Pietro Pagliardini
Chi non vorrebbe un’architettura “bella”?
Qualunque persona cui fosse posta la semplice domanda: “L’architettura deve essere bella o brutta?” non c’è dubbio che risponderebbe:”Bella!”. Il termine bello sembra comprendere tutto e mettere d’accordo tutti; di fronte a questo attributo cadono le differenze tra antichisti e modernisti, fra fautori della modernità e amanti della tradizione: bello è il Guggenheim di Bilbao “ma anche” il Palazzo Farnese a Roma.
Bello assume cioè un valore inclusivo, non solo in architettura, e il “ma anche” è la congiunzione che meglio esprime questo carattere di inclusione; doppia congiunzione appunto, la prima delle quali è avversativa, con il che si riconosce una diversità, la seconda è invece coordinativa, con cui si include, per meglio rafforzare il concetto che tutto può stare insieme.
Ma il problema è proprio questo: in architettura non si possono mettere insieme gli opposti (il Guggenheim con il Palazzo Farnese nell’esempio) perché si compie una falsificazione e un disconoscimento della realtà; si prendono due edifici e li si giudicano in sé, come se fossero due oggetti da collocare sopra una mensola di casa: in quest’ultima condizione è evidente che i due oggetti hanno un valore in sé perché sono pura forma astratta da un contesto e, addirittura, l’oggetto Guggenheim è forse più “bello” del Palazzo Farnese perché meglio si presta ad essere goduto esteticamente in quanto più plastico, splendente, dinamico che non l’altro, troppo composto, ordinato, dettagliato.
Perché ciò avviene? Perché l’architettura è fatta per la città e per essere vissuta dalla gente e la sua scala è la scala umana, quella cioè che si rapporta con le dimensioni del corpo umano; l’architettura si rapporta con la strada, con gli edifici accanto o con il paesaggio e con l’uomo che la vive, l’attraversa e vi si confronta prendendone le misure in relazione alle proprie; l’oggetto, invece, non ha alcuna relazione con il contesto ma solo con la percezione visiva di chi la guarda; per questo, più uniforme e anonimo è lo sfondo più grande è il godimento estetico perché siamo nel campo della sola percezione visiva e della pure forme astratte, al contrario della città in cui noi siamo immersi con tutti i nostri sensi. Il Guggenheim è oggetto di design bellissimo e una sua riproduzione in scala ridotta da porre sul mobile di casa è certamente preferibile a quella dei monumenti antichi che si trovano nelle bancarelle di souvenir o all’Italia in miniatura proprio perché l’architettura avulsa dal suo contesto è pura contraddizione. Per lo stesso motivo le foto dell'architettura contemporanea sono molto più "belle" di quelle fatte a monumenti di grandissimo valore, perchè la foto è una rappresentazione della realtà, non la realtà stessa, e le forme geometriche pure con cui si esprime quel tipo di architettura meglio si prestano ad essere esaltate, nella loro astrattezza, in quella rappresentazione che è esclusivamente bidimensionale, quindi altrettanto astratta.
Per questo la categoria del “bello” usata in architettura rischia di diventare ambigua e di non spiegare molto. Si prenda ad esempio una recente intervista rilasciata da Patrizio Bertelli al Corriere della Sera sul nuovo museo di arte moderna di Prada e sulle torri di CityLife:
«.....Trovo inutili certe polemiche, ad esempio sui nuovi grattacieli di Milano: quel che conta è la qualità del progetto, se un progetto è un bel progetto può davvero cambiare in meglio una città: pensi a quello che è successo a Bilbao con il Guggenheim di Gehry. Anche se, quando penso agli architetti che progettano musei, penso prima di tutto a Carlo Scarpa, alla sua Fondazione Querini Stampalia, alle sue stanze per l' Accademia a Venezia....».
Ora non c’è dubbio che di “bello” Bertelli se ne intenda perché su questo ha costruito l’immagine e la fortuna del suo marchio ma quella frase “se un progetto è un bel progetto” dimostra il fatto che c’è la valutazione dell’oggetto in sé stesso, senza alcuna relazione con il contesto. Che dire se lo stesso Guggenheim fosse stato edificato lungo i Fori Imperiali? Sarebbe sempre così bello quel progetto e avrebbe cambiato in meglio Roma?
Venendo alla torre di Libeskind e alle altre torri, non so se si possano definire addirittura belle in sé (la percezione visiva che ne ho io mi dice di no) ma viste nel contesto come dai vari rendering effettuati dagli studenti del Politecnico di Milano ci si rende conto che in architettura ben altre sono le categorie di giudizio da prendere a riferimento.
27 aprile 2008
L’EQUIVOCO DEL “BELLO” IN ARCHITETTURA
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