interrogativi maliziosi, voglio prendere per buone le intenzioni del sindaco, e voglio dare dei suggerimenti a sostegno di questa proposta, affinché non si avvalori la posizione dei sostenitori della “necessità di evitare falsi storici, realizzando qualcosa di contemporaneo”, che già sta prendendo piede.

Che l’ambiente accademico italiano sia totalmente avverso a certi temi è cosa ben nota: a causa delle Carte del Restauro di Atene (1931) e Venezia del (1964), e soprattutto a causa delle teorie del restauro di Cesare Brandi, l’Italia è oggi il Paese dove, più di tutti gli altri, vige il terrore della “falsificazione della storia”, un problema del tutto falso, nato solo ed esclusivamente per tutelare il mercato nero delle opere d’arte! Sicché, in base a questa assurda posizione, e pensando di essere nel giusto, si insegna nelle università, si scrive sui libri e sulle riviste e si esercita la professione.
Così, a proposito della proposta del sindaco fiorentino, c’è stato chi si è chiesto: “che senso avrebbe dover rispettare il progetto di Michelangelo piuttosto che realizzare “finalmente” qualcosa che mostri che siamo nel XXI secolo?
Questa domanda esprime il generale sentimento serpeggiante tra gli architetti e i critici di architettura formatisi nella scuola modernista-storicista, quella scuola che ha fatto delle teorie di Gropius e di Zevi (l’insegnamento della storia andrebbe eliminato perché limitativo delle potenzialità della mente degli architetti), il proprio cavallo di battaglia. Partendo da questa affermazione, la scuola modernista ha via via sviluppato idee come “tutti abbiamo il diritto di esprimere la nostra arte”, oppure “tutti siamo artisti”, “tutti hanno diritto ai propri 15 minuti di notorietà” ecc. e, altrettanto gradualmente, ha formato una massa “ignorante" di professionisti (e di critici), questi, grazie a questa semplificazione della professione, hanno potuto credersi artisti, architetti, critici e storici.
Il lavaggio del cervello operato da questa scuola di pensiero impostasi come l’élite colta portatrice del verbo – specie a partire dal secondo dopoguerra – è stato talmente vasto che oggi molta gente, per paura di essere accusata di anacronismo e/o ignoranza, finge di comprendere il significato di determinate opere che non hanno alcun senso, se non quello dettato dalla legge del “prendi i soldi e scappa”.

La cosa gravissima è che questo fenomeno si ritrova anche in ambiente ecclesiastico, ragion per cui, chi dovrebbe tutelare l’istituzione della chiesa, spesso e volentieri si lascia ammaliare dalla visione consumistica dell’architettura dettata dall’ignorantissima “società dello spettacolo”, visione che consente, con il minimo sforzo intellettuale, di produrre forme architettoniche generate da uno scarabocchio – opportunamente trasformato in tre dimensioni dal computer – che nulla hanno a che vedere con l’architettura delle chiese, con la liturgia, e con la religione stessa e, più in generale, con l’architettura degli edifici … non è un caso se Patrick Schumacher, partner di Zaha Hadid, ha avuto l’ardire di affermare che il “parametricism” – secondo il quale è il computer, grazie ad appositi softwares, e non più la mano dell’architetto a generare il progetto – da loro teorizzato, sta diventando la “nuova tradizione egemone!”.

Ebbene, alla domanda sulla legittimità o meno di realizzare la facciata di San Lorenzo progettata 500 anni fa, e considerato che chi ha posto questa domanda l’ha giustificata tirando in ballo “Le Sette Lampade dell’Architettura” di Ruskin: « ... lo spirito dell’artefice morto non può essere rievocato, né gli si può comandare di dirigere altre mani e altre menti. E, quanto alla copia semplice e diretta, è chiaramente impossibile, Come si possono copiare superfici consumate per mezzo pollice? L’intera finitura del lavoro era nel mezzo pollice sparito; se si tenta di restaurare quella finitura, lo si fa congetturalmente; se si copia ciò che è rimasto, affermando che la fedeltà è possibile, (...) come può il nuovo lavoro essere migliore del vecchio? C’era ancora un po’ di vita, in quello vecchio, un misterioso suggerimento di ciò che era stato e di ciò che aveva perduto ... » voglio brevemente esprimere il mio parere.

Che senso avrebbe avuto, per tutti gli architetti ch si sono succeduti nella realizzazione del Duomo di Firenze, dover giurare con una mano sulla Bibbia e l’altra sul modello ligneo del progetto di Arnolfo di Cambio (1296), che avrebbero portato a compimento l’opera originaria?
Chi conosce la storia del Duomo di Firenze sa che il progetto di Arnolfo venne interrotto nel 1330, privo della cupola perché non si sapeva come realizzarla. Nel 1367 Neri di Fioravante, sviluppò uno modello alto 4 metri che mostrava come, rinforzando le strutture arnolfiane, fosse possibile realizzare la gigantesca cupola ogivale. Tuttavia sorse il dubbio su come reperire il materiale e realizzare una centinatura e delle gru in grado di realizzare la struttura vera. Nel 1418 venne bandito il concorso, vinto da Brunelleschi e Ghiberti (ma questo nel ’25 venne rimosso) per realizzare la struttura medievale che venne portata a compimento nel 1468 con il completamento, ad opera del Verrocchio, della lanterna sormontata dall’enorme sfera dorata. Tutti questi personaggi, nonostante la loro fama, vennero costretti, dai membri dell’Opera del Duomo, a giurare sul modello di Neri, che avrebbero realizzato quella cupola.

La facciata venne addirittura realizzata solo nel 1871, da Emilio De Fabris (l’opera venne completata dopo la morte di quest’ultimo, nel 1887 da Luigi Del Moro) sulla base di un progetto che prendeva ispirazione dalla porzione basamentale già rivestita nel medioevo.
La stessa storia si ritrova per la Basilica di Santa Croce, sempre a Firenze, progettata da Arnolfo di Cambio nel 1294-95, dove il campanile venne realizzato ex-novo da Gaetano Baccani tra il 1847 e il ’65 e la facciata da Niccolò Matas tra il 1853 e il ’63!

Ma se andiamo in altre realtà, come il Duomo di Siena o quello di Orvieto, abbiamo facciate che ci raccontano fino a 700 anni di lavori, durante i quali si sono succeduti fior di architetti, scultori, mosaicisti e lapicidi … eppure l’immagine d’insieme ci mostra una coerenza e un carattere senza tempo e, soprattutto, una profonda devozione nei confronti del Signore.

Ecco, è proprio questo il punto, diversamente da oggi, un tempo non era la firma e/o il nome dell'architetto, né la "datazione", ad avere importanza, ma l'edificio costruito per il Signore!
Basta dunque con la lettura della storia fatta di schede datate infilate in cassetti la cui riapertura è vietata. Basta con l'egoismo dei critici e degli storiografi, che per dare un senso al loro mestiere e alla loro visione ideologica debbono imporre a tutti quella che è la loro lettura della storia. Se Renzi vuole completare San Lorenzo, come già era stato fatto a Firenze (con grande apprezzamento dei turisti) per Santa Maria del Fiore e per Santa Croce, che lo faccia, purché si proceda fedelmente nel rispetto del lavoro Michelangiolesco, (o arnolfiano, perché no?) senza stravaganze necessarie a far riconoscere che il lavoro sia stato fatto nel 2011!

Certo, Michelangelo non aveva tenuto in grande considerazione il programma medievale della Basilica di San Lorenzo, però aveva progettato una facciata in perfetta armonia con la “grammatica”, le proporzioni, i materiali e i colori dell’architettura fiorentina dopo l’opera di Brunelleschi, Michelozzo, Alberti e Rossellino.

Come propone il sindaco dunque, spero davvero che sarà la cittadinanza ad esprimere il proprio parere, Michelangelo o Arnolfo, purché tutto avvenga nel massimo rispetto della filologia e del contesto!


Link:
Libero: Confindustria, positivo dibattito su completamento facciata San Lorenzo
Blog Cristallo di Rocca: Caldi agostani
La Nazione, Firenze: San Lorenzo, pensiamo alle crepe sulla cupola
Corriere Fiorentino: San Lorenzo: Festa e rivoluzioni
Skyscrapercity: E' giusto o no completare le facciate delle basiliche secoli dopo?
Corriere Fiorentino: La città non è delle Soprintendenze
FAI, Fondo Ambiente Italiano: Michelangelo, una archistar per Firenze
Massimiliano Savorra: progetti per la facciata di San Lorenzo a Fierenze (1900-1905)

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14 agosto 2011

BUON FERRAGOSTO

Una cartolina di Buon Ferragosto con il drappellone o "cencio" del Palio dell'Assunta del 16 agosto, a Siena naturalmente (che pare abbia scampato il pericolo di perdere la provincia: peccato, già ad Arezzo pensavamo di averla "conquistata").
La spiegazione della fattura del drappellone è qui.

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8 agosto 2011

PROPOSTA DI LEGGE SUI CONCORSI DI ARCHITETTURA

Questa è una proposta per i concorsi di architettura che non ha affatto la pretesa di essere proposta di legge, come c’è scritto nel titolo che è uno specchietto per le allodole.
E’ solo un post in cui parlo dei concorsi e formulo alcune proposte, non organiche certamente ma in cui io credo abbastanza. Dico abbastanza perché non di tutte sono convinto al 100%.
Globalmente si tratta di una provocazione. Tuttavia la legge attuale e le altre proposte che ho letto non portano a niente perché si basano su presupposti assolutamente sbagliati, il peggiore dei quali è che sono sempre gli esperti, i tecnici, i "migliori" a decidere perché la politica sarebbe corrotta (e i cittadini non li prende in considerazione nessuno).
Se questo fosse vero, allora tanto varrebbe rinunciare alla democrazia, dato che i politici sono eletti dai cittadini e quindi, se sono corrotti i politici lo sono anche i cittadini. E non si tiri fuori la legge elettorale, dato che le attuali leggi trovano origine nel post tangentopoli, cioè quando c’erano le preferenze e l’uninominale.


Legenda: in rosso i commenti a me stesso

PRINCIPI GENERALI
Si soprassiede sulle premesse e sulla storia dei concorsi, per amor di patria, e si arriva subito ai principi generali.

Quello che i concorsi non devono essere:
• I concorsi di architettura non sono un metodo per fare lavorare gratis et amore dei, e senza speranza, centinaia di architetti per volta
• I concorsi di architettura non sono neppure welfare e non servono quindi a fare poca assistenza a molti allo scopo di creare consenso
• I concorsi di architettura non devono alimentare il sistema corruttivo, in senso etico ma anche in senso molto materiale, dei giudici che favoriscono i propri sodali, con scambio di ruoli con i sodali che giudicano i giudici della volta precedente
• I concorsi di architettura non devono servire solo a fare svolgere i concorsi di architettura e poi tutto finisce lì. A concorso deve seguire incarico e opera. Basta con l’onanismo dei concorsi

Quello che i concorsi devono essere:
• I concorsi di architettura servono a scegliere i migliori progetti per la città e non i migliori architetti per le riviste.
• Poiché la città è composta da cittadini e amministrata da amministratori eletti dai cittadini, i giudici dovranno essere gli esperti, i cittadini e gli amministratori eletti dai cittadini.
• E’ garantita alle riviste libertà di stampa e di opinione e se vorranno poi recensire i migliori architetti per le riviste, liberissime di farlo, tanto non le legge più nessuno, a parte gli architetti, che sono solo una parte - anche se consistente - dei cittadini.

PROPOSTA
I concorsi sono aperti a tutti.
Ma non tutti devono lavorare come pazzi a vuoto, anche per non creare inutili e frustranti aspettative.
I concorsi si svolgeranno in due fasi:
• nella prima fase tutti inviano un curriculum e una proposta progettuale composta di 1 max 2 tavole A3 che illustrino l’idea del progetto e una relazione in una pagina A4
• la commissione seleziona un numero di progetti limitato, massimo 5, tra quelli pervenuti, che passeranno alla fase successiva in cui il progetto sarà approfondito con massimo 3 tavole A1 e una relazione
Scendere nel particolare del formato e del numero delle tavole potrà sembrare sbagliato in questa fase, ma “Dio sta nei dettagli” ed è invece proprio nei dettagli delle leggi italiane che si annida il Diavolo.
A tutti i selezionati sarà riconosciuto un rimborso spese adeguato alla natura del progetto e comunque non simbolico.
Per fare un esempio: da 5 a 10.000 euro ciascuno. I concorsi costano ma costa molto di più bandirli e poi non assegnarli, cioè il solito coitus interruptus.
Al progetto vincitore sarà affidato l’incarico per la progettazione dell’opera (a questo punto si inserisce la proposta, molto ragionevole ed equa, di cui ai punti 6 e 7 della Proposta di legge del Sole 24 ore)
Questa prima parte di procedura non è inventata di sana pianta, ma fa riferimento al sistema adottato in Francia dove, con un metodo analogo a questo, vanno a concorso moltissime opere non solo pubbliche ma anche private.

Composizione della commissione e criteri di determinazione del vincitore:
La commissione sarà composta da un numero dispari di membri e sarà presieduta dal Sindaco o suo delegato (o comunque dal rappresentante dell’ente banditore).
Questa è una proposta scandalosa nell’Italia moralista, giustizialista e anti-casta di oggi ma è l’unica che possa ridare responsabilità e dignità alla politica. Il Sindaco è eletto dai cittadini e quindi lui risponde del proprio operato a fine mandato, non gli altri.
I rimanenti membri saranno nominati al 50% dal Consiglio Comunale (o dall’organismo rappresentativo dell’ente banditore) e il rimanente 50% scelto dall’ente banditore tra una rosa di nomi indicati dagli Ordini professionali. Un funzionario dell’ente banditore svolgerà mansioni di segretario.
E’ chiaro l’intento di rimettere le scelte nelle mani della politica, sempre in base al principio di rappresentatività. Mi pesa un po' indicare gli Ordini, però al momento non conosco altro organismo che abbia maggior rappresentatività degli architetti. L'Università forse? Peggio mi sento! Meglio gli Ordini, almeno sono presenti in ogni provincia.
La commissione stabilirà una graduatoria tra i progetti selezionati e ammessi alla seconda fase, giustificandone con precisione le motivazioni, che saranno rese pubbliche.
I progetti selezionati saranno successivamente sottoposti al giudizio dei cittadini, previa esposizione dei progetti stessi. Nell’ambito di tale esposizione sarà tuttavia possibile prendere visione di tutti i progetti partecipanti, cioè anche quelli della prima fase.
E’ evidente la finalità di rendere accessibili tutti i progetti e non solo quelli selezionati: i cittadini, i partecipanti e  chiunque ne abbia interesse potrà così giudicare il lavoro della giuria. Data l’esiguità degli elaborati sarà un lavoro che non richiede particolari sforzi e costi di allestimento.
Per cittadini si intendono i residenti nel comune in cui sorgerà l’opera. Il periodo a disposizione per il voto non potrà essere inferiore a tot giorni, dopo un minimo di tot giorni in cui sarà data ampia pubblicità all’evento. Il voto sarà raccolto con la semplice presentazione del documento di identità che attesti la residenza.
Il tot sta a dire che non sono sicuro, ma immagino che 10 sia numero sufficiente per entrambe le scadenze. La cosa deve essere snella e non andare alle calende greche (tanto ad andarci, alle calende, ci pensa da sola).
Nelle città grandi, per opere di interesse esclusivo di zona o di quartiere, il voto potrà essere limitato ai residenti nella zona o nel quartiere.
Al termine della consultazione popolare il Sindaco (o il rappresentante dell’ente banditore) decide il progetto vincitore. Il Sindaco può avvalersi dei consulenti che ritiene più opportuni, i quali presteranno la loro opera dietro pagamento di un semplice rimborso spese.
Sarebbe più corretto che il Sindaco intervenisse solo nella fase finale, senza dunque partecipare ai lavori della giuria. Però è importante che tale figura sia presente anche nella prima fase di selezione dei progetti. Semmai è da valutare se debba partecipare alla scelta della seconda fase o se al suo posto non debba essere previsto un funzionario tecnico dell’amministrazione, visto che il Sindaco sarà quello che alla fine decide.

Considerazioni finali
Come ho detto questa proposta di legge è chiaramente una allegra provocazione. Sono una serie di principi generali e particolari (ricordiamoci sempre che Dio ecc. ecc.). E’ tutta da valutare, in specie nella fase di votazione dei cittadini. Quello che fa paura non è la possibilità, anzi la certezza, di polemiche, ché anzi è proprio questo il cuore e la vita della scelta di un progetto per la città, semmai la scarsa partecipazione, oppure la possibilità di organizzare politicamente i votanti. Perché è chiaro che a quel punto i nomi dei progettisti saranno resi noti. Ma anche questo, in fondo, è un rischio da correre, perché la città si organizza in base alla politica e non esiste, né può esistere, meccanismo perfetto, essendo la democrazia imperfetta per sua natura. Se si vuole scambiare la democrazia con la perfezione, si accomodino lor signori.
Un dubbio mi rimane sull’anonimato. Personalmente sarei propenso ad eliminare questa ipocrisia, ma capisco anche le ragioni contro.

Pietro Pagliardini

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6 agosto 2011

PIAZZA SAN SILVESTRO: L'ATTACCO AL CENTRO STORICO CONTINUA

Ricevo dal Prof. Ettore Maria Mazzola questo testo sul progetto di "riqualificazione" di Piazza San Silvestro a Roma che pubblico con piacere.

****
Piazza San Silvestro: l’attacco al centro storico continua
di
Ettore Maria Mazzola

La cronaca romana di questi giorni ci ha mostrato la rivolta pacifica suscitata dall’avvio del progetto di “riqualificazione” di Piazza San Silvestro. Una rivolta più che prevedibile.
Intanto c’è da chiedersi se, con tutti i problemi di Roma, specie in periferia, la “riqualificazione” di piazza San Silvestro sia una priorità che giustifichi una spesa di circa € 2.500.000,00.
Poi chiediamoci se il progetto in corso possa realmente definirsi un progetto “riqualificante”, oppure se non si tratti dell’ennesimo abominio progettuale, figlio dell’ideologia modernista e del disinteresse per il contesto nel quale si interviene, che pone al centro di tutto l’affermazione dell’ego del progettista.
Il risultato di questa ennesima “gaffe urbanistica” dell’amministrazione capitolina, è stata l’ovvia rivolta dei cittadini che hanno manifestato il proprio disappunto bloccando il cantiere. Contemporaneamente sui blog si sono moltiplicati i messaggi che implorano la sospensione del progetto e chiedono un cambio di direzione nella gestione dell’urbanistica romana.

Per quanto mi riguarda non posso che unirmi al coro degli indignati; del resto, dopo la violenza all'Ara Pacis, e lo stupro dell’Unione Militare, questo intervento rappresenta il progredire delle metastasi, di un "tumore" che, originatosi con il Museo dell'Ara Pacis, si sta estendendo fino a Piazza San Silvestro in una direzione ... e Largo Perosi nell’altra. Del resto era prevedibile, se si dà a Meier e Fuksas il permesso di sfregiare il centro storico più bello del mondo, chiunque può sentirsi legittimato a fare altrettanto!

La realtà dei fatti è che non c'è più alcun amore per la nostra città, né da parte degli architetti (che in realtà pensano solo al loro ego), né tantomeno da parte dei politici, ai quali interessa solo la propaganda. Per questi ultimi, spesso profondamente ignoranti, l'importante è che il proprio nome sia sui giornali e, siccome la gente legge a stento i titoli e sempre meno i contenuti, che si parli bene o male non fa nulla, basta che si parli.
Eppure non è che ci vorrebbe molto a capire come fare una piazza: se facciamo il raffronto tra la mobilitazione in atto per bloccare l’esplanade di San Silvestro, con quella che fu la mobilitazione popolare per mantenere in pristino la finta fontana barocca istallata a Fontanella Borghese per il set cinematografico Disney 2 anni fa, ci accorgeremmo che la gente comune, ovvero i fruitori degli spazi urbani, non fa polemica per il gusto di farla, ma la fa per evitare di vedere violentati gli spazi che le appartengono. Nei due casi menzionati, infatti, si è “combattuto” per evitare uno scempio o per mantenere un qualcosa che, esteticamente, si riteneva apportasse una miglioria allo spazio preesistente.

A tal proposito sarebbe il caso di ricordare che il Codice Civile italiano tutela tutti coloro i quali rivendicano il possesso di un luogo che utilizzano, frequentano o guardano, e che come tali devono essere tenuti in considerazione prima di apportare delle modifiche; sarebbe quindi utile recuperare concetti come quello contenuto nel Piano per Bari Vecchia del 1930, (G. Giovannoni – C. Petrucci) che recitava «[…] Tra le attribuzioni del Comune e della commissione dovrà essere quella che fa capo al Diritto Architettonico, in quanto l’opera esterna non tanto appartiene al proprietario quanto alla città».
Ovviamente, nel coro di protesta contro il progetto di Piazza San Silvestro, c’è stato anche chi, dalla Facoltà di Architettura, ha suggerito di coinvolgere personaggi come Foster, Pei, Piano e l'Aulenti che, a suo avviso, potrebbero dare delle soluzioni più consone ad una piazza … da parte mia, se penso a ciò che Gae Aulenti ha fatto al Foro Carolino di Napoli mi viene la pelle d'oca!!

A tal proposito, penso che più che suggerire delle archistar, che mirano solo a mettere la loro firma sul territorio, sia necessario coinvolgere tutti coloro i quali vogliano mostrare ciò che vorrebbero venisse realizzato in Piazza San Silvestro; ma soprattutto, vorrei che ad esprimersi non debba essere una "commissione di esperti" (visto che si sono formati, o meglio che sono stati lobotomizzati, nelle facoltà di architettura e ingegneria italiane votate al modernismo), ma che debbano essere i cittadini ad esprimere le loro preferenze, mediante un processo partecipativo reale e non fasullo, come quello della recente presa in giro per Largo Perosi alla Moretta.
A mio avviso Roma, che è la città delle fontane, meriterebbe di avere una vera fontana in Piazza San Silvestro, (l’ultima degna di tale nome è quella realizzata da Attilio Selva nel 1928 in Piazza dei Quiriti!) meriterebbe di avere una pavimentazione non astrusa come quella del progetto in corso, ma legata alla geometria che la contiene, una pavimentazione che tenga in considerazione le gerarchie degli edifici che la circondano; Piazza San Silvestro meriterebbe dei lampioni degni di portare luce nel centro di Roma, e non brutti come quelli installati lungo via Veneto.
Il progetto in corso presenta una serie di orribili “panchine-bara”, prive di schienale e messe alla rinfusa: una soluzione che sembra più una disposizione casuale di oggetti, utile a riempire il vuoto della piazza, che non un tentativo di realizzare un luogo per la socializzazione ove riunirsi e chiacchierare … non ci vogliono le archistar per capirlo, ma una semplice analisi storico-tipologica degli spazi urbani di Roma.

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4 agosto 2011

SOGNO DI UNA NOTTE MEZZA ESTATE

Un augurio di buone vacanze con una precisazione e un sogno.
La precisazione è che ho letto nel libro Fascio e martello, Laterza che Antonio Pennacchi è diplomato geometra, mentre io nel post precedente avevo scritto, come apprezzamento, che non era né architetto né geometra. Il mio apprezzamento resta intatto.
Il sogno è dettato dalla contingenza della crisi economica: tutti parlano di risparmiare, meno auto blu, il Quirinale ha tagliato 15 milioni, alla Camera hanno rinunciato all'apertura serale del ristorante e facezie varie. Al danno della crisi si aggiunge la beffa della ridotte vacanze del Parlamento: meno ferie = più leggi inutili, complicate e illiberali.
Il sogno di una notte di mezza estate? Che comincino a liberalizzare, eliminando le leggi e non producendone nuove. Allentino il controllo sociale su tutto. Un cittadino per fare una nuova stanza spende più di tecnici e di carta che di opere. Per costruire e aprire un'azienda occorrono mille permessi e tempi infiniti. E se poi il progetto è pessimo non interessa un accidente a nessuno.
Liberalizzino l'edilizia per i cittadini e semplifichino quella per le imprese, e anche gli architetti la finiscano con l'ipocrisia di gridare allo scempio edilizio se un cittadino fa una stanza in più perché gli serve. Discreditano la categoria.
Il vero risparmio? Allentare la presa della politica sulla società, diminuire le procedure, diminuire le "istruttorie" e quindi gli addetti a compiti inutili nei comuni e negli enti.
Più responsabilità ai cittadini = riforma a costo zero.
Intanto il ristorante alla Camera la sera è chiuso: un bel sollievo per l'economia!
Buone vacanze.
Pietro

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