Al momento della scelta dell'indirizzo di questo blog, dopo una serie di tentativi a vuoto alla ricerca di un nome semplice e pertinente, la sorpresa: "regola" era libero! L'architettura è oppressa da leggi e regolamenti, i termini più altisonanti della "creativa" cultura architettonica erano già occupati ma una parolina così semplice e antica e comprensibile da tutti, cioè "regola", era libera!
Questo blog parla appunto di "regole" contro la sregolatezza architettonica.


Visualizzazione post con etichetta Barocco. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Barocco. Mostra tutti i post

5 luglio 2009

UNA ARGOMENTATA OPINIONE CONTRARIA

Ho ricevuto da Vilma Torselli questo commento con osservazioni critiche al post sul falso di Ettore Maria Mazzola. Poiché mi sembra che riassuma molto bene la maggior parte degli argomenti "contro" lo pubblico come post. Il titolo al post l'ho aggiunto io.

**********


La riflessione di Mazzola sul falso storico e sull’opera di Brandi è senz’altro esemplare, ma non posso fare a meno di rilevare, specie nella parte finale, affermazioni a mio parere largamente opinabili.
Tutta la storia dell’architettura è una storia "contro", ben prima delle avanguardie del ‘900, e non deve stupire che, freudianamente, anche in architettura diventare adulti voglia dire "uccidere il padre": il Rinascimento impone le regole della prospettiva contro gli spirituali misticismi del gotico, il Barocco combatte la rigida ingabbiatura geometrica del Rinascimento, il Neoclassicismo si volge al repertorio classico contro gli svolazzi barocchi, il Romanticismo esalta l’emotività contro le regole del classicismo, ciascuna di queste epoche è debitrice della sua stessa esistenza a quella precedente, sia che ne derivi sia che le si opponga.
E poi, chi l’ha detto che andare contro significa cancellare la tradizione? Ricordiamoci di Jorge Luis Borges, quando scrive ".....che tra il tradizionale e il nuovo, o tra ordine e avventura, non esiste una reale opposizione, e che quello che chiamiamo tradizione oggi è una tessitura di secoli di avventura."

L’importanza della tradizione sta nella sua funzione catalizzatrice di nuovi linguaggi, nella sua capacità di scatenare reazioni e produrre rinnovamento, nella sua proprietà di sintetizzare “secoli di avventura”.

Paradossalmente si potrebbe dire che la "tradizione" in architettura è proprio questa alternanza di conflitti, che qualunque passato è indispensabile premessa a qualunque presente e che se l’atteggiamento degli architetti fosse stato sempre quello della conservazione e del ripristino, l’Italia sarebbe piena di basiliche paleocristiane e di mura medioevali perfettamente ristrutturate e ricostruite e l’avventura eroica del rinascimento, del barocco, del neoclassicismo non esisterebbe.

Tutte le antiche città sono edificate su una fitta stratificazione di pre-esistenze, per fortuna il tempo e gli eventi hanno deciso per noi di distruggerle e di permettere alla storia di andare avanti e rinnovarsi.

La tanto vituperata modernità nasce dall’implicito confronto con ciò che è stato, nasce dall’elaborazione del passato, quand’anche negato, ineludibile nucleo promotore del cambiamento e della presa di coscienza di una moderna autonomia intellettuale, senza disconoscere i debiti di carattere formale o contenutistico verso chi ci ha preceduti. Ed in questi termini il passato non è un bagaglio inutile, è un elemento di confronto necessario e indispensabile che tuttavia non deve obbligatoriamente concretizzarsi in ripescaggi stilistici o imitazioni morfologiche anticheggianti, il che significherebbe solo mummificazione di linguaggi in un repertorio formale senza tempo, vecchio prima ancora di nascere.

Non è una scusa assolutoria dire che un architetto di oggi che progetti "in stile" “non ha nessuna intenzione di far credere che la sua opera sia stata realizzata in un’altra epoca”, può essere che non ci sia falsificazione, almeno nelle intenzioni, ma c’è senz’altro l’incapacità di parlare un linguaggio autonomo e innovativo, sapendo che la modernità non va copiata (da presunti “grandi modernisti”), va inventata.

Scontata la critica su Sant’Elia, che da tempo la storia ha relegato nell’ambito degli utopisti visionari, quanto alle ragioni addotte nella critica al razionalismo, che trovo piuttosto limitativa nella sua lettura in chiave politica (vogliamo buttare a mare, con Le Corbusier, anche Walter Gropius, Mies van der Rohe e tutta la Bauhaus?), va ricordato che da sempre l’architettura è stata connessa e collusa con il potere, economico o religioso, dato che re, papi, principi, signori e la loro disponibilità finanziaria hanno sempre fatto la differenza grazie a quella elegante e un po’ ipocrita forma di munificità che si chiama mecenatismo, il quale prevedeva sia la committenza delle opere che la gratificazione politica e sociale derivante dalla loro realizzazione. Cioè, non solo Benito Mussolini ha strumentalizzato l’architettura, si tratta di un fenomeno non solo moderno, e possiamo parlare di architetti “neo-razionalisti, neo-funzionalisti, neo-Terragniani, neo-LeCorbusierani, ecc.” così come in passato si è parlato di neo-classicisti, neo-barocchi, post-moderni ecc.

Mi sembra che lodare l’ “architetto tradizionalista” e demolire l’ “architetto modernista” sia una presa di posizione certamente poco costruttiva, oltre che anacronistica, volta a mantenere un ristagno culturale che non giova a nessuno.

Vilma Torselli

Leggi tutto...

16 marzo 2009

LA PERDITA DEL LIMITE

Pietro Pagliardini

Una caratteristica comune a molta architettura ed edilizia contemporanea è quella di essere esagerata, scomposta, priva di senso della misura e del limite.
Certa architettura non solo è enfatica ma fa di questa caratteristica un vanto, un tratto distintivo giudicato fortemente positivo.
Tendenze apparentemente analoghe a queste non sono certamente nuove nella storia dell’arte e in quella dell’architettura e, generalmente, seguono fasi di regole più composte, di classicità, quasi fossero reazioni e risposte a canoni sofferti come troppo stretti e oppressivi.
La cultura ellenistica ne è l’esempio più noto e basta confrontare l’esasperazione del movimento nel gruppo del Laocoonte rispetto alla compostezza dell’Hermes di Prassitele per comprendere la differenza di sensibilità dei due diversi momenti storici e culturali.


Ma anche in architettura questo processo non è nuovo, basta considerare il Barocco, con la dinamica delle sue facciate che si incurvano lungo la strada e degli interni plastici che creano una tensione continua che si estende fino alle cupole, e metterla a confronto con la misura e il controllo geometrico della prospettiva nel Rinascimento, per afferrarne la evidente differenza che sa addirittura di rivolta e di messa in discussione di vincoli ritenuti soffocanti, se riferiti agli autori, e statici, se riferiti all’oggetto architettonico.
Dunque, verrebbe da dire, nihil sub sole novi; e quindi, in una logica storicistica di corsi e ricorsi non ci sarebbe scandalo e tutto si riassorbirebbe e rientrerebbe in una visione più ampia che farebbe accettare l’attuale fase come una normale evoluzione del processo di crescita e sviluppo della creatività umana e ci porterebbe a concludere che è sufficiente aspettare e anche questa passerà. Se così fosse le scomposte e debordanti, quanto ripetitive fino alla noia, architetture di Zaha Hadid, per prendere l’esempio attualmente più eclatante e vistoso, alla fine dovrebbero lasciare spazio a qualcosa d’altro di più controllato, di più rispettoso del contesto e tutto rientrerà nei ranghi normali e seguirà una fase più misurata.
Può darsi che in ciò ci sia del vero (e chi può saperlo?) ma, a parte il fatto che la fatalistica rassegnazione ad eventi ritenuti negativi non appartiene alla cultura occidentale, il fenomeno è oggi del tutto differente ed anche singolare per i seguenti motivi:

1) nello sviluppo temporale di questo processo e nella diversa dimensione del fenomeno stesso;
2) ma soprattutto nella profondità dell’humus in cui questo fenomeno affonda le proprie radici.

1) Cercando un periodo precedente di ordine e di regole cui questo si contrapporrebbe, faccio fatica a non risalire almeno all’800, diciamo verso la seconda metà, all’epoca della seconda industrializzazione e delle prime Esposizioni Universali. La reazione vera e propria scoppia poi con l’avanguardia e tutti i vari movimenti e ismi. Quindi un periodo di poco meno di un secolo e mezzo.

Osservo intanto che per essere, la nostra, la decantata epoca della velocità e dei cambiamenti ce n’è voluto di tempo per giungere a maturazione, esattamente quanto e forse più che nel passato. Ma con una grande differenza: se, per assurdo, con una macchina del tempo un signore del 1887, nemmeno uno qualsiasi ma Gustave Eiffel, potesse essere catapultato nella attuale Pechino, sarebbe colto da panico, tanto poco vi troverebbe in comune con le città e l’architettura a lui conosciuta.

Viceversa, se Filippo Brunelleschi, con lo stesso sistema, si ritrovasse improvvisamente nella Roma del seicento sarebbe certamente meravigliato e disorientato dal diverso e dinamico nuovo impianto urbanistico ma girando per la città e osservando le varie architetture forse non ne potrebbe afferrare l’essenza, forse si indignerebbe anche, ma vedrebbe elementi architettonici e costruttivi a lui conosciuti; potrebbe farne una analisi, comprenderebbe sia la statica che le varie parti di cui si compone un edificio, potrebbe mettere a confronto la sua cupola con quella di Sant’Ivo alla Sapienza, diverse come concezione spaziale e strutturale ma pur sempre riconoscibili come cupole.
Soprattutto riconoscerebbe la maggior parte dell’edilizia di base, il corpo della città, cosa che non sarebbe possibile a Gustave Eiffel, perché l’architettura e l’edilizia contemporanea, avendo perso il senso del limite, non attribuiscono alcun valore all’omogeneità dell’insieme, pur nella diversità dei singoli gesti, avendo affidato il progetto esclusivamente nelle mani e nella mente del progettista il quale si pone nella condizione mentale di svolgerlo libero da ogni vincolo geografico, storico, di legame con il contesto, libero, talora, di ignorare e prevaricare i desideri e le volontà stessa del committente: come paragonare una strada della Parigi dell'800 con una qualsiasi strada costruita 10 anni fa? Cosa avrebbero in comune i fronti edilizi, ammeso che nella seconda vi fossero fronti edilizi?

Tale atteggiamento non si riscontra solo nelle opere delle archistar ma, entrato nel bagaglio culturale degli architetti fin dall’università, produce i suoi effetti nella gran parte dei progettisti e, di conseguenza, nell’edilizia corrente.
Paradossalmente sembra che gli unici limiti accettati o subiti siano quelli imposti dalle norme di legge le quali, per eterogenesi dei fini, nella maggioranza dei casi riuscirebbero da sole a produrre oggetti estranei a quei luoghi per i quali invece esse sono appositamente scritte.

La somma di queste due spinte, quella volontaria dell’architetto e quella indifferente dell’ente pubblico, riesce a produrre un campionario di edifici l’uno diverso dall’altro, senza un filo conduttore che li leghi tra sè e tra loro e il territorio.

2) Ma la vera e profonda differenza che caratterizza questa fase da altre apparentemente analoghe è il predominio incontrastato della tecnologia, cioè la scienza applicata alla tecnica, quella che il filosofo Emanuele Severino chiama la tecno-scienza di cui egli giudica ineluttabile l’affermazione se unita al risultato essenziale della filosofia contemporanea cioè “la coscienza inevitabile dell’assenza di ogni limite e di ogni verità assoluta”.

Dice E. Severino in Tecnica e Architettura, R.Cortina Editore, 2003:

La tecnica è un apparato a cui appartengono i tecnici, cioè individui umani che hanno certe convinzioni, per esempio convinzioni religiose, cioè credono che esista il limite stabilito dalle leggi della verità e di Dio. Le “leggi di natura”, la “morale naturale”, il “diritto naturale” appartengono a quelle leggi. [Omissis] E anche per l’arte tradizionale esiste una legge naturale eterna del bello, che l’artista non deve violare.

Ma poi compare , nella storia dell’Occidente, il pensiero filosofico del nostro tempo, cioè la negazione più perentoria di ogni verità assoluta e di ogni Dio immutabile: la negazione dell’esistenza di ogni limite che alla tecnica sia impossibile oltrepassare in linea di principio. Il pensiero filosofico del nostro tempo mostra alla tecnica l’infinità della potenza di cui essa può disporre.[Omissis] Una tecnica legata al passato è più debole della tecnica che del passato si è invece liberata; ed è invece inevitabile che la forma più potente prevalga sulla forma meno potente della tecnica
”.

Appare con ciò evidente la assoluta peculiarità e novità di questo fenomeno che non trova riscontro nella storia: è il paradigma filosofico su cui si è basato l’Occidente ad essere completamente messo in discussione.
Paragonare, come spesso accade, la rottura delle regole dell’architettura contemporanea rispetto a quella precedente alle evoluzioni avvenute in passato nell’architettura e nell’arte significa non comprendere che in gioco c’è la perdita definitiva del senso del limite, delle “leggi di natura”, della “morale naturale”, del “diritto naturale” a vantaggio di un “diritto positivo” che, in quanto prodotto storico che promana dalla volontà del legislatore, viene, di volta in volta, adeguato alla e dalla società e spostato sempre più avanti non in base a quei principi citati da Severino e che hanno guidato la società occidentale, ma basato sostanzialmente sulle dinamiche sociali determinate dall’evoluzione dei costumi, dalla politica e in gran parte dalla macchina della formazione del consenso, oggi prevalentemente in mano ai mezzi di comunicazione.

Se dunque il ragionamento di E.Severino è rigoroso e logico, ed è difficile ammettere che non lo sia, la posta in gioco è tutt’altro che stilistica o formale bensì filosofica e di visione globale del mondo e quando egli scrive: “ La filosofia contemporanea ha ferito a morte la grande tradizione dell’Occidente, che però è ancora viva e lotta per sopravvivere il più possibile, tanto da far credere a volte nella sua capacità di respingere l’attacco della modernità e di uscire vincente dallo scontro” personalmente mi auguro e spero che si avveri la seconda parte della sua ipotesi.

Leggi tutto...

Etichette

Alemanno Alexander Andrés Duany Angelo Crespi Anti-architettura Ara Pacis Archistar Architettura sacra Archiwatch Asor Rosa Augé Aulenti Autosomiglianza Avanguardia Barocco Bauhaus Bauman Bellezza Benevolo Betksy Biennale Bilbao Bontempi Borromini Botta Brunelleschi Bruno Zevi CIAM Cacciari Calatrava Calthorpe Caniggia Carta di Atene Centro storico Cesare Brandi Christopher Alexander Cina Ciro Lomonte Città Città ideale CityLife David Fisher Deridda Diamanti Disegno urbano Dubai E.M. Mazzola EUR Eisenmann Expo2015 Frattali Fuksas Galli della Loggia Gehry Genius Loci Gerusalemme Giovannoni Gregotti Grifoni Gropius Guggenheim Hans Hollein Hassan Fathy Herzog Howard Il Covile Isozaki J.Jacobs Jean Nouvel Koolhaas L'Aquila L.B.Alberti La Cecla Langone Le Corbusier Leon krier Leonardo Ricci Les Halles Libeskind Los Léon Krier MVRDV Maffei Mancuso Marco Romano Meier Milano Modernismo Movimento Moderno Muratore Muratori Musica Natalini New Urbanism New York New York Times New towns Nikos Salìngaros Norman Foster Novoli Ouroussoff PEEP Pagano Palladio Paolo Marconi Petruccioli Piacentini Picasso Pincio Pittura Platone Popper Portoghesi Poundbury Prestinenza Puglisi Principe Carlo Purini Quinlan Terry Referendum Renzo Piano Ricciotti Robert Adam Rogers Ruskin S.Giedion Sagrada Familia Salingaros Salzano Salìngaros Sangallo Sant'Elia Scruton Severino Star system Stefano Boeri Strade Tagliaventi Tentori Terragni Tom Wolfe Tradizione Umberto Eco Valadier Valle Verdelli Vilma Torselli Viollet le Duc Vitruvio Wrigth Zaha Hadid antico appartenenza architettura vernacolare arezzo bio-architettura cervellati città-giardino civitas concorsi concorsi architettura contemporaneità cultura del progetto cupola densificazione falso storico globalizzazione grattacielo identità leonardo levatrice modernità moderno naturale new-town paesaggio periferie restauro riconoscibilità rinascimento risorse scienza sgarbi sostenibilità sprawl steil toscana università zonizzazione