Al momento della scelta dell'indirizzo di questo blog, dopo una serie di tentativi a vuoto alla ricerca di un nome semplice e pertinente, la sorpresa: "regola" era libero! L'architettura è oppressa da leggi e regolamenti, i termini più altisonanti della "creativa" cultura architettonica erano già occupati ma una parolina così semplice e antica e comprensibile da tutti, cioè "regola", era libera!
Questo blog parla appunto di "regole" contro la sregolatezza architettonica.


14 gennaio 2012

SCELTE URBANISTICHE ROMANE E CENTRI COMMERCIALI

Un nuovo post di Ettore Maria Mazzola dedicato alle scelte urbanistiche di Roma, con principi validi però per ogni città.

Sulle recenti scelte urbanistiche per Roma e sul pericolo derivante dai centri commerciali
di
Ettore Maria Mazzola


Sin dal giorno dopo la sua elezione, l’attuale sindaco di Roma si è distinto – e per questo è stato giustamente criticato su tutti i fronti – per le sue scelte contraddittorie, in totale disaccordo con le promesse della campagna elettorale. L’impressione generale che oggi si ha di Alemanno è quella di un sindaco perfettamente allineato con le scelte dei suoi due predecessori, ma con un’aggravante: mentre Rutelli e Veltroni, accecati da una visione distorta della modernità che si chiama “modernismo”, sono sempre rimasti coerenti nella loro idea di violentare la città, mettendola in mano agli immobiliaristi e alle archistar, Alemanno è invece andato contraddicendosi giorno per giorno, perfino all’interno della stessa giornata, come in occasione della conferenza sul futuro di Roma che si tenne nel 2009 presso l’Auditorium di Renzo Piano.


Inoltre, mentre Rutelli e Veltroni si erano ben organizzati a livello “culturale” per poter mettere in atto gli scempi peggiori che Roma abbia potuto registrare dal fascismo ad oggi, Alemanno, circondatosi di personaggi di dubbia cultura, s’è fatto cogliere con le mani nella marmellata diverse volte, dal parcheggio di Largo Perosi, alla sistemazione di Piazza San Silvestro, dal sottopasso dell’Ara Pacis, al taglio dei platani di Tor di Quinto, per non parlare delle “geniali trovate ambientaliste” sui grattacieli e sulla Formula 1, fino alla recente storia dell’albero di Natale in Piazza Venezia … ma la lista potrebbe estendersi.
Nel frattempo, la politica della giunta Alemanno ha portato la città ad un degrado mai registrato prima: le strade versano nel più totale stato d’incuria, Roma è più sudicia che mai, gli omicidi hanno subito un’impennata, gli autobus, specie nelle giornate festive, sono sempre più scarsi, e i cittadini si sentono abbandonati a se stessi, nonostante le presunte promesse di sicurezza!

Se il sindaco avesse davvero voluto distinguersi dai predecessori, e se davvero avesse avuto a cuore la qualità della vita e la sicurezza dei cittadini, avrebbe potuto evitare la realizzazione di 16 nuovi centri commerciali che, sommati ai 22 già esistenti, faranno quota 38!

Il proliferare dei centri commerciali è un danno gravissimo alla qualità della vita perché, annientando il commercio lungo le strade, toglie sicurezza alle stesse. Queste strutture inoltre, obbligando all’uso dell’automobile, acutizzano quelle emissioni nocive per le quali, paradossalmente, il sindaco finge di preoccuparsi organizzando le giornate a targhe alterne e le domeniche a piedi, che servono solo a portare portano solo disagio tra i cittadini e non migliorano un bel nulla … visto che le auto più inquinanti sono proprio quelle di ultima generazione, e visto che i mezzi pubblici risultano del tutto insufficienti!

Ma come è possibile – nel bel mezzo della più grave crisi finanziaria voluta dal sistema di strozzinaggio manovrato dagli oligarchi delle grandi banche internazionali – che il sindaco e i suoi consiglieri non si accorgano che realizzare queste strutture risulti utile solo a fare aumentare il debito di tutti gli stupidi pesci che abboccheranno all’esca? Tutti i centri commerciali, romani e non, dimostrano l’insufficienza delle reti di trasporto atte a sostenere i volumi di traffico richiamati certe strutture … né, di certo, le infrastrutture (strade, parcheggi, illuminazione, ecc.) vengono realizzate a spese di chi promuova e apra i centri commerciali!

Delle problematiche economiche ed urbanistiche connesse all’apertura dei centri commerciali ho comunque già detto in abbondanza negli ultimi articoli pubblicati su De Architectura e AffariItaliani.it, pertanto in questa sede, nella speranza che il sindaco e il suo entourage leggano la notizia, mi limiterò a ricordare le ragioni per le quali possiamo affermare che un centro commerciale produca un danno serio alla sicurezza delle strade, nonché le ragioni per le quali la vigilanza armata, tanto cara ad Alemanno, non serva a nulla, se non ad aumentare le spese dei contribuenti.

In base a queste ragioni, proporrei al signor sindaco di pensare a reindirizzare quegli investitori che gli mettono pressione per la realizzazione di centri commerciali, verso un programma teso alla realizzazione di un “centro commerciale naturale diffuso”, ovvero lungo le strade dei quartieri meno centrali e periferici. Questo programma potrebbe operarsi in due modi:
1) il primo, di più immediata realizzazione, potrebbe operarsi trasformando tutti i vari “piani pilotis” delle palazzine e palazzoni periferici in negozi e botteghe, eliminando al contempo quegli “spazi di nessuno”, orribilmente recintati, posti tra gli edifici e i marciapiedi, questo potrebbe farsi mediante l’edificazione di strutture ad un piano – possibilmente porticate per agevolare il passeggio e lo shopping in caso di pioggia – che leghino tra di loro gli edifici “puntiformi” ricreando una continuità nelle cortine edilizie;
2) realizzando la stessa cosa in maniera più radicale, ovvero mettendo in pratica quei progetti di “ricompattamento urbano” che ho descritto nei miei libri (1), e che messo in pratica nei progetti sviluppati per il Corviale di Roma e lo ZEN di Palermo.

Come ho detto dunque, volendo spiegare ad Alemanno & co. le ragioni che ci inducono ad affermare il pericolo alla sicurezza causato dalla realizzazione di un centro commerciale, e volendo prevenire quelle stupide accuse di “passatismo” che la maggioranza di architetti ed ingegneri ideologicamente schierati vomiteranno, faccio appello ad un illuminante testo del 1961, in Vita e morte delle grandi città (2) di Jane Jacobs che, nel capitolo “Le funzioni dei marciapiedi”, articolato in “la sicurezza” e “i contatti umani”, diceva:

«Le funzioni di autogoverno delle strade sono tutte modeste, ma indispensabili. Nonostante molti tentativi, pianificati o no, non s’è ancora trovato nulla che possa sostituire una strada vivace e animata […] La prima cosa da capire è che l’ordine pubblico nelle strade e sui marciapiedi della città non è mantenuto principalmente dalla polizia, per quanto questa possa essere necessaria: esso è mantenuto da una complessa e quasi inconscia rete di controlli spontanei e di norme accettate e fatte osservare dagli abitanti stessi. In certe zone urbane, come ad esempio in molti vecchi complessi di case popolari e in molte strade con rapido cambio di popolazione, il mantenimento della legge e dell’ordine sui marciapiedi è affidato quasi interamente alla polizia e a guardie speciali: ebbene queste zone sono vere giungle, perché non c’è polizia che basti a garantire la civile convivenza una volta che siano venuti meno i fattori che la garantiscono in modo normale e spontaneo. Il secondo punto da tener presente è che il problema della sicurezza non si risolve accentuando la dispersione degli abitanti, sostituendo cioè al carattere urbano quello tipico del suburbio. Se così fosse Los Angeles dovrebbe essere una città sicura».

Ed ecco il punto:
«Tutti sanno che una strada urbana frequentata è probabilmente anche una strada sicura, a differenza di una strada urbana deserta. Ma come vanno effettivamente le cose, e che cosa fa sì che una strada urbana sia frequentata oppure evitata? Perché viene evitato il marciapiede di Washington Houses, che dovrebbe costituire un’attrazione, e non i marciapiedi della città vecchia immediatamente adiacente? Che cosa avviene nelle strade che sono animate in certe ore ma ad un certo punto si spopolano improvvisamente?
Per essere in grado di accogliere gli estranei e di approfittarne per accrescere la propria sicurezza, come sempre accade nei quartieri più vitali, una strada urbana deve […] essere sorvegliata dagli occhi di coloro che potremmo chiamare i suoi naturali proprietari. In una strada attrezzata per accogliere gli estranei e per garantire lo loro sicurezza e quella dei residenti, gli edifici devono essere rivolti verso la strada; non è ammissibile che gli edifici lascino la strada priva di affacci, volgendo verso di essa la facciata posteriore o i lati ciechi. […] I marciapiedi devono essere frequentati con sufficiente continuità sia per accrescere il numero delle persone che sorvegliano la strada, sia per indurre un congruo numero di residenti a tenere d’occhio i marciapiedi dagli edifici contigui. A nessuno piace starsene seduto sul terrazzino d’ingresso o affacciato alla finestra a guardare una strada deserta (e infatti quasi nessuno lo fa), mentre c’è molta gente che si diverte a dare di tanto in tanto un’occhiata a ciò che avviene in una strada animata.

[…] Condizione essenziale per attuare tale sorveglianza è che lungo i marciapiedi del quartiere sia disseminato un congruo numero di negozi e di altri luoghi pubblici, e in particolare di esercizi e luoghi pubblici frequentati nelle ore serali e notturne. Così soprattutto i negozi, i bar e i ristoranti possono favorire in modi diversi e complessi la sicurezza dei marciapiedi
».

È incredibile quanto matura e attuale sia questa lettura critica della città modernista, nonostante si tratti di un documento pubblicato nel 1961! … Ma non è incredibile il fatto che a scriverlo non sia stato né un architetto, né un sociologo, bensì una giornalista illuminata. L’attualità di queste parole dovrebbe essere un monito per chi continua a pianificare la città in zone monofunzionali dove la vita non è di casa … Ora le è chiaro signor Sindaco?

Link:
Jane Jacobs
Strade 1°: Palladio e Jane Jacobs
Strade 2°: Jane Jacobs
Vita e morte della grandi città

Note:
1) Contro Storia dell’Architettura Moderna, Roma 1900-1940 - A Counter History of Modern Architecture, Rome 1900-1940, (Alinea Edizioni, Florence 2004); Architettura e Urbanistica, Istruzioni per l’uso - Architecture and Town Planning, Operating Instructions, prefazione di Léon Krier (Gangemi Edizioni, Rome 2006); Verso un’Architettura Sostenibile – Toward Sustainable Architecture prefazione di Paolo Portoghesi, (Gangemi Edizioni, Rome 2007); La Città Sostenibile è Possibile – The Sustainable City is Possible, prefazione di Paolo Marconi (Gangemi Edizioni, Rome 2010)
2) Tradotto e pubblicato in Italia nel 1969 a cura di Einaudi.

13 commenti:

ettore maria ha detto...

grazie Pietro,
spero che non restino parole al vento

Pietro Pagliardini ha detto...

Ettore, mi verrebbe da dire invece che le parole sono fatte per stare al vento. L'importante è che ci sia il vento a farle girare. Come i semi
Ciao
Pietro

ettore maria ha detto...

mi sa che hai ragione, anche perché queste sono pure scritte!

enrico d. ha detto...

Molto bello.
Se posso aggiungere un paio di "pensierini", direi che l'elogio del marciapiede dovrebbe essere obbligatoriamente riportato in tutti i libri e manuali di urbanistica e architettura urbana.
Vi propongo un "giochino". Proviamo a immaginare una immagine, una foto o un filmato, che "rappresenti" in modo sintetico e significativo una città. Escludendo però edifici o monumenti famosi "di per sè" . Qualcosa per cui si possa dire "questa è Pisa", o "questa è Siena", senza che si riconosca però la Torre pendente o Piazza del Campo. A queste condizioni, quello che sarebbe certamente riconoscibile sarebbe la "città italiana rinascimentale, o il borgo medievale... Non sapremmo forse riconoscere e differenziare Gubbio da Todi, o da Spoleto. Ma certamente ci saremmo fatti un'idea. Se ci spostiamo nelle città degli USA, quale immagine si farà riconoscere come NewYorkese, senza mostrare il Chrysler, o l'Empire, o il ponte di Brooklyn ? I marciapiedi della quinta avenue !
Un ultimo "consiglio" agli amministratori, riguarda il problema degli orari di apertura. Anche nell'ottica delle previste liberalizzazioni, mi sembra ben diversa cosa lasciare libero il commerciante "in proprio" di vendere mandarini, o radioline, o guanti, anche nelle ore serali e notturne. Diverso lasciare aperte megastrutture con centinaia di dipendenti, cui si sottrae tempo e spazio vitale, per una sana vita personale, familiare, e-perchè no- religiosa. Una accorta e oculata gestione di questo problema innesca meccanismi virtuosi, per cui piccoli imprenditori commerciali (non per forza bengalesi o pakistani) avranno qualche chance di fare concorrenza alla grande distribuzione. Non certo sul piano della varietà dell'offerta, ma senza dubbio a livello di qualità del rapporto, cortesia, praticità, vicinanza.
(in parole povere, se alle nove di sera mi accorgo che mi serve un limone, dovrò fare trenta chilometri in macchina, o troverò aperto il negozietto sotto casa?)

ettore maria ha detto...

caro Enrico,
grazie per le tue parole, e per i tuoi "pensierini" e "giochino". Quest'ultimo, in qualche modo, è quello che tempo fa descrissi nel mio post dedicato alle "strade" (http://www.de-architectura.com/2010/09/strade-5-ettore-maria-mazzola.html), dove mettevo a confronto delle situazioni affatto diverse di Roma. Ma quello che suggerisci tu, esteso alle varie città, è un qualcosa che per me, che insegno l'importanza del "regionalismo" in campo architettonico-urbanistico, risulta fondamentale. Sarebbe bello fare un piccolo documentario sull'argomento. Molto utili anche le tue osservazioni sugli orari d'apertura.
Ciao
Ettore

enrico d. ha detto...

Scusate il mio dilettantismo, e il mio provincialismo da "provinciale a new york", ma proprio rifacendomi alla mia recente trasferta nella grande mela, ricordo con chiarezza le sensazioni e i commenti che venivano spontanei a me, a mio figlio e ai miei amici. Certo, meraviglia e stupore di fronte ai grattacieli e allo skyline di Battery park; qualcosa che io classifico nella stessa categoria di emozioni che si provano di fronte al gran canyon o alle Tre cime di Lavaredo. Ma poche decine di metri più in là, nel greenwich village, o in quel delizioso tratto della 46th a ovest dell'ottava, di fronte a casette di due piani, in arenaria, tutte simili e tutte personalizzate, con il rampicante attorno alla fiestra,...il commento spontaneo era: sembra di essere in Europa: a Parigi, ad Amsterdam,...in una parola: a casa!

Pietro Pagliardini ha detto...

enrico, sarai un provinciale dilettante ma non certo allo sbaraglio. Ma il provinciale e dilettante attento che gira il mondo, come fai te che mi sembra sia spesso in giro, magari non sempre così lontano, osservando le città coglie aspetti che sfuggono ai suoi abitanti e pure agli architetti. Provinciali sono quegli architetti, e io mi ci metto dentro, che dopo un viaggio tornano a casa e alla prima occasione, cioè al primo progetto, replicano quello che hanno visto e che è loro piaciuto.
E tanto per fare quella che si chiamava autocritica (ma volontaria in questo caso) ricordo una bellissima e divertentissima gita di architetti in Germania: Francoforte (prima della cattedrale dell'euro) e Stoccarda.
Visite ai musei del niente lungo il Meno (Jean Nouvel, Meier, Ungers), alla fiera di Ungers e, a Stoccarda, al museo vero di James Stirling. Dico musei del niente perchè sono musei di se stessi e dentro non c'era davvero niente. Dentro quello di Meier c'era roba di così detto artigianato che se entri in una scuola media, ancorchè scadente, trovi roba di gran lunga migliore in mostra, mentre quello di Stoccarda è una vera Galleria di Stato.
Ebbene, al ritorno, influenzato dalle geometrie ariose di Meier (ma l'Ara Pacis è una miseria a prescindere dal mio cambiamento di prospettiva), ad un cliente proposi o forse imposi una casa con qualche richiamo a quelle geometrie.
Risultato: una catastrofe. Costruita, questo è il problema. Quando poi si arrivò alle rifiniture allora sì che cominciò il dramma e mi si disvelò la verità. Quello voleva comunque una casa tradizionale e ci mise le persiane con le ferrature antiche.
Al che il grottesco fu proprio evidente.
Devo però dire che il mio pentimento in questo caso è di averla pensata e fatta, ma non di averla pensata e fatta per quel cliente, dato che alla fine non mi saldò il conto, e non per il progetto, di cui tra l'altro era contento (contento lui....) ma perchè proprio ce l'aveva di vizio. L'ho saputo dopo, purtroppo.
Comunque non fa parte del mio curriculum.....
Ciao
Pietro

saveriosilli ha detto...

Questa discussione è davvero interessante e vorrei aggiungere una mia considerazione.

In una città come Roma la vita privata si svolge tutta all'interno degli appartamenti ed anche gli spazi aperti come i cortili dei palazzi non sono (quasi) mai utilizzati per svolgere attività di vita pubblica. Dunque marciapiedi e cortili nelle zone residenziali sono luoghi "di nessuno" e credo che questo derivi anche dalla nostra cultura urbana che non è molto portata alla condivisione pubblica.

Ecco quindi che dove mancano esercizi commerciali aperti la notte (penso al mio quartiere, Della Vittoria) la funzione di autogoverno della strada in cui l'ordine pubblico è "mantenuto da una complessa e quasi inconscia rete di controlli spontanei e di norme accettate e fatte osservare dagli abitanti stessi" viene a mancare. E questo avviene appunto perchè nessun abitante si considera "naturale proprietario" di quella strada che non viene utilizzata se non per raggiungere più velocemente possibile l'automobile, una volta chiuso il cancello o il portone alle nostre spalle.

L'esatto opposto è la sensazione che ho provato in un viaggio dello scorso anno in Giappone, dove capita di camminare di notte per una via trafficatissima, poi svoltare l'angolo e ritrovarsi in un quartiere residenziale tutto fatto di piccole casette, dove regna il silenzio più totale.

Questi vicoli pur essendo deserti, sono pieni di vasi di fiori e di piantine lasciati fuori dai portoni, biciclette parcheggiate, bottiglie di acqua poste fuori degli ingressi (una credenza religiosa vuole che l'acqua vicino alle porte di ingresso serva a purificare la casa), moltissimi oggetti di uso quotidiano (scope, innaffiatoi, posacenere) lasciati incustoditi... tutto questo mi faceva capire che quei vicoli non erano considerati "terra di nessuno", anzi erano luoghi che ospitavano una grande parte della vita privata/pubblica degli abitanti del luogo che ho subito riconosciuto come "naturali proprietari": la sensazione di sicurezza e ordine pubblico era massima e tutto questo non in un paesino sperduto, ma in un quartiere dormitorio alla periferia di Tokyo.

ettore maria ha detto...

quello che dice Saverio Silli, purtroppo è vero. A Roma, specie nel quartiere "Della Vittoria" - per chi non lo conosca è la zona di Piazza Mazzini - i cortili sono considerati quasi off-limits, sicché la vita sociale non può più svolgersi. E' un vero peccato, anche perché, quei cortili sono nati esattamente per questa ragione, quando il quartiere nacque - si chiamava "Piazza d'Armi" - i progettisti degli edifici, (Innocenzo Sabbatini, Quadrio Pirani, Mario De Renzi, ecc.) inclusero nei loro progetti degli splendidi cortili dotati di "campo di giuoco" (come è scritto nelle planimetrie depositate presso gli Archivi dello IACP e Capitolino) e aperti al pubblico transito. Quei cortili servivano a dotare ogni edificio di luoghi sicuri ove far giocare i bambini, nonché a creare delle alternative pedonali alla noiosa griglia urbana del quartiere. Pirani diceva: « ... Riteniamo peraltro che, ammesso il principio di fabbricare case a più piani, non si debba necessariamente far delle caserme o degli alveari ... i nostri cortili non sono aree chiuse tra i corpi di fabbrica su cui prospettano i soli locali di servizio, ma sono come una continuazione delle pubbliche strade: danno accesso a tutte le scale che disimpegnano i diversi appartamenti e contengono piccoli edifici speciali adibiti ai servizi comuni (asilo, bagni, ecc.)». E il Direttore dell'ICP Malgadi, parlando dei cortili del confinante "Quartiere Trionfale" diceva: «L’intiero gruppo di case, a sud della via Doria, è ormai costruito ed abitato da tempo; nei suoi cortili ampi e luminosi, lieti di verde, di canti e di voli, passano a frotte i bimbi raccolti, educati e curati nella Casa dei Bambini; sulle larghe vie si aprono finestre e balconi fioriti, e l’ordine la pulizia e la serenità regnano su tutto». Avrei centinaia di citazioni in materia da fare, ma ciò che mi preme fare è di sottolineare quanto la "società della diffidenza" che caratterizza la nostra epoca abbia portato alla perdita di queste situazioni, che portavano gioia e sicurezza all'interno degli edifici. Specie al "Della Vittoria", con la sostituzione progressiva dell'utenza dei residenti, questa condizione è venuta meno: quando porto i miei studenti nel quartiere mi è fatto divieto di entrare per mostrare il cortile del isolato IRCIS realizzato da Quadrio Pirani tra via Settembrini e via Tito Speri, cosa che non succede quando vado a La Garbatella, a San Saba, a Testaccio, ad eccezione dell'isolato dove vive Giuliano Ferrara che è off-limits. Quei cortili, si legge nelle relazioni dei progettisti, e nei proclami dell’ICP e dell'Ufficio Municipale del Lavoro che gestivano la costruzione degli edifici per gli impiegati romani, erano considerati non solo un'estensione delle strade pubbliche, ma anche delle abitazioni, e dovevano servire a facilitare la socializzazione dei residenti. Una delle poche iniziative urbanistiche valide della giunta Veltroni fu quella di tentare di suggerire agli amministratori condominiali di rimettere a disposizione dei bambini i cortili degli edifici, ma la “società della diffidenza e dell’egoismo” ha impedito che la cosa prendesse piede … diversamente, il Regolamento dell’Ufficio Municipale del Lavoro del 1920, parlando del ruolo dell’urbanistica diceva «[…] se può facilitare la fusione tra le classi, la società le sarà debitrice della risoluzione di un compito importante»

Sergio43 ha detto...

Nei commenti precedenti è stato detto praticamente tutto quello che era necessario dire. Come piccola esperienza e come quadretto su quello che è diventato l'abitare a Roma riporto la mia. Ho una figlia che svolge abbastanza proficuamente il suo mestiere di architeto. Ha un piccolo e affettuoso cagnetto che ha vissuto con lei a San Giovanni, quartiere che ancora mantiene in buona parte il senso di comunità. Il cagnetto era ben sopportato dal condominio dove erano sistemati altri dell'identica specie. Poi si é spostata nei pressi di Via Tagliamento, in una classica ed elegante casa INCIS. La casa é più grande e più comoda, fornita del classico cortile a verde e a sentieri tanto grazioso ma tanto simile a una desolata oasi; nè bambini nè mamme nè crocchi di pensionati intenti a discutere delle cose del mondo. La prima cosa di cui mia figlia è stata avvertita dopo il trasloco? Nel palazzo non si tolleravano neanche i "fedeli amici dell'uomo". Per cui adesso il fedele cagnetto è stato trasferito a casa mia dove non vigono le stesse egoistiche normative. Solo che adesso il compito di far passeggiare il cane tocca a me!. Addirittura una sera mia figlia ha inaugurato con i colleghi di studio, tutta gente educata e corretta, la nuova sistemazione. La serata si è svolta tra cordiali conversazioni e qualche allegra risata. Il giorno dopo, quando mia figlia è uscita per andare al lavoro, è stata fermamente avvertita dal vicinato di non permettersi più di disturbare oltre! Case? Dormitori? Galere? Boh!

Pietro Pagliardini ha detto...

Case di "intolleranza"?
Pietro

Anonimo ha detto...

Sergio43, mi pare di capire che non sia un problema di urbanistica, ma di regolamento condominiale.

Vilma

sergio43 ha detto...

Volevo solo dire, accogliendo alcune riflessioni, che l'urbanistica, il volto della città passata, presente e, sempre più temo, la futura, non ha più un volto urbano e amichevole ma egoistico, speculativo e criminogeno. Sarà che mi è venuto l'uzzo di scrivere perchè l'altro ieri hanno scippato mia moglie! Il giorno dopo un'anima buona ha telefonato perchè aveva ritrovato il portafoglio. Ci siamo incontrati dietro una scuola media nel quartiere Alessandrino che forse pochi a Roma hanno mai visto e di cui pochi conoscono il degrado architettonico. L'unica cosa rimarchevole del quartiere è un manufatto di duemila anni fa, l'acquedotto romano che a quelle lande dà il nome. Dietro la scuola, dove insegna il gentile signore, c'è un cosiddetto Parco Urbano, vuoto e desolato come il curato e alienato giardino INCIS di piazza Verbano, oltre il quale apparivano dei palazzoni intensivi altrettanto impressionanti delle casette di tufo appena viste. Nel Parco, a terra dietro una siepe, era stato ritrovato il portafoglio tra bottiglie di birra, fazzolettini Tempo sgualciti dall'uso e i resti di precedenti furti tra i quali siamo riusciti a ritrovare qualche foto di famiglia abbandonata tra il fango e l'erba. L'urbanistica non può essere solo tavole disegnate e colorate e la convivenza non può essere solo regolamenti condominiali e divieti!

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