“Esso svetta come un macigno per almeno 50 metri sopra la città, rendendosi visibile in tutta la sua imponenza da ogni parte del borgo eugubino; una massa bianca, un cubo astratto calato dall’alto, noncurante della trama urbana che lo circonda”.
“Esso” è il Palazzo dei Consoli a Gubbio e chi scrive è Qfwfq sul blog amatelarchitettura, che dipinge uno spericolato e surreale quadro in cui equipara esso Palazzo, che è in realtà un complesso di due palazzi con una piazza pensile, alla Casa della Musica di Rem Koolhaas a Porto.
Prima di verificare l’autenticità del quadro è bene chiarire, nel caso qualcuno avesse dato una lettura troppo veloce al post di amatelarchitettura, che l’autore gioca tutto in chiave estremamente ironica, talora irridente, con un forte gusto per il paradosso, per significare che la rottura rispetto al contesto del progetto di Koolhaas, è assolutamente paragonabile a quella del Palazzo dei Consoli a Gubbio e che i due edifici hanno caratteristiche del tutto analoghe sia dal punto di vista architettonico che nei confronti della città.
Tutto il ragionamento, che è molto efficace sul piano comunicativo, con quel giocare sull’equivoco e con l’uso sapiente di quelle immagini allegate piuttosto che altre, vuole portare il lettore alla conclusione che “nihil sub sole novi”, che la figura dell’architetto è sempre la stessa, che Gattapone (l’architetto eugubino) non era altro, in fondo, che l’equivalente delle nostre archistar, nello specifico Koolhaas, che la molla che l’ha spinto a fare un edificio così imponente è lo stesso egocentrismo che ha guidato il nostro contemporaneo e furbissimo olandese teorizzante, e che il potere, quando è potere vero, quando cioè può e non solo aspira a potere, si rappresenta con gli stessi simboli di potenza, con l’eccezionalità e la rupture rispetto al contesto. Pompidou e Mitterand ne sono l’esempio migliore nel nostro tempo.
Inoltre vuole veicolare il messaggio che la città si è sempre trasformata, non è mai stata uguale a se stessa (e qui niente da eccepire), ma che l’ha fatto anche attraverso architetture violente, di opposizione e non in armonia con il tessuto e la trama urbana. E’ solo dal contrasto, dalla diversità, dalla rottura dell’armonia, sembra dire Qfwfq, che nasce la singolarità del progetto e quindi la manifestazione del potere, che diamine!
Anche se lo spirito di Qfwf è provocatorio al limite del goliardico (termine cui non attribuisco alcun significato negativo, anzi), tuttavia fa affermazioni impegnative e quindi una verifica sui contenuti vale la pena di farla.
Dalla citazione in testa al post emerge subito che l’errore di fondo è quello tipico di chi ha l’abitudine di valutare l’architettura come fatto autonomo, di fermarsi al massimo allo skyline, all’immagine cartolina, di non considerare come fondamentali le relazioni urbane. Quello del post è cioè un giudizio suggestivo e impressionistico, che però è fuorviante in questo caso. Guardiamo la foto che segue:
Il complesso Palazzo dei Consoli-Piazza pensile-Palazzo dei Priori, che Qfwfq vede come sopraelevato rispetto alla strada a valle (ed è sopraelevato), è però, prima di tutto complanare alla strada a monte, cioè via Dei Consoli, che a giudicare dalle foto sembra una strada di mezzacosta e comunque la strada maestra, la più importante in senso longitudinale. E seguiamo l'altra strada importante, la via Perugina, che dal parcheggio in basso al centro si dirige verso nord-est fino a concludersi, nel lato est del Palazzo dei Priori, proprio in via Savelli, la parallela a valle di Via dei Consoli, e a questa collegata con la scalinata della foto che segue, oltre che con l’altra opposta che immette sulla piazza passando sotto il porticato del Palazzo dei Consoli:
Cosa significa tutto ciò? Significa che il complesso è collocato al centro della città, perfettamente integrato nel tessuto urbano e il forte dislivello tra le due strade longitudinali, ben visibile nella foto, è stato risolto con una piazza pensile che costituisce copertura per ben due piani di edificio. Quale migliore inserimento contestuale avrebbe potuto esserci? Come si può affermare che è “noncurante della trama urbana”!
Quali attenzioni maggiori avrebbe potuto avere un architetto, non un’archistar, cioè Gattapone, per la situazione pre-esistente?
Questo è un capolavoro di Genius loci urbano, altro che “strappo” al genius loci. Questa è una meraviglia di adattamento alla geografia e alla morfologia del terreno, alla trama della città, con un’architettura forte e rappresentativa come si conviene alla committenza, che è poi la città stessa.
Un complesso come questo dovrebbe essere fatto studiare in facoltà proprio per mostrare come risolvere il tema di una spazio pubblico urbano, un tema collettivo come lo chiama Marco Romano, in presenza di dislivelli di questo tipo, riuscendo a dare grande dignità architettonica e simbolica agli edifici pubblici rappresentativi.
Altro che invenzioni, queste sì astratte, da archistar!
Senza tante analisi, peraltro da me improvvisate sulla foto aerea e con le immagini di street-view, quindi suscettibili di errore, il colpo d’occhio della foto aerea non rimanda alcuna immagine di discontinuità rispetto alla trama viaria.
Ma aggiungo di più: questa grande “massa bianca”, questo “macigno alto 50 metri", questo “cubo astratto calato dall’alto”, lo si osservi in relazione agli edifici su via de Consoli:
E si osservi la bella foto a inizio post tratta da Estetica della città di Marco Romano.
E’ così sproporzionato come ci vorrebbe far credere l’articolo? Certo, nei confronti della parallela strada a monte c’è da aggiungerci tutto il dislivello tra la piazza e la strada, che è notevolissimo e corrispondente a due piani, ma è nella logica di costruire su terreni scoscesi. Per fare un esempio, si prenda Pitigliano:
Si può dire forse che quegli edifici aggrappati allo strapiombo tufaceo sono opere da archistar? No, non sono neppure di architetto, sono edilizia di base costruita adattandosi spontaneamente alla morfologia del terreno, in questo caso per chiari motivi difensivi. Se si passeggia dentro Pitigliano, gli edifici hanno altezze di due, massimo tre piani! Ma da fuori sono necessariamente fuori scala, “macigni” di ben oltre 50 metri.
Certo che l’edificio di Gubbio svetta sulla città, al pari di qualsiasi cattedrale o palazzo pubblico in città collinari. Basta guardare la successiva immagine di Arezzo, la mia città, tratta dagli affreschi di Piero della Francesca per rendersene conto; ma non ce ne sarebbe bisogno, lo sanno tutti che è così. Il potere si rappresenta in maniera adeguata alla sua importanza: talvolta svetta quello laico, talvolta quello ecclesiastico, in altri casi i due tentano di conservare un equilibrio.
Esaminiamo adesso velocemente, perché non merita troppo tempo, il progetto di Koolhaas a Porto e a dire il vero sono in imabarazzo a fare un accostamento di questo genere, perché quand’anche Koolhaas l’avesse progettato avendo in testa Gubbio, e ne dubito fortemente, sarebbe venuta fuori una parodia, e credo che basti guardare la foto aerea per rendersene conto:
Questo è distillato di opera di archistar dove è impossibile, perché espressamente rifiutata, trovare qualsiasi relazione con il tessuto viario ed edilizio esistente. Questo progetto vive solo di fotografie che escludono tutto il resto, solo foto dal basso e ravvicinate, solo dettagli fotografici che esaltano spezzoni di “geometrie astratte” completamente strampalate e, tra l’altro, anche abbastanza sgradevoli.
Come è possibile che in un commento abbia letto che è impressionante la somiglianza tra i due edifici! L’unica somiglianza sta…nelle dimensioni, nel volume (nel senso di cubtaura, non in senso spaziale). I due edifici non potrebbero essere più diversi da come sono.
Morale? Questo post è una risposta agostana ad un post volutamente eccessivo, ritengo, che però sottende una visione dell’architettura e della città impostata sugli oggetti, sulla cultura dell’invenzione fine a se stessa e svincolata da ogni relazione urbana. Sull’esaltazione inutile, sbagliata e dannosa dell’architetto.
Tuttavia, io credo che chi scrive su un blog come amatelarchitettura, che ha un bel seguito di giovani architetti, che ha molti meriti nel trattare argomenti professionali di grande attualità, che non si limita a scrivere ma che organizza convegni, incontri, iniziative di vario tipo, che ha come co-autori colleghi impegnati in prima persona in istituzioni quali la Cassa di Previdenza e l’Ordine, che sono, in un certo senso e magari contro la loro volontà e intenzione, quasi una istituzione di carattere professionale e culturale, dovrebbero essere un po’ più prudenti nello spingersi in impossibili paragoni del genere, anche se ironici e paradossali. Vorrei sapere quanti invece hanno condiviso il messaggio letterale e non quello forse un po’ troppo sottile dell’allusione che lascia però margini per ritenere che, tutto sommato, il paragone ci potrebbe stare e che Koolhaas vale Gattapone e che quindi, se le nostre città antiche sono così belle è merito della mentalità da archistar. Questo non è assolutamente vero ed è fuorviante.
Dimenticavo una cosa importante, anzi fondamentale: informo chi non lo sapesse che la piazza dei Consoli ha costituito l’ambientazione di ben due serie TV: Don Matteo e Ho sposato uno sbirro.
Potrà essere astratto un luogo che viene utilizzato come sfondo per quanto di più nazional-popolare e ad uso familiare venga prodotto in TV?
Registi, sceneggiatori e soprattutto scenografi sanno bene quanto l’ambientazione sia fondamentale rispetto al tema e al target di pubblico di un film, specie una serie TV, e a Porto, al massimo, in quello spiazzo indistinto e vuoto, nonostante la cubatura considerevole,avrebbero potuto girarci la fiction “Ho sposato un alieno”.
11 commenti:
Mi scuso per l'errore fatto: avevo inserito due volte la stessa immagine.
Adesso ho rimediato.
Pietro
Bell'articolo. Condivido.
Grazie Antonino. Ho avuto modo di parlare di te su facebook. E non male.
Ciao
Pietro
1^ parte
Caro Pietro,
impossibile non condividere il tuo pensiero, semmai posso rimproverarti di essere stato troppo "politically correct" con Qfwfq.
Infatti, sebbene abbia aderito a delle iniziative pregevoli di "amatelarchitettura", e stimi molto alcuni dei suoi membri, non posso non far notare loro l’assurdità di questo articolo, e non posso non definire malafede quella con la quale Qfwfq ha cercato di manipolare la realtà dei fatti non sia una cialtronata.
Purtroppo ci troviamo davanti al tipico articolo che evidenzia una profonda ignoranza della storia di Gubbio, nonché della Storia dell'Urbanistica e dell'Architettura più in generale. Siamo davanti ad un uso improprio della capacità lessicale al fine di perseguire i propri fini, ovvero davanti al più cialtrone dei comportamenti di chi pratichi un "insegnamento" ideologico della materia, senza minimamente porsi il problema di verificare se si stia, o meno, dicendo delle idiozie.
Come dici tu, il complesso Palazzo dei Consoli, Piazza, Palazzo dei Priori è un luogo dove portare gli studenti, tutta Gubbio lo è. Noi, con la Notre Dame, ci portiamo i nostri studenti una volta all'anno. Gubbio è uno degli esempi più antichi del passaggio dalla "non città" altomedievale alla "città" dell'epoca comunale. Gubbio è un luogo in cui è ancora possibile leggere la forma della città minuziosamente descritta nei riti di purificazione ed espiazione delle Tavole Eugubine, nonostante la forza della forma della "nuova" città, concepita come progetto unitario in epoca comunale, epoca in cui il Gattapone (il cui confronto con l'ignorantissimo Koolhaas mi dà i conati), mise a servizio della collettività la sua maestria di tagliapietre, di progettista e di costruttore!
La piazza venne realizzata lì, come si legge nei documenti dell’epoca, perché fosse nel luogo in cui potesse ritenersi appartenere a tutti i quartieri eugubini … è il punto in qui tutti i quartieri convergono! Questo fece sì che, a causa dell'incredibile situazione orografica, venisse operato il grandioso terrazzamento, le cui arcate sottostanti vennero utilizzate per scopi utilitaristici da parte della collettività.
Quello stesso luogo, guarda il caso, nella Tota Ikuvina, era quello occupato dalle pietre sacre dove gli augures osservavano i segni divini per il tracciamento della “Tota Ikuvina” (Gubbio), vista come un “Templum Terris”, quel luogo era anche quello dove gli stessi augures sostavano, per osservare il cielo e dirigere i movimenti, in occasione dei principali riti di “purificazione ed espiazione” che si svolgevano nella città antica, riti che, incredibilmente, si sono mantenuti seppur modificati, nella cerimonia della “corsa dei ceri”.
Gubbio è uno di quei luoghi dove è possibile vedere come la celebrazione della nuova entità politica costituita, il Comune laico, e la realizzazione della città ideale cattolica, con la nuova “croce di chiese” degli ordini mendicanti che vanno a ridefinire i quattro punti cardinali, riescano a convivere meravigliosamente, definendo uno spazio e un carattere unico, che è figlio della “volontà comune” e non del “superego dell’architetto”.
... continua nel prossimo commento
2^ parte
Inoltre, va considerato quello che era il clima del tempo, dove i diversi Comuni “gareggiavano” tra loro utilizzando le armi dell’urbanistica, della cultura e dell’arte che, diversamente dal piattume contemporaneo, erano fortemente incentrate sulla celebrazione del carattere locale. Ecco quindi che il Palazzo dei Consoli, quello dei Priori, quello del Capitano del Popolo di Gubbio risultino profondamente diversi da quelli di Orvieto, di Todi, di Perugia o di qualsiasi altro luogo!
Quanto alle dimensioni di questi edifici, che sicuramente dovevano emergere dalla massa del tessuto residenziale per ragioni tipologiche, c’è da dire che, grazie al rispetto delle “leggi proporzionali” locali (il palmo, il piede, il braccio, la canna, ecc., cambiano da città a città), ed al rispetto dei materiali locali, risultano sempre perfettamente integrati nei contesti in cui sorgono, svolgendo quell’indispensabile ruolo di “emergenza” che gli edifici pubblici hanno sempre svolto, e giustificano con la loro presenza l’esistenza di una piazza. Oggi questi discorsi “gerarchici” sugli spazi urbani si sono dimenticati del tutto, si progetta in maniera puntiforme e si fa molta confusione attribuendo a dei “vuoti urbani” il termine di “Piazza”.
Oggi si tende anche a ritenere che “architettura classica” sia solo quella dei monumenti, dimenticando l’importanza degli edifici minori che, con la loro presenza, “ambientano” quelli più nobili secondo il principio del decorum,
Penso che sarebbe non poco utile ritornare a capire quelle che erano le “leggi” urbanistiche che sottendevano al “disegno della città” … concetto ormai dimenticato!
Per concludere, perché penso di esser stato sufficientemente noioso, ritengo che guardare allo splendido Palazzo dei Consoli di Gubbio (il cui profferlo a ventaglio è il mio preferito!!) come ad un progetto a sé stante figlio dell’egocentrismo di una archistar, o ancora peggio paragonarlo all’obbrobrio di Koolhaas a Porto sia un’eresia assolutamente inaccettabile.
ciao. Ettore
Caro Pietro, conosco già il suo brillante commento apparso sul blog di Muratore. L'ho apprezzato tantissimo ed ho anche provveduto ad inserirlo nella rassegna stampa sulla vicenda disponibile sulla pagina Facebook Antonino Cardillo architect. Con stima ed interesse, Antonino Cardillo.
Certo Gubbio è un posto davvero speciale. Oggi è diventato quasi difficile anche solo immaginare una città di quelle dimensioni. Da girare a piedi, o al massimo a cavallo (ma ho idea che muoversi a cavallo per le strade medievali fosse scomodo e pericoloso...). Ma è evidente che Gattapone era conscio della cosa, e progettò una città da vivere a piedi. Una banalità, si direbbe; eppure oggi si costruiscono stadi, ospedali, stazioni e palazzetti dello sport senza pensare a come si spostano le persone. E a Bologna ne abbiamo nutriti esempi. Poi magari ci si pensa dopo e si fa un garage sotterraneo a costi sbalorditivi...
Tornando al medioevo, è vero che oggi le "emergenze" architettoniche come quelle di gubbio, emergono, ma sono organiche e proporzionate al restante tessuto urbano; ma non so se era così al momento delle loro costruzione. forse sono stati gli edifici successivi a conformarsi alle opere delle "archistar" di mille anni fa...
Una pallida ombra di ciò, resisteva fino a pochi decenni fa, quando (Vedi Pirellone) si stava attenti a che le opere nuove non superassero i limiti e i simbili ritenuti degni di non essere superati vedi Madonnina). Oggi non più, anche a Bologna è sorto uno squallido grattacielo che si vanta di "superare" la torre Asinelli
Veramente quello su Archiwatch me lo ero dimenticato del tutto. Io pensavo a quello su facebook.
Comunque ciò che non tollero è il moralismo, che spesso cela invidia per l'oggetto della condanna. Io non ho nemmeno ben seguito nel dettaglio la tua vicenda ma ho capito subito dov'era la parte sbagliata.
Saluti
Pietro
No enrico. Come ha ben spiegato Ettore, le dimensioni sono relazionate alla loro funzione, al tipo, che è quello di edificio pubblico che deve rappresentare la città nel suo complesso. Anche se non ti piace il campanile a lapis, tu ricorderai il Duomo di Arezzo con la sua mole che incombe sulla città. Come conosci la cupola del Brunelleschi, per prendere una città di pianura, che è visibile moltissimi scorci. Certamente, nel caso di Gubbio, quegli edifici privati che affacciano sulla piazza sono stati rialzati in epoca successiva, ma questo non per competere con il Palazzo dei consoli, ma adeguarsi all'importanza dell'area. Questo come dici te nel caso dei grattacieli, che invece competono volutamente con i simboli urbani collettivi.
Ciao
Piero
Quel che volevo dire, è che l'aspetto che vediamo oggi, e che ci sembra "naturale", e coerente, calibrato e appropriato, non deriva dall'aver inserito un edificio "normale", che si incastrasse bene in quel posto, ma da aver fatto un edificio "giusto" anche se "speciale"; tanto da agire come catalizzatore urbano e architettonico. Ciò può avvenire nel corso di secoli, o magari nel giro di pochi anni (Pienza). In origine però l'aspetto era certamente più "dirompente" e rivoluzionario. La differenza sta nell'essere utile, e fruibile. E gli esempi si sprecano, dalle cattedrali europee ai ponti sospesi. Per stare nel settore ponti, mi sembra che un golden gate, o un viadotto di Millau, utili e funzionali, anche se "fuori scala", hanno più senso della passerella che raggiunge Civita Bagnoregio, seturpando il paesaggio. In quel caso, se non era possibile una strada "coerente", forse era la volta del taglio netto, con vetro e acciaio.
D'accordo con tutto riguardo una lettura contorta delle istituzioni e dell'architettura. Come se oggi non si potesse progettare nulla che dialoghi con il preesistente.
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