Al momento della scelta dell'indirizzo di questo blog, dopo una serie di tentativi a vuoto alla ricerca di un nome semplice e pertinente, la sorpresa: "regola" era libero! L'architettura è oppressa da leggi e regolamenti, i termini più altisonanti della "creativa" cultura architettonica erano già occupati ma una parolina così semplice e antica e comprensibile da tutti, cioè "regola", era libera!
Questo blog parla appunto di "regole" contro la sregolatezza architettonica.


12 aprile 2010

LUOGHI, NON-LUOGHI E...PADANIA

Pietro Pagliardini

Vilma Torselli ha scritto un bell’articolo su Artonweb: La fine dei luoghi, che mi ha procurato una strana suggestione, probabilmente figlia della lunga e noiosa campagna elettorale e della consueta lunga e noiosa fase post-elettorale: un accostamento tra luoghi, non-luoghi e Lega. Sì, proprio quella, proprio il partito italiano più “legato” al territorio, più “legato” ai luoghi.

Mi rendo conto che coinvolgere l’ansia di comprensione di Vilma in un argomento così quotidiano, inflazionato e molto spesso sciatto come la nostra politica può sembrare irriverente e “fuori luogo” ma forse qualche relazione c’è e può aggiungere un tassello alla comprensione del rapporto tra luoghi e non-luoghi, soprattutto nella percezione del rapporto tra modernità e tradizione.

La Lega è un fenomeno, da tre decenni, assolutamente unico e straordinario per la molteplicità di temi diversi e apparentemente contrastanti che è capace di tenere insieme e sintetizzare in un amalgama fortissimo e vincente.
Dovendo indicare le parole d’ordine che caratterizzano questo partito/movimento culturale (aldilà dei noti slogan propagandistici) direi: localismo-globalità, identità-accoglienza, tradizione-modernità.
I termini di ciascun binomio vengono normalmente utilizzati dalla politica e dal mondo culturale, come opposti e anzi, come bandiere delle diverse “identità” politiche per distinguersi dagli avversari, ma nella Lega si coniugano, invece, miracolosamente bene.

In una logica europea in cui l’idea di nazione si depotenzia a vantaggio di un potere sovranazionale, le grandi ideologie al lumicino, la Lega ha compreso da subito, unico partito fra i tanti, che le radici sono necessarie e che queste andavano ritrovate in ambito locale. Evidentemente devono aver previsto che l’Europa non avrebbe avuto anima, se non finanziaria.
Infatti il nord è senza dubbio l’area economicamente più globalizzata d’Italia, ma allo stesso tempo quella che di buon grado accetta non tanto il bizzarro e pagano rito dell’ampolla delle sorgenti del Po (senza trascurarne tuttavia il forte valore simbolico di unità geografico-antropologica da ovest a est, dalle Alpi agli Appennini), quanto la valorizzazione delle tradizioni locali del dialetto, dei prodotti della terra, dei prodotti industriali, della laboriosità sempre in chiave antropologica, del paese, del campanile, dei luoghi insomma.
Paese e metropoli, così come la intende Vilma nel suo articolo, unite allo stesso tempo e non opposte. Luogo, non-luogo e anche super-luogo che convivono senza creare turbamenti o contraddizioni.

Fantasie o slogan propagandistici? Niente di tutto questo, ma il frutto di una lettura e di una analisi molto precisa di una realtà economica e sociale che caratterizza la “Padania”, e la riprova sta nel fatto che alla Lega non riesce, e forse non le interessa nemmeno, se non in termini di puro mercato politico, varcare gli Appennini, perché in quest’area geografica l’ambiente economico, sociale e culturale è completamente diverso: c’è vivacità d’iniziativa, c’è legame con il territorio ma tutto è molto più istituzionalizzato, tutto è più lento e burocratizzato e ogni attività è regolata più dal ritmo delle leggi, dal pubblico, piuttosto che da quello della società civile. La Toscana è terra di esportazione non solo di vini, di lardo di Colonnata, di prosciutto di cinta senese, di paesaggi da cartolina, ma anche di leggi, che le regioni del nord mutuano ma che poi sanno applicare con efficienza e senso di realtà, mentre qui diventano camicie di forza dalle quali non riusciamo a liberarci più, se non con nuove e peggiori leggi. Se c’è un luogo dove acquista pregnanza di significato il termine società civile, questo è la Padania, grazie alla Lega.
Non è, evidentemente, solo un fatto politico ma una “diversità” etnico-antropologica se le stesse leggi producono effetti totalmente diversi in luoghi diversi anche a parità di colore politico delle amministrazioni. Ma non la superiorità antropologica imposta e voluta dall'alto dalla sinistra, quanto una reale diversità di approccio alla realtà.

Ma ho divagato troppo. Colpa della Lega e della sua spesso ruvida ma coinvolgente anomalia. Unico partito che afferma con fierezza e convinzione la propria appartenenza ai luoghi ed anche alla comune religione cattolica, intesa più in senso di tradizione che di fede, e guai a chi tenta di minacciarla, ma che allo stesso tempo accoglie, con decoro, altri popoli con altre fedi, dando ad essi un lavoro e una casa ed esigendo, in cambio, conoscenza e rispetto dei luoghi e delle loro tradizioni. Unico partito capace di esprimere una vera e nuova cultura della modernità, non del modernismo, con l’operosità e l’efficienza dei suoi amministratori ma soprattutto del suo popolo aperto ai mercati globali e alla delocalizzazione, e della tradizione dei luoghi, in una miscela in cui è difficile capire quale sia l’ingrediente più importante, tanto l’uno è necessario all’altro. Un partito che risolve nella prassi il problema della multiculturalità e della convivenza.

La domanda che si impone, e che in altro modo anche Vilma si pone, è: sarà la Lega ad aver creato il mercato dell’identità locale intriso di globalità oppure c’è una esigenza profonda di radici, di appartenenza, di identità che non confligge affatto con la globalità economica e di cui la Lega si è fatta espressione politica, amplificandola?
Naturalmente io propendo per quest’ultima risposta, pur con tutte le incognite e i distinguo del caso. Propendo per questa ipotesi non solo per convinzione personale ma perché il legame tra la Lega e il suo capo, da una parte, e il suo popolo, dall’altra, è profondo e viscerale e non dettato da immediato interesse politico, almeno nella sua base stabile.

Se questo fosse vero ci dovrebbe essere una ricaduta in ambito urbano e architettonico, dato che la città è il luogo deputato ad accogliere le istanze prime di una comunità di persone e non può restarne indifferente. Quali possano essere le forme in cui queste istanze locali e globali si dovranno esprimere è tutto da scoprire.


POST SCRIPTUM
Ho parlato di noiosa campagna elettorale, ma non mi riferivo certo a quella della Lega. Ascoltando la rassegna stampa alla radio ho verificato che la Padania, il quotidiano di quel partito, ha ignorato quasi del tutto le notizie sulla par condicio, sui fatti giudiziari, sulle intercettazioni, su Santoro, ecc. ma ha sempre affrontato temi legati al territorio, ai suoi problemi, alle soluzioni possibili. Sembrava il giornale di un altro mondo. Quello vero.


13 commenti:

Anonimo ha detto...

ti faccio una domanda pietro:

preferisci la sobrietà e il paesaggio tradizionale, dai colori pastello, dalle case col tetto a falde dove ad un certo punto finisce l'edificato e inizia un pezzo di campagna fino a quando termina e ricomincia l'edificato...

oppure preferisci la bolgia, il disordine, il sottosopra della città diffusa, della campagna urbanizzata, dell'immensa periferia atomizzata che alterna ville storiche, capannoni, strade, centri commerciali, filari di gelsi, strade mercato, recinzioni delle più svariate forme e case dagli improbabili colori mentre le insegne stradali servono a farti capire che il comune X è terminato e inizia il comune Y?

robert

Pietro Pagliardini ha detto...

Domanda retorica: preferisco la prima, sapendo che non è possibile ma che è un obiettivo cui tendere.
Poi, consapevole appunto che non è possibile, che non è nemmeno giusto perché la vita degli uomini, come quella delle città, non ha andamento lineare ma caotico, so che non esiste un punto di arrivo perfetto, un equilibrio stabile.
Ma se non si sa dove andare è inutile partire.
Mi viene in mente il libro di McCarthy La strada: padre e figlio, in un mondo distrutto e reso desertico, dove c'è la lotta quotidiana per sopravvivere, vagano senza sapere dove arriveranno. Però hanno chiarissima, entrambi, una cosa: loro hanno il fuoco, e sono forti, sono dalla parte della ragione.
Ciao
Pietro

Anonimo ha detto...

Pietro, in effetti l’antinomia luogo/non-luogo si presta a molte chiavi di lettura ed è parafrasi perfetta di binomi antitetici quali localismo-globalità, identità-accoglienza, tradizione-modernità ecc.
Forse la Lega ha colto quella che pare la giusta via di mezzo in grado di conciliare gli opposti senza togliere niente a nessuno: glocal è la parola magica, che "sta a significare la con-fusione (nel senso di integrazione reciproca ma anche di tendenziale anarchia) tra realtà territoriali diverse (e quindi i soggetti e i linguaggi che rispettivamente le esprimono)." (Alberto Abruzzese, "Glocal")
Glocal è una dimensione culturale, ma anche commerciale, politica, burocratica, è il local che tracima quietamente nel global, pur con tutte le accezioni di cui sopra, compresa una certa componente ‘tendenzialmente anarchica’ o meglio indipendentista, che riesce a non disturbare la risultante ‘miscela’.
Glocal inteso non come accostamento o sommatoria di due termini, ma come convergenza e commistione di due realtà in una nuova realtà territoriale in grado di mettere in risalto le proprie specificità proprio aprendosi al confronto col diverso. Il concetto di ‘luogo’, fisso e definito, simbolo del patrimonio di tradizioni di una comunità, interessato da ‘flussi’ imprevedibili e indefiniti, che significano scambi, comunicazione, contaminazione, irruzione dell’estraneo, si ristruttura nel concetto di ‘luogo interconnesso’ dove “luogo, non-luogo e anche super-luogo” coesistono e si intrecciano senza contrapporsi o ostacolarsi.
Il che accade in Padania e non altrove, è inutile che ricordiamo l’importante retaggio costituito dal fenomeno della civiltà comunale, tipicamente nordista, che non esiste nelle restanti aree della penisola a diffuso feudalesimo: voglio dire, le premesse storiche ci sono tutte per giustificare perché la Lega è nata in Padania e non altrove, perché ancora oggi leggi simili producano effetti diversi in quanto utilizzate da comunità profondamente diverse (la questione meridionale non è un’invenzione di Bossi).
Ogni luogo (o non-luogo) che si apre alla relazione cambia il suo significato (era un pò questo il senso del mio scritto), la contrapposizione luogo/non-luogo, che sta diventando sempre più sfumata, è una grande metafora delle contraddizioni della nostra società, del contrasto tra quello che siamo stati e quello che stiamo diventando, da risolvere con creatività, cultura e qualche inevitabile compromesso.
Da parte di tutti,specie forse degli architetti.

Robert, non capisco perché proponi tout court due scenari estremi tra i quali Pietro dovrebbe scegliere, comunque credo che fra pochi anni non potremo più scegliere, saremo obbligati a inventarci il mondo!

Vilma

Pietro Pagliardini ha detto...

Vilma, mi fa piacere che tu abbia preso nel verso giusto l'accostamento tra il tuo articolo e il mio, oggettivamente più calato nella cronaca politica e perciò suscettibile di malevole interpretazioni.
Io credo che non si possa eludere il bisogno di radici. Sono almeno due secoli che l'occidente e l'Europa in particolare ci sta provando, ma questa esigenza rinasce sempre.
Mi piace l'idea che saremo costretti a inventarci il mondo. Magari io interpreto questa necessità non proprio facendo una nuova tabula rasa ma come un cammino dalla meta incerta ma con la consapevolezza di "avere il fuoco", cioè un principio fondante su cui costruire, altri lo possono interpretare come un salto nel buio affidato al caso e alla creatività individuale.
Niente di nuovo sotto il sole, tutto sommato.
Ciao
Pietro

Linea del paesaggio leghista ha detto...

vilma, dei paesaggi “estremi” di cui mi chiedi… il secondo già esiste ed è figlio della stessa cultura che ha prodotto la lega. non ha prodotto la lega per vendicarsi della modernità che l'ha generato, è figlio della stessa cultura, sono nati e cresciuti assieme nutrendosi a vicenda. pertanto se uno si chiede quale sarà il paesaggio "leghista" la risposta ce l'ha già muovendosi nella metropoli padana e si troverà di fronte al secondo paesaggio "estremo" che ho citato. il primo, invece, non vorrei sbagliarmi, assomiglia assai di più al paesaggio a cui è abiutato pietro... per quello non gli consiglio affatto di sognare il "paeasaggio leghista".

se ho tempo cercherò di spiegare meglio il perchè e dove secondo me sta andando questo secondo paesaggio che, per molti versi, è simili ad altri posti del mondo dove si sono formati, guardacaso, movimenti autonomistici simili alle nostre leghe.

robert

ps: io per molti versi preferisco il secondo.

Linea di Sarah Palin 01 ha detto...

“Robert, voi Veneti siete mezzi californiani… ma non l’hai ancora capito?”

CP (mio relatore di laurea)


Denis Cosgovre quando presentò il libro “Il paesaggio palladiano” a Treviso fece una comparazione un po’ strana: paragonò il Veneto a certe zone californiane losangeliane. Stessa città diffusa, stessa periferizzazione totale, stesso uso e abuso dell’auto, stesso sprawl fatto di casette e casettine e, paradossalmenteme, stesse spinte anticentraliste.
La settimana scorsa ero in Provenza (come mi capita almeno una volta l’anno) osservavo la diffusività del territorio: almeno 5000mq per fare una casa, le distanze dagli edifici quindi aumentano, ognuno, come da noi in Veneto, col motore sotto il sedere: per fare la spesa (centro commerciale), per portare il figlio a scuola, per andare in palestra, per andare a lavorare (magari a 50km di distanza in autostrada). Per fortuna la Francia ha un territorio che è il triplo del nostro… sennò non saprebbero da che parte girarsi per muoversi. Una particolarità: la destra xenofoba di Le Pen fa il pieno di voti in quelle zone.

Perché cito queste cose? Perché la “padania” e il Veneto in particolare sono molto simili alle regioni citate: uso estremo dell’auto… che è, in soldoni, una protuberanza della propria casa privata nello spazio pubblico. Casette unifamiliari, capannoni, strade mercato, centri commerciali sparsi ovunque (sono triplicati negli ultimi 20 anni, e la Lega ha governato… negli ultimi 15-20 anni). Il privato si dilata, l’auto lo fa dilatare in maniera estrema, diminuisce le condivisioni, diminuisce i contatti, diminuisce i “compromessi” con l’altro. La città diffusa, o meglio, la campagna urbanizzata, non è città, non crea relazioni, non genera contatti e fa sì che ognuno porti con se il proprio privato. Non genera, in poche parole, CIVIS, ognuno, da solo, col proprio “particulare”.
In una logica del genere ovvio che l’altro è sempre un nemico, è sempre una potenziale minaccia per il tuo privato e per i tuoi interessi. Persona contro persona, comune contro comune, frazione contro frazione e, se il territorio si intasa, i contrasti aumentano, i litigi s’impennano e ognuno si fa la sua lega.
È in questo contesto che la lega prende voti, più vai verso le città (in Veneto, eccetto Verona, tutti i capoluoghi sono governati dal centrosinistra) meno ne prende. Più vai verso la montagna, verso i comuni piccoli, verso le frazioni, più prende voti. In sostanza prende voti dove il privato prende il sopravvento. Nella grande e media città, per forza di cose, il privato è costretto a venire a patti con la civis. Praticamente smetti di litigare e ti metti d’accordo, il tuo particulare si ritrae a favore di quello di tutti. Non è un caso che anche in America le forze più conservatrici prendano voti nell’America profonda, Sarah Palin non viene da New York, viene dall’Alaska. E i movimenti anticentralisti si formano dove l’auto domina il trasporto urbano. Sembra un paradosso, ma non lo è: abitare costantemente in auto e nella propria casetta con giardino recintato è come abitare da soli in una valle sperduta, sei SOLO (o almeno credi esserlo). E infatti lo sprawl non è città. Questo è il paesaggio in cui la Lega prende voti, prende voti perché è figlia dei questo paesaggio. Pertanto è un po’ improbabile che decida di metterlo in crisi, ne è figlia. Si sono nutriti a vicenda essendo la Lega forza di governo da 3-4 mandati in buona parte del Veneto. C’è anche da dire che una certa “diffusività” è un tratto tipico veneto, non l’ha inventato la Lega, è sempre stato in embrione fin dalla dominazione romana e, negli anni 70, gli urbanisti cercarono, giustamente, di contrastarne la crescita.

Linea di Sarah Palin 02 ha detto...

Dove andrà a finire ‘sto paesaggio? Non lo so. Anche se ho la sensazione che da un lato non contrasterà la diffusività, se lo farà sarà perché ne è costretto dall’insostenibilità, dalle spese, dai costi sociali e, soprattutto, economici e di certo non andrà verso il tradizionalismo e l’antichismo. Perché dico questo? Perché il Veneto ha meno paura della modernità di altre regioni. Chi dice che l’Italia “contratta la propria appartenza alla modernità” dimentica che al Nord questa appartenenza la si contratta molto meno. Buona parte del Veneto è più vicino a Bolzano che ad Arezzo. Non si vede traccia di alcun Bontempi né di alcun Pacciani, al massimo… Portoghesi. Non è un caso che Jesolo, comune leghista da quattro mandati… abbia chiamato Tange per il Masperplan (torri immerse nella pineta e che svettano sul waterfront) e poi Meier, Hadid, Byrne, Nunes ecc ecc. Non è un caso che molti veneti aspirino all’Alto Adige, dove vi sono leggi “razziste” che impediscono l’accesso a tutte le agevolazioni che la provincia elargisce con abbondanza per chiunque sia altoatesino “certificato”. Però Bolzano è anche klimahouse, è anche tetti piani e case in legno, acciao e vetro, tecnologie spinte e pannelli dappertutto… è “razzismo” e modernismo. È lì che il Veneto, secondo me, andrà. Magari in modo più soft, in fin dei conti loro sono tedeschi in terra italiana, noi semplicemente italiani un po’ tedeschi.

Robert

Anonimo ha detto...

Robert, la tua analisi è senza dubbio completa e autorevole, anche perché fatta sul campo, quello è il Veneto e quella la direzione in cui sta andando, è inevitabile e non c’è nulla di male.
Così come la realtà in cui vive Pietro è diversa e sta andando in un’altra direzione.
E se l’assetto del territorio è figlio della sua struttura socio-politica e ogni abitante è figlio del suo territorio, le due scelte mi sembrano obbligate, tu probabilmente non sceglieresti di trasferirti ad Arezzo dove invece Pietro si trova benissimo, mi pare che tutto quadri, e forse non è neanche il caso di scervellarsi per decidere cosa è meglio.

Tuttavia viviamo in un’epoca di grandi cambiamenti, esposta ad ogni tipo di contaminazione ed il futuro non è più così prevedibile come ci faceva credere la rassicurante protezione dei nostri confini chiusi.

La frase del tuo relatore di laurea è curiosa.
Il territorio italiano ha una densità abitativa assai maggiore di quella della California, quella del Veneto, notevolmente superiore alla media nazionale, mi pare che sfiori i 300 abitanti/kmq, mentre in California è meno della metà, probabilmente ad un californiano che, come mi riferiscono amici di là, sta in auto un giorno intero per andare e tornare da un centro commerciale dalle parti di san Diego, il Veneto può sembrare un suk.
Là, evidentemente, lo sparpagliamento sul territorio di ville e villette è un risultato inevitabile, frutto anche di un certo pregresso pionierismo che porta gli americani a concepire la casa come un carro da film western, mobile e casualmente collocata: qui l’assetto del territorio è una scelta consapevole, frutto di una connotazione politica (leghista? razzista? autonomista? privatistica?).
Il Leghismo, però, riesce a coniugare queste peculiarità con il loro opposto, e predica la conservazione della tradizione, i riti collettivi sulle sponde dell’Eridano, il ritorno ai dialetti, la protezione della comune sicurezza (le ronde), elementi di interesse comune che riescono a tenere coeso il ‘popolo della Lega’.

E’ un’alchimia che alla Svizzera è riuscita benissimo.

Da questo punto di vista, credo che il veneto sia poco californiano e assi più svizzero (o tedesco, come dici tu).

Linea della Secessione (non quella viennese) 01 ha detto...

Probabile che non mi sia spiegato bene o abbia sintetizzato troppo alcune parti.

Innanzitutto il mio ex-relatore si riferiva soprattutto all’aspetto estetico-percettivo (alla Robert Venturi). La città diffusa è anarchica anche nel linguaggio e nei segni. In poche centinaia di metri ti ritrovi di fronte ad una babele totale: capannone, villa simil palladiana, villa neomodernista, segni storici totalmente decontestualizzati rispetto al loro sistema di riferimento (ville, muri, filari, canali, pozzi ecc ecc che sembrano fuori posto rispetto all’intorno) assieme ad una serie di segni grafico-stradali che costituiscono il vero sistema di riferimento per potersi orientare. Di sera, complice il buio e le insegne che si illuminano la città diffusa diventa da schifezza un paesaggio che ha un fascino assai notevole. Tabelloni, neon e luci stradali… anche quei segni storici che apparentemente non hanno significato, illuminati diventano dei soprammobili lucenti. In questo, penso che avesse per molti versi ragione a dirmi quella frase che capii solo col tempo.
Cosgrove non si basa su aspetti estetico-percettivi ma sociologici, geografici e relazionali. Anche lui ha delle ragioni. Quando sprawl e traffico privato raggiungono un livello di intasamento si manifestano spinte anticentralistiche e privatistiche che si organizzano in “leghe”.

Per quanto riguarda la diffusività, non è stata certamente inventata dalla Lega. Il paesaggio veneto è di per sé diffuso, fatto di contrade e piccoli comuni che servivano al controllo e al presidio del territorio dal punto di vista idrogeologico. La pianura veneto ha bisogno di sistemazioni continue, di manutenzione giornaliere… essendo ricchissima d’acqua. Il paesaggio palladiano è proprio questo: ville come centri di produzione agricola e quindi nodi di questa rete che controllava e manteneva il territorio. La città diffusa si è installata su una diffusività preesistente. Ovviamente ha mandato gambe all’aria l’equilibrio che dal post-medioevo in poi si era andato formando e si vedeva (e capiva) perfettamente. Urbanisti degli anni 70 cercarono di arginare il fenomeno, consigliavano di potenziare solamente quei centri che avrebbero potuto diventare città. I piccoli comuni e le contrade dovevano rimanere quello che erano: presidi per il controllo del territorio e fondati su un’agricoltura redditizia che avrebbe dovuto nascere da riforme agrarie. Che i contadini facessero i contadini e cittadini i cittadini… invece si è voluto far fare ai cittadini i contadini e viceversa, praticamente ‘na stupidaggine totale. In sostanza il territorio sarebbe stato assai più simile a quello che trovi ora in zone come l’Emilia dove la città e la campagna sono ancora, per molti versi, separate e riconoscibili. Invece ogni frazione, ogni comune, ogni contrada si è ingrandita, ha fatto la sua lottizzazione, la sua zona industriale, la sua espansione. Pochissimi comuni sono divenuti città, gran parte sono “città-giardino”, campagne semplicemente urbanizzate. La campagna una volta urbanizzata non è più redditizia e non puoi più riformarla, pertanto si è trasformata in quello che è oggi: una voragine mangia soldi perché il sistema idrogeologico lo devi tenere in piedi e quindi i contadini li devi finanziare soprattutto per quello: evitare il dissesto e non mi dilungo sui problemi ambientali, infrastrutturali ecc ecc.

Linea della Secessione (non quella viennese) 02 ha detto...

Ovviamente, in questa bella bolgia ci stan dentro tutti, pure il centrosinistra. Tanto per fare un esempio le Olimpiadi a Venezia le ha proposte Cacciari e prevedono di andare ad occupare l’unico lembo di campagna rimasta intatto e produttivo nella provincia di Venezia (e oltretutto posizionato 3m sotto il livello medio del mare). Però, i difensori della terra, delle radici venete, mica sin son opposti, no-no, anzi… sai com’è… noi veneti non siamo dio, patria e famiglia. Siamo Dio, Contrà e Cubatura.

Concludendo potrei sintetizzare così: ai veneti gliene importa ben poco del dio Eridanio, delle radici e quant’altro. Importa far star in piedi il territorio e non perdere la propria ricchezza. Qualsiasi altro è visto come un competitore: siciliano, marocchino o cinese che sia. Anzi, il marocchino almeno è qui che lavora, da Roma in giù qui gira l’idea che li “manteniamo” a distanza. La facciata da bravi amministratori, rispettosi di tutti, con cui si presentano ultimamente, soprattutto a chi vive fuori dal Veneto, serve solo a far passare una federalismo che sarà in tutto e per tutto una secessione di fatto.

Robert

Pietro Pagliardini ha detto...

robert, può darsi che la tua analisi, molto lucida, sia anche corrispondente al vero. Dico può darsi perchè non lo so, non conosco così a fondo il caso, ma so anche che spesso, dal di dentro, non sempre i fatti si valutano nella loro giusta dimensione.
La secessione è nei fatti. Anche senza federalismo.
Ma questa è possibile perché lo stato nazionale non conta più niente. Si è svuotato di funzioni reali, a tutto vantaggio dell'Europa, da una parte, e dalle Regioni, dall'altra. Magari quello italiano meno degli altri, ma non è che anche gli altri siano messi meglio.
Cosa succederà non lo so proprio.
Ma il mio post era solo un'impressione, un flash dettato, al solito, dal mio sostanziale ottimismo, dal mio vedere il bicchiere mezzo pieno e non mezzo vuoto. Contino a credere, o forse a sperare, che la Lega abbia un suo disegno più lungimirante di quello che tu dici, e che sia capace di tenere insieme almeno tutto il nord, la Padania.
Se poi in questo disegno ci rientra anche una visione urbanistica coerente con la usa idea generale, come io auspico, tanto meglio. Altrimenti pazienza.
Io sto in Toscana: se riescono a conservarla alla meglio abbiamo il mare, la campagna, le città più belle, Capalbio, il lardo di Colonnata, la fiorentina, il Brunello e i turisti di tutto il mondo non mancheranno certo. Adesso arriveranno i cinesi, e loro non sono mica pochi.
Ciao
Pietro

Anonimo ha detto...

"so anche che spesso, dal di dentro, non sempre i fatti si valutano nella loro giusta dimensione."

bella tecnica, la prima cosa è delegittimare. come dire: come osi tu, povero, residente dell'inferno non ringraziar almeno li fochi che ti scaldan le chiappe?

lasciam perder va che è meglio :-)

robert

Pietro Pagliardini ha detto...

No robert, non è una tecnica retorica o un modo per delegittimare gli altri, è cosa in cui credo profondamente.
Un esempio classico è quello di una riforma di legge: ad esempio, nella scuola non potranno mai farla coloro che la vivono perché vi sono coinvolti emotivamente, per interessi consolidati e per abitudini. Se una riforma deve essere fatta, solo chi è fuori dal gioco la può fare. Nel nostro caso è certamente diverso, ma in linea di massima da sopra si vede sempre meglio che da dentro, perchè si vede tutto, non una parte.
E questo vale anche per me nella mia Toscana, di cui molti dicono un gran bene. Vuol dire che qualcosa di buono ci deve pur essere, mentre io ne accentuo i difetti.
Ciao
Pietro
Ciao
Pietro

Etichette

Alemanno Alexander Andrés Duany Angelo Crespi Anti-architettura antico appartenenza Ara Pacis Archistar Architettura sacra architettura vernacolare Archiwatch arezzo Asor Rosa Augé Aulenti Autosomiglianza Avanguardia Barocco Bauhaus Bauman Bellezza Benevolo Betksy Biennale Bilbao bio-architettura Bontempi Borromini Botta Brunelleschi Bruno Zevi Cacciari Calatrava Calthorpe Caniggia Carta di Atene Centro storico cervellati Cesare Brandi Christopher Alexander CIAM Cina Ciro Lomonte Città Città ideale città-giardino CityLife civitas concorsi concorsi architettura contemporaneità cultura del progetto cupola David Fisher densificazione Deridda Diamanti Disegno urbano Dubai E.M. Mazzola Eisenmann EUR Expo2015 falso storico Frattali Fuksas Galli della Loggia Gehry Genius Loci Gerusalemme Giovannoni globalizzazione grattacielo Gregotti Grifoni Gropius Guggenheim Hans Hollein Hassan Fathy Herzog Howard identità Il Covile Isozaki J.Jacobs Jean Nouvel Koolhaas L.B.Alberti L'Aquila La Cecla Langone Le Corbusier Leon krier Léon Krier leonardo Leonardo Ricci Les Halles levatrice Libeskind Los Maffei Mancuso Marco Romano Meier Milano Modernismo modernità moderno Movimento Moderno Muratore Muratori Musica MVRDV Natalini naturale New towns New Urbanism New York New York Times new-town Nikos Salìngaros Norman Foster Novoli Ouroussoff paesaggio Pagano Palladio Paolo Marconi PEEP periferie Petruccioli Piacentini Picasso Pincio Pittura Platone Popper Portoghesi Poundbury Prestinenza Puglisi Principe Carlo Purini Quinlan Terry Referendum Renzo Piano restauro Ricciotti riconoscibilità rinascimento risorse Robert Adam Rogers Ruskin S.Giedion Sagrada Familia Salingaros Salìngaros Salzano Sangallo Sant'Elia scienza Scruton Severino sgarbi sostenibilità sprawl Star system Stefano Boeri steil Strade Tagliaventi Tentori Terragni Tom Wolfe toscana Tradizione Umberto Eco università Valadier Valle Verdelli Vilma Torselli Viollet le Duc Vitruvio Wrigth Zaha Hadid zonizzazione