Un post di E.M.Mazzola sulla relazione tra forma della città e caro benzina, cioè tra forma della città e sistemi di trasporto.
Pubblico un'immagine trovata tra i vari studi del piano della mia città, Arezzo, che rappresenta il territorio comunale, uno dei più grandi d'Italia, con l'occupazione di suolo dei "centri urbani". Il perchè di questa immagine la si capisce leggendo il post
Caro benzina: cambiare il sistema? O continuare a fare come il cane che si morde la coda?
di
Ettore Maria Mazzola
Un articolo, comparso su Il Corriere della Sera on-line del 5 gennaio 2012, ci informava di un’interessante iniziativa organizzata dal Codacons: a seguito del folle caro benzina, che ormai ha raggiunto gli € 1,80 al litro (facendo segnare dall’inizio del 2011 un aumento pari a circa il 16% della Verde e di circa il 25% del Gasolio! n.d.r.) le associazioni dei consumatori invitano a non fare il pieno nelle giornate del 5 e 6 gennaio.
Per ovvie ragioni, purtroppo, difficilmente chi vive nelle grandi città avrà potuto aderire a questa encomiabile iniziativa, che si spera abbia invece riscosso una grande adesione nelle città più piccole, e nei paesini. Ormai risulta sempre più difficile poter parlare di città, visto che gli esseri umani, a causa dell'urbanistica scriteriata del 20° secolo, vivono sparsi su un territorio così vasto che non può chiamarsi né città, né campagna. Tutto, sin dai progetti di Le Corbusier (sponsorizzati dal produttore di automobili Voisin) è stato fatto per rispondere agli interessi dei costruttori di automobili e dei produttori di petrolio.
Nella sua lucida follia, immortalata nel Plan Voisin e nella Ville Radieuse – follia sposata in pieno dall’urbanistica e dall’architettura modernista – Le Corbusier diceva:
«le città saranno parte della campagna; io vivrò a 30 miglia dal mio ufficio, in una direzione, sotto alberi di pino; la mia segretaria vivrà anch’essa a 30 miglia dall’ufficio, ma in direzione opposta e sotto altri alberi di pino. Noi avremo la nostra automobile. Dobbiamo usarla fino a stancarla, consumando strada, superfici e ingranaggi, consumando olio e benzina. Tutto ciò che serve per una grande mole di lavoro ... sufficiente per tutti».
Ma questo sistema, folle e visionario, non aveva fatto i conti con il possibile esaurimento dei combustibili fossili, né col fatto che il sistema consumistico a suo supporto avrebbe finito col portare gli esseri umani a dipendere, in tutto e per tutto, dal sistema di indebitamento pubblico e dalla conseguente vessazione delle banche e delle lobbies.
Questa breve premessa fa sì che si debba pensare al più presto ad un cambiamento del nostro stile di vita totalmente sballato.
Detto ciò, considerato che per gli stati globalizzati e consumisti diviene impossibile riuscire a divincolarsi, almeno nel breve termine, da questo abominevole sistema, l’unica difesa possibile diviene quella di evitare di alimentarlo in maniera dissennata.
Considerando quindi che, nelle attuali condizioni, i nostri politici non sono in grado di venire incontro ai contribuenti, tagliando loro le tasse,una soluzione possibile potrebbe essere quella aiutarli a limare le spese giornaliere di trasporto e di gestione della casa, il che si traduce in una riduzione degli spostamenti e del consumo energetico, operata attraverso un’urbanistica a dimensione umana e un’architettura più rispettosa dell’ambiente.
Diversamente dall’assurdo modello LeCorbuseriano della presunta “Città Funzionale” (Città dispersa, organizzata in maniera monofunzionale e zonizzata), che non funziona affatto, specie in assenza di petrolio, la Città tradizionale, multifunzionale e compatta , funziona molto meglio, risulta più sicura, e costa ai contribuenti molto meno.
Una semplicissima dimostrazione di questa affermazione emerge dal fatto che la città tradizionale, essendo organizzata secondo in principio di “casa e bottega”, consente alla gente di poter fare a meno dell’automobile per fare i propri acquisti; ma una città più compatta si traduce anche in una spesa minore per la costruzione e manutenzione delle strade, marciapiedi, illuminazione, acquedotti, linee elettriche, fogne, linee telefoniche, gas, potatura alberi, ecc. Inoltre, la presenza dei negozi lungo le strade, fa sì che la città tradizionale risulti costantemente “vigilata” spontaneamente dai pedoni e dai negozianti, portando maggiore sicurezza a costo zero. Infine la città tradizionale, utilizzando per le sue costruzioni tecniche e materiali naturali – prevalentemente a chilometri zero – riduce i costi di trasporto di questi ultimi e, soprattutto, quelli di riscaldamento e raffrescamento degli ambienti, fino al 50% di quelli di riscaldamento e fino al 100% di quelli di raffrescamento.
Allora, un modo per poter venire incontro al contribuente da parte della classe politica, potrebbe essere quello di promuovere un ricompattamento del tessuto urbano, piuttosto che promuovere lo sviluppo della città dispersa e il conseguente consumo di territorio.
Ecco perché risulta assurdo e contraddittorio il comportamento di quei sindaci che, mentre da una parte consentono l’allargamento a macchia d’olio della città e la costruzione di centri commerciali, e dall’altra organizzano le “giornate ecologiche” a piedi, causando problemi enormi a chi vive in città impossibili dall’essere vissute a targhe alterne e, peggio ancora, a piedi.
La cosa potrebbe sembrare un’utopia ma, pensandoci bene, potrebbe invece risultare un grande affare per l’economia nazionale e locale.
Se, come diceva Baudrillard, “la modernità è trasformare la crisi in valore”, la crisi attuale ci consente di poter affermare che oggi, più che mai, abbiamo la possibilità di essere moderni trasformando il problema della città dispersa in un enorme valore per tutti.
Giovanni Giolitti, nel 1909, lamentandosi del fallimento del Comune di Roma a causa dei piani urbanistici post unitari disse:
«Se in principio, nel 1870, vi fosse stata un’Amministrazione comunale che, intuendo l’avvenire di Roma, avesse acquistato le aree fino a 5 o 6 km intorno alla città, ed avesse compilato un piano di ingrandimento, studiato con concetti molto elevati, oltre ad avere creato una città con linee molto più grandiose, avrebbe anche fatto un’eccellente speculazione»(1).
Questa riflessione lo aveva già condotto nel 1903, nel suo 3° mandato da Presidente del Consiglio, ad emanare l’illuminata Legge Luzzatti che istituì gli ICP e, dal 1907 in poi, a produrre una serie di norme e strumenti di gestione dell’edilizia pubblica che portarono l’edilizia ad essere la principale fonte di reddito pubblico … finché il Fascismo non impedì all’ICP, all’Unione Edilizia Nazionale e al Comitato Centrale Edilizio di operare in concorrenza con l’imprenditoria privata.
L’aver abdicato a favore della privatizzazione, da quegli anni ad oggi, ha condotto il nostro Paese ad una situazione è drammatica, soprattutto a causa al sistema di indebitamento pubblico. Dunque, in questa drammatica situazione, l’unico modo per rialzare la china è quello di ricominciare a fare ciò che sapevamo fare prima di quella resa.
Del resto, come ha osservato Italo Insolera parlando delle problematiche di inizio Novecento: «in una città che ha l’edilizia come sua unica attività industriale, il deficit dell’amministrazione può essere sanato proprio con una diretta partecipazione in tale ramo di investimenti»(2).
Considerando quindi che la città dispersa, ereditata dalla scriteriata urbanistica novecentesca, risulta prevalentemente costituita da vuoti di proprietà demaniale, potremmo ipotizzare una campagna di ricompattamento delle città, dove chi muove i fili è la Pubblica Amministrazione, e non gli speculatori fondiari.
Se l’Amministrazione di dotasse di piani plani-volumetrici che “ridisegnino la città” al fine di ricompattarla, quei terreni potrebbero garantirle un’enorme rendita. Se a questo si aggiunge che, rispolverando i criteri adottati un tempo, l’ATER (ex IACP), potrebbe ricominciare a costruire in proprio – ed anche per conto terzi – l’edilizia pubblica, senza più distinguere tra case popolari e non, questa macchina economica potrebbe servire a creare tantissimi posti di lavoro, e potrebbe portare le città ad esser più compatte e, all’interno di ogni quartiere, ad avere tutti i servizi necessari a ridurre, se non ad eliminare del tutto, gli spostamenti.
Tutto questo, diversamente dall’attuale sistema keynesiano di gestione della spesa pubblica, potrebbe tradursi in un grande beneficio per tutti: riduzione della spesa pubblica, con conseguente emancipazione graduale dal sistema di indebitamento pubblico, creazione di tantissimi posti di lavoro, con conseguente aumento del potere d’acquisto da parte delle famiglie, realizzazione di città più sicure indipendentemente dall’inutile e costosa presenza di forze dell’ordine, riduzione degli spostamenti con conseguente riduzione delle emissioni nocive, riduzione graduale delle tasse, miglioramento delle condizioni sociali ed economiche della gente, ecc.
L’organizzazione della protesta del Codacons contro il “caro benzina” è un segnale che ci invita a riflettere sulla necessità di cambiamento del nostro modo di spostarci e di vivere… diversamente continueremmo imperterriti a fare come il cane che si morde la coda.
Note:
1) Per l’edilizia della capitale, Camera dei deputati, tornata 16 giugno 1907, Discorsi, vol. III, p. 969.
2) Italo Insolera in Roma – Immagini e realtà dal X al XX secolo, Laterza Edizioni, Roma-Bari 1980, pag. 32.
2 commenti:
Grazie Pietro,
e grazie per l'inserimento di un'immagine emblematica dello spreco di territorio che ci rende dipendenti dall'automobile
Cari amici, cito:
"Se l’Amministrazione si dotasse di piani plani-volumetrici che “ridisegnino la città” al fine di ricompattarla, quei terreni potrebbero garantirle un’enorme rendita. Se a questo si aggiunge che, rispolverando i criteri adottati un tempo, l’ATER (ex IACP), potrebbe ricominciare a costruire in proprio – ed anche per conto terzi – l’edilizia pubblica, senza più distinguere tra case popolari e non, questa macchina economica potrebbe servire a creare tantissimi posti di lavoro, e potrebbe portare le città ad esser più compatte e, all’interno di ogni quartiere, ad avere tutti i servizi necessari a ridurre, se non ad eliminare del tutto, gli spostamenti"...
il problema, a monte delle ottime proposte fatte, sta proprio nel "se"... nel fatto che, in regime di democrazia rappresentativa, gli interessi oligarchici prevalgono strutturalmente sulla sana amministrazione, per cui le cose buone non vengono fatte perchè ai "poteri forti" conviene maggiormente procedere nell'altro modo... mentre il popolo è stato indottrinato a subire questo ormai storico stato di cose, che dura dal rinascimento in poi... la soluzione politico-filosofica esiste, ed è semplice: partecipazione popolare al potere tramite il principio di sussidiarietà.e questa cosa non può farsi se non tramite l'educazione del popolo... donde l'importanza vitale e primaria della libertà effettiva di educazione, tramite il buono scuola.
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