Ho ricevuto da Vilma Torselli questo commento con osservazioni critiche al post sul falso di Ettore Maria Mazzola. Poiché mi sembra che riassuma molto bene la maggior parte degli argomenti "contro" lo pubblico come post. Il titolo al post l'ho aggiunto io.
La riflessione di Mazzola sul falso storico e sull’opera di Brandi è senz’altro esemplare, ma non posso fare a meno di rilevare, specie nella parte finale, affermazioni a mio parere largamente opinabili.
Tutta la storia dell’architettura è una storia "contro", ben prima delle avanguardie del ‘900, e non deve stupire che, freudianamente, anche in architettura diventare adulti voglia dire "uccidere il padre": il Rinascimento impone le regole della prospettiva contro gli spirituali misticismi del gotico, il Barocco combatte la rigida ingabbiatura geometrica del Rinascimento, il Neoclassicismo si volge al repertorio classico contro gli svolazzi barocchi, il Romanticismo esalta l’emotività contro le regole del classicismo, ciascuna di queste epoche è debitrice della sua stessa esistenza a quella precedente, sia che ne derivi sia che le si opponga.
E poi, chi l’ha detto che andare contro significa cancellare la tradizione? Ricordiamoci di Jorge Luis Borges, quando scrive ".....che tra il tradizionale e il nuovo, o tra ordine e avventura, non esiste una reale opposizione, e che quello che chiamiamo tradizione oggi è una tessitura di secoli di avventura."
L’importanza della tradizione sta nella sua funzione catalizzatrice di nuovi linguaggi, nella sua capacità di scatenare reazioni e produrre rinnovamento, nella sua proprietà di sintetizzare “secoli di avventura”.
Paradossalmente si potrebbe dire che la "tradizione" in architettura è proprio questa alternanza di conflitti, che qualunque passato è indispensabile premessa a qualunque presente e che se l’atteggiamento degli architetti fosse stato sempre quello della conservazione e del ripristino, l’Italia sarebbe piena di basiliche paleocristiane e di mura medioevali perfettamente ristrutturate e ricostruite e l’avventura eroica del rinascimento, del barocco, del neoclassicismo non esisterebbe.
Tutte le antiche città sono edificate su una fitta stratificazione di pre-esistenze, per fortuna il tempo e gli eventi hanno deciso per noi di distruggerle e di permettere alla storia di andare avanti e rinnovarsi.
La tanto vituperata modernità nasce dall’implicito confronto con ciò che è stato, nasce dall’elaborazione del passato, quand’anche negato, ineludibile nucleo promotore del cambiamento e della presa di coscienza di una moderna autonomia intellettuale, senza disconoscere i debiti di carattere formale o contenutistico verso chi ci ha preceduti. Ed in questi termini il passato non è un bagaglio inutile, è un elemento di confronto necessario e indispensabile che tuttavia non deve obbligatoriamente concretizzarsi in ripescaggi stilistici o imitazioni morfologiche anticheggianti, il che significherebbe solo mummificazione di linguaggi in un repertorio formale senza tempo, vecchio prima ancora di nascere.
Non è una scusa assolutoria dire che un architetto di oggi che progetti "in stile" “non ha nessuna intenzione di far credere che la sua opera sia stata realizzata in un’altra epoca”, può essere che non ci sia falsificazione, almeno nelle intenzioni, ma c’è senz’altro l’incapacità di parlare un linguaggio autonomo e innovativo, sapendo che la modernità non va copiata (da presunti “grandi modernisti”), va inventata.
Scontata la critica su Sant’Elia, che da tempo la storia ha relegato nell’ambito degli utopisti visionari, quanto alle ragioni addotte nella critica al razionalismo, che trovo piuttosto limitativa nella sua lettura in chiave politica (vogliamo buttare a mare, con Le Corbusier, anche Walter Gropius, Mies van der Rohe e tutta la Bauhaus?), va ricordato che da sempre l’architettura è stata connessa e collusa con il potere, economico o religioso, dato che re, papi, principi, signori e la loro disponibilità finanziaria hanno sempre fatto la differenza grazie a quella elegante e un po’ ipocrita forma di munificità che si chiama mecenatismo, il quale prevedeva sia la committenza delle opere che la gratificazione politica e sociale derivante dalla loro realizzazione. Cioè, non solo Benito Mussolini ha strumentalizzato l’architettura, si tratta di un fenomeno non solo moderno, e possiamo parlare di architetti “neo-razionalisti, neo-funzionalisti, neo-Terragniani, neo-LeCorbusierani, ecc.” così come in passato si è parlato di neo-classicisti, neo-barocchi, post-moderni ecc.
Mi sembra che lodare l’ “architetto tradizionalista” e demolire l’ “architetto modernista” sia una presa di posizione certamente poco costruttiva, oltre che anacronistica, volta a mantenere un ristagno culturale che non giova a nessuno.
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