Questo post è dedicato al prof. Marco Romano, cui il tema strada è particolarmente caro e congeniale, e a Camillo Sitte. Il brano del prof. Romano riportato è, al solito, limitativo rispetto alla ricchezza dei contenuti espressi dall'autore nei numerosi saggi che ha scritto, ma lo scopo di questa sorta di antologia a puntate è una segnalazione, o un pro-memoria, da prendere come invito a leggere il testo complessivo. Ho inserito anche Camillo Sitte, con il suo celeberrimo, L'arte di costruire le città, Jaca Book, 1981, nonostante l'argomento principe del libro sia la piazza; tuttavia il brano che riporto di seguito ha attinenza con un commento lasciato da un collega aretino al post precedente. Non è la risposta ad un quesito ma la riproposizione di un aspetto problematico della strada contemporanea, anche se il libro appartiene alla fine dell'800. Il titolo stesso del capitolo è di grande attualità, purtroppo.
Strade e piazze tematizzate
Quel che abbiamo fin qui dimostrato è che le facciate delle case nella città europea manifestano una volontà estetica ignota alle altre contrade del mondo, sottolineando poi come a loro volta i temi collettivi siano stati voluti quanto più fastosi possibile. E se il loro diverso radicamento nell’orgoglio civico – dei cittadini in quanto individui nelle facciate delle loro case e come civitas nei temi collettivi – anziché nel desiderio di magnificenza di un sovrano ne modifica il significato, è anche vero che codesta differenza non incide in modo immediato sul nostro apprezzamento. Sicchè le guide turistiche possono senza inconvenienti assimilarli al medesimo universo delle “cose da vedere”, agli edifici monumentali che punteggiano in tutte le grandi città il fondo magmatico delle case, nei quali viene comunque espresso un costante desiderio estetico, sicché dal punto di vista di chi per questo le apprezza non vi sarebbe grande novità.
Ma, accanto a quei temi collettivi, gli europei hanno inventato tutta una gamma di strade e di piazze tematizzate senza riscontro altrove , che hanno consentito di fare davvero della città intera il campo di una pervasiva volontà estetica.
Mentre per Sant’Agostino l’urbs era l’indifferente scenario terreno dove eravamo nati per guadagnarci la vita eterna in una civitas i cui reggitori seguissero la guida dei loro pastori spirituali – per principio liberi dalle umane passioni dei governanti mondani, nella città del Mille l’urbs è la manifestazione materiale della consistenza morale della civitas, perché non si dà cittadino conjurato senza il possesso di una casa, e reciprocamente ogni casa è la famiglia di un cittadino, mentre ogni tema collettivo è a sua volta l’espressione materiale dell’esistenza della civitas come organismo olistico con una propria volontà di forma – una Kuntswollen, diranno secoli dopo – e dunque civitas ed urbs sono unite come il palmo e il dorso della mano: sicché nell’ordine simbolico l’urbs è anche la manifestazione della sfera politica in tutta la sua articolazione e complessità.
Nel XI secolo le città europee consistevano in un aggregato di case fitte fitte, allineate lungo vicoli nei quali spesso incontrare un asino era un problema, circondato dai primi abbozzi delle mura e spesso senza neppure una chiesa, ché la gerarchia diocesana era fondata su pievi di campagna a servizio di una popolazione contadina dispersa in nuclei di poche famiglie.
Quando la struttura politica delle corporazioni verrà rispecchiata nell’urbs distribuendo i molti mestieri in strade diverse, compare una strada principale dove concentrare le case dei mercanti, riconosciuto nerbo della società e tramite della sua ricchezza: perché soltanto i mercanti possono trasformare nelle fiere lontane i prodotti degli artigiani e dei contadini in denaro sonante e soltanto i mercanti possono trarre dal commercio con le altre città quel guadagno che in definitiva alimenta il benessere dell’intera civitas.
Come le case degli artigiani hanno sulla strada i loro laboratori e ai piani superiori o nella corte interna la loro abitazione, così le case dei mercanti hanno al piano terreno le loro botteghe ma ai piani superiori, insieme all’abitazione, altri locali aziendali, uffici o magazzini duplicati talvolta, come a Berna, nei seminterrati.
La forma più ricorrente della strada principale, d’essere affiancata da portici, è a sua volta maturata col tempo: sarà soltanto nel Trecento che alle tende, da decenni montate davanti alle botteghe per proteggere le merci esposte in strada, verrà richiesto un qualche ordine, verranno prescritti dapprima portici in legno e in seguito in muratura, sopra i quali i mercanti amplieranno le loro abitazioni……
I limiti dell'arte nei moderni piani regolatori delle città
Nel campo dell'urbanistica, i limiti delle possibilità artistiche si sono di molto ristretti e un capolavoro come l'Acropoli è diventato addirittura inconcepibile. Per ora simili realizzazioni appaiono impossibili: anche se disponessimo dei soldi necessari per costruirle, sarebbe impossibile realizzarle. Infatti a noi manca il principio estetico fondamentale e la visione del mondo comune a tutti, cioè quella che vive nell'anima del popolo e che dovrebbe trovare nell’opera la sua manifestazione concreta. Anche se fosse priva di ogni contenuto ed avesse un valore puramente decorativo, com’è appunto l'arte moderna, una simile impresa sarebbe ancora d’una grandezza eccessiva per l'uomo realistico del nostro secolo. L’urbanista di oggi deve, prima di tutto, esercitarsi alla nobile virtù della modestia e, cosa bizzarra, vi è costretto non tanto per mancanza di risorse finanziarie, quanto piuttosto per ragioni interne e puramente obiettive.
Supponiamo che nel quadro di un nuovo complesso si decida di realizzare, a fini puramente decorativi un paesaggio urbano, insieme grandioso e pittoresco, che dovrebbe servire unicamente alla rappresentazione e glorificazione del comune. La regola e il rigoroso allineamento delle facciate sarebbero, perciò, degli strumenti perfettamente inutili. Infatti, per ottenere gli effetti degli antichi maestri, dovremmo disporre anche dei loro colori sulla nostra tavolozza. Bisognerebbe integrare artificiosamente nel progetto ogni specie di curvature, di angoli e di irregolarità, cioè, tutta una «naturalezza» forzata e delle “eventualità calcolate”. Ma è possibile immaginare e costruire sulla carta le forme che la storia ha prodotto nel corso dei secoli? Si potrebbe godere davvero di questa ingenua finzione, di questa spontaneità artificiale? Certamente no. Le serene gioie dell’infanzia sono negate ad un’epoca che non costruisce più spontaneamente giorno per giorno, ma che organizza i suoi spazi razionalmente sul tavolo da disegno. L’evoluzione è irreversibile e, senza dubbio, una buona parte delle bellezze pittoresche che abbiamo enumerate, sono definitivamente perdute per noi.
La vita moderna, come le nostre tecniche di costruzione, non permette una fedele imitazione dei complessi urbani antichi e bisogna riconoscerlo se non vogliamo perderci in vane fantasticherie. Le esem¬plari creazioni dei maestri d'altri tempi devono restare vive, ma non mediante un’imitazione senza anima. Occorre esaminare quello che d'essenziale in quelle opere e adattarlo, in modo significativo, alle condizioni moderne. Soltanto allora riusciremo ad ottenere una nuova fioritura da un terreno apparentemente sterile.
Nonostante tutti gli ostacoli, questa impresa dovrebbe essere tentata. Bisognerà rinunciare a molte bellezze pittoresche e tenere in gran conto le esigenze delle attuali tecnche urbanistiche dell'igiene e della circolazione. Ma non si dovrebbe perdere il coraggio e rinunciare puramente e semplicemente a cercare la soluzione artistica, per accontentarci della semplice tecnica come se si trattasse di costruire una strada od una macchina. Infatti, anche nell’affannarsi della nostra vita quotidiana, non possiamo fare a meno degli alti sentimenti suscitati in noi dalla contemplazione delle forme d’arte. Abbiamo il diritto di pensare che l'arte deve avere un suo posto preciso nell’urbanistica, perché la città è un'opera di arte che esercita quotidianamente e in ogni momento la sua azione educatrice sulle masse, mentre il teatro ed il concerto non sono accessibili che alle classi più abbienti.
I poteri pubblici dovrebbero accordare particolare attenzione a questo punto e dimostrare in quale misura i principi degli Antichi possono accordarsi con le esigenze moderne. Appunto a questo studio saranno consacrati gli ultimi capitoli......
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UNA LEZIONE DI URBANISTICA
MORE ETHICS OR MORE AESTHETICS?
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2 commenti:
Caro Pietro,
Bellissimo questo post ... e quanto risulta attuale ancora oggi la lettura di Camillo Sitte!
Buona domenica
Ettore
"[......] Dove nel dolce tempo
d'infanzia
poche vedevo sperse
arrampicate casette sul nudo
della collina,
sorgeva un Borgo fervente d'umano
lavoro. In lui la prima
volta soffersi il desiderio dolce
e vano
d'immettere la mia dentro la calda
vita di tutti,
d'essere come tutti
gli uomini di tutti
i giorni. [.....]
Ritorneranno,
o a questo
Borgo, o sia a un altro come questo, i giorni
del fiore. Un altro
rivivrà la mia vita,
che in un travaglio estremo
di giovinezza, avrà per egli chiesto,
sperato,
d'immettere la sua dentro la vita
di tutti,
d'essere come tutti
gli appariranno gli uomini di un giorno
d'allora."
('Il borgo', di Umberto Saba, dal Canzoniere, 1948)
Vilma
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