Pietro Pagliardini
Sul New York Times del 14 maggio, il terribile critico d’architettura Nicolai Ouroussoff, terribile perché sfegatato modernista anche se talvolta fortemente critico con le archistar (ha bocciato irrimediabilmente il progetto di Meier per l’Ara Pacis e ha criticato l’edificio in cui egli stesso lavora, di Renzo Piano)racconta le vicissitudini di un progetto di Norman Foster nella Madison Avenue.
Il primo progetto prevedeva una torre di 30 piani come “ampliamento” di un edificio anni ’50 e su questo infilato proprio al centro.
Il comitato del consiglio della comunità dell’East Upper Side (che immagino sia una sorta di commissione edilizia) ha giudicato questo progetto poco rispettoso del contesto e con esso troppo in contrasto e il committente, una società immobiliare, ha chiesto a Foster un altro progetto.
Quest’ultimo si sovrappone esattamente al perimetro dell’edificio esistente ma un vuoto lo stacca da questo ed è rivestito con bande orizzontali di bronzo.
Ouroussoff se la prende con il parere della commissione non tanto per il progetto in sé stesso quanto per i principi che esso sottende e fa alcune considerazioni nel merito, anche piuttosto pertinenti.
Ouroussoff scrive:
Ma il nuovo progetto è più garbato e meno originale, in ossequio al punto di vista reazionario(sic!) che la maggior parte dell’architettura contemporanea è migliore quando è invisibile.
Dal confronto, il progetto di forma ovale (la torre) rispetto a quello con facciata in bronzo, sembrava essere piuttosto ingegnoso e misurato. Ancora, l’idea, sostenuta dai più seri architetti di oggi, era che il miglior modo per rispettare il passato non è imitarlo ma tessere una visione contemporanea nella trama edilizia storica con sensibilità.
Entra anche nel tema specifico e afferma che il rivestimento in bronzo è comunque in contrasto con l’esistente almeno quanto il vetro (?) e allora tanto valeva dare chiaramente il segno del cambiamento.
E’ molto difficile dare, da due fotografie e senza conoscere bene la zona, un giudizio compiuto esattamente mirato al caso specifico però, grazie a Microsoft Virtual Earth, è possibile farsi un viaggetto gratis a New York e capire qualcosa di più. Come si vede, e come riconosce anche Ouroussoff, la zona, l’Upper East Side, non è interessata ancora da interventi di grattacieli in acciaio e vetro; è una zona residenziale abitata da benestanti, meglio dire ricchi, e conserva una sua unità complessiva.
Ha ragione Ouroussoff a preferire un birillo di vetro, completamente dissonante o la commissione, certamente guidata dai ricchi vicini da casa (come dice il giornalista), a preferire, anche se per biechi interessi personali, un semplice rialzamento, peraltro a parità di volume?
Guardando l’immagine generale non si può non riconoscere che il progetto della torre avrebbe avuto solo una valenza immobiliaristica di sfruttamento di un gesto dell’archistar per rappresentare se stesso e il suo brand per meglio pubblicizzare il prodotto.Ma Ouroussoff in realtà non difende con grande convinzione il primo progetto quanto il principio tirato in ballo dal comitato di una maggiore attenzione al contesto urbano. Sembra quasi che consideri l’atteggiamento della comitato (ripeto, sempre supportato dal lobbying dei residenti)una sorta di attentato alla libertà di espressione dell’architetto.
Da quest’articolo sembra di cogliere il fatto che lo scontento per le follie dell’architettura cominci a farsi strada anche nella città che prima e più di altre ha iniziato la corsa verso l’alto, se Ouroussoff si scomoda per una torre di “soli” trenta piani priva di qualsiasi qualità specifica che non sia quella di andare a fare da colonizzatrice in una zona ancora vergine.
Si tenga conto che facendo una ricerca sul sito del NWT l’ultimo articolo che parla di New Urbanism risale a luglio del 2007 che, per un giornale che dedica all’architettura e al design una massa enorme di articoli, vuol dire un secolo.
Grazie al New York Times e a Microsoft possiamo comunque seguire gli sviluppi di questo dibattito, sempre tenendo presente che New York non è Firenze né Roma.
24 maggio 2008
NORMAN FOSTER RIPROGETTA UN EDIFICIO PER LA PACE DEL VICINATO
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2 commenti:
Come non essere d'accordo. Ourussof cade proprio nell'equivoco cui facevo riferimento nei post precedenti. E il secondo progetto di Foster mi sembra un eccellente esempio di "terza via". Segno che, se si à costretti a ragionare e quindi a ricercare, la "terza via" si trova sempre. Il problema sta nel non considerarla più una delle tante vie, ma l'unica percorribile, tale da declinarsi però di volta in volta in modo diverso a seconda del caso e del background dell'autore.
Il problema è che in questo caso i rapporti di forza (comitato+lobbisti, con il buon senso economico del developer, erano dalla parte "giusta", ma generalmente i rapporti di forza stanno dalla parte degli archistar o comunque dell'architettura sensazionale. Comunque la gente, per interesse o per convinzione, in genere fa la scelta migliore
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