Era un po' di tempo che Camillo Langone non si dedicava all'architettura e stavo entrando in astinenza.
Ecco questa quotidiana Preghiera, dedicata all'Ara Pacis ma anche al Sindaco Alemanno e al suo ineffabile assessore Croppi.
Quanto al convegno sull'identità (identità?)delle periferie ne riparliamo dopo perché sono davvero interessato a conoscere cosa intendano per identità i grandi urbanisti Hadid, Calatrava e Meier. Davvero molto interessato.
7 aprile 2010
MURI DA ABBATTERE, ARCHISTAR E IDENTITA' E MOLTO ALTRO
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13 commenti:
Preghiera.
De architettonico Pagliardini, hai tanto l’aria del ‘sapientone’ con molti caratteri simili al classico geometra di provincia che pur non avendo nessuna preparazione specifica crede che erigendo muri si possa fare ‘architettura’.
Io temo che ormai ci sia uno iato profondo tra la vostra identità perennemente animata da dibattiti da bar contornate da infinite querelle da architetti ‘estetisti’ e la nuova identità che sa bene che deve ricostruire quest’Italia devastata dalle vostre inani chiacchiere.
Inoltre, che senso ha discutere del futuro della ‘Roma Capitale 2010-2020’ in un gerontocratico convegno che divide come da urbanista ‘geometra’ la città in due:
Città Storica: le aree dismesse
come provocazione di sviluppo
Richard Burdett anni 54
Santiago Calatrava anni 59
Peter Calthorpe anni (forse) 63
Roberto D’Agostino (boh!) anni 62
Bruno Dolcetta anni 73
Massimiliano Fuksas anni 66
Leon Krier anni 64
Richard Meier anni 76
Paolo Portoghesi anni 79
Periferie: dall’espansione
alla ricostruzione dell’identità
Richard Burdett anni 54
Santiago Calatrava anni 59
Peter Calthorpe anni (forse) 63
Matteo Colleoni non pervenuto
Stefano Cordeschi non pervenuto
Bruno Dolcetta anni 73
Massimiliano Fuksas anni 66
Zaha Hadid anni 60
Francesco Karrer anni 68
Leon Krier anni 64
Franco Martinelli anni 73
Richard Meier anni 76
Renzo Piano anni 73
Paolo Portoghesi anni 79
Signor Langone/Pagliardini vi prego abbiate la compiacenza di non parlare a vanvera.
“La ricostruzione dell’identità nelle periferie” ma di che cosa stiamo parlando.
Buon Dio abbi pietà di loro.
Saluti,
Salvatore D’Agostino
Salvatore, visto che al nostro bar le chiacchiere sono "inani", perchè non frequenti con maggiore frequenza i non luoghi giovanilisti più adatti alla tua età e al tuo livello?
Personalmente non ho bisogno di un badante che venga a fare prediche, semmai di una badante che mi cambi i pannoloni.
Saluti
Pietro
Riprego:
i non luoghi giovanilistici?
badanti?
Che immaginario triste.
Buon Dio urge un’irridente redenzione.
Saluti,
Salvatore D’Agostino
"L’identità delle periferie” e "i non luoghi giovanilistici": il trionfo della 'platitude'... verrebbe da dire. D'altronde, la piattezza non ama le curve. Per redimere questi 'non-luoghi' ci vorrebbe una task force guidata dagli Arquitectonica, da Christian de Portzamparc e da Paolo Portoghesi (i primi per l'a-topia giovanilistica, il secondo per l'eu-topia di mezz'età, il terzo per l'u-topia senza tempo...). Tornando agli 'slogan' dei convegni, forse sarebbe stato più adatto: "Identità versus alterità". Ma ancor di più: "Alterità nell’identità". Oppure: "Equilibrio in bilico. Uptown plurale, downtown singolare". E che dire di (è quasi un 'manifesto'): "Cos’è la città? Portici, shopping malls, clochardization... Minimal o segno ipergrafico? Marginalità inclusiva e gentrification elitaria. Spaesamento. Sedimenti di passato, bollicine di presente, fumi di futuro...”
Nicola Perchiazzi
Grande equilibrismo verbale, al solito.
Però la mia era solo una battuta scherzosa per rispondere alla solita supponenza di Salvatore.
Chissà cosa avresti scritto sulla battuta della badante...
Meglio non saperlo, forse.
Non so perché ma il tuo quasi manifesto mi ha suscitato il flash di Arancia meccanica, un capolavoro che mostra però tutti i segni del tempo.
Ciao
Pietro
Non ho capito, da ciò che è stato detto in televisine e dai "rendering mostrati" se il muro di cui si parla e che <meier sembra entusiasta di togliere, sia il muretto basso o lungo o la sorta di quinta , alta, che quasi prolunga uno dei lati del parallelepipedo.
Se di quest'ultimo elemento architettonico si parla, rifacendomi a quello che ho scritto qualche mese fa, devo dire che (non sembri amor di paradosso), hanno deciso di buttar via la parte migliore dell'opera !
L'aspetto meno coerente nel contesto, non è il muro in pietra, quasi un bugnato, di un colore semi-amorfo, capace di mutare nelle diverse ore del giorno, con la diversa incvlinazione dei raggi solari. La cosa che stona, era (e resta) il capannone bianco-cristallo-metallizzato.
La soluzione poi di interrare il traffico in un sottopasso, scava letteralmente un solco tra l'opera e chi vi si avvicina dal ponte sul Tevere, e limita e costringe le visuali e le vie di accesso all'opera. Opera che, va ricordato, non è la teca, ma l'Ara.
Caro Enrico, il muro da abbattere è quello basso e lungo. Molte risposte te le da E.M. Mazzola nel suo commento al post successivo, con alcune considerazioni utili a capire l'approssimazione con cui sempre più spesso politici e amministratori parlano.
Ciao
Pietro
Pietro,
arridaglie ‘supponente’.
Ma non credi di esser stato un po’ esagerato nel l’attribuirti il significato buono, pulito, edulcorato, reazionario, sano, civile, etico, cattolico, nobile, Rotary, reale, principesco, autoritario del significato ‘identità’.
Quali codici ‘architettonici’ identitari auspica Leon Krier per Roma?
Ma il problema dell’architettura romana risiede nel muro non muro di ‘Meier’?
Qui si continua a parlare dell’ uncinetto dell’architettura ma non di ‘architettura’.
Saluti,
Salvatore D’Agostino
Caro Salvatore, noi non parliamo di architettura perché pendiamo dalle tue labbra, visto che ne parli sempre.
Anche se, sono sincero, molto più spesso ESIGI dagli altri di parlarne. Però non ho capito di quale architettura dovremmo parlare: dell'architettura dei migranti, che è un problema sociale; dell'architettura mafiosa, che è un problema di ordine pubblico; dell'architettura della speculazione, che è un problema di carattere politico-economico.
Spiegacelo bene e noi vedremo se è possibile contentarti.
Se poi, occasionalmente, potessimo parlare anche d'altro, anche del muretto di Meier, del grande architetto che viene a Roma a lasciare la sua firma in totale disprezzo di ciò che esiste ed esisteva (il porto), ci lascia un edificio infame e banale (oddio che termini poco "critici") dai costi spropositati, che sovrasta un'opera come l'Ara Pacis, che poi, su richiesta del Sindaco abbatte un muro che precedentemente aveva difeso a spada tratta dichiarando (fonti di agenzia) essere idea formidabile, e riscuotendo per questo anche un onorario aggiuntivo, beh, se ci lasciassi anche parlare di questo te ne saremo immensamente grati.
Saluti
Pietro
Pietro,
perché devi banalizzare?
Io parlo dell’architettura che vedo e non di quella che i media o la mia ideologia m’impone.
Mi spiego,
osservo la realtà e cerco d’indagarla.
Non abbraccio la nazionale di calcio che vince il mondiale senza sapere che Pirlo è un Rom di origine Sinto italiano e che Camoranesi è italiano naturalizzato. Inoltre capisco la rabbia di Balotelli che a stento parla il bresciano .
Non posso trascurare la diaspora degli architetti italiani (molti miei colleghi, i più bravi, sono stati costretti a lavorare fuori dall’Italia, forse questo tu non puoi notarlo) come non posso non vedere chi dall’esterno lavora in Italia sia esso laureato o normale muratore.
Tu da aretino non puoi capire l’influenza che ha la ‘mafia’ bianca o contadina nel lavoro quotidiano dell’architetto del sud, certo non vado a chiederlo al sindaco meneghino (a lui ho chiesto perché le ville ‘urbane’ sono recintate).
Ciò che tu pensi sia un problema politico-economico, per me è il mio datore di lavoro.
Sai bene che per prendere un appalto pubblico devi essere ‘ammanicato’ (in siciliano di buone relazioni politiche). Come sai bene che gli imprenditori dettano legge su tutto.
Tu pensi che quest’atteggiamento ‘speculativo’ non abbia compromesso anche il lavoro di quegli architetti che Camillo Langone cita come i salvatori della patria ovvero: Massimo Carmassi, Andrea Pacciani, Pietro Carlo Pellegrini, Paolo Zermani?
Ti confesso che a parte Andrea Pacciani ammiro il lavoro degli altri tre.
Come vedi evito i clamori ‘mediatici’ cerco di indagare alcuni aspetti (trascurati, troppo semplice fare opinione sui temi ‘mediatici’) che per me sono importanti senza trascurare il rispetto per il lavoro ‘difficilissimo’ degli architetti.
Dimentichi che tra le mie inchieste c’è anche la cultura dei blogger e i blog di architettura.
Se tu pensi che parlando del ‘muro non muro’ di Meier e dell’architettura politica mediatica ti possa dare la parvenza di ‘buon opinionista’ continua pure.
Se ci permetti, dato che siamo in un blog, io mi limito a commentare e soprattutto continuo a mantenere la mia indipendenza, non ho padri (Krier, Salingaros) da servire o politici da compiacere e soprattutto non do credito ai giornalisti che parlano di architettura (Langone, Sgarbi, Servadio).
Solo punti di vista differenti, per carità.
Saluti,
Salvatore D’Agostino
Caro Salvatore, visto che il tuo tono insolitamente pacato e tollerante, questa volta ti rispondo seriamente.
Anche se ti sembrerà strano, e sembra strano anche a me, io provo un certo interesse per i tuoi post. Non sempre e non per tutti, ma questo è normale.
Invece le tue incursioni negli altri blog in cui ti incontro, compreso in questo, sono assolutamente sgarbate, fuori tema e, scusami, spesso sconclusionate.
Ammetterai che non sono il solo cui fai perdere la pazienza.
Rilevo una certa schizofrenia tra il distacco che mostri nelle tue interviste e l'animosità dei tuoi commenti verso gli altri.
Sembra che tu voglia costringere gli altri, me compreso, ad essere come te e ad essere interessati ai tuoi argomenti.
Vorrei provare a spiegarmi.
La sanità ha molti problemi: gli errori dei medici, le disfunzioni degli ospedali, le clientele, la corruzione, ecc. Tutti argomenti seri. Ma c'è anche un argomento più serio di tutti: la cura dei malati, la medicina. Se la medicina non progredisce i malati muoiono sicuramente. Ecco a te interessano di più i primi, a me i secondi.
Se poi lo faccio bene o male è un altro discorso ma tu contesti che io mi occupi di medicina. Tu appartieni al genere del "c'è ben altro". Si, c'è anche dell'altro ma c'è anche quello di cui parlo io. La storia non è fatta solo di disgrazie e malefatte, ma anche di elementi positivi.
Cerca di accettarlo e di rispettarlo il punto di vista degli altri, critica pure duramente i miei argomenti ma non cambiare continuamente discorso, per favore.
ciao
Pietro
Pietro,
le mie incursioni sugli altri blog non sempre hanno un tono da ‘flame’.
Sono molto irruente e diretto sui blog, dove la parola sembra ‘verbo’ quasi autoritaria e che non rispetta il lavoro degli altri.
Ti sbagli non voglio costringere nessuno, per carità e soprattutto non sono interessato solo ai malati.
Interessante il tuo parallelismo con la medicina.
Il concetto di urbanistica come scienza nasce all’inizio del novecento poiché le città storiche e l’espansione incontrollata della città ‘industriale’ crearono pandemie devastanti.
Dal quel momento medici e ingegneri cominciarono a curare la città, nasce così l’urbanistica e i piani regolati (successivamente la pianificazione territoriale).
Vedi, ciò che tu spesso critici come esempi di modernismo, ahimè, sono frutti della tua stessa logica ‘medica’ ovvero usare l’architettura come cura.
Io credo nel ‘progetto’ e non nelle soluzioni ‘estetiche’ e soprattutto vivo in un contesto ‘molteplice e se vuoi complesso’ di cui devo tenere conto.
Sono anche realista, in Italia in questo momento c’è una forte tendenza all’edilizia (che se ne frega del modernismo e dell’antichismo) che non all’architettura.
Io mi occupo di osservare l’architettura nella sua interezza. Niente di più.
Saluti,
Salvatore D’Agostino
Caro Salvatore, io non ho mai detto che l'architettura è la cura per una società malata. Non l'ho neanche mai pensato. Però sono certo che una pessima architettura e soprattutto una pessima urbanistica, quale ormai c'è da un secolo, ammalano la società. C'è una grande differenza.
Te subirai pure il fascino delle periferie ecc. eccc., per me sono luoghi alienanti che producono violenza. Le banlieu ne sono un esempio.
Tu ti interessi dell'architettura nella sua interezza: compito gravoso che rischia, per abbracciare tutto di non stringere niente. I problemi, tutti i problemi, si risolvono sempre uno per volta, ma avendo un obiettivo, chiaramente.
Sono due punti di vista completamente diversi. Il che non vuol dire, con la tolleranza e soprattutto il rispetto, che non si possa serenamente confrontarsi e anche contrapporsi. Una dura ma civile contrapposizione è un modo di dialogare.
ciao
Pietro
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