La lettura dell’articolo di Roger Scruton (Il Foglio, 22 marzo 2008), L’architettura tra arte e scienza, costringe ad una riflessione sul senso di questo faziosissimo blog, dedicato all’architettura tradizionale, che è poi una semplice riflessione sullo stato dell’architettura contemporanea.
Scruton, riferendosi ad alcuni autori - Salingaros, Sindler e Glazer - che scrivono contro l’architettura dell’archisystem, costringe a porsi la seguente domanda: l’alternativa alle assurdità architettoniche contemporanee è il ritorno al classicismo e al vernacolo di Krier, agli archi, alle colonne, ai timpani, o è forse possibile un’architettura “autenticamente moderna” che rappresenti la nostra società ma che riesca a conservare il senso della tradizione e della storia di millenni di civiltà urbana?
Posta così la domanda, non sembra che possano esservi dubbi: è certamente vera, e perciò preferibile, la seconda strada.
Però…. la realtà è un po’ più complessa di come appaia per diversi motivi:
1) Esistono certamente ottime architetture moderne e contemporanee che rispondono a requisiti di ordine geometrico, o matematico, come dice Salingaros, rispettose dell’equilibrio psicologico di chi le abita e di chi le frequenta nel proprio ambiente di vita, e ve ne sono anche di molti architetti italiani; qualche esempio: Adolfo Natalini, Gino Valle, il miglior Aldo Rossi, e molti altri. Il problema è che questi sono grandi architetti ma non grandi maestri, nel senso che la loro architettura è difficilmente trasmissibile sotto forma di insegnamento se non come pura replica di forme. A me sembra che loro stessi difficilmente potrebbero insegnare e trasmettere ad altri le regole costruttive che governano le loro costruzioni, a parte suggestive descrizioni letterarie stile l’architettese incomprensibile a tutti, figuriamoci a studenti di architettura (che infatti lo capiscono male e parlano sempre più architettese dei loro professori).Quando va bene la loro scuola riesce a riprodurre gli stessi elementi compostivi del maestro, a fare uso di alcuni caratteri formali che però, alla lunga, invecchiano inesorabilmente, privi come sono dello spirito creativo di quelli e senza alcuna teoria a sostenerli. Insomma, credo che quei bravissimi architetti abbiano prodotto le loro opere migliori più in forza dell’intuizione che non di una consapevolezza delle regole che stavano seguendo e questo per il fatto che anche loro erano o sono figli del disordine culturale dell’avanguardia del primo mezzo secolo scorso. Se anche avessero saputo, difficilmente avrebbero potuto dire, per non restare emarginati dal mondo accademico e professionale.
Dunque, primo problema: la non trasmissibilità delle regole attraverso l’insegnamento.
2) Attualmente l’architettura è il luogo dello scontro, del tutto impari in verità, tra un imponente sistema editoriale, pubblicitario e accademico che conosce, o meglio, riconosce solo l’architettura “creativa e geniale”e promuove le archistars dell’architettura al pari dei cantanti pop, delle dive del cinema, delle griffe della moda quali le uniche in grado di garantire risultati mirabolanti in termini di ritorno d’immagine, pubblicità, marketing, investimenti (in realtà i fallimenti non sono pochi, si legga questo link al New York Times). L’architettura tradizionale, quella che invece è la più apprezzata dai consumatori, dalla gente, quindi da coloro che pagano per averla e utilizzarla, è relegata dalla critica ufficiale, cioè quella imperante, a pura nostalgia del passato, quando va bene, a spazzatura, quando va male. Non c’è concorso di architettura che possa vedere un architetto tradizionale vincente, non c’è cattedra universitaria significativa che gli possa essere assegnata, non c’è rivista di architettura che gli dedichi, se non con giudizi sprezzanti, un articolo importante. Se è vero che proprio in questi giorni sono apparsi articoli interessanti su Libero, il Domenicale, il Corriere della Sera, il Foglio che affrontano i guasti del decostruttivismo, resta tuttavia la grande sproporzione delle forze in campo.
In una situazione come questa sperare di discutere di una terza via per l’architettura è assolutamente impossibile, velleitario e, soprattutto, perdente. Intanto perché chi cerca strade autonome è molto probabile che lo faccia partendo dal modernismo imperante per cercare di mitigarlo, migliorarlo o forse mascherarlo; soprattutto è probabile che conservi il mito della centralità dell’architetto, di colui che si guarda il proprio ombellico e pensa che sia il centro del mondo; invece è la strada inversa quella da seguire: partire dai valori, dalle regole universali dell’architettura tramandataci dalla storia, accettare queste regole, digerirne la sostanza e dopo, solo dopo, cercare declinazioni diverse ad una regola generale sempre valida.
Insomma è una questione di tattica, esattamente come in politica: se c’è un sistema politico che uccide la libertà di espressione è inutile tentare strade intermedie che ne addolciscano le ricadute negative: prima va combattuto quel sistema per mettere il re a nudo. Solo dopo sarà possibile ricostruire e proporre e discutere serenamente.
Se è consentito un paragone politico di attualità bisogna seguire la strada di Berlusconi nella politica italiana: per 13 anni ha combattuto aspramente (ampiamente ricambiato) quelli che lui chiamava, non senza ragione, i comunisti poi, una volta nato il partito democratico che sembra avere espulso ali radicali e “comuniste” appunto, è diventato dialogante, serio, talvolta ecumenico, alla ricerca di soluzioni condivise. Prima c’è la stata la pars destruens, adesso dovrebbe seguire la pars construens.
Per questi motivi questo blog è faziosamente di parte; di blog che discutono “democraticamente” di architettura ce ne sono a migliaia ma, guarda caso, i nomi e le opere che vi circolano sono sempre gli stessi, quelli dello star system.
Pietro Pagliardini
30 marzo 2008
BLOG FAZIOSO? SI', GRAZIE
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