Al momento della scelta dell'indirizzo di questo blog, dopo una serie di tentativi a vuoto alla ricerca di un nome semplice e pertinente, la sorpresa: "regola" era libero! L'architettura è oppressa da leggi e regolamenti, i termini più altisonanti della "creativa" cultura architettonica erano già occupati ma una parolina così semplice e antica e comprensibile da tutti, cioè "regola", era libera!
Questo blog parla appunto di "regole" contro la sregolatezza architettonica.


17 marzo 2008

Lettera di un modernista pentito ad un antichista incallito

Caro Roberto,

ti mando una foto di Ragusa-Ibla, una della Chiesa Madre di Scicli e una di un paesaggio del ragusano . Sul paesaggio della prima foto mi sono affacciato per una settimana almeno due volte al giorno, ed ogni volta non ho potuto fare a meno di constatare quanto ampio sia il solco che divide il vecchio dal nuovo, l'antico dal moderno. La foto della Chiesa di Scicli con accanto la scuola non ha bisogno di commenti. Quella del paesaggio parla di un dialogo corretto con l'ambiente.
Sono considerazione vacanziere, fatte in surplace, con i calzoni corti e le ciabatte.

Giulio dice che la Toscana non ha retto alla modernità ed ha ragione, ma non è un difetto genetico di noi toscani perchè neanche la Sicilia ha retto. In realtà credo che non abbia retto nessun territorio che possedesse una storia e qui la storia trasuda da ogni sasso, da ogni albero, da ogni giardino (gli aranceti), da ogni muro a secco lungo le strade e tra i campi, dalle facce della gente di campagna non ancora segnata dalle rotondità del benessere.

Sarà che nei luoghi non familiari l'occhio è più attento e critico ma a me sembra che qui non vi sia uno, dico uno, esempio di modernità, in sè bello o brutto, che possa reggere il confronto con il vecchio, che abbia una dignità, che si inserisca armonicamente con la natura o con la città. Ogni nuova costruzione o manufatto è uno strappo, un'offesa a ciò che esisteva e questo a prescindere dall'abusivismo o dalla regolarità della costruzione, dalla pianificazione o dalla spontaneità della stessa.
E qui la spontaneità abbonda; mentre da noi si limita a qualche baracchetta di campagna
trasformata in residenza domenicale, in Sicilia vi sono intere zone "spontanee", castelli di c.a. abbandonati, case di tre piani con un piano finito e due grezzi, non si sa mai. Gela e Vittoria sono intere città "spontanee", inemendabili (viene voglia di sperare che sfugga qualche missile dalla vicina base di Comiso).
Ma il problema non è l'abusivismo, il problema è che la modernità non ha trovato canoni adeguati ai luoghi che possiedono una storia. Costruzioni normali, di qualità non pessima, sia come progetto che come esecuzione, sono totalmente dissonanti con il contesto naturale e/o urbano. Se fai attenzione potrai notare che il progettista della scuola di Scicli, in fondo, si è anche sforzato di interpretare forme barocche in chiave moderna: forse non era nemmeno uno sprovveduto per essere un progettista di paese negli anni 60!!!
Un territorio come questo, aspro, pietroso, arido, assolato, caratterizzato dalla dominante giallo-dorata delle sterpaglie e dal segno grigio della pietra che riverbera i raggi del sole, con piantagioni rade di olivi misti a carrubi, con i campi segnati non dai fossi (acqua poca) ma dai muri a secco che non hanno, in genere, funzione di retta, come in Toscana, ma di divisione delle proprietà e contenimento delle mandrie e che formano un reticolo fitto in cui questi sembrano vene sporgenti sul corpo rinsecchito di un affamato, non può sopportare né la casetta del geometra con la terrazza a sbalzo torno, torno né il condominio in c.a. verniciato al plastico, con le finestre orizzontali o verticali da cima fondo. La masseria o la villa con gli annessi attaccati sono le tipologie per questo territorio: tertium non datur, o almeno non ho visto altro di adeguato.
Constato tutto ciò con grande rammarico e con un senso di sconfitta, non tanto perchè io ho sbagliato a credere nell'architettura moderna quand'ero più giovane (di questo me ne frego alquanto, perchè è meglio accorgersi dei propri errori che perseverare, anche in politica), ma perchè scopro che la modernità e il progresso che hanno il grande merito di produrre benessere, ricchezza e libertà hanno fallito totalmente proprio nel campo della nostra "disciplina" mentre medici, informatici, agronomi, ecc possono essere orgogliosi delle loro scoperte. Noi architetti invece dovremmo solo vergognarci perchè non abbiamo capito veramente niente, ma in compenso non ci è mancata arroganza e presunzione. Ma queste sono considerazioni "intimistiche" che non hanno rilevanza generale.
Il vero rovello è invece di tipo intellettuale e consiste nel non riuscire a trovare soluzioni ai problemi, nel dover accettare e digerire il PARADOSSO DELLA MODERNITA': la libertà produce una società anti-urbana.

Proprio una società di uomini liberi che dovrebbe esaltare la polis come il luogo di massima espressione di libertà genera invece l'esplosione e la distruzione della città.
In fondo, duole ammetterlo, i ragionamenti di Branzi hanno un fondamento. Una società libera fatta da individui non uniti da forti legami tradizionali non può che portare alla disgregazione della città. Ogni individuo è un universo e ogni universo è un mondo a parte, che ha un suo inizio e una sua fine e non comunica con l'altro: come sperare di trovare valori comuni per la città! Certo la risposta di Branzi è quella di una presa d'atto di questa realtà e dunque la città non può che nascere dalla mente degli architetti creatori o creativi, che trattano l'architettura come un fatto di costume, come la moda o il design, come semplice comunicazione. Fare architettura o urbanistica, in queste condizioni, diventa solo un fatto di potere, come fare pubblicità ad un prodotto, perchè il potere più grande non è quello politico ma quello della comunicazione, del messaggio pubblicitario. L'architetto più bravo è l'architetto più potente, quello che riesce ad affermare il suo prodotto che dura una stagione (non so dire se la stagione dell'architettura sarebbe quello di una collezione autunno-inverno oppure avrebbe tempi più lunghi).
Ma la risposta di Branzi (o Mendini o Fuksas o chi altri) non soddisfa (non tanto per ma la "gente") e allora l'unica alternativa, molto pragmatica e molto poco dogmatica è quella di tornare all'antico nella semplice constatazione che soddisfa di più l'occhio e, forse, anche la coscienza. Se milioni di persone si spostano per visitare i centri storici italiani ed europei vuol dire che certi canoni formali sono duri a morire nel cervello della gente, o forse si adattano più ad esso che non le astrazioni dei suddetti Maestri. E allora ben venga Krier con le sue paradossali, buffe ma evocative architetture, ben vengano i muratoriani con la loro città irriproducibile (distanze, codice della strada, sismica, USL, sicurezza, anti-incendio, barriere architettoniche, ecc): sempre meglio un simulacro di città antica che una non-città.
Adesso avrai capito perchè il buon Giulio, nel suo foglietto in cui traccia una linea tra architetti modernisti e antichisti mi abbia collocato molto vicino al confine: io sono un border-line. Non riesco infatti, ed è un mio limite, a separare la scelta architettonica dalla società che la produce.
La libertà genera solitudine, individui liberi ma isolati l'uno dall'altro, che si riuniscono per lavorare, per grandi "eventi" (concerti, manifestazioni politiche, discoteche, vacanze, acquisti, ecc) ma che, in quanto liberi, sono incapaci di accordarsi insieme in un progetto unitario e condiviso di città. Ognuno ha la propria visione del mondo e aspira a vederla riconosciuta e nessuno è disposto a rinunciarvi. La Prova d'orchestra di Fellini è la miglior descrizione visiva di quanto penso: ogni musicista va per conto suo e il direttore è incapace di tenere unite le individualità.
La solitudine è il prezzo della libertà; solitudine esistenziale e solitudine sociale: il canone urbano e architettonico della solitudine è il vuoto, non il pieno. Nel vuoto non c'è città.
Per me che, nonostante recenti traversie personali, non ho perso l'ottimismo di fondo che mi fa vedere tutti i lati positivi del nostro tempo rispetto a quelli passati è durissimo (intellettualmente e non a livello di conflitto personale) non riuscire a risolvere questa contraddizione.
E allora, CHE FARE?
Sposare la causa degli antichisti, direbbe Danilo; ricreare false condizioni sociali perchè il bello è meglio del brutto (direbbe Catalano) sperando che ci sia più da ristrutturare che da creare ex-novo (ristrutturare vuol dire leggere ciò che c'è già e, oltre che più facile, crea meno problemi di coscienza).
Inoltre vi è, fortissima, la motivazione economica: il nostro territorio è veramente una enorme risorsa da conservare e valorizzare; distruggerlo con i nostri mostri moderni è come dare fuoco ai pozzi di petrolio.
Ma voglio concludere con una nota di ottimismo: la scelta antichista è anche il frutto di una società evoluta economicamente e culturalmente, post-moderna, non industriale ma terziaria avanzata, la quale, esaudito ed esaurito in gran parte il fabbisogno abitativo, si pone il problema di migliorare la qualità della vita e per fare ciò si rivolge a quei modelli più collaudati e che hanno più appeal sul mercato. Risolto il problema dell'essenziale, ricchi e pasciuti ci preoccupiamo del superfluo e il gusto si affina, nelle arti, nella cultura, nella moda, nell'alimentazione, nell'abitare e affrontiamo argomenti di ordine superiore, più evoluti.
Per fare ciò è necessario studiare quei modelli (tornano in campo i muratoriani) e applicarli con serietà altrimenti facciamo come la Fiat, che a furia di sbagliarli (i modelli) rischia l'estinzione.
Il mercato è la nostra salvezza e la nostra guida.
Un'altra proposta in positivo: il prossimo obbiettivo potrebbe essere modificare le brutture esistenti, per esempio, rifare una bella facciata al palazzo della UPIM in piazza San Jacopo: sarebbe un bel manifesto del nostro Centro Studi Rinascimento Urbano (il progetto di ristrutturazione di Krier ad Alessandria è decisamente meglio del nuovo).
Adesso ti lascio, lascio questa splendida terrazza in un palazzo di Ibla (il centro storico di Ragusa), lo sfondo di questo meraviglioso presepe illuminato davanti a me e vado a dormire. Domani mi sposto a Noto, capitale del barocco, dove un grattacielo (dimensioni di quello scongiurato della Margheritone) è lì a ricordarci gli scempi edilizi della modernità.
Affogherò nel mare le mie ansie architettoniche. Madonna, quest'anno ho fatto le vacanze intelligenti!

Un saluto a te e ad Anastasia

Piero

1 commento:

Anonimo ha detto...

Caro Pietro,
io c'ero già arrivato. Al blog, intendo. E se ci sono riuscito vuol dire che non deve essere così difficile. Penso che stai facendo una cosa buona e per me consolatoria, anche perchè sto maturando l'idea di essere dalla parte perdente. Irrimediabilmente perdente.
Sconfitto da quella cultura che, rivendicando il diritto di poter esprimere il presente crede di poter fare tutto ed il contrario di tutto, senza dover rendere conto di nulla. Una lobby potente, fatta di pochi adepti, ma che ha una grande capacità di attrazione. Una lobby che predica:il diritto alla creatività, alla libertà di espressione e, sopratutto, il dovere di trasgredire le regole. In breve, o forse meglio, il diritto all'ignoranza.
E quale sirena può sedurre di più, in un mondo sciatto, superficiale ed incolto, di quella che libera dalla conoscenza delle regole?
Mio figlio viene bocciato all'esame perché, nel centro storico di Firenze, si azzarda a presentarsi col progetto di un edificio con il tetto a falde inclinate, in concorsi di progettazione su piazze storiche si premiano progetti che assomigliano a negozi di mutande con pedane in legno wengé e passerelle fisse per sfilate di mode.
Infine, anche la chiesa secolare, reclama progettazioni moderne di edifici religiosi, di modo che, fra qualche anno ritornando a Scicli mi invierai la foto di un bel palazzo barocco con accanto una brutta chiesa moderna.
Tu che hai la volontà e ne sei capace insisti con il tuo "blog".
Bravo!

Roberto

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