Al momento della scelta dell'indirizzo di questo blog, dopo una serie di tentativi a vuoto alla ricerca di un nome semplice e pertinente, la sorpresa: "regola" era libero! L'architettura è oppressa da leggi e regolamenti, i termini più altisonanti della "creativa" cultura architettonica erano già occupati ma una parolina così semplice e antica e comprensibile da tutti, cioè "regola", era libera!
Questo blog parla appunto di "regole" contro la sregolatezza architettonica.


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13 ottobre 2008

PREMIO JAMES STIRLING 2008

Il premio James Stirling è stato assegnato ieri ad Accordia Estate, intervento residenziale costruito a Cambridge. Gli autori del masterplan e di alcuni edifici sono Feilden, Clegg, e Bradley Studios. Altri edifici sono progettati da MacCreanor Lavington Architects e Alison Brooks Architects.

Appena pubblicata la notizia su Timesonline è stato scritto un significativo commento che riporto di seguito tradotto:
Voi riferite di di aspirazioni ed estetica comuni, guardate le immagini, è uno spaventoso modernismo sostenuto da una massa di camini. Chi ha detto che i residenti abbiano parlato di liberazione dal giardinaggio? Non è l’Arcadia di Cambridge ma piuttosto sperimentalismo architettonico. Fateci vivere loro nelle loro costruzioni
Jane, WHITTLESEY, United Kingdom

Non posso riportare le foto perché sono tutte coperte da copyright.

Chi volesse vederle questo è il link:

http://www.dezeen.com/2008/10/11/accordia-wins-stirling-prize/#comments

Posso però avanzare un’ipotesi, tutta da verificare: mi sbaglierò ma ho come l’impressione che questo premio , che pure va ad un progetto che come dice la signora Whittlesey è di “uno spaventoso modernismo”, tuttavia mi sembra piuttosto prudente e sembra il frutto di un compromesso visto che si insiste molto sulla sostenibilità (non so dire se vera o presunta e se anche qui sono passati i Greenwashers), non mi pare si discosti molto da quella che è la consueta edilizia residenziale inglese moderna e non è stata premiata la solita Archistar, magari una nascente (non certo per questo progetto).

Magari sarò smentito domattina ma, forse, le dichiarazioni di Robert Adam, giudice del RIBA per 12 anni, e Quinlan Terry contro il pregiudizio del RIBA verso l’architettura tradizionale e classica possono aver contribuito a questo premio.

Sarò un inguaribile ottimista ma questo mi sembra un premio alla "normalità".


N.B. L'immagine è tratta da Google Earth

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8 ottobre 2008

GREENWASHERS

Questo post mi è stato inviato da Angelo Gueli, Architetto e Restauratore di Parchi e Giardini storici con studio a Firenze, e affronta il tema dell'architettura sostenibile in maniera originale e smaliziata. E' un'analisi molto razionale, disincantata e ironica che offre strumenti per orientarsi nel mondo dell'architettura eco-sostenibile.


GREENWASHERS
di Angelo Gueli

Premessa
E’ di qualche giorno fa un bell’articolo di Robert Adam che individua una nuova schiera di operatori nel settore edilizio: i Greenwashers. I pensieri di Adam mi hanno dato la possibilità di mettere per iscritto alcune considerazioni. Le mie riflessioni non sono quelle di un esperto o di un tecnico specializzato, ma quelle di un semplice professionista che vuole approcciarsi in modo “laico” al dibattito in corso sulla sostenibilità ambientale dell’architettura contemporanea. Questo vuole essere anche un modo di ribadire l’idea che l’attività professionale di ogni giorno, che attraverso i singoli percorsi personali trasforma il volto delle città e degli aggregati urbani in cui lavoriamo, deve essere permeata dalla consapevolezza del peso delle conseguenze delle nostre azioni progettuali. Un edificio, una strada, una lottizzazione, non sono soltanto delle opere di ars aedificandi, ma sono anche e fondamentalmente la loro ricaduta sociale e ambientale.

GREENWASHERS. Chi sono costoro?

Senza timore posso definire i Greenwashers un sottoprodotto dell’attuale cultura egemone in campo architettonico. Sono quei tecnici in grado di far rientrare anche i più funambolici esperimenti dell’architettura contemporanea dentro i cosiddetti parametri della sostenibilità ambientale. Ovvero essi attraverso le loro conoscenze scientifiche e tecnologiche, adattano gli edifici di questa o quella Archistar (ma anche di meno blasonati architetti), trasformandoli in edifici a basso consumo energetico.
Attraverso un sapiente gioco, intervengono sui progetti edilizi con accorgimenti tali da mimetizzare il vero carattere delle architetture che “ripuliscono”: un po’ di gas fra i cristalli, un vetro oscurato, un po’ di poltiglia di blu jeans, qualche pannello fotovoltaico e via discorrendo fino a raggiungere i risultati voluti. E fin qui niente di male; è lecito anzi doveroso pensare ad edifici che abbiano basse emissioni di gas serra, che consentano al loro interno dei parametri climatici ottimali per la vita degli esseri umani e al contempo non nuocciano all’ambiente. Questo essere eco friendly è uno dei cavalli di battaglia di certa architettura contemporanea e a dirla così sembrerebbe che il lavoro dei Greenwashers sia fondamentale per il futuro dei nostri aggregati urbani se non addirittura encomiabile.

Purtroppo però c’è l’inganno. I conti di questi demiurghi della coibentazione sono inattendibili, e di fatto costituiscono il dito dietro al quale gli estremisti dell’architettura ipermodernista si nascondono, uno dei mezzi attraverso i quali giustificano le loro spericolate sperimentazioni formali e materiche.

Le leggi, i protocolli e i regolamenti stabiliscono i parametri di calcolo del consumo energetico sulla base dei Kw/mq consumati o comunque si riferiscono a consumi energetici su base unitaria, su questi assunti si gioca la partita della sostenibilità ambientale. E proprio in questa considerazione si trova la risposta all’inganno dell’ecosostenibilità in chiave modernista.
Cercherò di essere più chiaro: al conto del consumo energetico e di conseguenza delle emissioni di gas serra che ogni edificio inevitabilmente immette in atmosfera va aggiunto il consumo energetico necessario alla sua costruzione. Ovvero il consumo energetico necessario alla realizzazione di ogni singola lastra di titanio, zinco, cristallo, poliuretano, calcestruzzo, acciaio e quant’altro utile e necessario per la sua realizzazione, sommata naturalmente al costo energetico necessario alla sua costruzione che va quindi dagli scavi alla copertura.

Non basta, a questo conto vanno aggiunti i costi energetici per il mantenimento e manutenzione dell’edificio, ed infine i consumi necessari alla sua alienazione, che sono quindi quelli del riciclaggio per i materiali riciclabili e dello stoccaggio per quelli non riutilizzabili.

A questo punto bisognerà aggiungere il consumo annuo per mq, questo sì calcolato su base unitaria, moltiplicato per il numero degli anni di vita presunta dell’edificio.

Quello che verrà fuori sarà un valore molto più attendibile di quanto non possa mai essere un kw/mq che fa riferimento esclusivamente alla conduzione dell’immobile. Mi si obbietterà che non è possibile calcolare esattamente la durata di un edificio e pertanto anche questo valore è falsato. Ma così non è, in quanto è facile stabilire un periodo di vita minimo per il quale non è economicamente sostenibile la realizzazione di un qualsivoglia edificio, e questo numero di anni potrà essere facilmente utilizzato come parametro per individuare un consumo energetico plausibile, che è fondamentale per consentire di confrontare le varie tipologie e tecnologie costruttive.

Fatte queste considerazioni, cerchiamo di applicarle alla quotidianità del costruire; la prima cosa che salta chiaramente agli occhi è che progettare edifici che siano portatori di elevati consumi energetici prima ancora di essere costruiti è di già un errore. Evitare l’errore è estremamente semplice: basta dimenticare come dove e quanto hanno costruito i nostri padri e guardare come dove e quanto hanno costruito i nostri nonni. E nel riferirmi a questo non ho nessuna intenzione di guardare a particolari cifre stilistiche ma tuttalpiù a indicazioni tipologiche e tecnologiche.

Nel selezionare i materiali da costruzione ci si deve rivolgere a operatori locali usando prodotti dalla trafila produttiva quanto più semplice possibile. É ovvio che l’impatto ambientale prodotto da una copertura in zinco/titanio è eccezionalmente superiore di quello prodotto da una copertura in laterizio, in primo luogo perché i produttori di lastre di titanio non stanno dietro l’angolo (e i lunghi trasporti non sono mai ambientalmente convenienti), come invece succede per le fornaci da cotto che capillarmente sono diffuse su tutto il territorio nazionale nel caso dell’Italia, ed in secondo luogo per la complessità del processo che a parità di mq prodotti consuma maggiori quantità di energia. Questo stesso principio di selezione può e deve essere applicato a tutti i materiali che oggigiorno sono utilizzati durante i processi produttivi, considerando con molta attenzione il “peso” di ogni materiale utilizzato nella pratica costruttiva e deve vedere nella sua più o meno complessità realizzativa uno dei fattori fondamentali di scelta. Non mi si fraintenda pensando che si debbano bandire tutti i nuovi ritrovati in campo edilizio ma si deve guardare i nuovi materiali non con sospetto ma con disincanto, basta pensare alle migliaia di “restauri” nei quali si sono utilizzati intonaci a base cementizia e tinteggiature al quarzo, c’è ancora chi le usa.

Fabbricare e costruire inquina comunque, la gestione di questo inquinamento è compito dei buoni progettisti.
Per mia grande fortuna abito in una casa realizzata tra la fine del Seicento e gli inizi del Settecento, niente di particolare, una casa costruita da e per dei contadini o poco più, eppure essa è in pace con il mondo, costruita con grossi e solidi muri in pietra e mattoni (naturalmente intonacati). Questa casa ha un bilancio energetico migliore di qualsiasi altro edificio costruito negli ultimi 50 o 60 anni non solo per come è stata costruita, o perché è orientata nel modo corretto, o per le sue finestre che sono proporzionate agli ambienti né troppo grandi né troppo piccole, ma soprattutto e fondamentalmente perché è vecchia. La sua età è il parametro fondamentale per poterne calcolare la sostenibilità, la quantità di energia che essa ha utilizzato per essere realizzata va distribuito per gli anni della sua durata.
Questo immobile sicuramente mi sopravvivrà. Sopravvivrà a me e molto probabilmente anche ai miei nipoti, la sua manutenzione ha dei costi energetici ridicoli. Quando malauguratamente dovrà essere demolita si trasformerà in un bel mucchio di sassi e legno o, in un caso più fortunato, diventerà una fascinosa rovina magari avvolta dall’edera. Per diminuire le emissioni di gas serra dovuti alla regolazione termica degli spazi di vita quotidiana è bastato uno strato coibente sotto i coppi e modificare l’impianto di riscaldamento, aggiungendo una bella stufa a legna collegata ad un cronotermostato (perché la modernità e la tecnologia non sono peccato ma un’enorme risorsa) e spero di poter presto sostituire l’intonaco esterno a base cementizia, realizzato una quindicina di anni fa dai precedenti proprietari, con un buon termointonaco a base di calce.

Cosa diventeranno gli edifici che le ultime generazioni di architetti hanno costruito? Nel più recente passato la promessa di eternità dell’onduline per i tetti si è avverata trasformandosi in vita eterna per i poveri operai che la producevano. Quali enormi costi energetici comporta e comporterà ancora per molti anni lo smaltimento di questi veleni?

Oggi, terrorizzati dal global warming, stiamo producendo milioni di metri cubi di silicio fotosensibile con una promessa di produttività di non più di 25 anni, ma chi smaltirà i pannelli fotovoltaici che oggi stiamo istallando sui tetti di mezzo mondo e quale è il costo energetico della loro produzione e quale sarà il costo energetico del loro smaltimento? Economicamente è certamente un bell’affare ma a conti fatti: produrranno molta più energia di quanta ne hanno dissipata per essere realizzati e di quanta ne consumeranno per essere smaltiti? Forse, ripeto forse, un buon professionista dovrebbe indicare ai propri clienti che anziché un ipotetico guadagno fra una decina d’anni (sono questi i tempi in cui diventa economicamente redditizia l’istallazione di un pannello fotovoltaico) è meglio investire il proprio denaro iniziando a risparmiare energia da subito utilizzando tecniche e metodi ben rodati, non escludo anzi mi auguro che in pochi anni la tecnologia ci porti a realizzare dei pannelli fotovoltaici in grado di produrre veramente energia, pannelli il cui costo ambientale di realizzazione e smaltimento sia nettamente sopravanzato dalla produzione di energia.

In Oriente intere città vengono costruite senza il seppur minimo controllo energetico, per il semplice motivo che i gruppi ingegneristici che le costruiscono fanno abuso delle consulenze dei Greenwashers; foreste di grattacieli che inesorabilmente sono destinate ad un veloce declino proprio perché nelle loro tecnologie costruttive, nel loro DNA progettuale, è memorizzata la data di scadenza. Mostri destinati ad immolarsi all’altare dell’ipercapitalismo. L’enorme dispendio energetico destinato alla loro conduzione e manutenzione e l’indeterminatezza che è innata nell’uso delle tecnologie avveniristiche utilizzate sono il cancro che li affligge fin dalla nascita, quando il loro mantenimento diventerà economicamente insostenibile allora dovranno essere demoliti.

Non tutti gli edifici sono la torre Eiffel che, in quanto simbolo, può permettersi una manutenzione dai costi inauditi, non tutte le villette unifamiliari sono la villa Savoye che in media ogni 10 anni deve essere restaurata per la carenza strutturale che la affligge.

Con grande attenzione noi progettisti dobbiamo avvicinarci ai temi del riuso e conversione del patrimonio edilizio esistente, utilizzando le nuove tecnologie in modo propositivo per trasformare gli edifici che ci circondano rendendoli vivibili e sostenibili: la grande sfida dei prossimi anni sarà quella della riconversione degli edifici che sono stati realizzati nell’ultima metà del secolo scorso.
Non tutti naturalmente possono abitare o vivere in ambienti lavorativi pluricentenari, ma tutti hanno il diritto ad usare degli edifici che abbiano una speranza di vita più che secolare. E’ profondamente immorale progettare degli immobili che non sopravvivano al progettista, non possiamo continuare a scaricare sui nostri figli gli effetti devastanti delle nostre scelte progettuali.

Le conoscenze e le tecnologie dei greenwashers sono una risorsa, ma in mani sbagliate si trasformano in una bomba ad orologeria.
In fondo in fondo una sola cosa terrorizza il greenwasher, che si possa anche per un istante pensare ad un muro in mattoni a due teste magari con intercapedine e controparte interna, questo lo spiazza, perché il potere del suo verbo si sgretola di fronte all’ovvietà del saper costruire.

Angelo Gueli

P.S.
Adesso scagli la prima pietra chi non si è mai servito di uno di questi maghi del kappatermico, io personalmente in preda ad una crisi da megavetrata ho fatto decine di telefonate ad uno di questi santoni, strisciando ai suoi piedi pur di avere quel magico numerino che ti certifica, e poi ottenuta la “divina relazione” mea culpa, mea culpa, mi sono pavoneggiato dicendo in giro che il mio progetto era eco.

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1 settembre 2008

ROBERT ADAM: IL MODERNISMO CONSERVA SE' STESSO

Pietro Pagliardini

TIMESONLINE, la versione on line del TIMES di Londra, che dà un grande spazio all’architettura, è molto critico con il Principe Carlo, sia per la sua passione per l’architettura tradizionale, che per i suoi comportamenti pubblici e privati, e pure per il suo ambientalismo, insomma, per tutto ciò che lo riguarda.
Tuttavia, ultimamente sono frequenti articoli e interviste che parlano di Poundbury, il villaggio voluto dal Principe e progettato da Lèon Krier, come un notevole successo di pubblico e che viene ora anche preso come esempio dal governo britannico per nuovi insediamenti rurali.
Ultimamente è stato pubblicato questo articolo-intervista a Robert Adam, un architetto classico che riporto di seguito integralmente tradotto.
La foto sotto non è nell'articolo ma è una mia aggiunta.

TIMESONLINE- 25 giugno 2008
Lo stile di guerra degli architetti
Robert Adam e Quinlan Terry danno inizio ad una battaglia di stile attaccando il Modernismo
di Lucy Alexander

Robert Adam è andato in prima pagina il mese scorso quando si è unito ad un altro architetto Classico, Quinlan Terry, progettista del nuovo ambulatorio presso l’Ospedale Reale a Chelsea, con un robusto attacco al Modernismo. I due hanno condannato ciò che essi considerano un pregiudizio da parte del Royal Institute of British Architect (RIBA) contro gli edifici tradizionali nell’assegnazione dei suoi premi annuali (la lista di quest’anno comprende il terminal 5 e lo Stadio di Wembley).

Adam, che è stato giudice del RIBA per 12 anni, ha descritto i premi dell’ultimo mese come una “truffa”, dicendo che “ il RIBA e la classe professionale degli architetti si stanno comportando con stile fascista. Questa è una battaglia tra il tipo di architettura che una cricca professionale pensa sia giusta e gli edifici che piacciono al pubblico.”

Lord Rogers di Riverside, il cui studio ha vinto diversi premi, compreso uno per Oxley Wood, uno sviluppo di residenze prefabbricate a Milton Keynes, ha risposto acido: “Il Modernismo è sempre stato uno shock e sembra che alcuni ci mettano molto tempo per guarire”.

Secondo Adam, il movimento per l’architettura Moderna, che cominciò negli anni ’20 come un rigetto iconoclasta delle forme storiche, si è calcificato in una nuova ortodossia, intollerante dei dissidenti.

“Gli edifici tradizionali non ottengo mai alcun credito da nessuno nel mondo professionale degli architetti. Per oltre 40 anni è accaduto che avresti potuto bocciare nel college di architettura se tu avessi disegnato un edificio tradizionale. Sei visto come se tu copiassi il passato. Ma il futuro deve inevitabilmente coinvolgere il passato a qualche livello”

Adam si spinge fino ad imputare un sottofondo sinistro all’ideologia Modernista in architettura: “E’ totalitaria. Richard Rogers disse una volta che Poundbury dovrebbe essere distrutta. Non si è accontentato di dire che a lui non piace, ma che avrebbe dovuto essere cancellata. Loro, i Modernisti, non possono tollerare nessuno che faccia qualcosa che non si adatti alla loro nozione di progresso accettata come vera”.

Questa è la stessa Poundbury che un’analisi del governo mercoledì ha raccomandato di prendere come copia per lo sviluppo di future comunità rurali di successo.

L’accusa di Adam che gli architetti sono indifferenti dell’opinione pubblica suona veritiera quando si considera che la recente campagna per salvare i Robin Hood Gardens, una lugubre e antiquata offesa alla vista in cemento degli anni ’60 che i residenti e il consiglio hanno convenuto di buttare giù.

La decisione all’inizio di questo mese di Margaret Hodge, il Ministro per l’Architettura, di non mettere nell’elenco del patrimonio (e perciò di proteggere dalla demolizione) con la motivazione che “esso ha fallito come luogo vivibile per gli esseri umani”, ha mostrato una disponibilità all’ascolto delle ragioni dei comuni residenti. Di contro un recente titolo nella rivista Building Design, che ha condotto la campagna per salvare i Robin Hood Gardens –“ Il rifiuto della Hodge di metterli in elenco è un affronto alla professione”- rivela che il consiglio dei residenti non rappresentava una priorità per gli architetti.

I Modernisti sono ora, almeno sembra, nella bizzarra posizione degli iconoclasti che si sono piegati a preservare le proprie tradizioni tramite il sistema degli elenchi dell’English Heritage (ente che protegge il patrimonio storico inglese). Che cosa sostituirà l’immobile demolito resta ancora da vedere. Colonne classiche appare improbabile.”


ULTIMISSIME: E'di oggi 1 settembre la notizia riportata su Building Magazine che il Governo Britannico rivedrà la decisione di non inserire i Robin Hood Gardens nell'elenco dell'English Heritage.

Dunque ha ragione Adam: il Modernismo è un movimento di conservazione di se stesso.

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Di seguito allego i links a due articoli su Pondbury, il primo che ne decreta il successo, il secondo in cui il Primo Ministro Gordon Brown ha deciso di prendere la cittadina come esempio per nuovi insediamenti commerciali e residenziali nelle zone rurali.

http://www.timesonline.co.uk/tol/life_and_style/article1126292.ece

http://www.timesonline.co.uk/tol/news/politics/article3649184.ece


N.B. Le immagini aree sono tratte da:
Poundbury: Google Earth
Robin Hood Gardens, Londra: Virtual Earth di Microsoft

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3 giugno 2008

I MATTI TRADIZIONALISTI VISTI DAL TIMES

Su TimesOnline, edizione on line del Times di Londra ho trovato un divertente e rivelatore articolo del 2005 che fa previsioni sulla conquista del Premio Stirling.Il giornalista intervista non so chi e insieme fanno una carrellata sui vari, possibili candidati.
La forma è scherzosa e molto efficace.

Dopo i vari, Rogers, Zaha Hadid, insomma i soliti noti, viene infine la volta di un gruppo di candidati seguaci del Principe Carlo e della sua architettura. E’ chiaro che non proprio tutti sono tali, almeno in senso stretto, ma viene detto così un po’ per semplificare e un po’ per aggiungere colore dispregiativo visto che, come è noto, le posizioni del Principe in materia di architettura non sono molto apprezzate dal Times e probabilmente neanche il Principe stesso è molto apprezzato.

Ogni gruppo in gara viene classificato in base al “genere” di architettura che produce: ad esempio Rogers è classificato tra I CAVALIERI DELL’HIGH-TECH.

Ho cercato di tradurre al meglio delle mie capacità la parte che riguarda proprio il gruppo del Principe:

I MATTI TRADIZIONALISTI
Chi sono?
Quinlan Terry, Leon Krier, Robert Adam, John Simpson, Demetri Porphyrios. Il loro (molto) spirituale leader è, naturalmente, il Principe del Galles.
Famosi per?
Uno odio stoico
(stoico, non storico) del modernismo. La recente disputa tra gli sparring partners Rogers e Terry in merito all’ampliamento dell’Ospedale di Chelsea dimostra che le ferite sono ancora aperte. I loro più grandi successi potrebbero essere vecchi un decennio – Poundbury, sulle rive del Richmond- ma il Principe gode dell’attenzione di John Prescott (vice Primo Ministro di Blair) e il loro New Urbanism è forte in America.
Riconoscibili per?
Colonne, timpani, clienti molto ricchi.
Punti di forza?
Se la gente vuole costruire colonne, lasciamogli costruire colonne. Oggi è molto più conveniente economicamente.
Punti di debolezza?
Uniti dalle teorie cospiratorie su Rogers in grado di controllare l’universo.
Età media?
300 anni. Scherzo. 55 anni
In gara per il premio?
Nessuno. C’è una cospirazione.


Sottolineo solo il fatto, non insignificante, che l’intervistato ammette che “la gente vuole costruire colonne” e che è anche “più economicamente conveniente”.

La domanda è la seguente: chi paga per avere le colonne, le multinazionali della moda o le persone comuni che vogliono farsi casa?

Ora, i clienti dei matti tradizionalisti saranno anche molto ricchi (non risulta che i clienti di Libeskind, Zaha Hadid, Gerhy appartengano al sottoproletariato urbano) ma la gente che vuole le colonne, letteralmente the people, sarà più o meno come da noi, middle class, I suppose.

Sarà esagerato dire, con linguaggio da ’68, che l’architettura tradizionale è democratica e quella de-costruttivista imperialista?
Pietro Pagliardini

P.S. Consiglio di cliccare sul link di Demetri Porphyrios per apprezzare un pò di architettura classica che fa uso sapiente di elementi tradizionali e moderni.
Dimenticavo... volete sapere chi ha vinto quell'anno 2005? Ecco l'elenco:
Vincitore:
EMBT/RMJM: Scottish Parliament building, Edinburgh
Finalisti:
Bennetts Associates: Brighton Library, Brighton
Zaha Hadid: BMW Central Building, Leipzig
Foster and Partners: McLaren Technology Centre, Woking
O'Donnell & Tuomey: Lewis Glucksman Gallery, Cork
Alsop Designs: Fawood Children's Centre, Harlesden

Se siete curiosi vi dico anche chi ha vinto l'anno sucessivo, 2006:
Vincitore:
The Richard Rogers Partnership: Aeroporto di Madrid-Barajas, Madrid

Finalisti:
Adjaye Associates: The Whitechapel Idea Store
Hopkins Architects, Buro Happold: The Evelina Children's Hospital
Caruso St John Architects: Brick House
The Richard Rogers Partnership: The Welsh Assembly Building
Zaha Hadid Architects: The Phaeno Science Centre, Wolfsburg

Sempre volti nuovi. Vabbè, ma sono i più bravi!

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