E così a Milano si terrà l’Esposizione Universale del 2015. E’ certamente una bella notizia per l’immagine del nostro paese ma quale sarà l'immagine che verrà proposta? I grandi gruppi saranno giustamente in pool position per sviluppare il loro business e, naturalmente, gli architetti di grido, cioè quelli creativi, fantasiosi, poetici, tecnologici, informatici ma comunque sempre ecologici, saranno senz’altro i prescelti per rinnovare i fasti del made in Italy nel mondo.
Ma, polemica a parte, credo si impongano alcune riflessioni.
Il tema dell’Expo ho sentito essere “l’alimentazione”. Non è che ne sappia molto di più di quanto detto dai telegiornali, cioè poco, ma immagino che si tratti anche di veicolare nel mondo la qualità dei nostri prodotti e della nostra cucina. E’ fuori discussione che questo sia un settore economico importante che ha anche il pregio, contrariamente ad altri, di riuscire a valorizzare realtà produttive piccole e medie. Ma il successo dell’alimentazione italiana è intimamente legato al territorio di provenienza, ai luoghi dai cui essa ha origine. I nomi stessi dei prodotti portano in sé la toponomastica dei luoghi: lardo di Colonnata, prosciutto di Parma, pecorino romano, grana padano, ecc. ecc. spesso basta il nome del luogo o un aggettivo per individuare il prodotto: il parmigiano o il reggiano, il San Daniele, la fiorentina, il Chianti, ecc.
Tutti questi prodotti affondano le loro radici nei più disparati territori italiani, costituiscono parte integrante della cultura di quei luoghi, sono i frutti di lavoro umano maturato nel tempo, anche se reinterpretati alla luce delle moderne tecniche di lavorazione. Vengono presentati, quasi sempre, in confezioni che hanno un sapore antico e di fatto mano, per distinguerli nettamente dai normali prodotti industriali delle multinazionali dell’alimentazione.
Il mondo della cultura ufficiale esalta le differenze alimentari tra una località e l’altra, talvolta in maniera bucolica, quasi con un senso di rimpianto per il bel mondo che non c’è più; la cultura del cibo viene talora sventolata come bandiera della resistenza alla globalizzazione. Ad essa si associa anche una sorta di filosofia di vita, lo slow food, vicina al mondo ambientale che, giustamente, rivendica la ricchezza della diversità.
Del tutto opposto l’atteggiamento nei confronti dell’architettura la cui bandiera è invece l’omogeneizzazione completa, l’assenza di diversità, la mancanza assoluta di declinazione in chiave locale di elementi architettonici generali. Tanto si apprezzano i piaceri del palato con gusti diversi, nel campo del cibo, quanto si apprezza un tipo di architettura tutta uguale a sé stessa in ogni parte del mondo, a Dubai come a Londra e a Milano.
Eccoci tornati a Milano, appunto: già stamani alla radio l’onnipresente Fuksas ha pontificato sulle mirabolanti architetture che si andranno a costruire in occasione dell’Expo. Ha decantato il quartiere Santa Giulia, il grattacielo di almeno 200 metri, la fiera di Rho, un tocco di ambientalismo con parchi e laghetti (ma l’ambientalismo non dovrebbe apprezzare la diversità?) e la linea è dunque tracciata.
Quindi è chiaro che il made in Italy si presenterà, una volta di più, avvolto in una “confezione” di stile “internazionale”. In questa logica perversa mi domando: un grattacielo di 200 metri di altezza non entra neanche nelle graduatorie delle riviste tra quelli più alti del mondo; a Pechino ne sorgono così come i funghi: possiamo competere con i paesi emergenti in questo campo? Che ci sarà di straordinario, di italiano nel quartiere Santa Giulia e nel grattacielo? Pensano lor signori che milioni di turisti vengano in Italia per vedere le nostre “architetture moderne”? Pensano che i cento milioni di cinesi ricchi che desiderano fortemente visitare il Bel Paese lo facciano per Fuksas, Piano, eccetera? Pensano che a Roma andrebbero a visitare l’Ara Pacis per il contenitore e non per il contenuto?
Ma ormai il destino è segnato, è tutto scritto: l’Italia rinuncia al suo petrolio che è la ricchezza dei luoghi, naturali e artificiali, in nome di una modernità ideologicamente intesa.
A proposito di contraddizioni: perché tutti questi signori che guardano avanti diventano benpensanti quando si parla di ponte sullo stretto di Messina che almeno assolve ad una funzione importante? Mah, vallo a capire!
Pietro Pagliardini
Ma, polemica a parte, credo si impongano alcune riflessioni.
Il tema dell’Expo ho sentito essere “l’alimentazione”. Non è che ne sappia molto di più di quanto detto dai telegiornali, cioè poco, ma immagino che si tratti anche di veicolare nel mondo la qualità dei nostri prodotti e della nostra cucina. E’ fuori discussione che questo sia un settore economico importante che ha anche il pregio, contrariamente ad altri, di riuscire a valorizzare realtà produttive piccole e medie. Ma il successo dell’alimentazione italiana è intimamente legato al territorio di provenienza, ai luoghi dai cui essa ha origine. I nomi stessi dei prodotti portano in sé la toponomastica dei luoghi: lardo di Colonnata, prosciutto di Parma, pecorino romano, grana padano, ecc. ecc. spesso basta il nome del luogo o un aggettivo per individuare il prodotto: il parmigiano o il reggiano, il San Daniele, la fiorentina, il Chianti, ecc.
Tutti questi prodotti affondano le loro radici nei più disparati territori italiani, costituiscono parte integrante della cultura di quei luoghi, sono i frutti di lavoro umano maturato nel tempo, anche se reinterpretati alla luce delle moderne tecniche di lavorazione. Vengono presentati, quasi sempre, in confezioni che hanno un sapore antico e di fatto mano, per distinguerli nettamente dai normali prodotti industriali delle multinazionali dell’alimentazione.
Il mondo della cultura ufficiale esalta le differenze alimentari tra una località e l’altra, talvolta in maniera bucolica, quasi con un senso di rimpianto per il bel mondo che non c’è più; la cultura del cibo viene talora sventolata come bandiera della resistenza alla globalizzazione. Ad essa si associa anche una sorta di filosofia di vita, lo slow food, vicina al mondo ambientale che, giustamente, rivendica la ricchezza della diversità.
Del tutto opposto l’atteggiamento nei confronti dell’architettura la cui bandiera è invece l’omogeneizzazione completa, l’assenza di diversità, la mancanza assoluta di declinazione in chiave locale di elementi architettonici generali. Tanto si apprezzano i piaceri del palato con gusti diversi, nel campo del cibo, quanto si apprezza un tipo di architettura tutta uguale a sé stessa in ogni parte del mondo, a Dubai come a Londra e a Milano.
Eccoci tornati a Milano, appunto: già stamani alla radio l’onnipresente Fuksas ha pontificato sulle mirabolanti architetture che si andranno a costruire in occasione dell’Expo. Ha decantato il quartiere Santa Giulia, il grattacielo di almeno 200 metri, la fiera di Rho, un tocco di ambientalismo con parchi e laghetti (ma l’ambientalismo non dovrebbe apprezzare la diversità?) e la linea è dunque tracciata.
Quindi è chiaro che il made in Italy si presenterà, una volta di più, avvolto in una “confezione” di stile “internazionale”. In questa logica perversa mi domando: un grattacielo di 200 metri di altezza non entra neanche nelle graduatorie delle riviste tra quelli più alti del mondo; a Pechino ne sorgono così come i funghi: possiamo competere con i paesi emergenti in questo campo? Che ci sarà di straordinario, di italiano nel quartiere Santa Giulia e nel grattacielo? Pensano lor signori che milioni di turisti vengano in Italia per vedere le nostre “architetture moderne”? Pensano che i cento milioni di cinesi ricchi che desiderano fortemente visitare il Bel Paese lo facciano per Fuksas, Piano, eccetera? Pensano che a Roma andrebbero a visitare l’Ara Pacis per il contenitore e non per il contenuto?
Ma ormai il destino è segnato, è tutto scritto: l’Italia rinuncia al suo petrolio che è la ricchezza dei luoghi, naturali e artificiali, in nome di una modernità ideologicamente intesa.
A proposito di contraddizioni: perché tutti questi signori che guardano avanti diventano benpensanti quando si parla di ponte sullo stretto di Messina che almeno assolve ad una funzione importante? Mah, vallo a capire!
Pietro Pagliardini
1 commento:
Mi scuso per il ritardo con cui ringrazio Elisa per la segnalazione. Sono andato nel forum indicatomi ma, non conoscendo la realtà milanese, se non dai giornali e dalle foto, non mi azzardo a entrare nella discussione. Io mi sono limitato a considerazioni generali rispetto a ciò che vedo nelle foto e ho letto nei giornali e ciò che vedo sono grattacieli, a expo2015 e a CityLife e disegni che, per quanto indicativi, lasciano già intravedere che tipo di architettura verrà fuori.
Posta un commento