Al momento della scelta dell'indirizzo di questo blog, dopo una serie di tentativi a vuoto alla ricerca di un nome semplice e pertinente, la sorpresa: "regola" era libero! L'architettura è oppressa da leggi e regolamenti, i termini più altisonanti della "creativa" cultura architettonica erano già occupati ma una parolina così semplice e antica e comprensibile da tutti, cioè "regola", era libera!
Questo blog parla appunto di "regole" contro la sregolatezza architettonica.


26 settembre 2010

STRADE - 6°: KEVIN LYNCH

E' la volta di Kevin Lynch e il suo L'immagine della città, Marsilio, 1960.
Il capitolo di seguito riportato è il risultato di una serie interviste fatte in diverse città americane, in cui a cittadini comuni venivano poste domande per comprendere i meccanismi che producono la percezione della città. Pragmatismo e impronta scientifica pervadono tutto il testo, e la parte che segue non fa eccezione, ed è straordinario osservare quanti punti di vicinanza vi siano con autori molto diversi tra loro: Gianfranco Caniggia e Nikos Salìngaros prima di tutti, di cui seguiranno i post.
Altrettanto significativo è rileggere il post di Ettore Maria Mazzola per verificarne affinità e differenze.
Del libro in inglese, che è ormai un classico, esiste la pubblicazione di ampi stralci su Google libri.



KEVIN LYNCH (1918-1984)


Marsilio, 1960


Il disegno dei percorsi
Elevare la figurabilità dell’ambiente urbano significa facilitare la sua identificazione visiva e la sua strutturazione. Gli elementi precedentemente isolati – percorsi, margini, riferimenti, nodi e regioni – sono i blocchi di costruzione nel processo di edificare strutture ferme e differenziate alla scala urbana. Quali suggerimenti possiamo trarre dal materiale precedente sulle caratteristiche che tali elementi potrebbero avere in un ambiente veramente figurabile?

Il percorsi, la trama di linee di movimento abituale o potenziale attraverso il complesso urbano, sono lo strumento più potente per ordinare l’insieme. Le linee chiave dovrebbero possedere qualche attributo singolare, che le individua rispetto ai canali circostanti: una concentrazione di qualche uso o attività special sui loro lati, una qualità spaziale caratteristica, una particolare grana di pavimentazione o di facciata, uno specifico schema di illuminazione, un complesso unico di colori e rumori, un dettaglio tipico o un sistema di alberature. Washington Street può essere conosciuta per l’intensità dei suoi commerci e per il suo spazio e feritoia, Commonwealth Avenue, per la sua fila centrale di alberi allineati.
Questi attributi dovrebbero venir impiegati in modo da conferire continuità al percorso. Se uno o più di essi è coerentemente adoperato in tutta la lunghezza, allora il percorso può essere figurato come un elemento continuo, unificato. Può trattarsi di una alberatura a viale, di un colore o di una grana singolare nella pavimentazione, o della classica continuità delle facciate marginali. La regolarità può essere ritmica, una ripetizione di spazi aperti, monumenti o negozi d’angolo. La stessa concentrazione di traffico abituale lungo un percorso, come avviene con una linea di trasporti pubblici, rinforzerà questa immagine familiare e continua.
Questo conduce a quella che potremmo chiamare una gerarchia visiva delle strade e delle vie, analoga alla consueta raccomandazione di una gerarchia funzionale: un’individuazione sensibile dei canali chiave, e la loro unificazione come elementi percettivi continui. Questo è il telaio per l’immagine urbana.
La linea di movimento dovrebbe possedere chiarezza nella direzione. Il meccanismo guida del cervello umano è sconcertato da una lunga successione di svolte o da curve graduali che alla fine producono cambiamenti direzionali di maggiore entità. Le svolte continue delle calli veneziane o delle strade di uno dei romantici piani dell’Olmsted, o la curvatura graduale di Atlantic Avenue a Boston, confondono subito osservatori che non siano già smaliziati. Un percorso diritto ha naturalmente una chiara direzione , ma lo stesso può dirsi di uno che ha svolte ben definite, prossime ai 90°, o di un’altra che abbia molti lievi ondeggiamenti, ma che non perda mai la sua direzione fondamentale.
Gli osservatori sembrano conferire ai percorsi un senso di collimazione o di irreversibilità direzionale e sembrano identificare una strada attraverso la destinazione cui essa è orientata. In effetti una strada è percepita come una cosa che va verso qualcosa. Il percorso dovrebbe sostenere percettivamente questa sensazione attraverso dei punti terminali forti, e attraverso un gradiente o una differenziazione direzionale, in modo da ottenere un senso di progressione e da diversificare le opposte direzioni. Un gradiente comune è quello della pendenza del terreno, che di solito è riflesso nelle indicazione date al passante di andar “su” o “giù” per la strada. Ma ve ne sono molti altri. Un progressivo infittirsi di insegne, negozi o pedoni può contrassegnare l’avvicinamento di un nodo commerciale; può anche esistere un gradiente nel colore o nella densità dell’alberatura; un accorciarsi della lunghezza degli isolati o una strozzatura dello spazio possono segnalare la prossimità del centro cittadino. Pure le asimmetrie possono venire impiegate. Può darsi che uno possa procedere “tenendo il parco sulla sinistra”, o “muovendo verso la cupola dorata”. Si possono usare frecce segnaletiche, o tutte le superfici disposte in una determinata direzione potrebbero avere colori convenzionali. Tutti questi artifizi fanno del percorso un elemento orientato, al quale altri possono venir riferiti. Non vi è alcun pericolo di commettere un errore di direzione.
Se le posizioni lungo il percorso possono venir differenziate in qualche modo misurabile, la linea sarà allora non soltanto orientata, ma anche modulata. La normale numerazione anagrafica è una tecnica siffatta. Un sistema meno astratto è quello di contrassegnare un punto identificabile lungo la linea cosicché altri luoghi possono venir pensati come “prima” e “dopo”. Parecchi punti di controllo migliorano la definizione. Oppure un attributo, (come l’ampiezza del corridoio) può avere una modulazione di gradiente a saggio variabile, cosicché la stessa variazione assume una forma misurabile. In tal modo uno potrebbe dire che un certo osto è “giusto prima che la strada si restringa assai rapidamente” o “sul fianco della collina prima della salita finale”. Chi si muove può sentire non soltanto “sto procedendo nella direzione giusta”, ma anche “vi sono quasi arrivato”. Quando il tragitto contiene una simile serie di eventi distinti, il raggiungimento ed il sorpasso di un obiettivo intermedio dopo l’altro, l’itinerario stesso acquista significato e diviene in se stesso un’esperienza.
Gli osservatori sono colpiti persino nella memoria, da una evidente qualità “cinestetica” di un percorso, dal senso di movimento nel suo sviluppo: svolte, salite, discese. Ciò è particolarmente vero quando il percorso è compiuto a velocità elevata. Una grande curva in discesa, che avvicina il centro di una città, può produrre una immagine indimenticabile. Sensazioni tattili ed inerziali partecipano in questa percezione d movimento, ma la visone sembra essere predominante. Lungo il percorso possono esser disposti oggetti per acuire la parallassi o prospettiva del movimento, o può essere reso visibile in precedenza il futuro andamento del percorso. La conformazione dinamica della linea di movimento potrà conferire ad essa identità e produrre nel tempo una esperienza continuativa.
Ogni esposizione visiva del percorso o del suo obiettivo, ne rafforza l’immagine. Ciò può essere fatto da un grande ponte, un grande viale assiale, un profilo concavo o la silhouette lontana della destinazione finale. La presenza del percorso può essere resa evidente da grandi riferimenti situati lungo di esso o da altri indizi. La vitale linea di circolazione diviene palpabile ai nostri occhi, e può divenire il simbolo di una fondamentale attività urbana. Di converso, se il percorso rivela al viaggiatore la presenza di altri elementi della città, l’esperienza può venire acuita: se esso li penetra o li tocca tangenzialmente, se offre indizi e simboli di ciò che viene sorpassato. Una linea sotterranea, ad esempio, anziché essere seppellita viva, potrebbe improvvisamente attraversare la stessa zona dei negozi, o la sua stazione potrebbe improvvisamente richiamare nella forma la natura della città che sta sopra. Il percorso potrebbe essere conformato in modo da rendere evidente ai sensi il tragitto medesimo: corsie divise, rampe e spirali consentirebbero al traffico di indulgere nelal contemplazione di se stesso. Queste sono tutte tecniche per arricchire l’ambito visivo del viaggiatore.
Di regola una città è strutturata secondo un organizzato sistema di percorsi. In questo sistema il punto strategico è l’incrocio, il luogo di connessione e di decisione per chi è in movimento. Se questo può essere chiaramente visualizzato, se l’incrocio produce di per se stesso una immagine vivida, e se la giacitura di due percorsi l’uno rispetto all’altro è chiaramente espressa, in tal caso l’osservatore può costruire una struttura soddisfacente ……
Una congiunzione di più di due percorsi è normalmente difficile da concepire. Una struttura di percorsi deve avere una certa semplicità di forma per produrre un’immagine chiara. La semplicità è richiesta in senso topologico piuttosto che geometrico, sicché un incrocio regolare, ma ad angoli approssimativamente retti, è preferibile ad un trivio rigorosamente disegnato. Esempi di simili semplici strutture sono sistemi paralleli o a fuso; croci ad una, a due e a tre sbarre; rettangoli; o pochi assi riuniti insieme.
I percorsi possono venire anche figurati, non come lo schema specifico di certi elementi singoli, ma piuttosto come una rete, che, senza identificarne specialmente alcuno, spiega le relazioni tipiche tra tutti i percorsi del sistema. Questa condizione presuppone una trama che abbia qualche coerenza, sia essa di direzione, di interrelazione topologica, o di interspazi. Una scacchiera pura, combina le tre, ma invarianza direzionale o topologica possono di per se stesse risultare piuttosto efficaci. L’immagine si precisa se tutti i percorsi che corrono in un unico senso topologico, o secondo una stessa direttrice geografica, sono visibilmente differenziati dagli altri. A ciò si deve l’efficace distinzione tra le streets e le avenues di Manhattan. Colori, alberatura, o particolari possono servire egualmente bene. Nomenclatura, gradienti di ampiezza, di topografia, o di dettagli, differenziazione in seno alla trama possono tutti dare alla griglia un senso progressivo e persino un senso modulare.
Vi è un ultimo modo di organizzare un percorso o un sistema di percorsi, che acquisterà importanza crescente in un mondo di grandi distanze e velocità. Con analogia musicale, esso potrebbe essere dichiarato “melodico”. Gli eventi e le caratteristiche lungo un percorso – riferimenti, variazioni di spazio, sensazioni dinamiche – potrebbero essere organizzati come una linea melodica, percepita e figurata come una forma di cui si fa l’esperienza in un congruo intervallo di tempo. Poiché l’immagine sarebbe quella di una melodia completa, anziché di una serie di punti separati, quell’immagine potrebbe presumibilmente essere più estesa, e tuttavia meno esigente. La forma potrebbe essere la classica sequenza introduzione-sviluppo-culmine-conclusione, o potrebbe assumere aspetti più raffinati, come quelle che evitano la conclusione finale. L’arrivo a San Francisco attraverso la baia suggerisce questo tipo di organizzazione melodica. La tecnica offre un ricco campo di applicazione e sperimentazione del disegno.


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3 commenti:

Anonimo ha detto...

visto che nessuno lancia la prima pietra, lancio io un piccolo sasso:
""... Qual'è la tua strada amico?...la strada del santo, la strada del pazzo, la strada dell'arcobaleno, la strada dell'imbecille, qualsiasi strada. E' una strada in tutte le direzioni per tutti gli uomini in tutti i modi." (Jack Kerouac, 'On the road')

Vilma

ettore maria ha detto...

Post interessante ma, purtroppo, dedicato più all’automobile che al pedone.
Ritengo assai discutibile l’interpretazione di Lynch della psiche umana quando dice: «La linea di movimento dovrebbe possedere chiarezza nella direzione. Il meccanismo guida del cervello umano è sconcertato da una lunga successione di svolte o da curve graduali che alla fine producono cambiamenti direzionali di maggiore entità. Le svolte continue delle calli veneziane o delle strade di uno dei romantici piani dell’Olmsted, o la curvatura graduale di Atlantic Avenue a Boston, confondono subito osservatori che non siano già smaliziati. Un percorso diritto ha naturalmente una chiara direzione , ma lo stesso può dirsi di uno che ha svolte ben definite, prossime ai 90°, o di un’altra che abbia molti lievi ondeggiamenti, ma che non perda mai la sua direzione fondamentale». Ma che ci vuole una “patente per pedoni” per “smaliziarsi?
È chiaro che il riferimento di Lynch va alle città americane e alle automobili, e infatti la sua descrizione si “tradisce” quando dice: «Gli osservatori sono colpiti persino nella memoria, da una evidente qualità “cinestetica” di un percorso, dal senso di movimento nel suo sviluppo: svolte, salite, discese. Ciò è particolarmente vero quando il percorso è compiuto a velocità elevata». Dubitando quindi che egli stesse scrivendo per Usain Bolt (nato nel 1986), risulta evidente che ci stesse parlando dell’attraversamento veloce in auto. E infatti ci dice «Di converso, se il percorso rivela al viaggiatore la presenza di altri elementi della città, l’esperienza può venire acuita: se esso li penetra o li tocca tangenzialmente, se offre indizi e simboli di ciò che viene sorpassato».
Quando poi entra nel merito della forma degli incroci, mi lascia ancora molto perplesso: «Una congiunzione di più di due percorsi è normalmente difficile da concepire. Una struttura di percorsi deve avere una certa semplicità di forma per produrre un’immagine chiara. La semplicità è richiesta in senso topologico piuttosto che geometrico, sicché un incrocio regolare, ma ad angoli approssimativamente retti, è preferibile ad un trivio rigorosamente disegnato». Ebbene, potrei menzionare centinaia di casi di splendidi trivi o di strade che si incrociano ad angolo acuto, magari provenienti da livelli differenti, me ne viene in mente uno splendido di Assisi ed un altro di Orvieto che “fulminano” letteralmente i miei studenti quando glieli mostro durante i nostri viaggi.
Del resto da questa affermazione: «L’immagine si precisa se tutti i percorsi che corrono in un unico senso topologico, o secondo una stessa direttrice geografica, sono visibilmente differenziati dagli altri. A ciò si deve l’efficace distinzione tra le streets e le avenues di Manhattan. Colori, alberatura, o particolari possono servire egualmente bene. Nomenclatura, gradienti di ampiezza, di topografia, o di dettagli, differenziazione in seno alla trama possono tutti dare alla griglia un senso progressivo e persino un senso modulare».. risulta chiaro che stiamo parlando di luoghi assai distanti dall’urbanistica a dimensione umana.
Non voglio distruggere totalmente il pensiero di Lynch, voglio però far notare che esso possa ritenersi valido per un contesto americano – e conseguentemente anche a quello “New Urbanism” – ma non lo vedo affatto pertinente al vecchio continente … del resto se non apprezza le calli veneziane non posso farci nulla!
A presto
Ettore

Pietro Pagliardini ha detto...

Ettore, che Kevin Lynch si riferisca a città americane e che l'auto sia quindi presente come parte integrante del paesaggio urbano, è evidente.
Che ci siano aspetti non condivisbili, e che tra l'altro ho capito anche poco, come il riferimento alle calli veneziane, non c'è dubbio.
Però molte osservazioni e indicazioni mi sembrano corrette: un percorso con ampia curvatura continua, molto frequenti in nuovi insediamenti anche da noi e non solo negli USA, magari disegnate con l'intento di rendere meno monotono il percorso, fa perdere del tutto l'orientamento. L'ospedale di Arezzo ha la forma di un grande arco di cerchio con un corridoio di distribuzione, ovviamente pedonale, dove, dopo pochi metri, non si capisce più dove ci si trova perché si perde qualsiasi orientamento direzionale e senza cartelli sarebbe un disastro. Siamo nel campo edilizio, ma il meccanismo percettivo è identico.
Lynch non dice di fare strade necessariamente diritte, dice che a Manhattan la distinzione tra avenues e streets, è forte, soprattutto nella larghezza, e questo fa in modo che, insieme a molti altri fattori, sia veramente difficile perdersi o sentirsi spaesati. C'è una gerarchia delle strade, che serve non solo per la guida in auto ma anche pedonalmente. Dunque anche una griglia regolare può non essere necessariamente amorfa e priva di informazioni.
La definizione di nodo, specialmente leggendo tutto il resto del libro, è chiarissima e non molto diversa da quella di Nikos. E credo che, a parte certi aspetti di fondo dovuti alla diversità insediative e di appropriazione dello spazio che corre tra USA ed Europa, molte delle sue osservazioni servono a spiegare perché e come le "sequenze urbane" rendono una città non solo piacevole ma anche leggibile e familiare.
Poiché sarebbe ipocrita fare finta che le auto non ci siano, ed io considero l'auto una conquista irreversibile come il cellulare e il computer(che ad alti dosaggi non sono meno inquinanti il cervello)e come Krier ed altri penso sia possibile una civile convivenza tra pedone e mezzo meccanico, anche l'orientamento in auto ha la sua bella importanza e dunque occorre conoscere anche i criteri progettuali per quelle strade che inevitabilmente sono caratterizzate più dal traffico veicolare che pedonale.
Molto diverso è invece impostare il progetto solo per le auto, come è stato sempre fatto negli ultimi decenni e, prima, per le carrozze.
Ciao
Pietro

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