Al momento della scelta dell'indirizzo di questo blog, dopo una serie di tentativi a vuoto alla ricerca di un nome semplice e pertinente, la sorpresa: "regola" era libero! L'architettura è oppressa da leggi e regolamenti, i termini più altisonanti della "creativa" cultura architettonica erano già occupati ma una parolina così semplice e antica e comprensibile da tutti, cioè "regola", era libera!
Questo blog parla appunto di "regole" contro la sregolatezza architettonica.


15 aprile 2010

FUCK THE CONTEST



NOTA:
Ne' Piano nè Rogers hanno un simile incarico, nè mi consta che abbiano qualsivoglia incarico, ad Arezzo. Il presente montaggio è, perciò,  la goliardica semplificazione del motto "fuck the contest", in cui ho utilizzato il Beabourg, paradossalmente, per la sua scansione geometrica regolare. Non me la sono sentita, dunque, di esagerare e inserirci un MAXXI, ad esempio. Avrei voluto provare con la Teca di Meier ma non ha le giuste proporzioni. Insomma il Beabourg era l'edificio più "classico" tra quello del genere archistar e quello che meglio rispettava il rapporto altezza/lunghezza nonchè il ritmo degli archi delle Logge del Vasari.
Speriamo che qualche amministratore non resti affascinato da questo montaggio decidendo di dar corso a idee simili, magari da qualche altra parte della città.
Non saprei perdonarmi una simile colpa.

15 commenti:

dal caos la stella danzante ha detto...

Beh, ti dirò: il montaggio mi sconfinfera... Sarà che trent'anni fa, quando ci andai, il Beaubourg mi piacque (addirittura anche le più 'morbide' attigue Les Halles, bistrattate dai critici d'allora perché troppo 'accademiche'...). Qui - après la cura - ci sono l'altare e il 'contraltare', una sorta di aritmia rock, alcuni richiami alla geometria cromatica della piazza, i vuoti, i pieni... Direi che la (dis)soluzione da archistar soddisfa gli archetipi mentali del 'dionisiaco' e dell''apollineo', spesso contrastanti e qui da te ossimoricamente coniugati in uno charmant mix (charme/fascino, charis/grazia, carisma/archistar, carmina burana...). P. S. Naturalmente il dionisiaco (quello 'selvaggio') è il lato destro della foto...
Nicola Perchiazzi

Pietro Pagliardini ha detto...

Si potrebbe osservare, a ragione, che il progetto del Vasari, così contrastante con il resto della piazza, con quel gesto forte, unitario e in qualche modo violento nei confronti di un contesto di lotti gotici, l'uno diverso dall'altro, molto rimaneggiati negli anni '30 del secolo scorso, e che contribuisce per questo al fascino dell'insieme, è in qualche modo un'opera da "archistar".
E' questa una delle obiezioni ricorrenti: Vasari, Palladio erano archistar. A me sembra una sciocchezza. C'è, indubbiamente, la volontà di lasciare un segno architettonico personale, anche di rottura in termini di dissonanza volumetrica con ciò che esiste, come in questo caso, ma c'è sempre una lettura dello spazio urbano (le Logge chiudono a nord uno spazio che precedentemente non era definito e il cui margine era molto più in alto e probabilmente molto sfrangiato) e soprattutto i caratteri morfologici e stilistici attingevano allo stesso linguaggio o almeno c'era continuità ed evoluzione.
Basta guardare il montaggio per rendersene conto: è evidente che questo non è un progetto ma una mia fantasia, però cosa ha a che vedere quella specie di impalcatura di ferro con tutto il resto?
E poi l'opera dell'archistar è per definizione un oggetto unico, come lo è il Beabourg, che non vuole dialogare con l'intorno, nemmeno per contrasto ma solo dimostrare un rifiuto.
Nel contrasto c'è dialogo, nel rifiuto c'è disprezzo.
Saluti
Pietro

ettore maria ha detto...

l'intervento di Vasari risultò certamente violento rispetto al contesto iniziale: il contesto caratterizzato da una unitarietà priva di uniformità, sul quel lato della piazza divenne uniforme. Simili operazioni sono quelle di Vignola a Bologna o quella neoclassica di Gubbio. In ogni modo, raffrontando questi interventi con l'obbrobrio che tu goliardicamente hai inserito in una delle più belle piazze d'Italia, ciò che emerge è che, nella totalità dei casi che ho elencato, chi è intervenuto ha mantenuto i materiali e i colori locali, ha utilizzato una grammatica che è la stessa da secoli e, il risultato che si è ottenuto, per quanto fuori scala possa apparire, comunque risulta armonizzato nel contesto. Il Beaubourg è un'astronave atterrata nel bel mezzo di uno dei più caratteristici quartieri parigini, facendo tabula rasa. Se ne frega di tutto ciò che gli sta intorno, eventualmente sentendosi infastidito da cotanta presenza e auspicandosi che al più presto anche il resto venga buttato giù. Adopera materiali e tecnologie "insostenibili", il recente restauro è costato una cifra vergognosa, superiore al doppio del costo di costruzione, e molti parigini (specie persone del dipartimento dei Beni Culturali) si sono interrogati sulla illogicità dello sperpero di denaro per il restauro di edifici che geneticamente sono stati progettati per morire al più presto, il loro interrogativo è stato: " non sarebbe più giusto dedicare quei soldi al patrimonio storico-architettonico francese che, da tempo, versa in cattive condizioni a causa dei fondi che, costantemente, vengono dirottati al mantenimento in vita di certe cose?" ... per quanto brutto possa sembrare il paragone, mi sembra una sorta di "caso Englaro" applicato all'architettura. Ricordo una decina di anni fa un articolo sul New York Times che denunciava le cose che ho cercato di riassumere. Pertanto mi auguro che non ci sarà mai un amministratore così folle che voglia violentare la Piazza aretina come è stato fatto a Parigi, oppure a Nimes o a Vienna. Le archistars non hanno la capacità, né la voglia, di dialogare con il contesto, pertanto preferirei che stessero nel loro luogo di origine a testare su sè stesse le follie figlie della teoria di Sant'Elia ("le nostre case dovranno durare meno di noi, ogni generazione dovrà costruirsi la sua città .."). Come si suol dire: "abbiamo già dato!"

Ciao
Ettore

Anonimo ha detto...

Pietro, guardando il tuo fotomontaggio, sulla scia anche delle discussioni sull’ultimo libro di Antonino Saggio, mi è balenata l’idea che la concezione del rapporto del nuovo con il contesto sia da sempre bloccata entro un significato convenzionale che in realtà non è l’unico possibile.
Perché partiamo da un’idea sbagliata, quella che tale rapporto debba essere necessariamente dominato dalla cronologia, secondo la quale chi prima arriva detta le regole.

In realtà potrebbe essere il contrario, chi arriva ultimo si impone per l’autorevolezza della propria attualità, perché è più ‘giovane’, perché parla un linguaggio attuale, in sintonia con la contemporaneità.

Il nuovo cambia l’ambiente, non è necessario distinguere tra un prima e un dopo, esiste solo il risultato complessivo di una realtà ambientale che si trasforma in altro, senza necessarie fratture.
Tutto è architettura e tutto è contesto, piazza Grande prima e dopo, ma sempre piazza Grande, letta nel suo insieme e non a pezzi datati.

Vabbé, detto così può apparire leggermente demenziale.

Vilma

Pietro Pagliardini ha detto...

Vilma non è demenziale, è una prospettiva diversa. Se escludi il tempo hai perfettamente ragione, ma il fatto è, io credo, che il tempo ha valore non da un punto di vista cronologico (vale a dire che è vero, non è scritto da nessuna parte che il vecchio debba essere migliore del nuovo per il solo fatto di essere accaduto prima) ma dal punto di vista della storia dell'uomo che, in specie nella città e nell'ambiente in genere, è il deposito di conoscenze maturate generazione dopo generazione.
E dato che l'architettura non è scienza e non è arte, almeno nelle sue manifestazioni quotidiane, nell'edilizia, ma è una scienza umana, arte e tecnica allo stesso tempo, ad essa non si applica il principio della ricerca, grazie alla quale, invece, oggi si possono curare molte malattie e prima no. Nella città non c'è niente da inventare, c'è solo da studiare, basta dire che gli spazi più suggestivi e affascinanti sono quelli in cui si riusano edifici antichi per funzioni contemporanee e nuove. L'unica variabile intervenuta nella città che costringe a modificare qualcosa è l'automobile. L'errore straordinario è stato quello di pensare e imporre, da questo fatto nuovo, certamente significativo, un nuovo modello di città completamente diverso, buttando a mare tutto quanto costruito nei secoli precedenti, e immaginarlo con gli stessi principi dettati dalla meccanica dell'auto. Da qui, immagino, sia nato questa idea della "ricerca" in architettura e urbanistica. Quante volte abbiamo sentito il tormentone: nessuno costruisce auto con la forma delle carrozze, perché costruire case nuove con forme antiche?
E' ovvio che c'è una specie di transfert tra l'architettura e l'auto, altrimenti non si spiegherebbe la ricorrenza generalizzata di questa domanda.
La natura umana si ribella ad una simile condizione meccanicistica, perché il modello della fabbrica tailorista del tempo, del ritmo, delle "funzioni", scandito da un orologio, svizzero come il suo autore, trasferito nella città è contrario alla complessità e alla ricchezza dei sentimenti, delle emozioni e del cervello dell'uomo. E il bello è che non è nemmeno efficiente, eppure si persiste nell'applicarlo.
Allora, se si abbandona l'idea che l'architettura sia ricerca che sia arte e si considera solo che l'architettura altro non è che l'ambiente che ci circonda, lo sfondo della vita dell'uomo, non da solo ma inserito in un "contesto" sociale, ecco che quel montaggio ci riporta subito ad uno strappo contro natura, ad una logica meccanicistica che non ha niente di umano, ad una società che è vittima della tecnica invece che dominarla e piegarla ai suoi fini.
Lo so che Severino non sarebbe d'accordo e direbbe che è un fatto filosoficamente e logicamente ineluttabile, ma non è mica detto che Severino abbia ragione, pur essendo un grande pensatore!
Spero che qualche bicchiere di troppo della cena del sabato mi abbia lasciato quel minimo di lucidità per essermi decentemente spiegato.
Buona domenica
Pietro

ettore maria ha detto...

se mi viene dato uno spartito musicale da integrare, cercherò di "attualizzarlo" inserendo qualcosa che si armonizzi con il resto della composizione: il ritmo, il tempo, gli strumenti, ecc. detteranno una serie di leggi cui non potrò sottrarmi ... a meno di distruggere quella composizione riducendola ad una serie di rumori. Qualora mi venisse consegnato un sonetto che, a causa di un qualsivoglia incidente, è andato parzialmente perduto, e mi si chiedesse di provare a completarlo, senz'altro dovrò seguire la partizione datagli dall'autore iniziale. Queste mie osservazioni non sono frutto della "mente distorta" di un essere ossessionato dal "restauro di rispetto" dell'opera originaria (spesso travisato maliziosamente dai "conservatori" con la terminologia del "falso storico" ... ben diversa è l'opera del restauratore da quella del conservatore, laddove il primo vuole, nel rispetto della definizione del termine, "riportare alla vita" un'opera, e l'altro vuole semplicemente "mantenere" ciò che ci è stato tramandato). Se andassimo a vedere ciò che accade nelle altre arti, (piuttosto che limitarci sempre all'errato confronto con le arti figurative) in questo caso la musica e la poesia, scopriremmo che nessuno si è mai sognato di gridare al "falso storico", scopriremmo che si organizzano concerti sinfonici di opere che sono per metà originali e per metà (o più) "FALSE", scopriremmo che, ogni anno, ancora oggi, si organizza il "Certamen Capitolinum" in lingua latina, o che Giovanni Raboni, fino all'anno 2004 (data della sua morte) ha composto sonetti senza mai distaccarsi dalla forma poetica risalente al XIII secolo. E allora qual'è il problema dell'architettura e degli architetti? E' essenzialmente quello di non saper più dialogare col contesto, di non conoscere più la grammatica per potersi inserire in un "testo" mutilo, così abbiamo inventato la storiella secondo cui l'integrazione "mimetica" corrisponde ad un orrendo crimine contro l'umanità: LA FALSIFICAZIONE! La realtà è che "la volpe che non riusciva a raggiungere l'uva diceva che era acerba"
Buona domenica a tutti
Ettore

Salvatore D'Agostino ha detto...

De architettonici,
a parte la logica dell’uso della fotografia un po’ terroristico, io trovo molto più interessante la ‘cura’ Piano-Rogers, anche se la loro architettura risulta un po’ datata (non vecchia – fuori moda - ma già storicizzata come il Rinascimento, il Barocco, il Liberty).
Magri l’Italia avesse scelto la strada della stratificazione storica (ovvero la sua identità) e non quella della città espansa firmata spesso da logiche imprenditoriali e non architettoniche (da non confondere con le idee del moderno in atto nel resto dell’Europa).
Saluti,
Salvatore D’Agostino

Pietro Pagliardini ha detto...

salvatore, di terroristico non vedo niente, semmai è un divertimento e nasce, in verità, come tale.
Feci questo montaggio circa due mesi quando un giornalista aretino de La Nazione, Salvatore Mannino, scrisse un articolo di una serie che tratta il declino di Arezzo, invitando gli amministratori a trovare nuove idee per la piazza in oggetto, facendo anche l'ipotesi, ma solo l'ipotesi, di chiamare qualche grande architetto.
Feci il montaggio, glielo mandai privatamente proprio come paradosso.
Tutto qui.
Se però te lo vedi come atto quasi terroristico ciò significa, almeno, che anche tu la reputi un'intrusione sbagliata, un errore.
Sbagliata lo è certamente, ma non del tutto impossibile, dato che c'è di molto peggio in giro.
Per inciso, l'originale parigino sarà storicizzato ma c'è una maggioranza dei parigini che vorrebbe demolirlo. Forse perché i francesi sono sempre stati rivoluzionari!
Ciao
Pietro

Anonimo ha detto...

Pietro, sono d’accordo con Salvatore, la tua scelta, o per istinto o per intenzionalità, è senz’altro azzeccata, non è casuale che tu non ci abbia messo un’architettura ‘molle’ come ad esempio un accartocciamento a forma di bigné tipo Gehry, ma un’architettura di facciata, un blocco unitario che chiude in una sorta di isolamento stilistico e concettuale gli edifici preesistenti. Del resto, lo ha fatto anche Vasari.

Ecco, io non voglio credere che l’architettura sia solo una questione di accordo di materiali, colori e grammatiche stilistiche, voglio credere che l’architettura sia il segno dell’uomo su questa terra, qualunque uomo, di qualunque epoca, l’uno accanto all’altro, perché nessuno è meglio di un altro, è solo diverso, come è giusto che sia.

Vilma

Pietro Pagliardini ha detto...

E io sono d'accordo su questo, tant'è che nel post c'è scritto: "Non me la sono sentita di esagerare e inserirci un Maxxi. Insomma il Beabourg era l'edificio più "classico" tra quello del genere archistar e quello che meglio rispettava il rapporto altezza/lunghezza nonchè il ritmo degli archi delle Logge del Vasari".
C'è stato senz'altro, come sempre accade, un elemento di casualità nella scelta e un elemento allo stesso tempo istintivo e consapevole. Istintivo perchè non riesco ad immaginare Gehry in piazza Grande, consapevole perché il Beabourg ha un suo criterio ordinatore che ha un barlume di dialogo con le Logge Vasari (che però sparirebbero). Tutto sommato è un inserimento "dolce", se così si può dire, tutt'altro che terroristico, ed è questo il fascino subdolo e pericoloso di questa scelta, quella cioè che a qualcuno possa piacere e ne trovi una conferma alle proprie opinioni di rapporto tra vecchio e nuovo. Piano intriga perché la sua architettura è fortemente ruffiana e sembra stare bene ovunque.
Secondo me sembra, appunto.
Ciao
Pietro

Linea del sempre uguale a se stesso ha detto...

"Piano intriga perché la sua architettura è fortemente ruffiana e sembra stare bene ovunque."

come il linguaggio classico (si chiama così perchè è appunto classico: sempre uguale a se stesso, come la giacca classica). nulla di nuovo e di ruffiano sotto il sole.
è l'Occidente, bellezza.

per quanto riguarda il terrorisitico, magari la parola è esagerata, ma ha il suo fondamento... per quale motivo fare un fotomontaggio che è 'na balla, 'na cosa che non accadrà mai (nessuno penso si metterà in testa di demolire il vasari e anche se lo volesse fare, non glielo fanno fare) solo per impaurire... solo per fare polemica fine a se stessa.. solo per alzare il tono... solo per trovare un pretesto per alzare la voce su una cosa che non succederà mai... bah, non so. come al solito ci si arrovella su muretti, murettini, logge e loggettine...

Pietro Pagliardini ha detto...

robert, ho già spiegato che l'idea nasce come paradosso mandato ad un giornalista per rappresentare cosa potrebbe succedere in caso di chiamata di archistar. Certo che nessuno abbatterebbe le Loge del Vasari, vorrei vedere, ma esistono molte possibilità di fare allestimenti definitivi, ricostruzione di edifici nel centro storico ecc.
Comunque a parte l'occasione per cui è nata, esiste una esercitazione universitaria della facoltà di architettura di Firenze, pubblicata sul Corriere della Sera e che credo di avere linkato in qualche post, il cui tema era la più sfrenata fantasia a Firenze. Ne sono nate delle sciocchezze, ben superiori a questa mia, e anche alcune ironiche provocazioni che prendevano in giro recenti interventi di "riqualificazione" fatti in città.
Che poi l'abbia fatto anche come "scongiuro", è ovvio, ma è sempre meglio prevenire che curare. Ma, in realtà, qui in città i segue quasi nessuno questo blog, dunque potrei scrivere le cose più turpi tanto passerebbero inosservate.
Ciao
Pietro

Anonimo ha detto...

solo per fare polemica fine a se stessa... cartolina da amsterdam

http://milano.corriere.it/milano/gallery/milano/04-2010/expo/1/expo-progetto_3ac85794-5134-11df-884e-00144f02aabe.shtml#8

Pietro Pagliardini ha detto...

Le EXPO sono solo manifestazioni economiche che però nulla apportano più allo sviluppo della scienza o delle città. Le ultime edizioni sono state fallimenti e non hanno lasciato niente alle città e nemmeno all'economia. Con il contesto non c'entrano quasi mai. Questa poi, da un'idea di Stefano Boeri, direbbero i titoli di una fiction televisiva, mi sembra che c'entri ancora meno e comunque che sia il solito omaggio al pensiero debole, al politicamente corretto: l'orto planetario o come si chiama. Va bene tutto come format, tanto quando è fatta è fatta, non è che si può annullare il programma.
Format per format, speculazione edilizia per speculazione edilizia, a me sarebbe piaciuto che a qualche ideoso architetto fosse venuto in mente di costruire una città vera, una vera città italiana, con un master plan capace di dare una risposta concreta, autentica, all'urbanistica di carta degli ultimi 60 anni, e che fosse poi capace di accogliere progetti stilisticamnete diversi. Ovviamente il tutto da riutilizzare anche per edilizia sociale e non lasciare a deperire o a trasformare con nuovi interventi immobiliari.
Ma oggi va di moda l'orto orizzontale, il bosco verticale, le tende bianche (come a Siviglia) e voglio vedere a cosa serviranno le tende bianche in Lombardia.
Più che una provocazione è quasi un assist per farmi parlare del niente che ci circonda. Un niente, però, pagato miliardi in opere e milioni in notule. Naturalmente dati a coloro che poi criticano il loro masochista committente.
E ora per anni ci dovremo anche sorbire tutta la peggior retorica ecologica, proprio quando Al Gore, finito il caldo di origine antropica e smascherato in diretta mondiale a Copenaghen, ha cambiato genere, dedicandosi ad un altro business: la libertà di stampa.
Ciao
Pietro

Pietro Pagliardini ha detto...

Tanto per dire: leggo ora su la rassegna stampa, l'Unità che titola: Expo, mater plan visionario. Non solo, ma arriva a dare credito persino alla Michela Brambilla che prevede un tot di milioni di visite.
L'Unità da credito alla Brambilla!
Potere dei nomi, anzi, dei cognomi.
Ciao
Pietro

Etichette

Alemanno Alexander Andrés Duany Angelo Crespi Anti-architettura antico appartenenza Ara Pacis Archistar Architettura sacra architettura vernacolare Archiwatch arezzo Asor Rosa Augé Aulenti Autosomiglianza Avanguardia Barocco Bauhaus Bauman Bellezza Benevolo Betksy Biennale Bilbao bio-architettura Bontempi Borromini Botta Brunelleschi Bruno Zevi Cacciari Calatrava Calthorpe Caniggia Carta di Atene Centro storico cervellati Cesare Brandi Christopher Alexander CIAM Cina Ciro Lomonte Città Città ideale città-giardino CityLife civitas concorsi concorsi architettura contemporaneità cultura del progetto cupola David Fisher densificazione Deridda Diamanti Disegno urbano Dubai E.M. Mazzola Eisenmann EUR Expo2015 falso storico Frattali Fuksas Galli della Loggia Gehry Genius Loci Gerusalemme Giovannoni globalizzazione grattacielo Gregotti Grifoni Gropius Guggenheim Hans Hollein Hassan Fathy Herzog Howard identità Il Covile Isozaki J.Jacobs Jean Nouvel Koolhaas L.B.Alberti L'Aquila La Cecla Langone Le Corbusier Leon krier Léon Krier leonardo Leonardo Ricci Les Halles levatrice Libeskind Los Maffei Mancuso Marco Romano Meier Milano Modernismo modernità moderno Movimento Moderno Muratore Muratori Musica MVRDV Natalini naturale New towns New Urbanism New York New York Times new-town Nikos Salìngaros Norman Foster Novoli Ouroussoff paesaggio Pagano Palladio Paolo Marconi PEEP periferie Petruccioli Piacentini Picasso Pincio Pittura Platone Popper Portoghesi Poundbury Prestinenza Puglisi Principe Carlo Purini Quinlan Terry Referendum Renzo Piano restauro Ricciotti riconoscibilità rinascimento risorse Robert Adam Rogers Ruskin S.Giedion Sagrada Familia Salingaros Salìngaros Salzano Sangallo Sant'Elia scienza Scruton Severino sgarbi sostenibilità sprawl Star system Stefano Boeri steil Strade Tagliaventi Tentori Terragni Tom Wolfe toscana Tradizione Umberto Eco università Valadier Valle Verdelli Vilma Torselli Viollet le Duc Vitruvio Wrigth Zaha Hadid zonizzazione