Nella cassetta della posta ho trovato un giornale dal titolo Architetti, sotto titolo Idee, Cultura e Progetto. Ho pensato a materiale pubblicitario che fa sempre la solita fine, dopo la separazione della plastica che lo avvolge dalla carta. Poi ho visto la casa editrice, Maggioli, e l’ho sfogliata. Formato tabloid, fogli staccati tipo quotidiano, carta pesante, veste grafica studiata per una buona leggibilità. E’ già un pregio.
Sostenibilità a piene mani, ovviamente, qualche premio (alla sostenibilità), immancabile l’IPad, applicato all’architettura in questo caso.
Un titolo verso la fine attrae la mia attenzione: Sì alla rue, no al corridor. E sotto: Il quartiere Masséna, Paris, Rive Gauche. Sono costretto a leggere l’articolo. Che vorrà dire? Le Corbusier rivisitato? Oppure una sua mezza negazione? Insomma, il bicchiere sarà mezzo vuoto o mezzo pieno?
La faccio breve: si tratta di un nuovo quartiere in costruzione il cui piano urbanistico è di Christian de Portzamparc. Io ero rimasto alla Villette, quando ancora mi interessavano i nomi dei progettisti, anche se la Citè de la Musique non mi era piaciuta proprio. Cosa ha di speciale questo piano di Masséna? Ha che de Portzamparc pare essere famoso per l’isolato aperto, o open block o ilot ouverte - dico pare perché io non lo sapevo e quindi per me è una novità – e in questo quartiere c’è l’applicazione di questa novità.
Quale sarebbe la caratteristica di questo ilot ouvert? Sarebbe che le strade formano un tessuto analogo a quelle della città tradizionale, nella fattispecie credo che rimanga più o meno la trama attuale, ma gli isolati non sono costituiti da fronti continui lungo strada, bensì vengono lasciate aperture, varchi, distacchi tra gli edifici, essendo però costruiti gli incroci, cioè i punti più interessanti e singolari di un isolato. Ma qual è lo scopo di questa scelta o trovata che dir si voglia? Quella di permettere la costruzione di tanti edifici staccati l’uno dall’altro, ma abbastanza vicini l’uno all’altro, in modo tale che ogni progetto possa essere diverso dall’altro ma, è specificato nell’articolo, nel rispetto di certe sagome o profili.
Cito il brano specifico dell’articolo di Carlo Teodoli: “Dov’è l’idea chiave di de Porzamparc nel quartiere Masséna? E’ nel suo concetto di Ilot-Ouvert; un solo concetto semplice, ma che vale tutto il quartiere, e che apre a un vasto scenario, anche infinito, di “variabili” dell’architettura senza rinunciare alle “costanti” di buon funzionamento urbanistico e viabilistico del quartiere; parafrasando Le Corbusier (no alla rue corridor) de Porzamparc afferma invece: sì alla rue ma no al corridor”.
Chiaro no? Lo scopo è quello di consentire la massima libertà progettuale inserita in un tessuto apparentemente simile a quello proprio della città.
Nell’articolo vi sono una serie di foto di edifici ma non c’è alcuna planimetria. Gli edifici sono molto fantasiosi, nel senso che sono tutti diversi, come da concetto-guida, di varie altezze da quattro fino a circa 12 (almeno nelle foto del giornale; nel sito se ne vedono di molto più alti) e sono molto vicini tra loro. Non si capisce bene, o meglio, a giudicare dalle foto non vedo nessuna novità rispetto ad una città fatta di grattacieli, ma molto più bassi, cioè non sono grattacieli. Cerco su internet e trovo di più qui, su www.arthitectural.com (ma che nome impronunciabile che ha questo sito!).
Le immagini sono accattivanti e mi è impossibile capire se siano foto o rendering di altissima qualità. Per essere realtà è troppo ordinata, per essere rendering ci sono particolari troppo realistici (oggetti di uso comune che si intravedono dai parapetti traslucidi delle terrazze). Ma non ha troppa importanza, qui si capisce abbastanza bene ciò che è o dovrà essere.
Ci sono poi anche alcuni grafici che sintetizzano l’idea che sta dietro al quartiere.
La trovata è, dal punto di vista del marketing, assolutamente geniale. Lo slogan è azzeccato. Insomma, la confezione è ottima. Il risultato molto meno. Gli spazi tra gli edifici sono privi del minimo senso. Non sono strade, non hanno altro scopo che mantenere i distacchi in funzione dell’esaltazione degli edifici, sono vuoti lasciati per la vuota vanità dell’architetto e sono inevitabilmente destinati all’abbandono.
Il principio dell'ilot ouvert non è urbanistico, è architettonico. Nell’articolo della rivista c’è scritto: “…i risultati sono molto interessanti: rinuncia (de Portzamparc) a firmare l’architettura di edifici ma firma l’urbanistica del planivolumetrico come se fosse un immenso e articolato edificio, per affermare, magari senza volerlo, il ruolo del progettista “dal cucchiaio alla città” o, più semplicemente, il primato dell’architettura come disciplina globale nel design della città dove l’urbanistica (come l’ingegneria del resto) è insomma un suo autorevole affluente, ma non il contrario”.
Ecco, io credo sia vero proprio quel contrario, anche se, idealmente, le due discipline dovrebbero essere intimamente unite, come lo sono state nel passato. Penso però che questo non sia più pienamente possibile, non nel linguaggio architettonico almeno. E’ possibile invece negli aspetti tipologici e morfologici, nella indicazione planivolumetrica (come nel caso in oggetto, in fondo), nel controllo delle altezze, nella continuità della cortina stradale, che è un aspetto urbanistico e architettonico allo stesso tempo.
Insomma, il bicchiere è mezzo vuoto, la rue o è corridor o non è. Inutile tentare mediazioni tra l’isolato (sostantivo) e l’edificio isolato (aggettivo) nel lotto. Il risultato resta quello di una città priva di sequenze, una somma di oggetti cui la presenza della strada non riesce comunque a garantire una continuità.
Ma voglio finire con una nota di ottimismo estivo: prendiamola come una manovra di avvicinamento al punto di...inizio.
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