Poniamo il caso di un individuo che abiti a Londra e che si rechi a fare un viaggio in Africa. Viene invitato da persone del posto a trascorrere la serata insieme a loro, ma invece di partecipare ai consueti passatempi tipici del luogo, assiste alla proiezione di un nuovo film non ancora uscito a Londra. Questa è globalizzazione. Viviamo in un mondo in trasformazione costante che condiziona qualunque cosa noi facciamo.
Nel bene e nel male siamo in un ordine globale che nessuno comprende del tutto, ma che sta estendendo i propri effetti su tutti noi. La globalizzazione è oggetto di dibattito in Francia, con il termine mondalisation, in Spagna e in America Latina con quello di globalizacìon, mentre i tedeschi la chiamano globalisierung.
Globalizzazione si dice abbia a che fare con il fatto che viviamo in un mondo unico. Ma in che modo? E poi fino a che punto tutto ciò è valido?
Vi sono allora gli scettici che mettono in discussione l’idea nel suo insieme. Tutto il discorso sulla globalizzazione si riduce a chiacchiere, perché, quali che ne siano i benefici, vicissitudini e difficoltà, l’economia globale non è diversa da quella di altri periodi. Il mondo continua ad andare avanti come fa da tanto tempo. Vi sono poi i radicali che sostengono una posizione diversa. Essi dichiarano che la globalizzazione è qualcosa di molto concreto e che i suoi effetti sono ormai tangibili ovunque. Si prenda ad esempio lo sviluppo del mercato, indifferente ai confini delle Nazioni, oramai senza la sovranità che avevano un tempo. Io credo di essere più dalla parte dei radicali, anche se gli effetti non sono solo positivi, ma, purtroppo, anche negativi.
La Globalizzazione è dunque un sistema complesso, un insieme di processi che opera in maniera contraddittoria e a volte anche conflittuale.
Vediamone qualche aspetto.
Il passaggio dalla società pre-industriale a quella industriale riguarda il mondo totale, proprio per gli effetti della globalizzazione. Con la società industriale si estende fortemente l’obbligo scolastico, unitamente alla omogeneizzazione degli stili di vita, proprio per l’avvento di individui apparentemente simili, meglio raggiungibili dai media. Non si distinguono più i ricchi dai poveri come in passato, e la famiglia diven-ta nucleare.
Nella società post-industriale scienza e tecnologia diventano fonte di ricchezza, dunque di produzione. Questa situazione ci permette di avvertire, anche quotidianamente e nelle nostre case, la dilatazione delle attività economiche, politiche e sociali oltre i confini di ciascun paese. L’intero mondo è più collegato e si incrementa l’interdipendenza delle economie. Oggi tutto avviene a scena aperta, senza passare da una situazione definita ad un'altra da definire, perché le tecnologie permettono un aumento di contemporaneità di fenomeni. I paesi in via di sviluppo non sono il nostro ieri, ma sono i paesi in via di sviluppo oggi, proprio perché sono interconnessi e contaminati dalla tecnologia. Lo scenario globale è una crescente integrazione mondiale. Non si tratta solo di scambi meramente economici, ma anche di informazioni, simboli, immagini e modelli di comportamento. I mercati sono network mondiali, dove venditori e compratori si incontrano ovunque, ed è per questo senza vincoli né orari: la contiguità del tempo è più importante di quella spaziale, ed ognuno può connettersi anche di notte perché l’altro risponde attraverso la connessio-ne in tempo reale.
Viviamo dunque in un mondo dove tutti sono uguali? Si direbbe di sì, perché si pensa che la globalizzazione riduca le differenze tra paesi, mentre queste tendono ad accentuarsi Jean-Françoise Lyotard, filosofo francese nato nel 1924 e morto nel 1998, descrive il mondo post-moderno come il luogo in cui sono finite le grandi narrazioni, come il marxismo, il cristianesimo che esprimono riferimenti identitari forti. Ulrich Beck, sociologo tedesco nato nel 1944, definisce questo mondo come la società del rischio e dell’incertezza, mentre Alain Touraine, sociologo francese nato 1925, introduce il concetto di turbolenza, secondo cui si vive in un’epoca nella quale l’unica costante è il mutamento, talmente evidente che non possiamo più immaginare di vivere un una società senza cambiamento. Fino a qualche tempo fa i grandi rinnovamenti erano ancora riconoscibili. Si prenda ad esempio l’epoca dell’acquisto dei primi elettrodomestici, la fase delle automobili, poi quella dei televisori, etc. Oggi tutto è talmente veloce che si perde la concezione del tempo. Non assistiamo più a mutamenti radicali come l’acquisto del primo cellulare, oppure del computer, ma viviamo una fase assolutamente dilatata che ingloba la turbolenza. Ne deriva che anche i fatti sociali sono oggi meno intelligibili, proprio perché non si è più in grado di ricondurre ad un unico modello i fatti e quindi interpretarli. Max Weber, sociologo tedesco nato nel 1864 e morto nel 1920, definisce l’età moderna come l’età della razionalizzazione, direttamente proporzionale alla specializzazione della tecnica, e dunque della sperimentazione.
Se tutto è riducibile a scienza, la sperimentazione sconfessa la sacralità delle scelte più importanti, quelle appunto secondo le quali il futuro è sempre una costruzione elettiva delle proprie responsabilità. Siamo di fronte al disincanto del mondo, ossia di fronte alla separazione tra sacro e profano, tra mistero e razionalità, e tutto ciò che conduce l’uomo a stabilire un patto con il proprio Dio diventa solo un fatto privato e non più un riferimento culturale. Questo nostro mondo spiega i fatti con strumenti razionali e quindi da un lato abbiamo il disincanto, la religione personale, e dall’altro la razionalizzazione.
In questa situazione, dove il sacro è in crisi, quale etica il singolo individuo può adottare? Secondo Weber, economista e sociologo tedesco, nato nel 1864 e morto nel 1920, l’unica etica che possiamo assumere come guida è quella della responsabilità: l’individuo deve agire sulla base delle conseguenze delle proprie azioni. Avere un’etica significa dunque scegliere secondo l’analisi delle conseguenze delle proprie scelte.
Secondo Ludwig Wittgenstein, filosofo austriaco nato nel 1889 e morto nel 1951, invece, oggi l’unica etica che possiamo percorrere è quella del labirinto, secondo cui si individuano tre immagini: a), la mosca nella bottiglia; b), il pesce nella rete; c), l’uomo nel labirinto.
La mosca intrappolata nella bottiglia non può che agitarsi e non può che sperare di trovare un foro di uscita, supponendo che la bottiglia sia aperta. Il comportamento della mosca è senza un disegno certo, perché si affida alla fortuna e al caso. Questa è la situazione di chi non ha una risposta e si lascia trasportare dal destino. Il pesce nella rete più si agita, più rimane impigliato e non può neanche contare, come la mosca, sulla fortuna, perché deve calmarsi per limitare il dolore. E’ l’immagine di una società che al destino reagisce con rassegnazione, non producendo un comportamento attivo. L’uomo nel labirinto ha fondate speranze di trovare una via d’uscita, non pensa al destino già segnato, ma procede passo a passo, verificando razionalmente se la strada imboccata è quella giusta. Inoltre egli è disponibile a cambiare via, quando si dovesse accorgere di aver sbagliato.
E’ l’immagine della società che procede per tentativi, controllando razionalmente se questi siano giusti ed in sintonia con l’idea del labirinto, nel quale esistono diverse strade da prendere, con una via d’uscita che comporta una continua analisi dell’esattezza delle proprie decisioni. La sensazione che se ne ricava è quella di vivere una modernità nella quale si perdono i confini conosciuti delle proprie identità e delle proprie azioni, perché siamo effettivamente passati da una condizione rigida ad una società in cui i riferimenti si dissolvono rapidamente. Se nella società tradizionale ciò che eravamo era dato a priori, oggi ciò che dobbiamo essere è diventato un compito incerto, poiché ogni individuo si assume il rischio di una scelta sbagliata.
L’immagine che meglio evidenzia questo stato di cose è quella del puzzle. Ogni individuo deve comporre tanti pezzi di se stesso per completare un disegno, e la vita è l’insieme di essi. La differenza è che il nostro puzzle all’interno della scatola non ha un’immagine chiara e definita, perché sia i fini che i mezzi sono oggetto di incertezza. Nella società tradizionale i pezzi e gli incastri sono garantiti a priori, mentre in questa post-industriale globalizzata devono tutti essere ricostruiti. Karl Raimund Popper, nato nel 1902 e morto nel 1994, definisce questo atteggiamento epistemologia evoluzionistica, grazie alla quale si è costretti a risolvere vari problemi per formulare, attraverso l’eliminazione di errori, sempre nuove teorie da sottoporre a controllo costante.
Beck definisce la globalizzazione come la società del rischio. Di fronte ai pericoli naturali della società tradizionale (uragani, siccità, carestie, terremoti), oggi si verificano quasi interamente quelli prodotti dall’uomo, come il terrorismo, l’inquinamento, la fame nel mondo, la povertà.
Ed oggi, inoltre, nessuno di noi è fuori pericolo.
La globalizzazione cambia la società e continuamente. Essa porta sicuri effetti positivi, segnati dal progresso tecnologico, informatico, telematico, etc., anche se questi ultimi implicano uno spostamento della natura dei rischi, che da non più naturali passano ad essere quasi totalmente culturali, conducendoci nel regno dell’ incertezza. In questa turbolenza l’individuo si sente da un lato più libero (perché sono diminuiti i vincoli culturali con la tradizione), più responsabile e autonomo nelle proprie scelte, anche se dall’altro lato la mancanza di riferimenti identitari certi e di legami sociali lo porta in una condizione di smarrimento e solitudine.
Per questo si avverte l’esigenza di solidarietà e di sviluppare il maggior numero di relazioni sociali. Tutto ciò è riscontrabile nella vita quotidiana e nei nostri comportamenti. I ristoranti, i cinema ed i centri commerciali sono luoghi, spazi dove creare relazioni sociali. Si sente il desiderio di comunità e di interagire con l’altro anche attraverso la connessione telematica. Si pensi al rapido sviluppo delle comunità virtuali delle globosfere oppure delle chat.
La globalizzazione è molto complessa, ma ciò che rimane semplice è il cuore umano, sempre assetato di un affetto fisiologico e vitale, che stiamo sempre più negando, a noi e quindi anche agli altri.
Alessandro Bertirotti
Bibliografia
Bertirotti A., Larosa A., 2005, Umanità abissale. Elementi di antropologia secondo una prospettiva bioevolutiva e globocentrica, Bonanno Editore, Acireale-Roma.
Bhagwati J., 2004, In Defense of Globalisation, Oxford University Press, Oxford, trad. it., 2005, Elogio della globalizzazione, Laterza Editore, Roma-Bari.
Annunziato P., Calabrò A., Caracciolo L., 2001, Lo sguardo dell’altro. Per una governance della globalizzazione, Il Mulino Editore, Bologna.
Giddens A., 1999, Runaway World. How Globalization is Reshaping our Lives, Profile Books, London, trad. it. 2000, Il mondo che cambia. Come la globalizzazione ridisegna la nostra vita, Il Mulino Editore, Bologna.
Williams B., 2006, Comprendere l’umanità, Il Mulino Editore, Bologna.
Foot P., 2001, Natural Goodness, Clarendon Press, Oxford, trad. it. 2007, La natura del bene, Il Mulino Editore, Bologna.
Pandolfi A., 2006, Natura umana, Il Mulino Editore, Bologna.
Beck U., 2001, La società globale del rischio, Asterios Editore, Trieste.
Bauman Z., 2002, La società individualizzata. Come cambia la nostra esperienza, Il Mulino Editore, Bologna.
27 aprile 2008
QUESTO MERAVIGLIOSO MONDO, di Alessandro Bertirotti
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