Al momento della scelta dell'indirizzo di questo blog, dopo una serie di tentativi a vuoto alla ricerca di un nome semplice e pertinente, la sorpresa: "regola" era libero! L'architettura è oppressa da leggi e regolamenti, i termini più altisonanti della "creativa" cultura architettonica erano già occupati ma una parolina così semplice e antica e comprensibile da tutti, cioè "regola", era libera!
Questo blog parla appunto di "regole" contro la sregolatezza architettonica.


30 maggio 2012

DOV'ERA, COM'ERA



Dov’era, com’era, senza se e senza ma.

Sì, il ricorso a parole d’ordine, a vieti luoghi comuni perfino, per rafforzare la perentorietà dell’unica soluzione possibile, coerente, logica, umana.

Non c’è nessuna spiegazione da dare, c’è solo un imperativo categorico da rispettare.

Niente esercizio di capacità critica, niente seghe mentali, niente intellettualismi: com’era e dov’era, senza se e senza ma.

Non esiste alternativa, esiste solo il problema economico e organizzativo, il resto è scontato, ovvio. Deve essere scontato e ovvio.

Niente concorsi, niente architetti, se non come costruttori, niente critici, niente fiera della vanità. Niente giovanilismo assistenziale.

Nessuna pensata, nessuna idea, nessuna sperimentazione.

Com’era, dov’era.

Per i morti, per i vivi, per le città, per l’Emilia-Romagna.

13 commenti:

emanuele papa ha detto...

Viviamo in un paese che sta in apnea da almeno 50 anni, che non vuole progettare nessun futuro, che si stringe al suo passato e ai suoi edifici storici perché non ha più il coraggio e le capacità di farne di nuovi altrettanto belli. Ogni terremoto potrebbe essere un potenziale di rifondare una comunità e il suo spazio, invece si risolve in una sconfitta immediata, una resa senza speranza. Solo dov'era com'era: centoventi anni di dibattiti sul restauro mandati alla discarica!

Pietro Pagliardini ha detto...

Non sono d'accordo! Io direi: 120 anni di dibattiti sul restauro che hanno creato una discarica, cioè le nostre città.
Per quale motivo vuoi rifondare ciò che è stato fondato nei secoli e in maniera egregia? Hai visto le immagini dall'alto di quei borghi terremotati. Hai notato l'unità dell'insieme, gli spazi pubblici tutti collegati tra loro senza soluzione di continuità e racchiusi da edifici talvolta semplici, talvolta di notevole pregio, ma comunque tutti pieni di grande dignità e spesso bellezza? Con cosa li vorresti sostituire? Perchè li vorresti sostituire? Con le squallide periferie prodotte in cento anni? Tu non stati parlando di "restauro", tu stai parlando di "conservazione", che significa la museificazione vera della città, il lasciare, cioè, brani di ciò che c'era con l'inserimento di elementi nuovi che "dimostrino la loro contemporaneità". Ma questa è un'operazione intellettualistica avusla dalla realtà, che non importa a nessuno se non a quattro architetti della soprintendenza e a molti architetti che non sanno che guardarsi nel loro ombellico, smaniosi di lasciare traccia del loro passaggio sulla terra. Ma non è mica per questo che si esercita il mestiere dell'architetto.
Ciao
Pietro

Anonimo ha detto...

Certo, Piero, se mi metti una foto della torre con l'orologio, e cioè di un edificio storico specialistico, non posso altro che essere d'accordo con te. Dove era e come era!! Per gli edifici che potremmo definire come edilizia di base, invece, credo sia fondamentale mantenere il "com'era e dov'era" da un punto di vista urbanistico. Per quello che riguarda la distribuzione interna, invece, qualche piccola possibilità di miglioramento la prevederei. Come architetto, aggiungo che le smanie di protagonismo di molti nostri colleghi siano deprimenti e segno di velleitarismo. Il voler essere originali e proiettati nel futuro per forza nasconde in genere una grande debolezza caratteriale. Molti colleghi sanno che non potranno mai progettare cose molto importanti e allora vogliono sprigionare la loro "creatività" anche nei piccoli incarichi che dovrebbero essere svolti semplicemente in accordo con la tradizione e lo spirito del luogo. Il segno che lasciano, però, è destinato ha deperire molto prima rispetto a quelli che invece, sono capaci di interpretare la "storia".
Ciao
Alessandro

Anonimo ha detto...

"Sara’ una sequenza sismica lunga, che potrebbe durare mesi o anni, con sequenze di magnitudo confrontabile alla scossa principale", così, ieri , la cruda verità in un'intervista a Stefano Gresta, presidente dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia che conclude "..... in Italia dovrebbe passare un concetto che sembra che solo il nostro Paese non voglia capire: si puo' demolire quello che e' vecchio per costruire il nuovo".
Poche ore fa Fabio Carapezza Guttuso, responsabile dell’Unità di coordinamento nazionale dei Beni culturali, dichiara al Corriere della Sera: “Situazioni statiche particolarmente drammatiche, legate soprattutto all’incolumità delle persone, potranno portare a scelte dolorose e non facili. In taluni casi la Direzione regionale dei Beni culturali potrà decidere per l’abbattimento”.
Immediatamente Italia Nostra si agita e per bocca di Pier Luigi Cervellati comunica i suoi timori circa il rischio che “si ripeta il dramma de L’Aquila dove i pochi soldi a disposizione sono stati usati per costruire il nuovo, quando l’antico aveva bisogno di immediati interventi per poter essere riutilizzato. Così ci ritroviamo con un pessimo nuovo e un antico abbandonato. Una vera sconfitta e una città storica di fatto morta”.
Lo psicologo Paolo Crepet cerca di comporre gli opposti dichiarando provocatoriamente: "Il terremoto? Non bisogna guardarlo solo in maniera negativa, perche' esso puo' anche rappresentare un'occasione di rilancio per le città'….."
Il balletto dei pareri, delle tavole rotonde, dei pro e dei contro è cominciato.
Nessuno di costoro è architetto e gli architetti saranno gli ultimi ad essere interpellati, quindi, Pietro, ti risparmio il mio parere.

Ma ...... sono d'accordo con Emanuele!

Vilma

Pietro Pagliardini ha detto...

Vilma
Aspettavo il tuo parere con rassegnato stoicismo.
Sapevo di poter contare almeno su un NO.
E' chiaro che il post non ammette molte repliche da parte mia, essendo assolutamente perentorio, però una cosa te la devo dire: tutte quelle scemenze sui giornali, tutti quei pareri in libertà, io non li terrei molto in conto. Il fatto è...che sono cadute molte chiese e moltissimi edifici prefabbricati, cioè il simbolo stesso della fiducia nella modernità e nel costruire alla svelta. E' vero che quegli edifici sono stati costruiti in vigenza di una normativa non sismica, e quindi non c'è responsabilità di progettisti e costruttori, è altrettanto vero però che la loro labilità è insita nel metodo costruttivo. Infatti, sentivo stamani in rassegna stampa, anche un edificio prefabbricato costruito con le norme antisismiche è stato dichiarato inagibile, ancorchè non sia crollato e non abbia fatto vittime.
Edifici di cinquecento anni sono caduti, ma hanno cinquecento anni, non dieci anni.
Un edificio in muratura costruito a norma e a regola d'arte resiste bene al terremoto come pure un edificio storico con determinati accorgimenti. La soluzione del problema, dunque, non sta nella modalità costruttiva.
Ciao
Pietro

Antal Nagy ha detto...

Molto umilmente sostengo anche io l'idea del dov'era e com'era. Credo che la creatività degl'architetti debba iniziare a lasciare gli studi e fondersi con i desideri, per molti un pò "naif", della gente. Una creatività che vibri con il martello del capomastro (se ancora ce ne sono) nel momento in cui viene sgrossata una pietra. E non davnti al pc con una sigaretta in bocca. Questa è novità, questa è opportunità per il mio modestissimo parere. Ovviamente volevo essere anche io un pò provocatorio. Grazie per lo spazio.

Anonimo ha detto...

ai "nuovi futuristi", ve lo chiedo per favore, avete già distrutto le campagne, non distruggete anche i borghi storici con le vostre fallimentari pagliacciate moderniste

emanuele papa ha detto...

Vorrei intanto ringraziare Pietro per questo post che ci dà lo spazio per affrontare un tema che non si è affrontato e non si affronta mai con la giusta profondità. Io non mi ritengo un futurista né come Le Corbusier mi sognerei mai di radere al suolo una città per rifarla tutta intera con strade dritte e giardini a vista d'occhio. E' innegabile, lo abbiamo davanti agli occhi, che buona parte del costruito dal dopoguerra ad oggi non regge il confronto con quello che è stato costruito prima, sia nella qualità tecnica che, ancor più, in quella architettonica e collettiva. Ma ritengo che questa empasse, dovuta ad interessi economici ciechi, alla fame di abitazioni, alla terribile ignoranza degli abitanti sulla qualità del costruito, infine alla mancanza di eticità in tutti gli operatori del campo edilizio (progettisti, amministratori, esecutori), non vada presa come sconfitta definitiva. Ovvero: è mai possibile che oggi non si possa creare qualche cosa di buono architettonicamente non dico di migliore ma almeno a quasi pari valore dell'esistente? Le bellissime forme architettoniche che abbiamo ricevuto in dono dal passato rischiano di diventare gabbie oltre cui la nostra immaginazione non riesce ad andare. Anche qui sta uno dei sintomi della grande crisi in cui l'Italia da anni è precipitata (ce ne accorgiamo però solo ora, a causa di una crisi economica che ha altre cause ma che scoperchia tutti i vasi): nessuno ha il coraggio e l'immaginazione per vedere un futuro diverso, una città nuova. Anche io penso che gli architetti debbano essere umilissimi e soprattutto che i collettivi che abitano dovrebbero poter dire qualcosa sulla forma degli spazi che abiteranno: lasciamo da parte le archistar, iniziamo a rifare, con umiltà, dal basso, con coraggio, un po' di architettura!

Anonimo ha detto...

Pietro, non ho difeso sistemi costruttivi moderni, non ho criticato la scarsa stabilità degli edifici di cinquecento anni, ho solo appoggiato indirettamente ciò che altri hanno detto: per una volta che 'relata refero' e non dico no, mi fai la vittima che stoicamente se lo aspetta.

Forse hai risposto a qualcun altro.

Vilma

Pietro Pagliardini ha detto...

Vilma, è chiaro che il mio "stoicismo" era solo ironico, dato che conosco il tuo parere sulla Fenice di Venezia. La mia tirata sugli edifici moderni, cioè i capannoni, e a favore degli edifici tradizionali, era rivolta a quei signori che il più delle volte parlano a vanvera. Lo stesso Enzo Boschi, direttore del centro di vulcanologia e mio augusto concittadino (peraltro indagato per non "avere avvisato in tempo del terremoto dell'Aquila!!!!!) anche oggi, a domanda su quanto dureranno le scosse, ha detto che ha sentito dire di tutto e di più dai così detti esperti, quando lui stesso ha detto che non è possibile stabilirlo. La mia sfiducia su questi esperti è totale, dato che per molti di loro l'importante è apparire.
Sia a te che a Emanuele Papa, ricordo ancora, e lo avrai capito senz'altro, che il mio post non voleva essere argomentato o critico e neppure vero in assoluto, ma era solo una specie di vade retro (per pochi intimi) al chiacchiericcio degli architetti che come avvoltoi si aggirano sulle rovine, non sapendo trovare altro che le solite ideuzze su una ricostruzione per concorsi che dovrebbe essere il segno di chissà quali sorti progressive per le città e per l'Italia. La verità è che questi emiliani, gente in gamba, hanno già detto che non vogliono i moduli abitativi ma vogliono ricostruire e non hanno certo il tempo da perdere dietro gli architetti con loro concorsi. Quindi la ricostruzione non sarà, ovviamente, nè il com'era dov'era e neppure un campo di sperimentazione, ma sarà e basta.
A Emanuele, le cui intenzioni sono chiare e certamente virtuose, non posso che dire che sarei anch'io d'accordo con lui, se non ci fosse di mezzo però una realtà diversa che prenderebbe la sola lontana possibilità di rinnovare parti di città ed edifici certamente sbagliati come l'occasione per sbizzarrirsi con quelli che personalmente reputo solo disegnini assurdi. Mi spiace, ma la mia sfiducia sulla categoria cui appartengo è totale.
Quanto a Cervellati, temo che le cause della mancata ricostruzione de L'Aquila non sia dovuta alla mancanza di denari (ci sono 5 miliardi pronti e non utilizzati) ma da una situazione ben diversa che non credo in Emilia si potrà verificare, visto che chi ha potuto ha già ricominciato a lavorare affittandosi fabbriche vuote e rimaste in piedi. A l'Aquila, mi dicono, dato che io non conosco la situazione, ma nessuno mi ha smentito ancora, che non ci siano proprio le condizioni economiche e sociali per ripartire, dato che manca proprio il tessuto economico.
Ciao
Pietro

memmo54 ha detto...

Che problema c'è ?
Chiamiamo Carmassi che i muri li sa fare.
Ci metterà il calcestruzzo; eppure sembra solido. Certo tenterà di rifilarci qualche sua “pensata” particolare; ma bisogna capirlo: lui è…” un maestro”.
Oppure si potrebbe fare come si è sempre fatto; raccogliendo pietre e mattoni, ripulendoli ben bene; bagnandoli a rifiuto e rimettendoli, esattamente, dov’erano.
Gli stessi mattoni; le stesse pietre sbozzate da mani ormai morte.
Il più grande gesto di pietà e rispetto che si possa immaginare: Il miglior modo per mostrare riconoscenza ed affetto per la fatica ed i sacrifici di chi ci hanno preceduto.
Prima che perdessimo la testa e pensassimo di essere così diversi e tanto migliori da permetterci tutto.
Pagliardini…” la pietà l’è morta !!!”(.. forse per gli umili non c’è mai stata…bisogna farsene una ragione…) e comunque se n’è andata da queste terre. In tanti non vedono l’ora di completare l’opera.
Vediamo cosa si inventano per ricostruire….campanili di legno, chiese di acciaio e vetro o cubi di calcestruzzo, la “fantasia” non difetta.
Saluto

Pietro Pagliardini ha detto...

Luigi Prestinenza Puglisi aveva fatto, prima di me, questo video sulla ricostruzione:
http://www.ediliziaeterritorio.ilsole24ore.com/art/progetti-e-concorsi/2012-05-25/centri-storici-crollati-terremoti-160834.php?uuid=Ab8mlEiF.
Non escludo che il mio post sia stato anche suscitato da questa presa di posizione piuttosto perentoria.
A seguito di questo su facebook è nata una discussione in cui LPP, in risposta al mio post ha fatto un altro video più o meno analogo e quindi ha pubblicato un suo vecchio articolo in cui spiega le sue ragioni.
Questo l'articolo:
http://www.prestinenza.it/articolo.aspx?id=66
Poichè, per quanto riguarda l'articolo più che i video, c'è qualche argomento di interesse, mi sono riproposto di affrontarlo con più calma, oltre alle brevi risposte su facebook. Ciò che mi disturba più di ogni altra cosa è l'idea che la riproposizione degli stessi edifici, e soprattutto dello stesso tessuto, sia considerato un "falso" e che sottenda una visione rassegnata di persone che non hanno fiducia nel futuro, insomma di "vecchi dentro", quando invece molte delle ricostruzioni com'erano e dov'erano sono state eseguite proprio nei momenti di ripresa delle nazioni, dopo le guerre soprattutto, cioè in periodi di boom e di crescita. E' un accostamento così semplice da sembrare vero, ma non è affatto vero.
Pietro

Pietro Pagliardini ha detto...

memmo54, sei troppo pessimista, io credo. Io penso che non faranno molte pensate, penso, fatalisticamente, che costruiranno e basta, probabilmente in modo casuale, e quindi vero. Magari brutto ma vero.
Gli emiliani sono persone concrete e animate da un forte e naturale spirito comunitario. Basta scavalcare un pò gli Appennini (da sud) per vedere quanto sono concreti, forse anche troppo talvolta. Giri nelle zone di Sassuolo e nel distretto delle piastrelle ed è una sequenza casuale di fabbriche, case, depositi, case, uffici, tutto molto disordinato. Le strade si allargano improvvisamente in depositi di materiale e non capisci dov'è se c'è il confine tra pubblico e privato. I muletti si mischiano alle auto. Vai a Maranello e trovi, in aggiunta alle fabbriche come sopra, officine per auto come piovesse col marchio Ferrari. Non è "bello", ma senti che dietro c'è la vita, c'è una comunità dedita al lavoro. Sapranno come fare. E troveranno anche spazio per la pietà. L'importante è non rompergli l'anima, noi che le nostre case ce le abbiamo in piedi e abbiamo tutte le nostre cose in ordine, i nostri ricordi ben conservati.
Ciao
Pietro

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