Pietro Pagliardini
Frequento molto raramente il sito di Luigi Prestinenza Puglisi. Ancora più raramente riesco ad essere d’accordo con quello che c’è scritto.
Un argomento invece ho molto apprezzato ed è l’argomento Concorsi.
Ho letto lo scritto breve e il decalogo annesso e ne ho apprezzato la lucidità e il coraggio nel denunciarne le degenerazioni. Quello che un mio collega chiama brutalmente lo “scambio di figurine” Puglisi lo descrive con molta precisione indicando nel continuo passaggio dal ruolo di concorrente a quello di giurato il metodo che consente di farsi qualche piacere. Semmai direi che i nomi che prende ad esempio rappresentano una selezione molto limitata e un pò troppo mirata, perché esiste un altro aspetto, meno appariscente perché più diffuso nei concorsi di minore importanza, e tutto interno e funzionale al sistema accademico di cui finalmente si parla sempre più spesso grazie al Ministro Gelmini: quello delle relazioni incestuose tra docenti e assistenti o comunque tirapiedi, ricercatori, dottorandi, ecc.
Nel suo decalogo l’autore dimostra di avere le idee chiare, anche se non concordo su tutte. Ma non è tanto importante rimarcare le piccole differenze scendendo nel dettaglio procedurale, quanto apprezzare appunto l’analisi che Prestinenza Puglisi compie sul tema.
Soprattutto questo scritto mi fornisce l’occasione per ritornare su un punto per me fondamentale del sistema concorsuale in architettura, proprio adesso che è stato pubblicato il testo del disegno di legge quadro sull’architettura da parte del Ministero dei Beni Culturali, in cui il concorso, appunto, sembra diventare il metodo principe per l’assegnazione degli incarichi.
Partirei da una domanda che pongo prima di tutto a me stesso: perché il sistema concorso, inteso come presentazione di un concreto progetto, e non come selezione di persone per un determinato ruolo lavorativo, è consueto in architettura ma è pressoché sconosciuto o raro in altre professioni? Si è forse mai sentito dire di un concorso per avvocati con indicazione di una linea di difesa al fine di stabilire chi meglio sia in grado di rappresentare, ad esempio, una pubblica amministrazione in un giudizio? O per dottori commercialisti, da parte dell’amministrazione finanziaria, al fine di scegliere colui che presenti la miglior proposta per combattere l’evasione fiscale? La risposta è ovviamente no.
Perché, allora, ciò che vale per l’architettura non vale per la legge o per la medicina?
La mia impressione è che, generalmente, la forma concorso venga considerata necessaria dal punto di vista del rispetto di certi “valori” di carattere sociale quali la trasparenza, l’equità, la perequazione, la giustizia, le pari opportunità. E’ un concetto che si avvicina cioè ad una sorta di “ammortizzatore sociale” per sperare di compensare squilibri esistenti tra gli incarichi di pochi e lo scarso lavoro dei più. Infatti ogni legge o proposta di legge riserva “quote giovanili” ai concorrenti, sotto varie forme; un concetto simmetrico alle “quote rosa” in politica. Tutto è poi condito (e mascherato) con la ricerca della qualità (quale?) e di far emergere nuove idee, ma il fatto che l’attuale forma concorsuale nasca dopo tangentopoli, come riconosce anche Prestinenza Puglisi, la dice lunga sul significato reale di questa soluzione.
Queste sono solo motivazioni occasionali e contingenti della forma concorso, la quale invece, avendo una storia antica e una diffusione in ogni parte del mondo e tra culture diverse, affonda le sue ragioni nell’essere l’architettura un’arte civica e perciò soggetta al parere e all’approvazione di coloro che, willy-nilly, godranno o subiranno la presenza dell’edificio.
“..il giudizio sulla congruità [dei temi collettivi], sulla loro utilità e sul decoro costituisce per principio una competenza di tutti i cittadini della civitas in quanto tali, dove tutti sono legittimati ad avere un punto di vista sul se e sul come realizzarli a prescindere dalla nostra specifica cognizione dell’arte”.
Questo brano tratto da La città come opera d’arte di Marco Romano, spiega l’origine del concorso di architettura, la sua peculiarità, la sua necessità sotto certi aspetti, ma dice anche che le “procedure” sono solo un mezzo per ottenere un risultato che consiste nel raggiungimento della massima condivisione possibile del progetto.
Tutte le altre motivazioni che vengono ormai attribuite al concorso vengono dopo, sono accessori intercambiabili in base alla sensibilità e alle necessità del momento storico o politico, restando invece la sua essenza sempre la stessa.
Per ottenere questo risultato dunque la sola commissione di esperti, comunque composta, non solo non è sufficiente, ma è del tutto inadeguata e contraria proprio al principio che la città appartiene a tutti i cittadini e non c’è esperto che possa appropriarsene e sostituirsi alla comunità, perché “tutti sono legittimati ad avere un punto di vista… a prescindere dalla nostra(di noi esperti) specifica cognizione dell’arte”.
L’insistenza di ogni legge sulla figura dell’esperto come colui che possiede la conoscenza e quindi il potere di scegliere, con tutti gli illusori cavilli giuridici e artifici procedurali studiati per garantire equità, probità, competenza, è il sintomo di una società molto smemorata e con tendenze autoritarie perché toglie ai cittadini spazi di decisioni che loro competono per la storia e l’essenza stessa della città e di cui la legge dovrebbe semplicemente prendere atto.
Per garantire il miglior risultato all’esito dei concorsi c’è solo un metodo: il referendum popolare. Qualunque scelta venga fatta sarà la migliore perché la più condivisa. Questa proposta non nasconde alcuna utopia né ipotesi rivoluzionarie o populiste ma solo il risultato di una riflessione sulla città come bene collettivo.
“ ..le case si affiancano l’un l’altra a lunghi nastri continui e le strade diventano condotti comuni, luoghi di transito, di sosta e di scambio, ma anche di tensione sociale e quindi di vita; di conseguenza l’ambiente stradale si caratterizza per la somma di iniziative individuali, peraltro controllate da norme statutarie e guidate dai “magistri viarii” o anche da consultazioni collettive”.
Così Giovanni Astengo alla voce Urbanistica dell’Enciclopedia Universale dell’Arte, parlando della città medioevale. E la stessa voce così si conclude sulle prospettive future dell’urbanistica:
“Per questo suo compito corale [l’urbanistica] ambisce al riconoscimento di “arte collettiva” per eccellenza ed i suoi successi sono necessariamente legati alla misura con cui essa stessa riuscirà nei vari paesi a diventare abito non secondario di comportamento collettivo adulto”.
Astengo non risulta appartenere alla categoria degli utopisti né dei rivoluzionari.
Le cronache dei giornali locali straboccano di articoli e “polemiche” che riguardano le scelte per la città, a dimostrazione che il tema collettivo non è un romantico residuo del passato, come qualcuno pensa, ma solo che è cambiata la forma in cui si manifesta questo interesse dei cittadini.
Fino a che l’esito dei concorsi sarà affidato solo ed esclusivamente ad “esperti” e al loro necessario giudizio non potrà seguire quello popolare non potranno che prevalere logiche di potere interne alla casta di turno, non potrà esserci legge capace di garantire che i giurati siano “al di sopra di ogni sospetto”, come scritto al punto 6 del decalogo di Prestinenza Puglisi, soprattutto, a prescindere dalla correttezza o meno, dalle capacità o meno dei soggetti, non potrà esservi garanzia che la scelta sia quella migliore per la città.
Un'ultima domanda: perché c'è tanta ostilità verso il referendum popolare per i concorsi?
Possibili risposte:
1) Perché la gente non sa scegliere e sarebbe influenzata da politici e giornali.
2) Perché allunga i tempi, è costoso e populista.
3) Perché gli architetti, cioè gli esperti, sono gli unici che hanno le soluzioni dei problemi.
4) Perché molti hanno paura di perdere ruolo e perciò potere.
5) Perché le scelte popolari non andrebbero verso il modello di architettura dominante ma verso forme, appunto, più popolari.
Ognuno ha la sua risposta. Le mie sono la 4 e la 5, sa và san dir.
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15 commenti:
Secondo me perchè ci si dimentica che una PA è fatta dagli organi politici (eletti e con un mandato) e dagli organi tecnici. La legge sui lavori pubblici parte dal presupposto che la progettazione si fa internamente all'Ente. Solo in caso di mancanza di risorse, capacità, personale etc si ricorre all'esterno con incarichi professionali. La cosa divertente è che oggi, per entrare in una pubblica amministrazione, devi essere abilitato all'esercizio della professione (al pari di chi la professione la fa) e superare un concorso pubblico (che i professionisti non fanno). Nel mio ente, ad esempio, c'è bisogno di ingegneri ed architetti. Perchè non fai un concorso e vieni a lavorare con noi?
Alessandro
Alessandro, grazie per l'invito ma trovo diverse controindicazioni:
- avrete qualche privilegio ma io mio diverto a fare quello che faccio;
- sono fuori età per i concorsi;
- anche se lo fossi non lo vincerei;
- non ho alcuna intenzione di cambiare città; se proprio lo dovessi fare il salto sarebbe più lungo e certamente supererebbe almeno le Alpi, ma anche più.
Saluti
Pietro
Ci mancherebbe che qualcuno ti obblighi a fare alcunchè. Però una cosa è dire che non la vuoi fare, e un'altra è che non la puoi fare. Se poi parti dal presupposto che tanto non lo vinceresti mai, di che stiamo parlando?
Quanto ai concorsi, è bene chiarire che stai parlando dei concorsi di idee, e non della progettazione definitiva o esecutiva. I primi sono sicuramente pochini in Italia (e il referendum potrebbe sicurament contribuire nella scelta della soluzione progettuale, a patto di rispettarne il risultato), i secondo tipi di incarico sono invece assai diffusi, e tra le cause delle eccessive spese delle amministrazioni pubbliche.
ciao
alessandro
Alessandro, credevo la tua fosse una provocazione e sono stato allo scherzo. Ora ti rspondo più seriamente.
Io faccio la professione da 31 anni e mi sembrerebbe strano cambiare la mia vita adesso, passando "dall'altra parte della barricata". Quindi non è che lo voglio fare o non lo voglio fare: semplicemente non è nemmeno nella mia testa. Ma, ipotizzando di volerlo fare, confermo che non scherzavo affatto: non vincerei perchè fare un concorso per un posto pubblico e vincerlo significa tante cose, una delle quali è quella di studiare una massa di leggi spaventosa e io ho in totale odio le leggi. Lo studio quel tanto che basta per la mia professione, che è sempre poco, ma ad una certa età si riesce a supplire con l'esperienza e con l'aiuto di colleghi più giovani.
La nostra professione è ormai da anni roba da legulei.
Sui concorsi d'architettura sono parzialmente d'accordo con te. Dico parzialmente perchè di concorsi d'idee non è così vero che ce ne sono pochi, è vero semmai che la gran parte di quelli che ci sono non hanno alcun seguito. E' anche vero che spesso non hanno seguito perchè vincono progetti assurdi e, da questo punto di vista, è bene che non abbiano seguito.
Io non sono un fautore dei concorsi, perchè come tutto in Italia, sono un metodo illusorio di creare opportunità di lavoro a chi non ne ha. Non è affatto serio fare lavorare "gratis" 50, 60 gruppi di architetti per un totale di 200, 300 persone, per fare un'opera da 2-3 milioni di euro. Non è così che si fanno i concorsi negli altri paesi. In Francia, la decantata Francia, funziona in tutt'altro modo: si manda un curriculum con un book di realizzazioni o progetti, vengono selezionati 3-5 gruppi (hai capito bene 3-5 gruppi) e quelli vengono invitati a presentare una proposta su due tavolette e una relazione. Tutti i gruppi hanno un rimborso spese decoroso e il vincitore esegue l'opera.
Questo non garantisce certo qualità ma non crea aspettative a 200-300 persone che lavorano un mese "agratis" e conferisce almeno serietà alla forma concorso.
Pensi che da noi verrebbe accettata una scelta del genere? Io penso di no perchè si alzerebbeo proteste sul dare opportunità ai giovani, nuove idee eccetera. In realtà siamo troppi e a tutti deve essere data l'illusione, dopo l'università, di affermarsi. Ma è chiaro ed evidente che di illusione si tratta, non fosse altro che per un fatto statistico.
Saluti
Pietro
Pietro, posso dire adesso che concordo con te? Solo su un aspetto mi preme ancora rubarti altro tempo, ed è la nostra professione. Secondo me (sarà dovuto alla mia formazione) la figura dell'architetto sarà sempre più quella del project manager, che poi,a ben vedere, è quello che gli architetti hanno sempre fatto, a sentire Vitruvio. Economia, fisica, musica, letteratura, matematica e, certamente, anche legge. Sul resto, ripeto, concordo.
Ciao
Alessandro
Discuto con Alessandro anche qui.
Il fatto è che le amministrazioni pubbliche hanno difficoltà a mantenere un ufficio di progettazione in seno.
Questo rivela anche un aspetto inquietante della professione, e del mercato del lavoro della libera professione: i liberi professionisti riescono a comprimere i costi grazie all'utilizzo di forza lavoro non assunta e mascherata da "libera professione". Cosa che invece la pubblica amministrazione non può fare.
Sul tema, è chiaro che attualmente il sistema francese è il migliore.
Gli Ordini arch. in Italia, sono scarsi.
Ho esaminato l'altro giorno un concorso di idee promosso anche dall'Ordine qui a Torino.
Due gradi. Dopo il primo se ne selezionano 10 per il secondo grado, in cui si sviluppa praticamente un progetto preliminare (di importo basso, meno di un milione tutto compreso, quindi circa 600.000 di lavori).
Il vincitore vince 6.000 euro (da scalare sulla parcella), gli altri 1.000 euri per rimborso.
Un Ordine serio avrebbe imposto: col cazzo! Tu in secondo grado ne passi al massimo 4 e di rimborso gli dai almeno 3.000.
Ma no... il sindaco vuole 10 progetti, così se li guarda bene, magari elabora un frankenstein di suo gusto piluccando di qua e di là.
10 gruppi, per due gradi, il tutto alla modica cifra di 15.000 euro.
E l'Ordine non si vergona ...
Biz, hai tralasciato il dettaglio che alla prima selezione partecipano non 10 gruppi ma chissà, 30, 40, 50, 60, cioè la massa di architetti di cui dicevo. Dimmi se te se è regolare un dispendio di energie di questo genere per 15.000 euro.
Gli ordini hanno grandi responsabilità, ma è proprio il sistema ad essere bacato e immorale.
Saluti
Piero
Già ...
Devo però fare un piccolo errata corrige, il primo premio è di 13.000.
Nella sostanza non cambia; anzi, si direbbe che con il premio, non certo sontuoso ma qualcosa in più di quanto avevo scritto, vogliano cercare di dare un minimo d'attrattiva.
Bè, Biz, questa volta credo che ci sia poco da discutere, poichè ho già detto di essere d'accordo. Ti chiedo scusa perchè devo tornare a rispondere da te, ma la giornata è stata lunghina. Non appena ho tempo non mancherò!!! :o)
ciao (anche al padrone di casa!!!)
alessandro
Grande Piero...
seguo spesso il tuo carinissimo blog ma non trovo mai il modo per lasciare commenti... sono troppo nauseato in generale da quello che faccio e da quello che vedo fare per essere abbastanza lucido da scrivere in maniera coerente sull'architettura. Spero però di essere comprensibile in questo post sui concorsi.
Non c'è verso, a mio modo di vedere, non si sfanga! Questo paese è troppo legato a clientelismi, favoritismi, nepotismi e cazzismi vari perchè tale strumento possa essere credibile... forse lo è solo in alcuni casi sporadici e fortunati, ma non è un metodo di merito assoluto (lo so... lo so... sto dicendo il contrario di quanto timidamente affermavo solo pochi mesi fa... ma l'opinione cambia fortunatamente). Citi il metodo francesce... da noi chi deciderebbe chi invitare? su quali basi credibili?
I bandi a curriculum poi te li raccomando, gli elenchi con gli inviti per le offerte al massimo ribasso aria fritta, anzi irrespirabile!
Mi auguro un bel colpo di spugna che cancelli tutte queste menate, in maniera che l'affidamento sia comunque clientelare, nepotista o al massimo cazzista, ma che sia detto e dichiarato.. che si sappia. Ci attrezzeremo e sopravviveremo comunque... anche senza tapparci il naso per la puzza!!
Con amicizia, Roberto Felici
PS: in un post precedente c'è chi dichiara che i liberi professionisti fanno concorrenza sleale verso la pubblica amministrazione perchè usano personale non retribuito o falsamente inquadrato nello studio... ahahahahahah! E' la prima risata sincera che faccio da un po' di tempo.
Caro Roberto, benvenuto, finalmente. Non che fosse indispensabile per te ma mi faceva piacere. Vedo anche che sei molto, molto incazzato (ogni tanto ci si può lasciare andare). Non mi fa piacere ma ne deduco che sei passatto da quella parte della barricata che è stufa.
Sui concorsi, intanto rispondendo a te rispondo anche a Master, che mi ha lasciato un commento sul successivo post. Sono tornato da un'ora da un convegno a Roma in cui, tra l'altro, sono state dette cose anche sui convegni.
Premesso che su quel convegno scriverò senz'altro un post, le riassumo:
- Ordine architetti di Roma. L'ordine, nel mare d'incertezza, è un approdo sicuro perchè resta sempre uguale a sè stesso e non si smentisce mai, chiedendo a gran voce concorsi, concorsi, concorsi. Dopo aver detto una cosa giusta, cioè che non dovrebbero vincere i progettisti ma i progetti, ne trae la conclusione che il concorso è la forma migliore. Peccato che non si ponga il problema di chi giudica i progetti. Ma è un dettaglio insignificante. Devo essere sincero: mi sembra si comportino come il sindacato che, avendo sempre meno iscritti tra i lavoratori, iscrive i pensionati, per continuare ad esistere.
- Paolo Portoghesi: avendo una certa età, portata molto bene, giudica le cose con un certo distacco e ha osservato che non gli sembra proprio un bel metodo far lavorare gratis 100 gruppi per farne vincere uno.
- Orazio Campo, professore a Valle Giulia: ha chiaramente denunciato o scambio di figurine, cioè lo scambio di ruoli tra giurati e concorrenti. Insomma ha detto che i concorsi sono taroccati. Si è posto il problema del giudizio e dei giurati e ha detto che non devono esserci solo tecnici, ma anche non esperti, comuni cittadini. Non si è spinto oltre ma mi sembra che abbia detto abbastanza, per essere in una sede ufficiale e piuttosto prestigiosa.
Caro Master, la democrazia, scusami, ma non c'entra proprio un bel niente con l'architettura, almeno non come la intendi te. Quando tu hai bisogno del medico, lo cambi sempre e vai dal primo arrivato per un principio democratico e di pari opportunità?
Saluti
Pietro
Se si eliminano i concorsi non capisco su che base si debbano assegnare i lavori. Per i giovani professionisti è anche un modo per farsi conoscere, anche tramite la pubblicazione, digitale o cartacea, dei lavori partecipanti al concorso.
Per quanto riguarda il mio medico di famiglia, ci vado per una ricetta semplice ma se ho bisogno di uno specialista cerco il migliore, prendendone in esame quelli a me accessibili. Comunque non capisco molto neanche questa metafora del medico a dire la verità.
Io non dico che i concorsi non vadano fatti ma penso ci siano due problemi, e cioè il metodo e il merito:
1)il metodo di far lavorare gratis centinaia di persone è scandaloso e se gli Ordini fossero seri e non una gerarchia imbalsamata dovrebebro essere i primi a non volerli. Il metodo da seguire è quello francese.
2) Il merito è quello del giudizio che non può, non deve essere affidato solo agli architetti, perchè, specialmente l'urbanistica, deve tornare nelle mani dei cittadini. Quindi giurie di architetti ed esperti e poi giudizio popolare. Naturalmente parlo dei concorsi pubblici, per quelli privati che bandiscono direttamente le aziende, è chiaro che devono fare come meglio credono.
Si può dissentire, ma non è una cosa così complicata e cervellotica. In Olanda lo hanno fatto e continuano a farlo, non è un'idea rivoluzionaria nè demagogica è, semplicemente, la storia dell'architettura.
Saluti
Pietro
Concordo sul problema del lavorare gratis, magari per mesi, e poi non vincendo il concorso si finisce con l'aver buttato via tempo e denaro. Servirebbe una regola che impone una quota di rimborso spese o un "premio" per i primi classificati (non solo per i primi tre come è norma oggi).
Per quanto riguarda le giurie, coinvolgere oltre ad archietti anche amministratori pubblici, a carattere anche locale come le circoscrizioni, è ragionevole, ma coinvolgere direttamente i cittadini viene a diventare una pratica molto onerosa e complessa, visto il numero di concorsi.
Non sono però così pessimista sul presente, anche perchè guardando siti come Europaconcorsi sembra che la direzione intrapresa sia buona (per numero e qualità dei progetti presentati). E' certo che un'amministrazione locale non può permettersi di bandire concorsi molto remunerativi ma a livello europeo si possono fare cose molto interessanti.
Quello che a me interessa, ad essere sincero, è che passi un principio: quello che la città appartiene ai cittadini e non agli architetti.
Come dare gambe a questo principi? Nei concorsi più significativi che riguardano spazi urbani importanti si fa, oltre alla commissione tecnica, il referendum. Ne bastano pochi all'anno, su qualche concorso più importante, per far capire agli "esperti" l'aria che tira. Credo che avrebbero un benefico effetto su tutti i concorsi.
Non ti illudere sui progetti europei perché la burocrazia è come nei nostri, almeno in quelli francesi che ho provato a fare. Non ci sono riuscito perché le leggi per accedere sono sbarranti, a meno che tu non partecipi con qualcuno del posto o non tu sia un'archistar.
Saluti
Pietro
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