Ecco arrivato proprio adesso per e-mail un caso "di scuola" di sciocchezze pseudo-scientifiche per propagandare un nuovo grattacielo a Seul.
Mi ha attirato in verità il titolo, altrimenti neanche lo avrei guardato quel progetto:"Lo studio danese BIG sceglie Seoul per il progetto delle Cross Tower".
Caspita, mi sono detto, adesso sono i progetti che scelgono le città e non viceversa.
Sembra che i progettisti abbiano progettato un progetto in studio e poi abbiano trovato da venderlo, in questo caso a Seoul. Praticamente avrebbero fatto i piazzisti. La riprova che questa architettura "ad oggetti" è puro design. Invece che per il soggiorno si progetta per la città, gli edifici come l'arredo urbano. Propongo che la Biennale d'Architettura la trasferiscano al Salone del mobile di Milano, sarebbe più corretto e più serio e anche gli slogan immaginifici e incomprensibili che vengono di solito utilizzati si rivelerebbero per quello che sono: marketing pubblicitario senza contenuti.
Ma veniamo alla parte "scientifica" che è addirittura esilarante:
"Il futuro grattacielo, dalla geometria insolita, prevede la realizzazione di tetti verdi e vivibili appositamente pensati per le passerelle orizzontali, che saranno arredate con viali alberati pedonali, aree da gioco e spazi comuni, garantendo una soluzione che limita il surriscaldamento durante la stagione estiva".
Provate a stimare la superficie dei tetti in quel progetto rispetto alla superficie complessiva di tutti i piani e ditemi voi se è possibile parlare di limitazione del surriscaldamento estivo.
Forse nel piano immediatamente sottostante, ma questo dimostra che è una pubblicità subdola perchè suggerisce ciò che non può essere. Inoltre, a fronte di un eventuale risparmio energetico nel blocco orizzontale sospeso tra i due verticali, c'è la perdita del primo solaio completamente a contatto con l'esterno.
Per fortuna che ogni tanto c'è qualche commento troppo zelante che rende evidente a tutti la vera natura del grattacielo che tutto potrà essere meno che sostenibile dal punto di vista energetico e che tutto l'ambaradan di parole che vengono appiccicate addosso a questi progetti sono solo pubblicità per il progettista e per la vendita dell'immobile.
12 maggio 2012
DISINFORMAZIONE: LA FALSA SCIENZA SUI GRATTACIELI
19 aprile 2012
GRATTACIELI A ROMA: I VIDEO
Si è svolto a Roma il 13 aprile un incontro per discutere sulla proposta di Alemanno di individuare aree per costruire i grattacieli. Erano presenti tra gli altri: Paolo Portoghesi, Oreste Rutigliano, Vittorio Sgarbi, Amedeo Schiattarella, Ettore Maria Mazzola, Giorgio Muratore, Franco Purini. Alcuni di essi fanno parte della "commissione grattacieli" voluta dal Sindaco di Roma.
Non ero presente quindi mi limiterò ad allegare i video che al momento sono disponibili in rete. Anche l'ordine cronologico non so se corrisponda, ma non ritengo sia molto importante. Purtroppo il video di E.M. Mazzola è stato girato senza inquadrare le slides che venivano da lui illustrate.
Mi risultano oscure e molto estemporanee le motivazioni che possano spingere un sindaco di una qualsiasi città, a maggior ragione di Roma, a decidere di istituire una "commissione grattacieli" per individuare aree adatte a tale tipologia.
Soprassedendo sull'anacronismo, sulla non sostenibilità ambientale, sulla pericolosità, sulla estraneità di tale tipo rispetto alla realtà italiana, è incomprensibile e profondamente sbagliata l'idea stessa di immaginare zone adatte ai grattacieli perchè è un modo diverso di perpetrare una zonizzazione, che in questo caso è tipologica, creando "isole" specializzate destinate a diventare nuove periferie alternative e diverse rispetto alla città. Uno sprawl verticale in sostanza.
Aggiungo, con un misto di amarezza e sadismo, che probabilmente il "combinato disposto" di IMU e rivalutazione triennale del valore degli immobili sarà l'ostacolo che riuscirà a fermare questa sciagurata operazione.
Leggi tutto...
11 dicembre 2011
QUANDO IL CATTIVO GUSTO SUPERA OGNI IMMAGINAZIONE
di Ettore Maria MAzzola
È di questi giorni la notizia che a Seoul, nell’area dello Youngsan Dream Hub, un centro per affari progettato da Daniel Libeskind, lo studio olandese MVRDV sta per realizzare due grattacieli gemelli ispirati all’attacco alle Twin Towers. Avete capito bene, le torri non sono ispirate a quelle di Yamasaki, bensì alle torri avvolte dalle nuvole causate dall’attacco kamikaze con gli aerei.
Nelle scorse settimane, l’Italia s’era indignata a causa dell’ultima trovata pubblicitaria della Benetton che vedeva il papa baciarsi sulla bocca con l’Imam, sicuramente una scelta di cattivo gusto, che però mostrava una scena d’amore e di pace, mentre qui ci troviamo davanti ad una scelta intenzionalmente ispirata dalla violenza.
La nostra cultura – ammesso che si possa ancora arrogare il diritto di adoperare questo termine – basandosi esclusivamente sull’edonismo e sul principio della “società dello spettacolo” ha perso del tutto il “comune senso del decoro”, non c’è più alcun senso del pudore che debba rispettarsi, BISOGNA APPARIRE!
Nella perenne competizione del mondo consumista e della Società dello Spettacolo, non c’è possibilità di emergere se si rimane “normali”, è indispensabile intraprendere la via del “famolo strano” se si vuol sperare, come diceva Andy Wahrol, di godere dei propri 15 minuti di notorietà.
Il “famolo strano” è una delle tante sfaccettature di quello che George Simmel definiva l’atteggiamento blasé:
«l'individuo dell’ambiente metropolitano ostenta indifferenza e scetticismo e risponde in maniera smorzata a un forte stimolo esterno a causa di una precedente sovrastimolazione, o meglio in conseguenza di stimolazioni nervose in rapido movimento, strettamente susseguentesi e fortemente discordanti. La più immediata causa all'origine di questo atteggiamento è la sovrastimolazione sensoriale offerta dalla città. Il cittadino sottoposto a continui stimoli in qualche modo si abitua, diviene meno recettivo. Il susseguirsi quotidiano di notizie ed emozioni fa divenire tutto normale, consuma le energie. Così subentra un'incapacità di reagire a sensazioni nuove con la dovuta energia e questo costituisce quell'atteggiamento blasé che, infatti, ogni bambino metropolitano dimostra a paragone di bambini provenienti da ambienti più stabili e tranquilli. Gli aspetti economici, l'economia monetaria e la divisione del lavoro alimentano anch'essi l'atteggiamento blasé. Il denaro è l'equivalente, l'unità di misura e spesso l'unico termine di confronto, di tutti gli innumerevoli oggetti, fra loro molto diversi, di cui dispone l'uomo. Oggetti per altro acquistati da un mercante e non da chi con fatica ed intelligenza li ha prodotti. Naturale conseguenza è la perdita dell'essenza e del significato delle cose. Tutto diventa opaco, la valutazione pecuniaria dell'oggetto finisce col divenire più importante delle sue stesse caratteristiche. Così si acquisisce l'insensibilità ad ogni distinzione, che è un'altra caratteristica dell'atteggiamento blasé».
Ecco quindi che, per godere dei propri 15 minuti di notorietà, non occorre necessariamente che quella ci venga per dei meriti … anche i demeriti vanno bene, purché si possa parlare di noi!
Anni fa, credo fosse il 1995, “enzimi” organizzò un concorso di progettazione per giovani architetti nel cui bando gli organizzatori dicevano che avrebbero premiato il progetto più “irriverente e dissacrante” … un ottimo modo per istigare le nuove leve a produrre opere fini a sé stesse e a fregarsene degli uomini e dell’ambiente.
Ma dove porta tutto questo?
Per il momento mi limito a far notare che, benché il progetto sia stato fatto da MVRDV, il masterplan è stato sviluppato da Daniel Libeskind … e il piano per Seoul ha delle sinistre similitudini con il piano dello stesso Libeskind per Ground Zero. Per la proprietà transitiva si deve supporre che uno zampino dell’architetto polacco debba esserci stato!
Inoltre, non è possibile credere alle parole di Jan Knikker di MVRDV il quale, una volta scoppiato lo scandalo per il progetto, ha dichiarato al quotidiano olandese Algemeen Dagblad, “Non era nostra intenzione creare un'immagine simile agli attacchi, né si vede la somiglianza nel processo progettuale" … tant’è che poi ha dichiarato "Devo ammettere che abbiamo pensato anche agli attacchi del 9 / 11".
Ebbene, alla luce di questa vergogna, ricordo a tutti che Daniel Libeskind è, insieme a Massimiliano Fuksas, uno degli “architetti di fama internazionale” a capo della “Commissione Grattacieli per Roma” … quale futuro dobbiamo aspettarci per la Capitale?
Mi auguro che il sindaco e il suo entourage riflettano a fondo, e blocchino sul nascere l’idiozia dei grattacieli a Roma.
Leggi tutto...
29 novembre 2011
GIORGIO MURATORE SUI GRATTACIELI
E' raro avere la capacità di condensare in poche righe la storia e contemporaneamente fotografare la forma grattacielo e la società che la esprime. Il prof. Giorgio Muratore ci è riuscito, anzi ci era già riuscito, visto che l'articolo è del 2008.
Davvero è difficile aggiungere altro alla denuncia di questa condizione che è, prima di tutto, politica ad un sistema di potere che oggi è molto più riconoscibile, vicino e incombente.
Leggi tutto...
15 novembre 2011
GRATTACIELI A ROMA: COMUNICATO STAMPA
Pubblico il comunicato stampa emesso dopo la conferenza stampa in ordine alla istituzione della "Commissione grattacieli" dal Comune di Roma. Seguono link a post sui grattacieli.
Nell’era della sostenibilità, in concomitanza con una delle peggiori crisi economiche che il nostro Paese abbia mai attraversato, l’istituzione della “Commissione Grattacieli per Roma” appare come un atto irresponsabile destinato a gettare nel baratro Roma e l’Italia.
Nel resto del pianeta, dove questa tipologia edilizia è stata adottata per ragioni ideologiche e speculative, gli stessi responsabili si sono trovati a dover fare i conti con crisi gravissime e fallimenti; non è quindi possibile accettare che Roma, a causa di una scelta avventata dell’attuale sindaco, debba patire le stesse sorti.
I dati aggiornati dell’Agenzia Europea per l’Ambiente (EEA) dimostrano che l’edilizia industriale che ha caratterizzato gli ultimi 70-80 anni, risulta la maggiore responsabile dell’emissione di CO2 e gas serra, più dell’industria e più dei trasporti. In particolare, la tipologia edilizia del grattacielo risulta essere uno dei peggiori esempi da promuovere, essendo altamente energivora e dipendendo in maniera insostenibile dai sistemi meccanici di raffrescamento e riscaldamento.
È altresì necessario sfatare il mito che vede il grattacielo come un toccasana al consumo di territorio: il grattacielo concentra un quantitativo di persone enorme, e necessita di enormi superfici destinate a parcheggio, di strade ampie in grado di accogliere gli enormi flussi di traffico diretti preso questo congestionatore di città. Tipologie del genere possono sopravvivere in luoghi ove il sistema dei trasporti pubblici è talmente efficiente e capillare da disinvogliare la gente all’uso dell’automobile, ergo non a Roma.
Queste valutazioni contrarie ai grattacieli si sommano a Roma all’impatto che avrebbero con i valori storici, artistici e spirituali; rispetto quindi alla salvaguardia di tale patrimonio culturale vale la pena ricordare come questa città unica al mondo ha avuto una formazione lenta ma continua nella storia, del proprio Genius loci, a partire da un’epoca antichissima con la sua eredità di beni monumentali romani che si sono conservate nei secoli. L’apporto poi soprattutto nel 500 del Papato e della Chiesa cattolica che hanno saputo impostare la struttura della città moderna che, superato indenne quella antica durante l’800 e il 900, consente ancora oggi a Roma , di mantenere il suo fascino.
Sarebbe grave trascurare questi precedenti e le voci di molti e autorevoli personalità culturali internazionali e compromettere così un’eredità decretata bene mondiale dall’Unesco.
Le proposte emerse a fine conferenza stampa riguardano l’avvio di un immediato confronto con le Commissioni Urbanistica, Ambiente e Trasparenza del Comune di Roma. Inoltre si prevede il coinvolgimento degli Istituti Stranieri presenti a Roma, che hanno svolto azioni critiche nei loro paesi, in relazione alla costruzione di nuovi grattacieli. Ultima, ma non per importanza, una campagna di informazione e sensibilizzazione territoriale con i cittadini dei Municipi romani dove è prevista l’edificazione di questa tipologia di costruzioni.
Italia Nostra - Sezione di Roma
Società Internazionale di Biourbanistica
Associazione Romana Proprietà Edilizia(ARPE)
Unione Cattolica Italiana Tecnici(UCIT)
Info 347 1924404
Link:
Grattacieli sostenibili e ...sostenuti
Qualche numero interessante sui grattacieli "sostenibili"
Ancora sui grattacieli "sostenibili"
Una ragione in più contro i grattacieli
Tutti a Parigi finchè siamo in tempo
Attualità di Giovannoni sui grattacieli
Insulae come grattacieli, Tertulliano come Langone
Langone ancora contro i grattacieli
Stefano Zecchi sui grattacieli
Grattacieli
L'assioma del grattacielo
La banalità del male
Tra la via Emilia e l'east
Leggi tutto...
12 novembre 2011
TRA LA VIA EMILIA E ....L'EAST
Dall'amico Enrico Defini, medico bolognese, viaggiatore curioso e appassionato di architettura e arte, ricevo questa cartolina di viaggio con alcune impressioni sui grattacieli di Manhattan ma non solo.
Caro Piero,
rientro da Manhattan, dopo una indigestione di grattacieli.
Erano con me una coppia di amici, che vedevano NY per la prima volta.
Mi sembra interessante riportarti le impressioni che questi amici (colti intelligenti ma "digiuni" in tema di architettura-urbanismo) esprimevano, al cospetto dei grattacieli.
Volutamente mi astenevo, per quanto possibile, da influenzare o pre-condizionare le loro opinioni.
Bisogna premettere che New York City, rispetto alla mia ultima visita, poco prima dell'11 settembre, è molto cambiata. Se due grattacieli mancano, decine di nuovi sono spuntati e stanno crescendo. Giurerei che la torre che stanno costruendo di fianco al Ground Zero Memorial, è cresciuta di un paio di piani nei sette giorni che sono stato là... (ha già raggiunto almeno i 300 metri!)
Innanzitutto si conferma che le forme "eleganti" in vetro acciaio e titanio vengono istintivamente viste come "belle" (e siamo al solito discorso sulla differenza tra oggetti di arredamento ed elementi urbanistici).
Ma insieme alla bellezza e allo stupore, i miei amici esprimevano anche valutazioni circa la "funzionalità" e considerazioni sugli aspetti logistici interni agli edifici e più in generale sulla rete infrastrutturale necessaria (indispensabile!) alla vita di un grattacielo.
Un edificio in cui abitano, o lavorano 5 o 10mila persone, non può esistere senza una rete di trasporti capiente, efficiente, vicina, affidabile.
Se i 7mila dipendenti del New York Times arrivassero al grattacielo (by R.Piano) sulla 8th av.-42nd street con le loro automobili, nessun parcheggio sarebbe sufficiente; nella migliore delle ipotesi alcuni (molti) dovrebbero lasciare l'auto a qualche centinaio di metri; le operazioni di ingresso e di uscita sarebbero caotiche e lunghissime. E la cosa andrebbe moltiplicata per centinaia di grattacieli.
E le operazioni di carico e scarico merci? Un albergo di 500, o mille, o 1500 stanze (e ce ne sono decine) produce spazzatura, biancheria da lavare, in quantità che fanno impressione. E gli approvvigionamenti? E lo stoccaggio delle scorte? Solo per la carta igienica, un camion al giorno!
Questo tipo di ragionamenti ha provocato nei miei amici una sorta di ammirazione per l'organismo "città" declinato alla newyorkese.
Facendo un paragone (moooolto ardito) con le nostre città e cittadine, dove si innalzano, o si vorrebbero innalzare, grattacieli senza un motivo plausibile e senza il substrato culturale storico logistico di cui NY dispone, si rischia di cadere nel ridicolo e nello scontato.
Ma è un fatto che NY è la città degli estremi. Foresta di grattacieli e tecnologie all'avanguardia, ma anche una città a misura d'uomo, dove ci si può spostare a piedi o in bicicletta.
E a proposito di bici, dopo 12 anni, ho constatato un netto aumento del loro uso; nelle mie precedenti visite ('93, '95 e '99) erano rarissime; solo qualche "pony express" di colore a sfrecciare pericolosamente. Noleggiarne una era possibile solo a Central Park, e solo tra maggio e settembre. Oggi ci sono decine di bike-rentals, decine di chilometri di piste ciclabili (e altre in costruzione); e anche centinaia di trabiccoli tipo "risciò" in cui un pedalatore trasporta due clienti su un divanetto posteriore; prezzo concorrenziale rispetto alle carrozze bianche.
Tornando ai grattacieli, bisogna riconoscere qualche qualità alla torre di Gehry a Lower Manhattan, la casa di abitazione più alta del mondo occidentale.
Mi ha deluso invece l'Heart Bldg di Foster.
E per parlare delle sensazioni mie personali in generale, rispetto agli anni '90, devo riconoscere che la lezione di Salìngaros ha lasciato il segno: gli edifici degli anni '20-'30, con i loro fregi art-déco (molti perfettamenti restaurati) mi sono quest'anno sembrati molto più belli e interessanti, rispetto alla fredde superfici delle glass-box.
In generale ho constatato di avere messo insieme uno sguardo più attento all'aspetto esterno mentre in precedenza mettevo in primo piano la funzionalità interna.
Scusa lo sproloquio, ma avevo piacere di condividere questi miei "pensierini"
Enrico
Leggi tutto...
9 novembre 2011
COMMISSIONE GRATTACIELI - ROMA
CONFERENZA STAMPA
La recente istituzione della Commissione "Grattacieli" voluta dal Sindaco Alemanno ha lasciato nello sconforto i romani, gli italiani e tutto coloro i quali, nel mondo, amano la Città Eterna. Il Gruppo Salìngaros, la Società Internazionale di Biourbanistica, la Commissione Urbanistica della Sezione Romana di Italia Nostra hanno dunque deciso di convocare questa conferenza stampa al fine di far riflettere il Primo Cittadino sulla inopportunità e pericolosità di questa scelta.
Quando:
Martedì 15 novembre, ore 11.00 - 12.30
Dove:
Sede Nazionale Italia Nostra
Viale Liegi, 33 tel. 068537271
Roma
Interventi:
Carlo Ripa di Meana
Ettore Maria Mazzola
Gabriele Tagliaventi
Nikos Salìngaros
Pietro Samperi
24 ottobre 2011
SULLA COMMISSIONE GRATTACIELI A ROMA
Un link ad un articolo del Prof. Gabriele Tagliaventi sulla costituita "Commissione grattacieli" del Comune di Roma:
23 ottobre 2011
LA BANALITA' DEL MALE
E così anche Arezzo entra, se pur dalla porta di servizio, nella "modernità" con il suo più noto simbolo: il grattacielo. Questa è una delle rare deroghe dedicate a parlare degli accadimenti della mia città, ma il tema è di quelli che interessano proprio questo blog.
Accade infatti che è stato approvato il Piano complesso(1) per una importante area all’ingresso della città, sede fino a circa dieci anni fa di una prestigiosa industria di abbigliamento poi decaduta, la Lebole, successivamente passata alla Marzotto, che prevede anche qualche grattacielino di 60 o 70 metri, non ricordo bene. Dalla porta di servizio a causa dell’altezza, troppo alta per la città ma troppo bassa per guardare in alto ed esclamare: "ooooh!" ma non solo per questo.
Non c’è in verità molta preoccupazione nel vedere disturbata la vista della città antica adagiata sul colle, proprio dal lato raffigurato da Piero della Francesca, dato che difficilmente quelle torri saranno mai realizzate, essendo state messe lì più come uno specchietto per le allodole a controbilanciare scelte del tutto diverse ma altrettanto “moderne” come un centro commerciale che per una convinzione profonda. Infatti, date le dimensioni del commerciale, per riequilibrare la grande superficie coperta si è evidentemente ritenuto che le torri fossero la soluzione più giusta e digeribile per liberare area da destinare a verde, con ciò aggiungendo male al male, perché condanna quell’area ad una condizione non urbana, dato che ci saranno due zone specializzate e separate: quella commerciale e quella residenziale, nessuna delle due aventi i caratteri della città. E’ il classico caso, negativo, in cui 1+1 fa meno di 2 e difficilmente saranno edificate in presenza di un mercato dove non si investe nemmeno in un condominio di quattro alloggi e quindi dubitiamo che qualche imprenditore rischierebbe il proprio denaro nelle torri le quali, una volta iniziate, vanno finite per vendere magari solo i piani "alti".
Stupisce però il fatto che tale scelta non sia stata nemmeno oggetto di dibattito in Consiglio Comunale, a leggere almeno il resoconto dell’ufficio stampa del Comune stesso: solo il consigliere del Movimento a cinque stelle ha fatto un accenno alla insostenibilità ambientale delle torri. Per il resto si parla d’altro.
Stupisce l’indifferenza con cui è passata questa perdita di “verginità”. Arezzo non è certo la prima città di provincia che sposa la verticalità, ma di ogni caso si è letto sui giornali, c’è stata discussione, fiere opposizioni e incondizionate dichiarazioni a favore. Qui invece si è parlato solo di commerciale, quasi a conferma di quanto prima detto. Le torri sono passate praticamente sotto silenzio, come fossero un accessorio, senza collera, certo, ma anche senza passione ed emozione.
Stupisce che un atto così “culturalmente” rilevante sia stato approvato in un momento in cui la città è in profonda crisi economica, con le industrie in difficoltà, e per la assoluta mancanza di idee e di volontà che non danno proprio l’impressione di essere in una fase creativa di sviluppo impetuoso. Non mi stupirebbe affatto l’adesione alla forma grattacielo come simbolo di sviluppo se ci trovassimo in una fase espansiva, se Arezzo avesse imboccato una strada di crescita economica che facesse presagire un futuro positivo e di speranza. E’ già avvenuto in passato che siano stati compiuti errori di cui oggi ci pentiamo, quale l’abbattimento delle mura urbane all’arrivo della ferrovia, ma almeno in quel caso c’era una spinta positiva verso la modernizzazione, c’era una comprensibile adesione ad un progetto di sviluppo. Ma oggi ci troviamo nella condizione opposta di decadenza e il simbolo stesso dell’improbabile rilancio, il grattacielo, è ormai diffuso in tutto il mondo sviluppato e anche sottosviluppato e non rappresenta nulla sotto il profilo della novità: non rappresenta più nessuna sfida né tecnica né ideale anzi accentua il contrasto con l’idea stessa di sostenibilità economica che a parole è la filosofia di questo tempo che viviamo. Il grattacielo è il simbolo vero di una contraddizione tra il pensiero e l'azione della nostra epoca. A meno che non si ritenga, e sarebbe quasi peggio, che il rilancio economico di una città possa essere affidato all’edilizia, di cui il grattacielo sarebbe, ancora una volta, il segno più sfavillante; non è così, ovviamente, avendo l’urbanistica il compito di disegnare le condizioni affinché la crescita si svolga in un ambiente urbano favorevole e l’edilizia al più può costituire un volano o un ammortizzatore in tempi di difficoltà, ma che può girare davvero solo se l’intera economia gira, non certo da sola. Il caso Spagna qualcosa dovrebbe avere insegnato.
Stupisce anche, e direi soprattutto, che questa scelta non sia stata minimamente inquadrata nella realtà urbana, economica e sociale di Arezzo, non tentando nemmeno di distinguere fra situazioni del tutto diverse, come quella di Milano ad esempio, città inserita a pieno titolo nel mondo del business globale, in cui c’è una sorta di obbligo di immagine che rispecchi questa realtà e si può anche comprendere, se non giustificare, che possa avere una sua importanza.
Non ci dovrebbe invece stupire dato che ormai sappiamo bene come la politica in genere abbia perso contatto con la realtà, sia diventata del tutto autoreferenziale e, al massimo, abbia come interlocutori privilegiati le varie corporazioni, chiusa nel suo Palazzo sempre più simile ad un grattacielo privo di rapporto vitale con la terra ma anche con la grandezza del cielo; tuttavia il minimo necessario di scambio di idee, anche sotto il profilo formale, sarebbe stato ragionevole attenderselo. Va detto, a parziale attenuante, che al solito la politica ha trovato il suo supporto nella tecnica, cioè negli architetti.
Molti altri sarebbero gli appunti da fare al Piano così detto complesso - che non è nemmeno un punto fermo dato che senza piano attuativo è poco più che una dichiarazione d’intenti, ragione in più per averne dovuto discutere senza l’urgenza dell’attuazione - ma questo dei grattacieli è il fatto più significativo di una scelta fatta in maniera indifferente e sbagliata, sintetizzabile appunto con l’espressione di "banalità del male".
Note:
1) Piano complesso d’intervento, in sigla PCI (sic): strumento urbanistico previsto dalla Legge urbanistica n° 1/2005 della Regione Toscana. E’ un piano intermedio tra il Regolamento Urbanistico e il Piano Attuativo che è talmente poco usato, servendo davvero a poco e allungando i tempi, dato che comunque prevede un successivo Piano Attuativo, che nella proposta di revisione della Legge la Regione ne ha deciso giustamente l’abolizione.
Altri link:
La Nazione- Arezzo
Commenti su Informarezzo
Osservazione al Piano Complesso presentata da INARSINDAREZZO
Credits:
L'immagine del primo progetto di 5+1AA è tratta dal quotidiano La Nazione
19 ottobre 2011
COMMISSIONI "GRATUITE" PER INTERVENTI GRATUITI
di Ettore Maria Mazzola
Purtroppo quello che è circolato in questi giorni sul Blog Archiwatch del buon Prof. Muratore non era uno dei suoi simpatici scherzi firmati “Falso Cascioli”, è tutto vero e documentato sul sito istituzionale del Comune di Roma, sulla pagina ufficiale si legge:
“Il giorno 4 ottobre 2011 e il giorno 11 ottobre 2011 alle ore 14,30 alla presenza dell’Assessore all’Urbanistica, avv. Marco Corsini, si sono insediate ufficialmente la “Commissione Piazze” e la “Commissione Grattacieli”, entrambe istituite dal Sindaco di Roma Capitale”.
“La Commissione Piazze, è presieduta dal Prof. Paolo Portoghesi, Architetto di fama internazionale, è composta dal Prof. Francesco Cellini, Architetto di fama internazionale e Preside della Facoltà di Architettura dell’Università degli Studi di Roma Tre, dal Prof. Bruno Dolcetta, Architetto Docente di Urbanistica allo IUAV di Venezia, dall’Arch. Francesco Coccia, Direttore del Dipartimento Periferie di Roma Capitale, e dall’Ing. Errico Stravato, Direttore del Dipartimento Programmazione e Attuazione Urbanistica di Roma Capitale, e ha il compito di individuare i siti idonei ad ospitare nuove piazze nell’ambito della città periferica nel territorio di Roma Capitale.
La Commissione Grattacieli, presieduta dall’Ing. Errico Stravato è composta dall’Arch. Massimiliano Fuksas, Architetto di fama internazionale, dall’Arch. Daniel Libeskind, Architetto di fama internazionale, dall’Ing. Francesco Duilio Rossi, Presidente dell’Ordine degli Ingegneri della Provincia di Roma, dall’Arch. Amedeo Schiattarella, Presidente dell’Ordine degli Architetti della Provincia di Roma, dal Prof. Livio De Santoli, Ingegnere esperto di energia per l’Università di Roma "La Sapienza", e ha il compito di individuare i nuovi siti adatti ad ospitare edifici con tipologia edilizia a sviluppo verticale.
Entrambe le Commissioni vedono la presenza dei loro componenti a titolo gratuito e hanno l’obiettivo di elaborare le linee guida per ogni sito individuato, unitamente alla procedura concorsuale che verrà successivamente bandita. Nel corso dei due incontri si è stabilito di calendarizzare i lavori delle Commissioni e selezionare i siti che verranno analizzati”.
Nulla è stato fatto per rimuovere la “Bara-Pacis” di Meier, anzi è stato proposto di realizzare un mega parcheggio ed un tunnel a suo supporto. Poi, sul problema dei palazzi demoliti nel ’39 lungo via Giulia, la giunta aveva inizialmente affidato al prof. Marconi (che con il sottoscritto e le Università di Notre Dame, Miami e Roma Tre, aveva prodotto un testo e dei progetti pilota) la redazione di un Bando internazionale per la ricostruzione filologica degli edifici da destinarsi ad Università per Stranieri a Roma, successivamente – di comune accordo con personaggi il cui amore per Roma e conoscenza della città sono ancora da dimostrarsi, nonostante la loro presenza nelle commissioni di cui sopra – il sindaco decise che la ricostruzione andava fatta ma non dovesse essere assolutamente basata su principi filologici! La storia vergognosa di questa faccenda è stata ampiamente raccontata e non merita ulteriori commenti, se non che dal ricordo dello scandalo legato all’appalto del parcheggio che dovrebbe sorgere in quel punto ed al tentativo di devastazione dei reperti archeologici trovati nell’estate di due anni fa. Poi c’è stato lo “strano caso” per cui il sindaco ha sostenuto a tutti i costi il progetto per Tor Bella Monaca e il “no” alla rigenerazione del Corviale su cui occorre stendere un velo pietoso. Che dire poi dei platani abbattuti dove si vorrebbe far sorgere le strutture delle ipotetiche Olimpiadi? Ma sono troppe le cose da raccontare, e allora mi limito a far qualche riflessione nella speranza che il sindaco e i suoi “esperti” facciano altrettanto.
Alemanno, forse a causa delle sue origini politiche, probabilmente vuole impersonare il ruolo del leader della nuova “era del piccone” e così, non pago degli scempi che ha promosso e sostenuto finora, ha deciso – complici i suoi “coltissimi” consiglieri ed assessori – di istituire due commissioni, una più insulsa dell’altra … forse per questo si sono premurati di sottolineare, di seguito ad ogni nome chiamato al capezzale della Capitale “Architetto di fama internazionale”, peccato però che questi personaggi, nella loro carriera, non hanno fatto altro che mostrare la “fame di fama” e perfino l’odio più totale nei confronti della tradizione e della storia!
Qualcuno potrebbe azzardarsi a scagionare da questa categoria di devastatori il prof. Portoghesi, ma poi basterebbe ricordarsi le parole che hanno accompagnato il suo progetto per via Giulia, oppure andare a vedere la piazza mostrata durante la conferenza sul futuro di Roma, o la proposta per Piazza San Silvestro, per rendersi conto che, sebbene abbia scritto libri mirabili in materia di “Barocco”, non provi alcun interesse per la progettazione dello spazio che quel meraviglioso periodo ha prodotto. A ben vedere, il suo unico interesse sembra rivolto alla forma della pavimentazione disegnata da Michelangelo per la Piazza del Campidoglio, forma che ha colonato gratuitamente (come i suoi incarichi gratuiti di cui sopra) ogni qualvolta gliene sia capitata l’occasione in giro per il pianeta. Che garanzie può dare un Presidente di Commissione per le Piazze che disegna piazze fini a se stesse, dove ci si deve recare e ripartire in elicottero perché non hanno alcuna relazione spaziale con una sequenza urbana pedonale? Quali mirabili piazze avrebbero realizzato, o perlomeno studiato e compreso, gli altri “architetti di fama internazionale” della Commissione?
Quanto all’altra Commissione, quella per i Grattacieli, c’è da restare annichiliti alla sola idea di istituirla, specie dopo che l’intera popolazione (non solo romana) s’era mobilitata per spiegare al sindaco, ed ai suoi sponsors, che quella del grattacielo è una tipologia che non appartiene né a Roma, né all’Italia, tipologia da ritenersi folle nell’era della sostenibilità. Si vede che gli sporchi interessi che girano dietro l’edilizia e il mercato fondiario hanno fatto decidere ai nostri amministratori di calarsi le braghe davanti a chi ha intenzioni speculative.
Il solo pensiero che della commissione facciano parte Fuksas, (che attualmente sta sfregiando l’edificio dell’ex Unione Militare all’angolo tra via del Corso e via Tomacelli) e di Liebskind (che ha finora dedicato la sua vita professionale a far violenza agli edifici storici come il Museo di Dresda), non può che suscitare incubi nella popolazione romana che, si deve supporre, vedrà massacrare il suo skyline, e probabilmente il suo centro storico, per lasciar posto quelle infernali macchine di distruzione ambientale che sono i grattacieli.
Non meravigliatevi se, di qui a poco, vedrete spuntare progetti che parlano di “grattacieli sostenibili” o di “boschi verticali”, saranno i nostri “esperti di fama internazionale” a proporceli, ci racconteranno che sono cose che si fanno all’estero, ci racconteranno che stanno cercando di farlo a Milano … ma questo non vuol dire che le parole e le immagini corrispondano alla realtà! Del resto se chiedessimo ad un produttore di pesticidi se sono nocivi non ci risponderebbe mai onestamente, né se chiedessimo ai produttori di alimenti geneticamente modificati quali possano essere gli effetti collaterali essi ammetterebbero mai una simile possibilità.
È incredibile che in questa nazione, e in questa città, ci si accorga sempre in ritardo di come le cosa vadano nel resto del mondo. Basta fare una semplice ricerca nel web, digitando “grattacieli abbandonati” o “ghostscrapers” o “abandoned skyscrapers” per trovare migliaia di pagine che raccontano come nel resto del mondo, dove questa tipologia è stata sposata, essa si è rivelata fallimentare. Onestamente basterebbe conoscere le ultime notizie su Dubai per rendersene conto, eppure sembra che, ottusamente, alcuni “architetti di fama internazionale” e i loro mecenati politici, non vogliano ammettere a se stessi la dura realtà.
Roma s’è già resa ridicola agli occhi dell’intero pianeta il 20 luglio 1972 quando, 5 giorni dopo l’abbattimento del complesso Pruitt-Igoe – ritenuto "ambiente inabitabile, deleterio per i suoi residenti a basso reddito” – evento che lo storico americano Charles Jencks aveva decretato “la morte di quelle utopie”, venne deciso di realizzare il progetto per Corviale a Roma!
Evidentemente dobbiamo credere a chi sostiene che i nostri attuali politici siano diabolici: errare è umano, perseverare è diabolico!
Leggi tutto...
3 giugno 2011
CAMILLO LANGONE
4 aprile 2011
UNA RAGIONE IN PIU' CONTRO I GRATTACIELI
La mia cultura di architetto laureato nel 1976 non mi ha certamente fornito alcun pregiudizio contro i grattacieli, dai quali anzi sono stato, e sono in certi casi tutt’ora, affascinato e intrigato. Ci sono città che traggono da questa tipologia la loro forte caratterizzazione, come New York e Chicago e, non foss'altro che per la fama e il mito dato loro dal cinema americano, ritrovarsi in mezzo ad essi appena sbarcato dall’aereo è stata una delle esperienze di viaggio che ricordo con maggiore intensità.
Ricordo con commozione quel primo viaggio in taxi verso l’albergo a New York, con il naso incollato al finestrino e la testa volta in su ad ammirare luoghi ed edifici resi familiari dal cinema e dai libri: Fifth Avenue, Rockfeller Center, Empire, Chrysler Building, Pan Am e poi l’albergo vicino al City Corp Centre, incredibile edificio con i quattro angoli a sbalzo e la punta tagliata a 45°. E in quel taxi mi veniva in mente un film con Alberto Sordi nella mia stessa situazione.
![]() |
Immagine tratta dal sito del Comune di Milano |
E poi quella immensa parete di indirizzi dell’Empire State Building, e la sua punta che di notte cambia colore e infine la salita in cima alle Twin Towers da cui si abbracciava la penisola di Manhattan, Il New Jersey, la statua della Libertà, il ponte di Brooklyn e tutte le icone di questa città simbolo della potenza americana, del mondo occidentale e della libertà. Fosse stato per me avrei ricostruito le torri come erano e dove erano, come segnale di forza e di determinazione contro una furia distruttrice irrazionale e assassina. Ma gli abitanti hanno deciso diversamente e non si può che rispettare questa scelta.
Per me sarebbe sbagliato rinnegare tutto questo e comunque assolutamente impossibile.
Ma un conto è l’emozione e i ricordi personali, altro è ragionare.
E molte sono le ragioni per cui ritengo del tutto sbagliato la ripetizione di questo tipo in ogni angolo del pianeta, e ancor più in Italia, che di seguito riassumo:
• Esportarlo ovunque significa spogliarsi della propria identità assumendone una diversa che appartiene ad un altro popolo, pur a noi così vicino: ogni città, ogni luogo è unico e diverso dagli altri e questa unicità deve essere mantenuta e salvaguardata, allo stesso modo in cui si salvaguarda l’identità e l’unicità dei paesaggi naturali.
• Il grattacielo è l’edificio più energivoro che esista, sia per la produzione dei materiali da costruzione con cui deve essere costruito, sia per la sua gestione che richiede massicce dosi di energia per la movimentazione verticale nelle due direzioni delle persone e dei fluidi per riscaldamento, refrigerazione, rete idro-sanitaria, scarichi perfino. Il grattacielo è un edificio di grande fragilità ed è totalmente dipendente dall’energia; senza energia è l’anticamera di una bara.
• Il grattacielo è pericoloso, come si capisce bene, in caso di incendio, tra l’altro non infrequente per il tipo di materiali che deve utilizzare per ovvi motivi strutturali, tutti leggeri ed infiammabili.
• Per lo stesso motivo è, dal punto di vista dell’isolamento termico e dei consumi, estremamente inefficiente, essendo le pareti dotate di scarsa massa e quindi, non accumulando calore, necessita di calore continuo in inverno e di raffrescamento d’estate, per supplire al noto effetto baracca. La sbandierata sostenibilità ambientale ed autonomia energetica altro non è che una semplice presa in giro.
• La sua sagoma sconvolge del tutto la percezione delle nostre città e del nostro paesaggio, i cui unici elementi verticali sono le torri e i campanili delle chiese, con ciò impoverendo quella che è anche la nostra unica materia prima: la bellezza delle nostre città e del nostro patrimonio artistico.
• Il grattacielo è un formidabile attrattore di traffico, concentrando in pochi metri quadri di terreno un gran numero di persone e di attività, rendendo imprevedibile e ingovernabile quanto accade a terra.
• La vita all’interno del grattacielo è totalmente artificiale, essendo difficile dotarli di finestre apribili, date le fortissime correnti d’aria, che tra l’altro influiscono non poco sul clima circostante. Quindi l’ambiente deve essere completamente climatizzato.
• I costi di manutenzione sono altissimi, basti pensare alla pulizia o al rinnovo delle facciate, di qualunque materiale esse siano.
• L’idea che si occupi meno suolo e che si liberi una gran quantità di verde è destituita di fondamento ed è uno dei tanti falsi luoghi comuni, utili ad agevolarne l’approvazione presso le varie comunità cittadine.
Mi fermo, ma l’elenco potrebbe continuare.
Esiste però, nel caso specifico della realtà italiana, un’altra importante ragione per contrastare con forza la scelta dei grattacieli. E’ una ragione che potrei definire di carattere strumentale e vale sia per la cultura urbanistica che per la politica.
La cultura urbanistica attuale sembra pigramente e acriticamente incentrata sulla sostenibilità ambientale, articolata in maniera più o meno seria: dalla giusta attenzione che i piani rivolgono alla salvaguardie delle risorse naturali in senso ampio, dopo che la legge urbanistica nazionale era invece rivolta solo alla città (anche se in maniera sbagliata), a dichiarazioni di principio influenzate da un ambientalismo che vede l’uomo come un nemico e la natura amica (amica di chi, se l’uomo è un nemico?) con la conseguente cascata di slogan: consumo di suolo, volume zero, dimensionamento di piano e quant’altro.
Una visione urbanistica tutta in negativo e sostanzialmente anti-urbana che non va al cuore del problema, non cerca le ragioni del fallimento della città moderna, accontentandosi, al massimo, di attribuire ogni colpa alla speculazione.
Ragionamento anche questo in negativo, perché riduce l’urbanistica ad una storia di malaffare, attribuendo di fatto ogni responsabilità a tutti tranne che agli architetti, e quindi alla politica, ai palazzinari, ai cittadini cattivi, al mercato, alla rendita fondiaria. Questa svolge, ed ha sempre svolto, un ruolo importante e certamente tutto a favore degli interessi privati, ma se fosse la ragione prima dei fallimenti allora dovremmo avere, a controprova, parti importanti di città che, in quanto costruite in base a piani di iniziativa pubblica, dovrebbero essere esempi di qualità da cui attingere e da prendere a modello. Invece non è così, ed anzi la stragrande maggioranza di quei piani sono i simboli negativi par excellence.
Si rifiuta di riconoscere il fatto che le responsabilità maggiori sono proprio della cultura urbanistica che ha sposato entusiasticamente, e a tutt’oggi continua su questa strada, la zonizzazione selvaggia, la specializzazione della città in aree omogenee, la fine della strada, la logica del lotto piuttosto che dell’isolato, il principio della somma di oggetti invece che quello dell’insieme, il disegno geometrico astratto e privo di ogni relazione con lo svolgimento della vita dell’uomo, insomma il modernismo architettonico ed urbanistico.
L’ambientalismo di oggi, con le dovute eccezioni, è il frutto della cattiva coscienza che crede di poter porre rimedio alla disintegrazione della città con dosi massicce di un verde idealizzato, dopo aver creduto di fare supplenza alla mancanza di disegno urbano attraverso gli standard e i servizi. La quantità definisce meglio di ogni altra cosa l’urbanistica moderna.
Il grattacielo è, in questo senso, un’altra scorciatoia, un altro rimedio alla mancanza di analisi della realtà, il simbolo presunto di una rigenerazione urbana e di rilancio delle città verso una non meglio definita modernità, del tutto priva di contenuti. Si possono, o meglio si dà per scontato che possano, appiccicare al grattacielo le etichette di eco-compatibilità, sostenibilità, risparmio di suolo, con ciò dando la percezione di essere in linea con il fariseismo del volume zero ma permettendo ugualmente operazioni immobiliari importanti sotto il profilo quantitativo.
Il grattacielo diventa dunque l'occasione per un altro rinvio, un altro ostacolo a scelte inderogabili di vera rigenerazione urbana, basata sulla maggiore densità, su una difficilissima opera di ristrutturazione urbanistica che dovrebbe fondarsi nel ritorno alla strada, alla prossimità, alla promiscuità delle funzioni, all’identità dei luoghi.
La politica, che naturalmente possiede il dono di fiutare il vento, sfrutta il trend e vede nel grattacielo l’opportunità di veicolare attraverso di esso, che avrebbe tutte le doti di eco-compatibilità possibili e immaginabili, interventi immobiliari importanti, con quel quid plus di fascino che esercita la verticalità nell’immaginario collettivo, a perenne memoria dell’amministratore che per primo ha introdotto la propria città nella contemporaneità, che ha sprovincializzato una realtà da sempre ostile alle novità.
E così si alimenta il luogo comune, per non dire la menzogna, del grattacielo sostenibile, nelle sue varie versioni boscate e/o pannellate al silicio, energeticamente autosufficiente, con tanto verde intorno.
E così si ripetono a scala maggiore gli stessi errori e la (in)cultura urbanistica continua a rotolarsi su se stessa senza imboccare mai la strada giusta.
PRECEDENTI POST SUI GRATTACIELI:
Grattacieli sostenibili e sostenuti
Qualche numero interessante sui grattacieli "sostenibili"
Ancora sui grattacieli sostenibili
L'assioma del grattacielo
Leggi tutto...
29 marzo 2011
DIVERTISSEMENT
“…..perciò andranno privilegiate architetture contemporanee, di pregio, che sfruttino energie rinnovabili, e strutture verticali che limitino il consumo di suolo”.
Questa la testuale e meravigliosa sintesi di luoghi comuni fatta da un amministratore per un'area che prevede grattacieli.
Un'area, lo si capisce bene, in cui si prevedono grattacieli dalle forme contemporanee e che sfruttino energie rinnovabili.
Una dichiarazione tipo, uno stereotipo ormai consueto nel mondo della politica locale di qualsiasi appartenenza politica, in cui è condensata lo stato attuale della prassi urbanistica e architettonica.
Analizziamo la frase:
1) privilegiare architetture contemporanee:
Dato che sarebbe difficile privilegiare architetture megalitiche o longobarde e neppure risorgimentali, nonostante il 150°, e dato che non tutte le architetture costruite oggi, quindi contemporanee comunque esse siano, potrebbero soddisfare il significato sottinteso di particolare specialità, è chiaro che per “contemporanee” si debbano intendere architetture che assomiglino alle migliori tra quelle che si vedono in giro o nelle riviste, in TV e nei magazine, cioè più alla moda. Se infatti io ricevessi l’incarico di ordinare uno stock di abiti per conto di qualcuno che mi dicesse solo: "voglio che tu privilegi un abbigliamento contemporaneo", mi documenterei sull’ultimo pret a porter sfilato a Milano o Parigi e tra quello andrei a scegliere. Analogamente, se mi si chiedesse un’architettura contemporanea, cercherei dove devo cercare. Quindi è la moda che comanda l’architettura, è la moda che fa scegliere le “architetture”. Sottolineo questo punto a favore di tutti quei colleghi che ancora vanno cercando l’architettura contemporanea: non si prendano troppa cura, la possono trovare all’outlet a prezzi stralciati. Tra un po’ sarà reperibile anche nei mercatini rionali e pare che già ci siano in commercio molte copie taroccate, non solo di produzione asiatica ma anche italiana. La Guardia di Finanza ne ha sequestrati diversi quantitativi.
2) di pregio:
Attributo questo ridondante e pleonastico in quanto scontato. Difficile desiderare un’architettura spregevole: contemporanea già basta e avanza.
3) che sfruttino energie rinnovabili:
Tradotto significa “che abbiano sul tetto pannelli solari”. Poiché è la legge che lo stabilisce, anche questa espressione è un pleonasmo.
4) strutture verticali che limitino il consumo di suolo:
Eccoci al conquibus! Tutto quanto detto prima è l’ouverture, la preparazione, l’introduzione, l’odore di quell’arrosto che è il grattacielo e che riassume in sé tutte le caratteristiche precedentemente esposte: contemporaneità, pregio, sostenibilità ambientale. Con l’aggiunta della più corretta tra le politicamente corrette espressioni correnti, cioè risparmi nel “consumo di suolo”. Ma il grattacielo non viene chiamato con il suo nome, e neppure con il più evocativo torre, bensì: struttura verticale. La capacità d’astrazione è qui eccezionale: l’edificio si smaterializza del tutto per diventare un concetto. Struttura, infatti, non ha niente di fisico, non rimanda a qualcosa che sostiene un carico, dato che la struttura verticale è presente anche in una capanna di un piano. Struttura verticale assume qui il significato filosofico dato dalla omonima corrente strutturalista, diventa un segno che connota un qualsiasi elemento che tenda verso l’alto, quasi l’aspirazione stessa alla salita.
E subito ci si immagina un bel monolite con un meraviglioso e soprattutto grande parco intorno, logica conseguenza del risparmio di suolo: si risparmia suolo e quindi si può liberare il verde, sotto il quale ci sta un immenso parcheggio che sputa veleno sopra ma tanto ci sono le piante che fanno da filtro. E si pensa ad un parco come un green da golf, e gruppi di alberi e fiori e roseti e panchine e squadre di manutentori che tagliano l’erba, raccolgono le foglie cadute e le bottiglie di birra vuote, le siringhe e le cicche, qualche ubriaco, ogni tanto anche un cadavere finito lì chissà come; che accomodano gli irrigatori, sostituiscono le panchine rotte e quelle rubate. E se si prende uno dei tre ascensori e ci si affaccia alla terrazza del roof-garden si può osservare ad est una città compatta, con tutti i tetti rossi, dove le strade appaiono come incisioni tra le masse murarie, come il cretto di Gibellina, e dove non ci si capacita di come per secoli la gente, questa incivile, abbia potuto vivere tutta così appiccicata e per di più intrappolata dentro una cinta di mura che segna un limite preciso all’espansione, dato che oggi non ci vive più nessuno, salvo qualche architetto che ci tiene studio, ma solo per immagine e poi, per comodità, per non perdere tempo nei viaggi, ci vive anche al piano di sopra, ma con grande sacrificio. Infatti possiede anche una bella casa colonica ristrutturata in campagna, con piscina, zona collinare, grande metratura, dove si riposa nei week-end e durante l’estate. Ha cercato, è vero, una casa in una amena periferia, ma è stato sfortunato perché costano meno e lui pensa che il prezzo più basso nasconda qualche magagna. Solo per questo non l’ha comprata, perché non si fida. E poi c’è sicuramente da sanare qualche difformità, troppe grane; il centro storico, invece, pare che esistesse già prima del ’67 e tutto è regolare, dice la legge.
Ci vivono anche pochi altri professionisti, avvocati, notai, psicologi, primari di cliniche private ma anche medici generici, possidenti, commercianti, ricchi di famiglia, industriali e arricchiti a vario titolo. C’è rimasto qualche anziano pensionato ma per poco perché c’è chi gufa perché tiri il calzino per potersi così presentare agli eredi con un bell’assegno. Comunque è un luogo poco raccomandabile perché c’è qualche extracomunitario, anche se, a onor del vero, loro preferiscono i condomini in periferia, perché sono veri amanti del bello. Non ci sono invece parchi tra quelle case, ma tra i tetti e i muri spuntano chiome di alberi che non si capisce proprio da dove vengano: saranno anche quelli sui roof-garden!
Rivolgendo lo sguardo ad ovest il vuoto prevale e, dopo il pieno ad est che costringeva ad aguzzare la vista, il campo si allarga, l’orizzonte si amplia, gli occhi vagano senza meta mancando, per fortuna, un disegno leggibile. Quella città è veramente democratica perché ognuno la può interpretare a modo suo, libera la creatività e incoraggia l’iniziativa perché non c’è regola che comandi se non la mancanza di regole. Un grande parcheggio sulla sinistra, un altro mini-grattacielo sulla destra, un po’ più vecchio, non tanto contemporaneo, collezione di quattro anni fa, vintage, non è chiaramente sostenibile perché non v’è traccia di energia alternativa. Al centro quella che sembra una raccolta di scatole da scarpe tutte ordinate perpendicolari alla strada e, accanto a queste, case sparse con tetti dalle forme più varie e fantasiose, e un po’ più lontano un grande ipermercato.
Un flash di memoria ricorda che quella parte di città dentro le mura ha accolto, nei tempi di massima crescita, fino a 30.000 abitanti. Ma adesso che la città ne conta 100.000, come mai la superficie attuale è almeno 10 volte tanto? Boh!
Comunque adesso, con i grattacieli le cose cambieranno radicalmente: il consumo di suolo si ridurrà drasticamente, il verde aumenterà e …. la campagna diminuirà….. se diminuisce la campagna però cresce la città…. ma la città è verde…. sarà verde la città ma cosa ci si coltiva, l’erba all’inglese?..... no, l’erba no, semmai l’insalata e…. si possono fare gli orti urbani…… ma sull’insalata urbana ci va lo smog delle auto parcheggiate sotto…. e allora portiamole a piano terra le auto…. sì, ma così sull’insalata ci va lo smog delle auto di sopra ….. e allora….. coltiviamo l’insalata in campagna e in città facciamoci le cose da città, magari ci si vende l’insalata della campagna e anche qualcos’altro e per non consumare troppa benzina si potrebbero costruire le case più vicine e un tantino più basse della struttura verticale strutturalista, così il sole c’è per tutti non solo per quelli dei piani alti, e magari al piano terra metterci qualche negozio.
Fammi dare un po’ uno sguardo a quel fittume, tanto, tanto mi venisse qualche idea!
20 marzo 2011
L'ASSIOMA DEL GRATTACIELO
11 luglio 2010
16 giugno 2010
IL FUTURO TORNA ALL'ANTICO
Pietro Pagliardini
L’architettura che verrà avrà sempre meno tecnologia. La parte di tecnologia presente, lo sarà in maniera meno evidente: sarà più legata la materia e meno alla pompa, useremo dei materiali che faranno un uso selettivo dei raggi solari, dei materiali assorbono l’umidità, che trattengono l’energia.
Andremo verso l’opacizzazione dell’involucro edilizio e l’architettura non sarà più prigioniera della tecnologia.
In campo urbanistico lo spazio pubblico non è uno spazio libero, è uno spazio controllato che gli abitanti della città prediligono rispetto allo spazio aperto naturale.
Chi ha pronunciato queste “profetiche” frasi? Lèon Krier? Ettore Maria Mazzola? Nikos Salìngaros? Carlo d’Inghilterra? Un esponente del New Urbanism?
No, Mario Cucinella, il guru italiano della tecnologia “verde” in architettura. Ho tratto queste frasi da un articolo su Italia Oggi. Anche Kipar, che onestamente non conosco, è in sintonia con quanto affermato da Cucinella.
Una inversione a U, un ripensamento totale. Anche se ancora resta un margine di “modernità”, una scoria, o una via di fuga, in quel sottolineare l’aspetto tecnologico dei materiali.
E’ inevitabile chiedersi il perché di tale svolta, da accogliere senz’altro con favore e soddisfazione.
Tralascio le ipotesi più maliziose, quali una pur legittima operazione di marketing per coprire una fascia di mercato evidentemente in espansione, oppure uno studio più accurato di un po’ di fisica tecnica, scienza niente affatto nuova che attribuisce alla massa e alla sua inerzia termica una buona parte della capacità di isolamento termico, sia in estate che in inverno, oppure l’inverno freddo e piovoso e le ultime notizie sul global-warming di origine antropica con l'uscita di scena di Al Gore, che contribuiscono a creare un clima meno ideologico e un approccio più razionale al problema ambientale, più che climatico, che pure esiste.
Non sarò certo io a condannare chi cambia idea, specie se l’ultima è quella più vicino al vero (non ci si può appellare alla scienza e poi smentirla progettando edifici di vetro e facendoci pure fortuna). L’augurio è che la svolta sia autentica, e non ci sono motivi per dubitarne, data anche l’occasione in cui è stata annunciata (Milano. Festival dell’Ambiente).
Di particolare interesse poi sono le affermazioni sulla città e sui “gusti” dei cittadini, sulle loro predilezioni. Pur essendo i toni, almeno nel resoconto giornalistico, alquanto sfumati e il linguaggio immaginifico, da guru appunto, il senso è abbastanza intuibile: la città di cui si parla assomiglia molto a quella tradizionale, fatta di pieni e non di vuoti, di costruzioni e non di solo verde. Manca molto ancora per definire una città, ma quel poco che viene detto è già qualcosa: niente case in mezzo al vuoto ma una sequenza di spazi continui costruiti ma anche ricchi di verde non indistinto. Una svolta dunque piuttosto coerente con una visione fortemente unitaria tra urbanistica e architettura. Perché l’ha fatta? Davvero mi auguro, ma è sempre in agguato la smentita, che vi sia un clima culturale e ambientale favorevole a queste idee, tanto più importante nel mondo ambientalista che spesso, anche a causa delle semplificazioni giornalistiche, è presentato più come un insieme di slogan e parole d’ordine che non con idee chiare e definite nel campo urbano. Invece ambientalismo e tradizione devono andare di concerto, perché c’è accordo nei fatti.
Temi come quello della densificazione e del contenimento della crescita urbana devono diventare patrimonio comune, inseriti però in una visione in cui la città deve essere considerata una grande risorsa, l’ambiente di vita dell’uomo e il luogo delle relazioni sociali, rifuggendo errori quali i grattacieli più o meno (molto meno) ecologici ma riscoprendo che i nostri centri storici sono densi, vitali e ambientalmente sostenibili.
Una conseguenza collaterale ma per me intrigante è che d’ora in poi, quando verrò accusato di antichismo, reazione, conservazione e tutte le altre contumelie possibili, potrò citare, per coloro che necessitano della certificazione di qualche guru (Maestro, archistar, ecc) senza i quali, evidentemente, non riescono a pensare, potrò citare anche Mario Cucinella nel mio personale albero genealogico, e la cosa davvero mi fa presagire future soddisfazioni.
Come dice il proverbio cinese, mi siederò sulla riva del fiume ad aspettare che passi anche Stefano Boeri, non cadavere, evidentemente, ma convertito dal futuro di agricoltura urbana e di boschi verticali al futuro che affonda le sue radici nel passato.
Leggi tutto...
3 febbraio 2010
GRATTACIELI
Ho ricevuto questo disegno di Lèon Krier. I disegni di Krier sono parte integrante, e talvolta esaustiva, del suo pensiero. Questo fa parte della lotta che lui conduce al grattacielo come arrogante espressione del rifiuto della natura della città.
E’ un disegno provocatorio e anche urticante, che rievoca un fatto che ha segnato e segnerà ancora per molto tempo la storia di questo inizio del secolo, ma è chiaramente la metafora della fragilità intrinseca di questa tipo edilizio portato oggi alle estreme conseguenze. Ci sono aerei che attaccano, ma potrebbe esserci un incendio, un terremoto, un black-out; situazioni estreme, ma niente affatto improbabili, che in un grattacielo si trasformano in tragedia.
Links:
Sul concetto di Insurance Liability vedi il post Qualche numero interessante sui grattacieli.
Il futuro delle città: l'assurdità del Modernismo - Nikos Salìngaros intervista Léon Krier
Nikos Salìngaros: Grattacieli, un'epidemia mondiale
Ettore Maria Mazzola: Attualità di Giovannoni sui grattacieli
Lucien Steil: La ricostruzione di Manhattan senza grattacieli!
Camillo Langone: L'ANTICRISTO ABITA AL 53° PIANO
De Architectura: Grattacieli sostenibili e sostenuti
De Architectura: Il grattacielo famelico
15 gennaio 2010
STEFANO ZECCHI SUI GRATTACIELI
Su IL GIORNALE di oggi, 15/12/2010 è pubblicato un articolo-recensione di Stefano Zecchi al libro di Nikos Salìngaros, No alle archistar, LEF, Firenze.
Zecchi riesce a cogliere in poche righe il contenuto del libro, sia in relazione all'assurdità dei grattacieli, sia in ordine al ruolo delle archistar e al gioco di sponda che si instaura tra queste ultime e la politica-spettacolo. Consapevole della difficoltà di combattere l'idea stessa del grattacielo, ritiene tuttavia necessario "lavorare per una cultura estetica della città".
Questo il link:
29 novembre 2009
18 ottobre 2009
ATTUALITA' DI GIOVANNONI SUI GRATTACIELI
Ettore Maria Mazzola
Professor of Urbanism and Architecture
The University of Notre Dame
School of Architecture Rome Studies
Il recente post di Pietro Pagliardini sul costruendo “grattacielino” di Arezzo mi ha riportato alla memoria un attualissimo articolo pubblicato dal grande (e quasi ignorato) Gustavo Giovannoni sul Fascicolo V-VI di Architettura e Arti Decorative nel lontano 1927. Il titolo del suo saggio era INTORNO AGLI SKYSCRAPERS.
Purtroppo i “tradizionalisti” non beneficiavano di un appoggio mediatico come quello della stampa supportata dall’industria, sicché la rivista Architettura e Arti Decorative (fino a quando non è stata sospesa nel ’31) era l’unica che continuava a pubblicare progetti tradizionali, pur aprendosi ad articoli che parlavano la lingua antagonista. Non altrettanto accadeva con le varie Casabella, La Nuova Architettura, o Moderne Bauformen, le quali non solo non si mostravano pluraliste, ma addirittura attaccavano i progetti dell’ICP di Roma con frasi quali “Creature del Ridicolo” e “progetti che sembrano disegnati da Borromini per un Cardinale piuttosto che case per i ceti popolari”. Il 1927 vide la prima grande sconfitta per i “conservatori” romani, con un concorso organizzato alla Garbatella per delle imprese, e non per gli architetti; concorso per i quale gli architetti erano stati scelti a priori dalle ditte in modo da realizzare un gruppo di casette modello di stampo razionalista. Di lì a breve le cose andarono sempre peggio per i “tradizionalisti”.
Oggi, alla luce del disastro socio-urbanistico-architettonico del “modernismo” (o International Style che dir si voglia), sarebbe il caso di rispolverare i libri e le pubblicazioni di quell’epoca, al fine di riscoprire le conquiste teoriche e pratiche che si erano raggiunte. Questa “riscoperta” ci potrebbe aiutare a non ripetere gli errori del passato, e a ripartire dal momento in cui ci siamo “distratti”, o addormentati, nel sogno di un futuro fantastico, che la realtà ci ha mostrato non essere proprio come lo si era immaginato.
Con questo articolo voglio ricordare le parole profetiche di Giovannoni “intorno agli sky-scrapers”, e penso che oggi più che mai sia utile rispolverarle. Chissà mai che aiutassero ad evitare i grattaceli di Milano e quello che spaventa il caro Pagliardini?
Eccovi dunque il testo integrale del Giovannoni:
INTORNO AGLI SKYSCRAPERS
di Gustavo Giovannoni
Spesso nei fascicoli di questa Rivista, ed in particolare nei numeri dell’ultimo anno col bel progetto del Palanti pel così detto “Eternale”, abbiamo pubblicato disegni e notizie su grandi grattacieli ideati o costruiti; e pensiamo di non aver fatto cosa sgradita ai lettori.
Queste grandi mole americane rappresentano infatti uno dei temi più interessanti e vivi nella moderna costruzione, sia nei riguardi tecnici, pei quali possono dirsi una mirabile conquista dello spazio ottenuta con una sapiente organizzazione della scienza e della meccanica pratica, sia in quelli architettonici, poichè sono forse questi gli unici edifici che abbiano saputo raggiungere decisamente uno stile; specialmente nei più recenti esempi, in cui la fabbrica, spogliatasi ormai della inadeguata ed inorganica veste di ordini e di cornici classiche, si presenta con semplici linee e trae dalle grandi masse i suoi effetti.
Ma ormai la questione dei grattacieli si avvia anche tra noi a quesiti contingenti, perchè la moda (artificiosa come tutte le mode) tende dalle città americane, che fanno quasi una gara di fabbriche sempre più alte, ad estendersi alle nostre vecchie città europee; non tanto perchè se ne senta il bisogno, ma perchè spesso da noi, un po’ provincialescamente, si guarda oltre oceano per avere la nota della “strenuous life”. E su questa possibilità d’importazione sarà forse opportuno esprimere fin d’ora qualche pensiero.
S’incontreranno vivacemente in tali quesiti i due eterni argomenti di discussione sulla nostra Architettura: cioè la necessità da un lato di trovare espressioni adatte ai moderni temi, ai tipi di costruzione, alle esigenze attuali, e dall’altro il rispetto al carattere dato dall’ambiente architettonico ed edilizio, pel quale nelle vecchie città il passato diventa energia presente nello stabilire rapporti e forme e misure. E, senza fin d’ora voler concludere con una formula assoluta d’intolleranza, credo che occorrerà pensarci bene prima di ammettere che tra le cupole romane od i palazzi di Firenze o di Venezia si allunghi la grande massa invadente degli edifici a 50 piani.
Ma l’osservazione prima e fondamentale che mi sembra opportuno riassumere per sfatare un pregiudizio diffuso è questa: Lo skyscraper non è un monumento e non va considerato coi criteri dell’architettura astratta, come una piramide od una cupola od un arco trionfale, ma rientra nella categoria dell’architettura pratica, modesta e spicciola nella realizzazione dei suoi scopi edilizi e finanziari, anche quando si svolge in masse imponenti. Ed il suo aspetto infatti dà appunto, logicamente, tale impressione. Forse a chi vede soltanto i disegni, in cui la sapiente grafica architettonica (fatta spesso per falsare anzichè per rendere onestamente il vero) attenua le finestre o le confonde con toni chiari della parete, l’edificio sembra trasformato in una grande e massiccia torre babilonense, ovvero in una selva di pilastri verticali che si perdono nelle nuvole; ma la realtà riporta a lor posto i valori dei pieni e dei vuoti, cancella ogni elemento decorativo, e restituisce la massa al tipo di un “alveare” costituito da tante cellule geometriche tutte uguali tra di loro.
Orbene in questo campo dell’architettura pratica, la prima revisione deve essere quella delle ragioni concrete a cui l’opera risponde. Ed allora che ne risulta? Che tali ragioni rappresentano non un progresso, ma un regresso nella vita civile, un assurdo più ancora che un errore nei riguardi dell’igiene, della viabilità cittadina, dell’economia edilizia. Gli skyscrapers rendono infatti pessime le condizioni di illuminazione degli edifici prossimi e di insolazione delle vie; negli ambienti interni, per la serrata utilizzazinoe dello spazio e la esclusione dei cortili, rendono nulla la ventilazione naturale; col concentrare forti nuclei di popolazione e di traffico congestionano sempre più il movimento delle strade e nei quartieri; costano infine enormemente, cioè almeno 5 o 6 volte al mc. in più della costruzione ordinaria, perchè sulle loro gambe d’acciaio si accumula il peso non necessario, della grande altezza, e pertanto recano un inutile sperpero di denaro....
L’adozione degli skyscrapers nel Nord-America, per un fatto edilizio non dissimile, pur in ben differenti proporzioni, a quello che vide sorgere le insulae nell’antica Roma, deriva, a veder bene, da quei grandi errori edilizi che son stati i piani regolatori, tanto inferiori agli europei, delle città americane. Se Chicago ha veduto sorgere, col Tacoma Building ed il tempio massonico, i primi skyscrapers, questi hanno preso poi cittadinanza specialmente in New York nei quartieri costituenti la City: quartieri stretti tra l’Hudson, l’East River ed il mare, mal serviti da vie tutte regolarmente uguali e quindi tutte insufficienti; sicchè ogni sviluppo è dovuto avvenire in altezza anzichè in superficie. Poi nelle altre città americane è avvenuta la imitazione, e l’elemento economico è intervenuto a sospingerlo, non tanto pel ripetersi di analoghe condizioni edilizie, quanto pel determinarsi di questo paradosso: La tolleranza dei regolamenti edilizi per le case altissime, espressione di un individualismo esagerato e dannoso, ha fatto crescere a dismisura il valore delle aree fabbricative, cioè il valore potenziale che è in diretto rapporto con la capacità di reddito ed ha così creato la convenienza artificiosa.
Possono dunque definirsi gli skyscrapers come una interessantissima ed ingegnosissima anomalia patologica della edilizia moderna, che certo dovrà essere sorpassata e posta tra gli errori inutili quando i mezzi di comunicazione avranno compiuto il loro ciclo di sviluppo e consentiranno un rapido decentramento dei nuclei cittadini verso la campagna. Ce n’è abbastanza, senza entrare nel dibattito tra la meraviglia che destano e la disarmonia che possono creare, per dichiararli ospiti “non desiderabili”.
Queste considerazioni dunque si oppongono al preconcetto, troppo frequentemente invalso, che tutto ciò che si produce nella moderna tecnica edilizia sia razionale ed opportuno e debba accettarsi come il portato di una civiltà dominante al cui progresso è vano opporsi; preconcetto che fa il contrapposto all’altro che vede tutto bello in quello che ha prodotto il passato...
La conclusione pratica è che in ogni caso, se mai, la moda e l’interesse dovessero condurre queste nuove espressioni edilizie - quasi cristallizzazioni geometriche di esigenze mal intese - nelle vecchie città europee, occorrerebbe tenerle nettamente distinte dall’ambiente edilizio ivi già costituito.
Un quartiere di sky-scrapers può essere assurdo praticamente, ma ha, come si è detto, il suo stile. Quando questo si inserisce nello stile di una città, nel suo sottile profilo frastagliato fatto di piccole unità e di grandi monumenti, la disarmonia è evidente ed insanabile.
Nel numero di Aprile 1926 del Wasmusth’s Monathefte, è un interessante resoconto di un concorso bandito a Colonia per un enorme grattanuvole da costruirsi allo sbocco del ponte sul Reno in prossimità delle ardite guglie del duomo; ed il tema, arduo, non ha scoraggiato i concorrenti che sono circa 450! Ma i bozzetti prospettici dei progetti migliori mostrano il contrasto insanabile tra la linea frastagliata della vecchia città culminante nelle cuspidi sottili e la massa parallelepipeda, traforata con regolarità geometrica da finestre dei piani equidistanti, e provano così ancora una volta la necessità dello sdoppiamento tra ambiente nuovo ed ambiente vecchio.
Gli unici bozzetti che siano tollerabili, almeno nel disegno compiacente che rende le masse piene, sono quelli in cui con una specie di mimetismo irrazionale si simulano schemi che rientrano nelle nostre concezioni acquisite: una torre, un insieme di costruzioni addossate che sembrano accavallate su di una collina...
Pregiudizi? Certo. Ma quando si esca dagli elementi fisiologici del colore e del suono, di pregiudizi è fatto tutto il nostro senso estetico; e l’armonia nelle proporzioni ne è la norma principale, ed i rapporti col significato ne rappresentano la principale sua relazione con la vita reale.
Nessuno può dirci come questi pregiudizi si orienteranno, come si comporranno nell’avvenire. Intanto è elementare dovere far prevalere il concetto dell’ambiente, cioè le ragioni di un’architettura edilizia già costituita a quelle dell’architettura individuale che forma l’esterno secondo lo schema interno, logico o no, dell’edificio. A ciascuno dei due concetti il proprio diverso campo. G.G.
Leggi tutto...