Al momento della scelta dell'indirizzo di questo blog, dopo una serie di tentativi a vuoto alla ricerca di un nome semplice e pertinente, la sorpresa: "regola" era libero! L'architettura è oppressa da leggi e regolamenti, i termini più altisonanti della "creativa" cultura architettonica erano già occupati ma una parolina così semplice e antica e comprensibile da tutti, cioè "regola", era libera!
Questo blog parla appunto di "regole" contro la sregolatezza architettonica.


20 aprile 2010

STRALCI DAL "PRINCIPE BIANCO"

Riporto qui alcuni stralci di un libro noiosissimo, ripetitivo e alquanto povero di contenuti: Architettura integrata, di Walter Gropius. Il che non significa che non sia efficace rispetto allo scopo per cui è stato scritto, vale a dire quello di diffondere il verbo del modernismo negli USA. Tutt’altro. La ripetitività e l’assertività di concetti privi di approfondimenti e argomentazioni logiche credibili sono alla base del meccanismo propagandistico in cui Gropius dimostra di essere Maestro. In corsivo brevissime impressioni personali.

“Desidero che un giovane architetto sia capace di trovare in qualsiasi circostanza la sua strada; desidero che, traendola dalle condizioni tecniche economiche e sociali nelle quali si trova a operare, egli crei, in piena indipendenza, forme autentiche, genuine, anziché imporre formule scolastiche a dati ambientali che possono esigere soluzioni del tutto diverse.

Non è tanto un dogma bell’e pronto che voglio insegnare, ma un insegnamento spregiudicato, originale ed elastico verso i problemi della nostra generazione. Inorridirei se il mio insegnamento dovessi risolversi nella moltiplicazione di una concezione fissa di “architettura alla Gropius”. Quel che desidero è far sì che i giovani intendano quanto siano inesauribili i mezzi del creare se si fa uso degli innumerevoli prodotti dell’epoca moderna, e incoraggiare questi giovani a trovare le proprie soluzioni personali”.
Il Principe si schernisce ma si intuisce benissimo che è proprio un dogma che sta preparando, quello delle soluzioni individuali.
Come concepii la Bauhaus.
IL FINE. Avevo già trovato, prima della guerra mondiale, il mio linguaggio in architettura, com’è provato dall’edificio Fagus del 1911 e da quello del Werkbund all’esposizione di Colonia del 1914. Ma fu appunto la guerra mondiale, durante la quale presero, per la prima volta, forma le mie premesse teoriche, a darmi la coscienza piena, basata su autonoma riflessione, delle mie responsabilità di architetto”.
Altissima considerazione di sé stesso: fondatore di un nuovo linguaggio, tutto basato su “autonome” riflessioni personali. Come architetto, prende sulle sue spalle i mali del mondo e diventa, perciò, il profeta e sommo sacerdote della nuova religione in terra d’America. Prende se stesso a metro e misura del vero e scrive in prima persona: la sua storia personale è il compendio e l’archetipo dell’architettura e del nuovo che avanza.

DIFFERENZA TRA LAVORO MANUALE E INDUSTRIALIZZATO
“….; e sebbene si debba intendere e accettare quanto lo sviluppo della tecnica ha dimostrato, e cioè che una forma collettiva di lavoro può condurre l’umanità a una somma di efficienza superiore rispetto all’opera autocratica dell’individuo isolato, non si dovrebbe prescindere dall’efficacia e dall’importanza dello sforzo personale. Al contrario, consentendogli di assumere il giusto ruolo nell’attivitàcollettiva, verrà esaltato il suo rendimento pratico. Quest’atteggiamento non vede più nella macchina meramente uno strumento economico per eliminare il massimo numero possibile di lavoratori manuali e privarli della loro vitalità, e nemmeno un mezzo per imitare il prodotto artigianale; piuttosto la vede come uno strumento che deve sollevare l’uomo dalla più oppressiva fatica fisica, e irrobustirne la mano sì da renderlo capace di dare forma al suo impulso creativo. Il fatto che non padroneggiamo ancora i nuovi mezzi di produzione, e che perciò da essi debba ancora derivarci sofferenza, non è un argomento valido contro la loro necessità”.
Pensieri a dir poco mediocri oltre che sprezzanti della durezza del lavoro industrializzato. In fondo, anche se non avesse mai visto una fabbrica o letto un libro in proposito, sarebbe bastato andare al cinema a vedere Charlie Chaplin nel suo Tempi moderni, del 1931. Astrazione assoluta dalla realtà, nel migliore dei casi, e disprezzo verso gli altri, considerati meri strumenti del suo disegno di rifondazione della società.

EDUCAZIONE AL COMPORRE
La mia tesi è che la creazione artistica trae vita dalla mutua tensione tra le facoltà sub consce e consce della nostra esistenza, e che essa fluttua tra realtà e illusione. I poteri subconsci o intuitivi di un individuo sono pertanto unicamente suoi. E’ de tutto futile, per chi educa a comporre, proiettare nella mente dell’allievo le proprie sensazioni soggettive. Tutto ciò che egli può fare, se intende ottenere qualche risultato, è svolgere il suo insegnamento sulla base della realtà, dei fatti obiettivi, comune proprietà di tutti noi. Ma lo studio di ciò che sia realtà e di ciò che sia illusione richiede una mente fresca, non influenzata da residui d conoscenza intellettuale. Tommaso d’Aquino ha detto: “Debbo svuotare la mia anima perché possa entrarvi Iddio”. Questo vuoto, questa disponibilità senza pregiudizi è lo stato mentale proprio della concezione creativa. Ma l’accento che oggi intellettualisticamente poniamo sull’educazione libresca non promuove questo clima mentale. Compito preliminare di un insegnante di composizione dovrebbe essere liberare l’allievo da ogni inibizione intellettuale incoraggiandolo ad affidarsi alle proprie reazioni subconsce e a sforzarsi di ricostituire la ricettività spregiudicata della sua infanzia. Deve perciò guidarlo nel progressivo sradicamento di pregiudizi tenaci e salvarlo dal ricadere nella pura imitazione, aiutandolo a trovare un denominatore espressivo comune che sorga dalla sua stessa osservazione ed esperienza”.
Vale a dire: dimenticate tutto, liberate la vostra mente e fate come dico io. E’ il principio di un culto, di una setta, come hanno scritto Tom Wolfe e Nikos Salìngaros. Più volte nel testo Gropius tornerà su questo tema, suggerendo di estendere questo metodo a far data dalla prima infanzia, su, su fino alle scuole di architettura, dove propone di eliminare ogni studio storico per i primi tre anni. Il motivo è evidente: inculcare nei giovani i suoi principi senza prima che ne possano conoscere altri. Guai educare alla capacità critica, molto meglio, e anche più facile, a quella creativa”. E’ atteggiamento tipico da setta, che chiede di spogliarsi di tutto e di rigenerarsi alla fonte della verità, che è ovviamente il pensiero del sacerdote, in questo caso il Principe Bianco.

A.Base Educativa Generale
“…Questo non è vero per lo spirito inventivo e creativo nel campo tecnico: qui (negli USA) l’attuale generazione non sembra avere difficoltà di sorta ad incoraggiare il più ardito pionierismo e il più fiero disprezzo delle norme stabilite dal passato. L’atteggiamento nei riguardi dell’arte è, invece, del tutto differente….. penso che siamo riusciti, e in grado straordinario, a laborare metodi per far conoscere ai nostri figli le conquiste del passato: ma non credo che riusciamo a stimolarli ad esprimere se stessi. Abbiamo fatto loro studiare tanto intensamente la storia dell’arte, che non hanno trovato il tempo di esprimere le proprie idee….
Hanno perduto la lieta, giocosa urgenza dell’infanzia a modellare le cose in forme nuove…”
L’idea è sempre la stessa, quella di liberare la creatività. Idea che curiosamente contrasta con quanto affermato precedentemente, nel cogliere solo la realtà. L’unica coerenza che riesco a trovare è quella di imporre negli USA una nuova visione dell’architettura, per il resto le motivazioni sono oscure e inconsistenti, nemmeno giustificate da un’analisi approfondita della realtà.

20 commenti:

Anonimo ha detto...

Pietro, cosa doveva fare il povero Gropius, ammesso che sia una colpa voler 'fare scuola': a cosa doveva fare riferimento in un paese senza passato culturale? A Palladio?

Vilma

Pietro Pagliardini ha detto...

Vilma, non mi sembra che non ci fosse un passato e un presente, al tempo culturale: Sullivan, Wright, che già aveva dato il meglio di sè, non è che non facessero scuola.
E comunque la storia non si fa con il senno del poi, però la si può giudicare, soprattutto per capire meglio il presente.
Fare scuola è assolutamente lecito, ma la sua è una scuola totalizzante.
E il testo è, a mio avviso, mediocre. Efficace ma mediocre.
Ciao
Pietro

Linea che la burocrazia è figlia della storia... ha detto...

pietro, sei sadomasochista... ma che cavolo leggi 'sta roba... io manco all'università l'ho letta.

wright? wright era un mezzo santone (come kahn) che se n'è fottuto allegramente della storia (e pure della verticale e dell'orizzontale). altro che gropius! era uno storicista quest'ultimo in confronto!

uno degli aspetti posiviti delle scuole inglesi, francesci, tedesche, olandesi ecc ecc... è l'aver eliminato in parte la storia. l'esatto contrario di noialtri. con l'effetto di aver salvato si i centri storici (salvato? diciamo messi sotto 'na teca di vetro) ma dall'altra di aver mandato a quel paese tutto il resto. io, sinceramente, avrei anche sacrificato pure qualche pezzo impolverato pur di avere un maggior senso pratico e un po' meno di quell'ideologismo-idealistico-storicista che è la principale causa della nostra cara e italianissima burocrazia.

rob

Pietro Pagliardini ha detto...

Infatti, robert, ho trovato questo libro intonso nella mia libreria, insieme a molti altri che non ti dico, sempre della collana Il Saggiatore (alcuni sono ancora sotto cellophane) e appena l'ho iniziato ho capito che non era certo da perderci tempo leggerlo tutto. E' bastato scorrerlo velocemente per capire il tono.
Ma non cascare dalle nuvole, qui siamo alle origini della cultura architettonica e urbanistica del nostro tempo. Non fare finta di non capire. Il Bauhaus è intoccabile, è la prima cosa che viene insegnata e andare a leggere questa roba aiuta a capire. Siamo alla rottura totale con il passato. Questo proprio non lo si vuole accettare.
Se per storicismo intendi il fatto che le soprintendenze bloccavano tutto, ben venga lo storicismo. Ma forse non sei aggiornato: le soprintendenze hanno cambiato rotta da tempo, essendo ormai dominate dagli architetti formati dalle nostre università, in cui si insegna, appunto, il Bauhaus del nostro rincipe Bianco, e consentono tutto. Ma proprio tutto. Ma secondo te l'Ara Pacis, per parlare di un caso estremo, avrà avuto necessità di un parere della soprintendenza o no? Ma non c'è solo l'Ara Pacis, c'è lo stillicidio quotidiano per cui i centri storici cambiano aspetto, giorno dopo giorno, e sempre in peggio. Le piazze, robert, sono la nuova frontiera: Piazza Santa Maria Novella a Firenze; valla a visitare se ti capita o trova qualche rivista e vedrai le scempiaggini fatte, il gusto dell'arredo urbano modello negozio di lusso, la pavimentazione in pietra, sì, ma come fosse il soggiorno di casa copiato da una rivista di arredamento.
Ovunque è così. Le piazze, se vuoi sapere come la penso, devono essere rifatte senza progetto, chiamando direttamente i posatori e gli scalpellini. Stai tranquillo che loro sanno come fare, ancora per poco.
Ciao
Pietro

ettore maria ha detto...

Mi sembra che sia un luogo comune quello secondo cui l'America non avesse un passato culturale in materia di architettura e urbanistica all'epoca del Principe Bianco.
Esistevano una miriade di caratteri locali, da quel poco che era sopravvissuto al massacro dei conquistadores, all'architettura di matrice ispanica, a quella jeffersoniana, per arrivare a Richardson e Sullivan. Dunque, se pensiamo che l'unica cultura sia quella greco-romana allora possiamo dare ragione a Vilma, ma dato che così non è, sarebbe il caso che gli americani riscoprissero il valore di ciò che il "Principe Bianco" e i suoi maledetti seguaci, coadiuvati dalla politica della General Motors, hanno riposto nel dimenticatoio. Non è un caso se negli USA oggi i movimenti per il recupero dei canoni tradizionali proliferano. NU ha dato il segnale di avvio, ma tante persone che nulla hanno a che fare con il New Urbanism lavorano liberi da pregiudizi per soddisfare una clientela che, forse grazie al fatto che la si accusa (spesso a giusta ragione) di essere priva di cultura, risulta libera da preiudizi sulla falsificazione della storia, e non si pone il problema di vivere in case non databili. Ciò che non sono ancora riusciti a debellare è il problema dello sprawl ... ma ci stanno lavorando, tant'è che recentemente a Detroit ... neanche a farlo apposta sede della GM, la città ha approvato un piano per ricompattare una porzione della città dotandola di spazi pubblici. Noi qui, grazie al nostro italianissimo complesso di inferiorità culturale, continuiamo a recepire questi cambiamenti molto in ritardo, tant'è che il progetto di Corviale venne concepito qualche giorno dopo l'abbattimento del Priutt-Igoe che segnò la fine di quello scriteriato modo di concepire l'architettura e le città.

Ettore

Linea che il diavolo 'sta nel timpanetto? ha detto...

ettore, non sarebbe bene che ti liberassi pure tu dei pregiudizi e la smettessi di identificare la logica della città pre-novecentesca con linguaggio tradizionale tout-court?

sprawl: ti credo che ci stanno lavorando... e ci lavoreranno per almeno un secolo... non c'è paese al mondo che ha disperso tanta cacca in giro per il proprio territorio ma sai com'è... eran tutte archetti, mensolette e timpanetti le cacche... come si faceva ad accorgersene? :-)

robert

Pietro Pagliardini ha detto...

Ettore, in effetti Gropius è stato capace di imporsi e di imporre un'idea di architettura e di città proprio giocando sul complesso d'inferiorità culturale verso l'Europa da parte delle classi alte.
Anzi, è stato capace di amplificare questo complesso, e Tom Wolfe (che i nostri critici, i quali hanno invece il complesso di superiorità, sbeffeggiano con l'appellativo di "giornalista" come se fosse una colpa) lo racconta molto bene nel suo libro, che io considero invece una pietra miliare nella demolizione di un mito.
D'altra parte ogni popolo ha caratteristiche e storia diverse e la mancanza di pregiudizi culturali che la stragrande maggioranza degli americani ha, o forse aveva, è il segno di una società giovane e pioneristica che non spacca il capello in quattro prima di fare e poi finisce per non fare niente, e il fatto che vi siano architetti che definisco "ruspanti" tanto per capirci è un fatto positivo.
Non possiamo misurare il mondo con il nostro metro. Come non possiamo nemmeno trasferire il NU tout court in Italia ma possiamo coglierne gli aspetti positivi tralasciando ciò che è specificamente americano e non esportabile.
Mentre scrivo questo commento rifletto sul fatto che quando si parla di USA c'è una sorta di doppia morale: agli americani i "modernisti" chiedono di adeguarsi ai canoni europei, naturalmente a quelli dei primi del secolo scorso, ma con il presupposto che noi siamo migliori perché abbiamo una grande storia alle spalle (questa è la base culturale su cui si fonda l'idea del prestigio e della superiorità), dimenticando che la forma grattacielo non è europea ma americana, poi esasperata con l'apporto europeo; agli europei, e al mondo intero, chiedono di adeguarsi alla forma americana: grattacieli come se piovesse.
Personalmente rispetto, e ne sono affascinato, dalla scelta dei grattacieli che negli USA sono nati e hanno una storia autentica, contesto del tutto il fatto che venga esportata in Europa, questa sì per una forma di inferiorità rispetto a quel mondo e per una colonizzazione culturale ed economica che è indiscutibile.
Ciao
Pietro

Anonimo ha detto...

Pietro, ciò che intendevo dire è che Gropius, importando in America il suo modello, personale e cattedratico, intendeva in qualche modo costruire per quel giovane paese frammentario ed ancora poco connotato una linea unitaria, è lo stesso sogno di Wright, che si rende conto dell’anacronistica sudditanza dell’America nei confronti dei modelli classici europei ed invoca “ … Indipendenza dal classicismo, nuovo e vecchio, e da ogni atteggiamento di devozione ai cosiddetti classici […]Indipendenza dal classicismo, nuovo e vecchio, e da ogni atteggiamento di devozione ai cosiddetti classici.
Ed è, questa, un’aspirazione ancora presente, che da ultimo ha prodotto il decostruttivismo, ribadita quando in una storica conferenza al MOMA nel 1988 Philips Johnson presenta i suoi gioielli,Frank O. Gehry, Daniel Libeskind, Peter Eisenman, Bernard Tschumi, Zaha Hadid e il gruppo Coop Himmelblau. Paradossalmente, questa architettura made in America, frutto autentico di quella cultura, è oggi l’espressione più generica ed anonima di un modo di progettare che non appartiene a nessuna cultura, nemmeno a quella che l’ha generato.
La tradizione americana, databile a pochi secoli fa, è estremamente frazionata e diversificata, sia per la vastità del territorio, sia per la disomogeneità delle culture, prevalentemente locali e senza collegamenti interni. Questo fa il gioco dell’Intenational Style (termine coniato da Hitchcock e
Johnson in occasione, manco a dirlo, di una grande mostra al MOMA nel 1932), di Gropius, Van der Rohe e tutto il collegio della Bauhaus. D’altra parte, tra classicismo palladiano, stile coloniale-spagnolo, la tradizione delle ranch house, le ballon house, gli influssi orientali attraverso la grafica cinese, la tradizione americana appare quanto meno incerta e dispersiva, due aggettivi che confliggono con il concetto stesso di tradizione.
Insomma, secondo me la ‘colpa’ va divisa a metà tra un teorico ambizioso e forse presuntuoso e un contesto che si lascia pesantemente condizionare da lui senza avere i numeri per opporvisi.

Oggi l’architettura americana propone in tutto il mondo un modello indifferenziato, costruito in laboratorio e trasportato ovunque, questo non vuol dire che essa abbia superato i pregiudizi e non si ponga il problema della datazione delle sue case, vuol dire semplicemente che ha potere e ricchezza per farlo, Fuk the tradition!

Vilma

ettore maria ha detto...

Caro Robert,
credo che tu non abbia capito assolutamente circa il mio pensiero ... ma non è la prima volta.
Cara Vilma, il discorso su potere e ricchezza non ha nulla a che fare con la volontà di costruire in un modo o in un altro, tant'è che se si volesse costruire in tecnica tradizionale costerebbe meno che in maniera industriale .. sia per le tasche che per l'ambiente, nel mio ultimo libro ho pubblicato dei dati inconfutabili che lo dimostrano. Infine, mi dispiace molto per la tua ultima frase che, nonostante la mancanza di una "c" si capisce molto bene!
Ettore

enrico d. ha detto...

Mi è consentito uno sfoggio di cultura?
l'edificio rappresentato alle spalle di Gropius è il progetto presentato al concorso lanciato da Chigago Daily Tribune per "l'edificio per uffici più bello ed elegante del mondo".
Era il 1922 e tra circa trecento proposte, vinse, di stretta di misura il progetto di Hood & Howells con un tipico esempio di grattacielo "gotico".
Uno degli ultimi esempi del genere, mentre l'impatto della gara fu legato più fortemente ai progetti sconfitti. Secondo si classificò Saarinen, dotato di un bello slancio verticale (il progenitore dell'Empire stete bldg); mentre il progetto presentato da G., che si vede nella foto, potremmo considerarlo l'antesignano delle glass-box, a partire dal PSFS di Philadelphia, fino alla Lever House, Seagram e simili.
Hood, il più giovane dei vincitori, in una intervista al termine della sua carriera, "giustificò" la scelta del gotico dicendo che "all'epoca era di moda il ricamo"; nella sua carriera, progettò numerosi altri grattacieli, certamente influenzati dallo stile dei colleghi che, nel 22, aveva sconfitto nella gara per il Tribune. Suoi sono l'American radiator BLlg e il Rockfeller Centre.
Resta il fatto che il concorso del 22 fu uno dei momenti decisivi per lo "sbarco" dell'international style oltre Atlantico; con tutte le conseguenze del caso.

Pietro Pagliardini ha detto...

enrico, non dubitavo delle tue conoscenze di storia dell'architettura, ma non credevo arrivassero a questo livello di dettaglio. Ti ringrazio perché io tutte queste cose non le sapevo, a parte il fatto che quel progetto era un concorso e che non è stato costruito. Appena mi sarà possibile farò sfoggio della mia cultura medica, indicando un rimedio contro il mal di testa occasionale (non quello cronico).
Ciao
Pietro

Anonimo ha detto...

Ettore, forse non hai idea di quanto costino le lamine in titanio che ricoprono gli edifici di Gehry, sia in materiale che in ricerca tecnologica che in messa in opera altamente specializzata che in manutenzione nel tempo perché conservino l'aspetto originale. Grazie per la correzione del refuso, nella fretta ho anche ripetuto una frase e ho dimenticato una erre, ma vedo che il concetto è comunque arrivato.

Vilma

Pietro Pagliardini ha detto...

Scusate, ma causa problemi di ADSL a casa, cioè non mi funziona da ieri pomeriggio, non posso partecipare allo scambio Ettore-Vilma, perchè sto scrivendo di corsa dallo studio, ma, essendo domenica, ho anche altro da fare.
Saluti
Pietro

ettore maria ha detto...

Cara Vilma,
credo che ci sia l'ennesimo fraintendimento. Purtroppo conosco benissimo i costi di cui parli, tant'è che nel mio ultimo libro ho pubblicato i costi ufficiali e non stimati di realizzazione di edifici tradizionali e non, ed è proprio per questo che ritengo che un certo modo futirista di fare architettura sia quanto di più sbagliato si possa fare.

Buona domenica

Ettore

Pietro Pagliardini ha detto...

Mi rendo conto del fatto che, per essere stato troppo sbrigativo nella fretta di andare a casa, il mio commento precedente risulta sgarbato nei confronti di Vilma e anche di Ettore, dando l'impressione che non mi interessi al loro scambio di opinioni.
Quel "ho altro da fare" voleva solo dire che a casa mi aspettano per il pranzo domenicale, che devo comprare prima le sigarette, che ancora non ho comprato il giornale, che sto facendo l'itinerario su tuttocittà perchè per due giorni sarò fuori Arezzo, ed Ettore lo sa perché lo incontrerò a Roma.
Tutto qui.
Me ne scuso sinceramente con entrambi, ma evidentemente l'astinenza da internet è una malattia vera che gioca brutti scherzi.
Saluti
Pietro

enrico d. ha detto...

Proseguo lo sfoggio di "gratteciolologia", esponendomi al pubblico ludibrio e alle reprimende dei professionisti esperti, cui chiedo fin d'ora venia.
Che il problema dei costi (di manutenzione e non solo) sia una terribile mina vagante per i progettisti lo dimostra in modo emblematico il caso dell'unico, piccolo, grattacielo costruito, a quanto mi risulta, da FLW. Oltretutto verso il termine della sua lunga carriera.
La Price Tower di Oklahoma, vede la luce oltre trenta anni dopo i primi progetti del genere dei FL Wright, a coronamento e relaizzazione di un percorso teorico-culturale, con l'intento di mettere in pratica le teorie a lungo studiate.
Architettura organica, studio dei materiali e delle tecnologie, e l'indubbio genio dell'architetto....avrebbero dovuto sortire un effetto indiscutibilmente positivo.
Nel progetto avrebbe dovuto contenere appartamenti, per un quarto della cubatura, e uffici per il restante. 57 metri di altezza, in zona isolata, con possibilità di osservare la struttura da diverse angolazioni e distanze. Utilizzo di materiali differenziati, seguendo i precetti teorici: accciaio e cemento per le strutture portanti; vetro e rame per il rivestimento.
Proprio la copertura ad alette di rame apposta alle finestre in vetro dorato. La sperata efficienza termoregolatoria si dimostrò inferiore al previsto, con la necessità di costruire una vera e propria centrale di raffreddamento in un edificio accessorio; anche problemi di sicurezza e di scale esterne contribuirono al sostanziale fallimento dell'opera. La Pillips Petroleum che ha acquistato il grattacielo una trentina di anni fa, ha mantenuto l'appartamento di rappresentanza all'ultimo piano, adibendo il resto a magazzino.
A consolazione dell'autore che aveva concepito l'opera per trascendere la funzione e attrarre l'immaginazione poetica, possiamo dire che la Price Tower, perdendo l'uso e l'utilizzo per cui era stata costuita, è diventata davvero un monumento e un simbolo.
(per molte notizie sono debitore a J. Dupré: "Skyscrapers" ed. Black dog & Leventhal (1996)

Biz ha detto...

Leggo da Oechslin (le radici tedesche della architettura moderna):
"Chi scrive continua a stupirsi della "logica" contenuta nell'osservazione che Gropius aggiunse alla seconda edizione della sua Internationale Architektur del 1927 : "dalla pubblicazione della prima edizione l'architettura moderna dei diversi paesi civilizzati ha seguito la linea di sviluppo di questo libro con una velocità davvero sorprendente". Si tratta di una svista, di un lapsus? (...) Come può o deve il mondo intero "seguire" la tesi di un libro? (..) Si è veramente sentito un profeta o è semplicemente prigioniero della propaganda?"

Credo la prima che hai detto, Werner!
(sto scrivendo qualcosa in proposito, in modo disordinato, lo ammetto)

Pietro Pagliardini ha detto...

bentornato Biz, e vedo che c'è un parziale ritorno anche a casa tua. Spero sia un inizio. Appena posso vengo a farti visita.

Ciao
Pietro

uniroma.tv ha detto...

Al seguente link potrete vedere il servizio dal titolo "Innovare per abitare" riguardo al secondo convegno nazionale della SITdA

http://www.uniroma.tv/?id_video=15834

Ufficio Stampa di Uniroma.TV
info@uniroma.tv
http://www.uniroma.tv

Pietro Pagliardini ha detto...

Ringrazio per la comunicazione di servizio.
Ho visto il filmato, ho sentito molte parole, molta "complessità", poca sostanza.
Mi ricorda un qualsiasi servizio di un qualsiasi TG della sera.
Comunque è un'occasione per conoscere il sito.
Grazie
Pietro

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