19 settembre 2010
SEQUENZE URBANE: UN ESEMPIO CONCRETO
Le immagini qui sopra mi sono state inviate dal Prof. E.M. Mazzola, sono disegni di sequenze urbane realizzate da alcuni suoi studenti della Notre Dame School of Architecture Rome Studies, utilizzate sia come rilievo che per il progetto.
Gli autori dei disegni sono, nell'ordine dall'alto verso il basso: Joshua Eckert, Kalinda Brown e Christal Olin .
Mi spiace per la notevole riduzione di qualità che ho dovuto effettuare, me ne scuso con i tre autori e ringrazio Ettore per la sua gentilezza.
Il post che segue è una divagazione, molto lieve, sul tema “sequenze urbane” proposto da Mazzola nel post precedente, a cui necessariamente rimando per una migliore comprensione dell’argomento.
*****
Domenica mattina, in città poca gente fino alle undici: giovani padri che portano a spasso figli piccoli, rari anziani, qualche single, per forza e non per scelta, uscito di casa per sfuggire la solitudine, alcuni turisti. Anche qualche architetto (siamo così tanti che statisticamente ne trovi sempre qualcuno).
Mi fermo a chiacchiera con uno che conosco. Niente di impegnativo, argomenti da giorno di festa, l'inevitabile mugugno, cosa fai oggi, poco più. Al momento di salutarci la classica domanda: dove vai? Non è curiosità, in genere, ma una formula di saluto rituale, come how do you do. Gli dico che sto andando al cimitero a piedi
Si meraviglia moltissimo, non della meta ma dell'andarci a piedi.
Gli faccio presente che non è poi così lontano come sembra, la città dei morti è sul versante opposto della collina, la zona meno abitata della città e quindi l'idea è che sia proprio da tutta un'altra parte.
Non l'ho convinto e credo pensi che io sia un gran camminatore. Purtroppo non è così. Approfitto della domenica mattina per recuperare quel deficit di passi mancati durante la settimana.
Salgo lungo il Corso Italia, la strada dello struscio serale, il salotto di Arezzo lungo quasi un chilometro, la più importante della città, quella che proviene dalla Val di Chiana e, superata la sella di Olmo, procede diritta per tre chilometri e mezzo, entra in città, anzi origina e ordina la città, e sale lassù fino alla sommità della collina, fino al Duomo.
A metà circa del Corso svolto a destra, lungo la via Garibaldi, già via Sacra, la strada dei conventi e delle Chiese. Al centro dell’incrocio il solito pakistano che vende palloncini. Mica è stupido lui, lo sa dov’è che la gente passa, lo sa dove sono i nodi urbani. Non va a vendere in una strada con il niente intorno. I commerci ci sono laddove c’è gente, e la gente va dove ci sono commerci. In quell'angolo è incredibilmente ancora possibile trovarvi qualche contadino che vende i frutti della stagione: funghi, mazzi di agretti, castagne. Almeno fino a che qualche norma europea non impedirà per legge ciò che già è naturalmente in crisi.
Entro in piazza Sant’Agostino che non è una vera piazza, ma uno slargo in salita, molto allungato e frammentato in spazi diversi tenuti insieme dalla Chiesa di Sant’Agostino, posta in alto, punto di vista su cui converge lo sguardo. Davanti alla Chiesa l’ampio e allungato sacrato, di forma trapezoidale, sopraelevato rispetto a tutto il resto della piazza, racchiuso sui tre lati da un muro – il quarto è la Chiesa. Un progetto sciagurato in corso di esecuzione ha deciso che l’unico spazio unitario e pianeggiante che c’era in questa anomala piazza - una grande terrazza sulla piazza stessa - dovesse essere interrotto da scale poste ad angolo tra la base minore del trapezio e uno dei lati. Il progettista ha visto evidentemente molti disegni di progetti con le immancabili scale piene di giovani felici e sorridenti e così ha trasformato un’immagine grafica in un progetto urbano, ottenendo però il risultato di distruggere lo spazio. Sono i danni delle riviste e soprattutto l’incapacità di leggere, non le riviste ma la città: si prende un adesivo che piace e lo si attacca in pianta; peccato che poi si trasformi in pietra.
La qualità degli edifici intorno, salvo la Chiesa, il convento e poco altro, è scadente, ma la piazza è la più viva della città: sede del mercato rionale, conserva il carattere popolare che ha ereditato dall’essere stata luogo di lavoro, di posta per le carrozze, di vasche per le lavandaie.
Proseguo a lato della Chiesa e, sempre in salita, mi immetto in via della Minerva, una sinuosa strada degli anni '30, che mi porta in Piazza Crucifera. Uno sguardo dall’alto alle mura a strapiombo, dalle quali sono appena uscito e che in quel lato sono di notevole altezza. Ai piedi di queste uno spazio sterrato detto “Il Gioco del Pallone”, dove una volta si giocava ad una specie di pelota.
Proseguo in Borgo Santa Croce, una bella strada extra-moenia, stretta e lievemente flessuosa, a seguire una curva di livello, con edifici abbastanza poveri, salvo qualche eccezione. Arrivo alla Chiesa di Santa Croce. Qui finisce la città antica e mi immetto in un viale che sale verso la Fortezza e il Cimitero. Un tratto diritto di circa duecento metri, in salita, e sono arrivato.
Ho controllato su Google earth, in tutto ho percorso 1250 metri circa, in circa 20 minuti. E’ tanto, è poco? Dipende.
Quei 1250 metri non pesano, anzi, sono un piacere. Il percorso che compio è un susseguirsi di quadri diversi, di sequenze urbane, come ha spiegato bene E.M.Mazzola nel post precedente, a cui rimando.
Gli stessi 1250 percorsi in un quartiere sub-urbano sarebbero stati una fatica, o meglio, una noia. L’incentivo a prendere l’auto è evidente. Con la stessa distanza si può andare dalla fine della città compatta ad un “vicino” supermercato o fare una visita ad un amico nel quartiere PEEP Tortaia.
Ma per farlo si deve percorrere una lunga strada (parallela al Corso) ma progettata per le auto: rare case ai margini e tra loro staccate, una somma di episodi. Si deve attraversare la tangenziale, ambiente ostile per il pedone, si continua a camminare nel vuoto e quei tratti di strada lunghi e monotoni appaiono distanze incolmabili. Infine si arriva al supermercato, progettato come una Chiesa, al centro di una piazza che però è un parcheggio, al centro di un quartiere PEEP.
Lo schematismo del percorso, disegnato con tratto minimalista e la mancanza di stimoli rendono il cammino faticoso e l’ambiente sfavorevole alle passeggiate. Sono del tutto assenti le sequenze urbane, prima di tutto perché è assente la città.
Come si può affrontare con leggerezza una camminata in una strada come questa, dove la meta è ben oltre ciò che si vede al fondo di questa foto?
La distanza e la durata degli spostamenti pedonali è certamente importante nel progetto della città, ma da sola non è condizione sufficiente a garantire una città user-friendly; questi quartieri hanno tenuto conto del raggio di influenza della scuola e dei servizi in genere, cioè degli standard, eppure il risultato è assolutamente insoddisfacente. La logica della quantità, il funzionalismo e la zonizzazione hanno fatto evaporare la città sostituendola con aggregati edilizi inadatti alla vita e alla convivenza umana. Sono stati costruiti molti edifici ma manca ciò che li tiene insieme per farne una città.
Un pensiero rozzo e schematico si è sostituito alla raffinatezza e alla complessità della città antica.
La razionalità da sola ha fallito il suo scopo e la fatica di abitare in città si è sostituita alla naturalezza di viverla.
Non appaia irriverente o troppo riduttivo utilizzare la suggestione del discorso di Benedetto XVI alla Westminster Hall, sostituendovi la parola “religione” con “tradizione”:
“Senza il correttivo fornito dalla “tradizione” (religione nel testo originale), infatti, anche la ragione può cadere preda di distorsioni, come avviene quando essa è manipolata dall'ideologia, o applicata in un modo parziale, che non tiene conto pienamente della dignità della persona umana".
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9 commenti:
Caro Pietro,
complimenti per l'ottimo post che esprime bene le sensazioni delle passeggiate descritte.
Vorrei segnalarti che però il disegno che hai pubblicato è stato fatto dal solo Joshua Eckert.
Non so se riesci ad inserire anche gli altri 2 che ti avevo spedito o a correggere il post ... per evitere incidenti diplomatici
A presto
Ettore
perfetto, ora ci sono tutte e tre. Grazie
Ettore
Dovere, Ettore, verso gli autori di questi splendidi disegni.
Come ti dissi quando ne ho vista una piccola parte a Roma, con quelli sì che potrebbe essere fatta una mostra e uno splendido catalogo!
Ma, al solito, i denari.....
Ciao
Pietro
Caro Pietro, per chi conosce bene i luoghi della città storica che hai descritto, il piacere della lettura è doppio. Oltre alla bella scrittura c’è anche l’evocazione e sublimazione di qualcosa di molto familiare.
Poi hai centrato in pieno il problema di quegli architetti che, nel progettare, hanno lo sguardo “lontano” e non sanno “copiare” dalle cose vicine.
Problema enorme per architetti e per geometri.
Gli architetti soffrono in genere della “sindrome della Villa Adriana”. A Tivoli, il Teatro marittimo, il Pecile, il Ninfeo ecc. sono nomi dati dagli storici per luoghi della Villa che richiamavano storie, culture forme e abitudini incontrate dal grande imperatore in alcuni luoghi dei suoi viaggi imperiali. Ma Lui era l’Imperatore.
Noi, all’università, siamo stati tartassati con architetture lontane, con grave dimenticanza della nostra storia (parlo dei corsi di progettazione). Certe realizzazioni progettate dai nostri colleghi ci dicono quale rivista o quale libro avevano sottomano al momento dell’esecuzione dell’incarico. In qualche caso ci dicono quale è stato l’ultimo viaggio fatto all’estero. In un caso abbiamo scoperto che un progettista, che ha disegnato l’arredo urbano di un importantissimo viale cittadino, era stato in vacanza in una nota località balneare dell’adriatico!
Cosa drammatica perché si riconoscono forme di qualche archistar più o meno attuale,forme di qualche lungomare dove abbiamo conosciuto qualche bella ragazza, ma non si riconosce il luogo storico dove la realizzazione sorge.
Ma il saper “copiare” è piuttosto difficile perché non basta rifarsi al “tradizionale”. La mia generazione, all’università, soffriva del “ morbo” di Krier e della “sindrome” di Aldo Rossi poiché venivano copiate pedissequamente le loro forme. Cosa negativa anche se le due archistar si rifacevano alla tradizione, poiché anche quella deve essere contestualizzata.
Quanto ai geometri (i veri costruttori dell’attuale immagine dell’edilizia italiana degli ultimi 80 anni) mi ha sempre colpito la loro omogeneità progettuale. Poi un giorno ho sfogliato un libro di “Costruzioni” dell’Istituto Tecnico e l’arcano si è svelato. In maniera più casareccia di quanto facevano i nostri professori universitari, gli autori dei manuali di “Costruzioni” hanno sempre proposto immagini e progetti di villette o edifici del tutto astrusi, con tetti sfalsati sul muro di spina, pietra finta sui pilastrini della loggia ecc. ecc. Una volta diplomati gli studenti hanno solo riproposto quello che hanno studiato.
In definitiva, possiamo dire che i problemi della progettazione hanno origine proprio nella scuola o all’università e che studenti o professionisti dovrebbero disegnare case passeggiando di più e sfogliando di meno.
Ettore, hai fotografato la realtà in maniera assolutamente precisa.
Una sola nota: non c'è dubbio che i geometri utilizzano i manuali Hoepli per la progettazione e la tipologia che tu descrivi è esatta. Non ci sarebbe niente di male nell'utilizzo di tipi ripetitivi, anzi potrebbe essere un momento di ordine nella confusione generale. Basterebbe che i manuali utilizzassero modelli più corretti.
In genere i geometri, la massa intendo perchè poi ci sono anche i creativi e allora..., sono abbastanza scevri da pregiudizi e non si vergognano certo a "copiare". Ma siamo alle solite: l'importante sarebbe copiare bene.
Quindi il modello è essenziale.
E anche le norme comunali sono determinanti perché nessuno meglio di loro riesce a sfruttarle al massimo e spesso le norme generano mostri.
Per quanto, anche noi architetti, anche quelli famosi, vedi Purini con Eurosky, non siamo indenni da un uso.... disinvolto delle norme.
Ciao
Pietro
Caro Pietro,
il commento dell'anonimo non è mio, anche se sembra anche a me di sentire le mie parole, quindi ne approfitto per dire all'anonimo che ho apprezzato molto il "quadretto" che ha dipinto.
Ciao
Ettore
Caspita, io non avevo letto che il commento è anonimo e ho dato per scontato che fosse tuo.
Ho capito chi è e questo spiega il conoscere bene i luoghi: è un mio collega aretino cui avevo risposto privatamente che il suo commento non era arrivato.
Ciao
Pietro
Poesie... canzoni d'autore... testi sempre più raffinati e ricercatamente letterari ...uuummmmm : non è che questo si sta' trasformando in uno di quei blog per intellettuali distaccatamente blasé e ostentatamente démodé ?? ;-))
Campanello di allarme! Sto invecchiando. Oddio, me ne ero già accorto, ma non per il blog.
Devo ritrovare una vis polemica più accentuata. Però c'è chi dice che ne ho troppa. Che fare?
E' dura la legge dell'audience.
Però le canzoni d'autore proprio non mi appartengono; come ho già detto, nemmeno li ascolto i testi delle canzoni.
Ciao
Pietro
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