Al momento della scelta dell'indirizzo di questo blog, dopo una serie di tentativi a vuoto alla ricerca di un nome semplice e pertinente, la sorpresa: "regola" era libero! L'architettura è oppressa da leggi e regolamenti, i termini più altisonanti della "creativa" cultura architettonica erano già occupati ma una parolina così semplice e antica e comprensibile da tutti, cioè "regola", era libera!
Questo blog parla appunto di "regole" contro la sregolatezza architettonica.


27 luglio 2010

LA GUERRA TRA IPERMERCATI

A proposito di ipermercati, segnalo questo brillante articolo del Prof. Gabriele Tagliaventi


che va oltre la pur legittima aspirazione ad una libera concorrenza tra potenti gruppi economici per auspicare il superamento di un sistema nemico della città.

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22 luglio 2010

IPERMERCATO D'ESTATE

Pietro Pagliardini

21 luglio, ore 15,00: appuntamento di lavoro per un sopraluogo. Incontro fissato all’ingresso di un grande centro commerciale; unico motivo della scelta: la vicinanza all’oggetto del sopraluogo e l’aria condizionata, dato per scontato il consueto ritardo di qualcuno.
L’ora non è di punta, molti sono in vacanza, il parcheggio è deserto e nel bar-selfservice due sole coppie di anziani ai tavolini, con l’aria dei turisti. Per fortuna, un caffè senza coda.
Conosco quel luogo – o come si dice non-luogo – ma mai come oggi ne ho ricavato un’impressione di disagio, di degrado e di squallore. Con la folla, la sensazione prevalente era il fastidio claustrofobico, il desiderio di scappare; l’assenza di folla esalta la percezione del brutto e del grossolano


L’attesa e la scarsità di persone costringono a vedere i dettagli – polvere nelle cornici sopra i negozi, carte in terra, arredi del bar e del giornalaio di pessima fattura, materiali di rivestimento da sala d’attesa della stazione, ridondanza di segnali pubblicitari. La pensilina in ferro sopra l’ingresso mostra tracce di ruggine, nella pavimentazione esterna mancano molte piastrelle di gres, specie ai bordi, laddove vi sono i tagli, i buchi riempiti con cemento per non inciampare. Ma anche ad immaginarlo pulito e ben mantenuto e ordinato, è davvero impossibile scovarvi il bello.

Il centro commerciale non è un outlet finto-antico, ma un ipermercato finto-moderno: corridoio longitudinale, simulacro di un “corso urbano”, con negozi posti sul lato esterno - ma rigorosamente non visibili da fuori per costringere il consumatore ad entrare - supermercato sull’altro alto.
Nei due vertici del “corso” gli ingressi, con i servizi bar da una parte, grande negozio di elettronica dall’altro.
Nella zona centrale del “corso” c’è uno slargo e ci sono pure le panchine, patetica parodia di una “piazza”. Davanti a queste un grande banco del gelato, a mò di chiosco.

Dunque, anche il finto-moderno fa il verso alla città, proprio come il finto-antico.
Chissà perché questo viene disprezzato da molti architetti e quello no!

Il non-luogo, nella sua essenza profondamente anti-urbana e anti-sociale, isola scollegata dall’intorno, conserva nell’organizzazione del proprio interno una pur debolissima memoria della città, improbabile tributo a questa grande invenzione umana.

Possiamo dire che l’urbanistica del finto-moderno è di tipo funzionalista: strada dritta, servizi ai lati, ingresso di testa, tutto rigorosamente al chiuso in ambiente totalmente artificiale; quella del finto-antico, invece, è di tipo tradizionale: strade irregolari che convergono in “piazze” e, ai piani superiori, finte finestre di finte abitazioni, tutto, ad eccezione dei negozi ovviamente, rigorosamente all’aperto, con qualche porticato. Almeno l’aria è naturale.

Ma questo viene disprezzato e quello no! Chissà perché, dato che sono sostanzialmente la stessa cosa, due facce della stessa medaglia anti-urbana.

Senza folla, il non-luogo ricorda la scenografia di un film: edifici provvisori e di pessima fattura, tutta facciata, che con la confusione, sostituta della macchina da presa, crea l’inganno della realtà. Come nel Truman Show. Le luci, il rumore, la gente che si aggira con i carrelli e le borse piene, famiglie intere che vagano al riparo dal freddo o dal caldo, alimentano l’illusione di trovarsi in un luogo d’incontro e di scambio sociale; ma vuoto, appare in tutto il suo squallore di spettacolo, di messa in scena organizzata per favorire quell’unica funzione per cui esiste, il consumo.
Il centro commerciale è l’esaltazione dell’effimero che però provoca segni e danni profondi e incancellabili nella città, defraudandola della sua essenza di complesso luogo di scambio e di incontro e, alla lunga, trasformando le abitudini delle persone: abitare, lavorare, ecc. ecc. Sì, ancora lui, LC.

Anche i nuovi musei di cui molti vanno fieri, a prescindere dalle loro insensate forme, altro non sono che non-luoghi come i centri commerciali, dove si dispensa, se non si vende, l’immagine di un’arte assurda quanto il suo contenitore. Anche qui si concentra una funzione importante, quella della cultura - una pessima cultura in verità – che nel centro storico è invece diffusa e gratuitamente offerta in ogni angolo della città, e che i cittadini assimilano continuamente, senza doverla andare a cercare in un non-luogo.

Un corso vero di città, anche vuoto, anche alle 15,00 di un giorno di luglio, offre uno spettacolo di cultura, di bellezza e armonia. Manca solo l’aria condizionata, ma è il sacrificio di 15 giorni e neppure per tutto il giorno. Se poi si deve consumare, basta entrare in un bar, e il fresco è assicurato.

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13 luglio 2010

BELLEZZA ED EFFICIENZA SONO DAVVERO ALTERNATIVE?

Forse, nell’oscillare tra la bellezza e l’efficienza, il trionfo contemporaneo della tecnica, il disastro dei quartieri costruiti negli ultimi cinquant’anni, sarà allora solo provvisorio, questo dilagare dell’indifferenza sarà soltanto una infatuazione momentanea cui seguirà il ritorno verso il centro della U, le case di questi cinquant’anni lentamente scompariranno – neppure il cemento armato è eterno – e i loro quartieri verranno ricostruiti più belli e sarà così salvo un principio fondamentale della nostra identità di europei, la bellezza delle città.

O forse no, forse questa infatuazione per una frustrante pretesa della tecnica di condizionare le nostre vite nell’urbs della nostra Europa finirà per dissolverla in un uniforme e desolante paesaggio planetario
”.
E’ questa la conclusione di uno dei capitoli del libro di Marco Romano, Ascesa e declino della città europea, Raffaello Cortina.

Questi due opposti scenari, che comunque contengono un unico giudizio sulla città moderna, cioè la mancanza di bellezza e di identità, o almeno la mancanza di una bellezza riconoscibile e condivisa, si adattano ad un mio vecchio post, Il senso del limite, o meglio, mi ricordano il fatto che Emanuele Severino ha già scritto di questo argomento, cioè del trionfo ineluttabile della tecnica, dato che di mio in quel post c’era ben poco.
Aggiungerò alcuni altri pensieri di Severino, il quale ha il grande pregio di una logica rigorosa e stringente e mette l’uomo contemporaneo di fronte a scenari che lui ritiene inevitabili, che forse non lo sono, ma che è bene conoscere:
La grandezza della tecnica è per ora deformata dall’interpretazione tecnicistica della tecnica; è avvolta nel grigiore dei suoi interpreti ufficiali, che a sua volta alimenta la rozzezza, ovunque percepibile, con cui le forze sociali dominanti intendono voltare le spalle alle “ideologie” e alla “politica” in nome della tecnica, dell’efficienza, della competenza. In nome della razionalità tecnologica ingenuamente intesa, stiamo correndo il rischio di perdere non solo il patrimonio grandioso del nostro passato, ma il significato stesso del nostro esserci dovuti separare da esso.
Vi sono motivi per pensare che la tendenza fondamentale del nostro tempo spingerà ad uscire dalla bassura presente, e che in questo processo restino rafforzate quelle forme di cultura che, come le filosofie dell’esistenza, tengono vivo il ricordo del nostro passato. La condizione fondamentale per allontanarsi dal passato è di conoscerne a fondo il significato. Altrimenti l’allontanamento è un semplice caso, che può venir meno da un momento all’altro. Oggi la nostra civiltà è un navigatore che allontanandosi da terra –dalla terra del passato – non si ricordi più dove sia la terra: può sbattervi contro, nella nebbia della dimenticanza, da un momento all’altro – e ritornare al passato più primitivo e più incolto
”.

Il brano è tratto da Pensieri sul Cristianesimo, E.Severino, BUR. Ovviamente l’autore non sta parlando di architettura o civiltà urbana in senso stretto, ma quel ragionamento è perfettamente sovrapponibile all’una e all’altra, anche perché sono gli stessi concetti espressi nel suo Tecnica e Architettura, E.Severino, Raffaello Cortina.

Severino giudica ineluttabile il trionfo della tecnica, anche perché “ogni azione vuole rendere sempre più reale il proprio scopo, al di là di ogni limite e vincolo”.
Se questo fosse vero, la condizione ineluttabile della città sarebbe l’avveramento della seconda ipotesi di Marco Romano e non quello del ritorno alla bellezza della città. Ho già detto che alla logica di Severino è difficile, almeno per me, opporre argomenti che la smentiscano e ancora più difficile è farlo con il ricorso agli stessi suoi strumenti logici; posso solo dire, anche se ne colgo tutta la debolezza teorica e l’abisso qualitativo tra la forza delle due argomentazioni, che Severino mi sembra trascuri l’azione nella storia della volontà dell’uomo il quale, possedendo il dono della libertà di scegliere, può indirizzare gli accadimenti in un senso o nell’altro.

Severino è difficilmente confutabile (sempre da me, ben inteso) rimanendo all'interno delle grandi visioni filosofiche, ma lo è un po’ più facilmente nel momento in cui si riflette sul fatto che queste sono il frutto della mente, e quindi dell’azione, dell’uomo. Sarà un pensiero banale ma, se si esclude l'atto di fede, e Severino la escluderebbe senz'altro, ogni visione filosofica è prodotta dall'intelligenza umana e perciò stesso non può essere ineluttabile. Se così non fosse sarebbe necessario accettare l’ineluttabilità di ogni evento che sarebbe preordinato e determinato a prescindere dall’intervento umano. Ma è Severino stesso a riconoscere il fatto, ad esempio, che “solidarietà ed efficienza non sono più ciò che esse sono quando, separate, costituiscono lo scopo supremo delle azioni sociali che, rispettivamente, le perseguono. Unite, si limitano, si modificano a vicenda: il capitalismo non è più capitalismo e l’azione sociale del cattolicesimo non è più cattolicesimo”.
Dunque, oltre al fatto che semmai, per omogeneità dei termini, la conseguenza sarebbe che "l’azione sociale del cattolicesimo non è più azione sociale del cattolicesimo" - ma resta il cattolicesimo, decadendo con ciò solo un effetto del cattolicesimo- si ammette l’esistenza di una azione sociale diversa che non è più capitalismo e non è nemmeno azione sociale del cattolicesimo, ma qualcosa d’altro, e questo grazie all’azione e alla volontà umana. Se questo è vero, tornando al tema, sembra essere possibile evitare l’ineluttabile, per il fatto che ineluttabile non sarebbe, e poter tornare anche alla bellezza delle città.

Forse ad una bellezza che tenga conto dell’efficienza imposta dalla tecnica, ma la bellezza non cambia la sua essenza. D’altra parte l’alternativa che ci si presenta davanti da 50 anni a questa parte non è portatrice di bellezza e tanto meno di efficienza, che anzi molti critici della città contemporanea puntano l’indice proprio sull’inefficienza del risultato, sotto ogni profilo, oggi soprattutto sull’inefficienza energetica dei modelli urbani più diffusi, ma anche su quella sociale, ecologica, ambientale.

L’alternativa che Marco Romano segnala, in verità non sembra esistere, almeno logicamente, date le premesse, perché il modello della tecnica non esiste, non è stato trovato, che anzi siamo all’antitesi della razionalità della scienza, sia in campo urbano che architettonico, e non può essere per definizione che una città basata sulla tecno-scienza sia così profondamente inefficiente proprio sotto il profilo tecnico.
Che tecnica è se in 50-60 anni ha solo aumentato i problemi, dato che gli unici risolti sembrano quelli tecnologici di base relativi al solo abitare, ma le cui basi erano già state poste tra l’800 e il ‘900?
Riprendiamoci almeno la bellezza delle nostre città europee per scoprire che ripristineremo una buona parte dell’efficienza della vita comunitaria e del rapporto abitare-lavorare come alcuni studi (1) sembrano dimostrare.


(1) Minimizing car travel by changing how we think about development
Seguire il link Journal of the American Planning Association all’interno dell’articolo

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11 luglio 2010

LANGONE, MARCO ROMANO E IL DESTINO DELLE CITTA'

dell'11 luglio

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10 luglio 2010

"SARZANA CHE BOTTA" BANDISCE UN CONCORSO

Il comitato “Sarzana che Botta", molto attivo in rete oltre che in città, organizza il concorso di idee "Ri-pensiamo Via Muccini".
Per gli antefatti di questa vicenda rimando al sito del comitato e al ginopiarulliblog.
Questa iniziativa è di grande interesse per diversi motivi:
• un gruppo di cittadini si sono organizzati non solo per contestare un progetto urbano, come accade di frequente e rimanendo nella mera logica del no, ma vogliono proporre soluzioni alternative e valide per la loro città, dando un bell’esempio ai loro amministratori;
• il concorso è palese, cioè ogni concorrente apporrà in calce alle tavole nome e cognome facendo così cadere il velo dell’ipocrisia sul falso anonimato previsto dalle vigenti normative;
• la formula del concorso presenta, finalmente, la caratteristica fondamentale di affiancare alla giuria tecnica, una giuria popolare, scelta oltremodo coerente con il fatto che le indicazioni progettuali sono state date dal comitato stesso, cioè da un insieme di cittadini.

Il fatto più significativo e che più mi interessa è certamente la giuria popolare. Non so quali metodi di selezione e di scelta del progetto saranno adottai ma comunque andrà una cosa si può dire fin d’ora: il progetto sarà quello giusto, o almeno il più giusto tra quelli presentati.
Distillato purissimo di populismo? Neanche per sogno, è invece il risultato di una semplice constatazione e di un minimo di ragionamento: dato che la disciplina urbanistica, e la sua concreta attuazione e gestione, ha ormai toccato il fondo, avendoci consegnato città sempre più brutte, sempre meno città e sempre più periferie monofunzionali e prive di vita, da almeno 60 anni a questa parte, a fronte di procedure e leggi cervellotiche e astratte, il perseverare con la stessa logica, quella cioè di affidarsi, prima, agli esperti che appartengono indiscriminatamente, alla cultura modernista e, poi, alla politica e alla sua indifferenza rispetto alla qualità della città, è totalmente illogico e insensato. Non credo esista altro campo delle scienze sociali applicate che possa vantare una divaricazione così grande tra aspettative e risultati. I risultati contano, non i processi, e i risultati sono pessimi.
E dunque che decidano almeno i cittadini, detentori delle scelte per la loro città, veri e autentici proprietari, come comunità, come civitas, del diritto di decidere sull’urbs.
E poi, se la logica che governa l’architettura deve essere, come di fatto è, quella dello show, del successo, del consenso organizzato e guidato dall’alto che tanto alimenta il mito archistar, tanto vale che a determinare tale successo non siano i media e le riviste, ma la gente direttamente.

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9 luglio 2010

APPELLO FOGLIANTE IN FAVORE DEL DIRITTO DI PRIVACY

Nel giorno del silenzio per l'appunto non ho da scrivere niente.
Ma, visto che si legge che anche Internet parteciperebbe al "lutto", proprio perché a me non è morto nessuno, metto un link a questo equilibrato appello:

APPELLO FOGLIANTE IN FAVORE DEL DIRITTO DI PRIVACY

Pietro Pagliardini

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8 luglio 2010

LEGGI CONTRO LA CITTA'

Quando una città decide di dotarsi di un nuovo strumento urbanistico generale, il primo problema da affrontare non è il merito delle scelte da compiere ma le procedure da seguire. Non a caso, il primo atto da compiere si chiama: “avvio del procedimento” e non “avvio del progetto”.
Le leggi entro cui ci dobbiamo muovere hanno di gran lunga superato la soglia del pur difficile punto d’equilibrio tra volontà dell’agire e limite procedurale all’agire stesso, affinché la crescita avvenga a vantaggio della comunità dentro il quadro del rispetto della legge e della salvaguardia e conservazione del territorio e dell’ambiente.
Quella soglia si supera nel momento in cui, per la caoticità delle leggi e della loro pratica applicazione, una comunità si viene a trovare nella quasi impossibilità di poter andare avanti, paralizzata come è dall’alternativa tra il rischio di potenziali ricorsi per la non conformità a regole assurde e difficilmente interpretabili, e quella di doversi dotare di uno strumento che risponde alla Legge ma non ai bisogni e ai desideri della comunità stessa e ad un corretto disegno della città.

Oramai si è consolidata una regola generale in base alla quale le scelte di piano sono, lungo tutto l'iter, condizionate molto poco dai contenuti e moltissimo da leggi e procedure. Ma ben più gravi ancora sono gli effetti di questa regola sulla cultura di architetti e amministratori, tutta pervasa da termini giuridici e formali, dove le scelte di merito restano sullo sfondo, sopraffatte come sono da assurde e improbabili procedure formali.

Il piano è ridotto ad un groviglio inestricabile di termini e formule alchemiche dietro cui si nascondono due fatti:
• un declamato rispetto dell’ambiente e della partecipazione, salvo poi commettere le peggiori e più grosse operazioni immobiliari mediante altre formule alchemiche quali piani complessi, accordi di programma, accordi di pianificazione e così via, che avvengono in barba ad ogni principio partecipativo; cito, a titolo di esempio, la vicenda della Città Viola a Firenze (Della Valle-Fuksas), su cui un assessore che si azzardò a dissentire venne dimissionato in un giorno, massima espressione evidentemente della democrazia partecipativa;

• un modo di intendere la legge come se essa non avesse il compito di accompagnare e regolare la crescita e le necessità della società invece che precorrerla e indirizzarla, ponendola cioè a valore di fondo e faro della società stessa, in maniera esattamente corrispondente alle visioni politiche dell'integralismo religioso. Vorrei ricordare, però, che la nostra società occidentale, libera e democratica, è permeata, tra gli altri, dal rivoluzionario principio cristiano che “il sabato è fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato”. In altre parole la legge non è destinata a schiavizzare l’uomo ma, al contrario, è la legge che deve stare al servizio dell’uomo.

Le nostre leggi sono diventate un ostacolo da superare e la maggior parte delle energie vengono consumate proprio per questa corsa a ostacoli. Così facendo si alimenta certamente la voglia di scorciatoie e il principio che le leggi, e lo stato, sono comunque un problema. Se questo avviene non significa che la società è malata ma che le leggi sono sbagliate.
Quali ne siano le cause è difficile dirlo ma di certo, una volta tanto, i politici c’entrano poco, o meglio hanno solo la colpa di non aver capito in tempo che oggi il potere legislativo è quasi esclusivamente nelle mani dei funzionari e dei tecnici. La tecnica, una cattiva tecnica, prevale sulla politica.

Di sicuro l’urbanistica ha del tutto perso il suo scopo fondamentale, quello cioè di dare forma alla città. Le procedure dovrebbero essere solo il metodo per dare forma giuridica al disegno della città e invece avviene l’operazione inversa, e allora accade che le norme urbanistiche scritte – molto male in genere – prevalgono su tutto, segnando e disegnano le trasformazioni urbane: destinazioni di “zona”, destinazioni di singoli edifici, regole “casa per casa”, come avviene nella operazioni militari e ovviamente sbagliate, numeri che si accavallano, commi e sub commi con inestricabili rimandi dall’uno all’altro. Invece che la replicazione dei tessuti urbani abbiamo norme comunali che replicano il metodo delle leggi regionali di riferimento. Questa trasmutazione della regola, Caniggia non l’aveva prevista né la poteva prevedere, avendo egli studiato la città, non la Legge.
La realtà si perde e resta solo la norma astratta, autoreferenziale e fine a se stessa, la quale però qualcosa produce di reale: zonizzazione, edifici assurdi e sbagliati, sfiducia nella legge, ostacoli da superare.

Guardando il video di Léon Krier del post precedente e osservando le immagini proiettate sullo schermo, si vedono, invece, disegni, planimetrie, schemi simbolici che rimandano a concetti, in una parola: “sintesi di un'idea” resa in forma grafica, cioè il mestiere dell’architetto. Quei disegni dovrebbero essere la base del piano, con le norme a fungere da strumento di servizio per renderle attuabili.

Invece no: in urbanistica l’uomo è fatto per il sabato e poiché l’urbanistica è la politica, cioè l’arte di amministrare la città, ne deriva che la nostra, o almeno quella toscana, è una società autoritaria e anti-umana.

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4 luglio 2010

LEON KRIER A ROMA: LA FORZA DELLE IDEE

Mi era completamente sfuggito questo video girato a Roma durante il convegno Trasformazione Urbana tenutosi ad aprile, quello delle archistar, per capirsi.

Impossibile non subire il fascino che Lèon Krier promana, dovuto senza dubbio alla capacità di esprimere concetti semplici e allo stesso tempo forti e scandalosi. La semplicità dà scandalo nel mondo dell'architettura, per il fatto che semplicità significa chiarezza e forza di idee, almeno nel caso di Krier. L'architettese non gli appartiene, perché spesso dietro questo assurdo gergo si cela il vuoto di idee. Provate a leggere un'intervista qualsiasi a Peter Eisenmann e poi cercate di decifrarla e spiegarla con parole semplici ai vostri figli. Oppure a Renzo Piano che, viceversa, parla in maniera semplice, ma è come scrivere sull'acqua.
Gli applausi scroscianti in sala ne sono una prova evidente. Una sola piazza italiana in un quartiere pedonale, l'assurdità di tre sale di musica insieme, la monumentalità che non è altezza ma gerarchia tra i piani, l'urbanistica che prevale sull'architettura, la trama urbana che prevale sull'oggetto.
C'è poco da fare: i suoi progetti potranno anche non piacere, ma le sue idee sono forti, chiare, semplici. Più difficile ne è l'applicazione rigorosa in una società democratica, ma almeno lui ne è consapevole e lo dice chiaramente.

Tanto che ci sono, questo è link di un'altra conferenza di Lèon Krier a Rotterdam, Istituto Berlage, che consiglio di guardare:
The compact city


Credits:
Il video di Léon Krier è tratto da UNIROMA TV

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2 luglio 2010

PETER CALTHORPE CONTRO LA SPRAWL

Quella che segue è la traduzione di una articolo tratto dal San Francisco Chronicle, trovato tramite il sito Planetizen.
Da tempo negli USA è in atto un ripensamento sulle politiche urbane che hanno prodotto lo sprawl e un ritorno a città più dense e compatte. Uno dei principali artefici di questo indirizzo è Peter Calthorpe, tra i maggiori leader del New Urbanism, che si interessa particolarmente di infrastrutture per la mobilità:


TAGLIARE LO SPRAWL, RISPARMIARE ENERGIA, STIMOLI DI STUDIO

Il nuovo sviluppo in California deve essere progettato fin dall’inizio per risparmiare l'energia elettrica e l’acqua, diminuire il tempo di guida, migliorare la qualità del’aria e promuovere uno stile di vita sostenibile, in accordo con lo studio di riferimento sul futuro della crescita dello stato.
Vision California, il primo documento di pianificazione dello Stato maggiore in quasi 30 anni, è stato pubblicato Mercoledì.

Il rapporto dice che la crescita non dovrebbe concentrarsi sul crescente sprawl suburbano ma piuttosto sulla creazione dello sviluppo compatto nelle città già costituite. Avvicinare i pendolari al loro lavoro, sostengono i suoi autori, può aiutare i californiani a guidare 3.700 miliardi di miglia in meno e risparmiare 140 miliardi di galloni di benzina entro il 2050.
"I giorni in cui la gente poteva permettersi di guidare fino a quando trovava una casa di qualità a prezzi accessibili forse se ne sono andati", ha detto Peter Calthorpe, leader della Calthorpe Associates, la società di Berkeley che ha redatto il piano.

Ci sono poche sorprese nel documento, che si concentra su un tema che i californiani hanno sentito per decenni: Abbiamo bisogno di conservare le risorse sempre più scarse.
Lo sforzo da 2,5 milioni dollari è stato supervisionato dal Comitato strategico per la crescita, un gruppo a livello di governo che il Governatore Arnold Schwarzenegger ha detto di sviluppare come un modello per la crescita.
"La California è leader della nazione nell’affrontare la progettazione territoriale intelligente e integrale", ha detto Schwarzenegger in un comunicato. "Lavorando insieme a tutti i livelli di governo, possiamo contribuire a creare un futuro più luminoso e più sostenibile per le generazioni dei californiani a godere".
Anche se la relazione è soltanto una raccomandazione, senza efficacia, il piano prende di mira direttamente a politiche di sviluppo oggi in California, dove le città e le regioni hanno per decenni insistito per avere l'autonomia di sviluppare le proprie iniziative di crescita.
La differenza ora è che una serie di norme e progetti a livello statale, compresi quelli intesi a ridurre le emissioni di gas a effetto serra e lo sforzo di progettare e costruire un sistema ferroviario ad alta velocità, richiede che le agenzie di pianificazione mirino allo sviluppo da una prospettiva più ampia.

"E 'sempre pericoloso isolare un problema, non importa quanto importante possa essere quel problema”, ha detto Calthorpe.
Le realtà politiche della California potrebbereo diluire l'impatto complessivo della relazione.
Una legge del 2008 consente alle autorità dello Stato di ignorare i piani regionali che non fanno abbastanza per ridurre le emissioni di gas a effetto serra, ma è stata raramente utilizzata dall’autorità.
Inoltre, il candidato governatore Meg Whitman ha detto che se fosse eletto sospenderebbe una legge del 2006 che richiede una riduzione delle emissioni di gas serr di circa il 25 per cento. Whitman e altri conservatori lamentano che il progetto - fortemente voluto da Schwarzenegger - provocherà un aumento dei costi energetici e soffocherà la necessaria crescita economica.
Un provvedimento di sospensione delle regole di emissione si è precisato questa settimana per il voto di novembre.
Ma Calthorpe ha detto che una crescita sostenibile è necessaria e sopravviverà a eventuali ritardi politico a breve termine.
"Francamente, penso che le forze di mercato ci spingono in questa direzione", ha detto. "Penso che molte di queste hanno una propria dinamica".

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