Al momento della scelta dell'indirizzo di questo blog, dopo una serie di tentativi a vuoto alla ricerca di un nome semplice e pertinente, la sorpresa: "regola" era libero! L'architettura è oppressa da leggi e regolamenti, i termini più altisonanti della "creativa" cultura architettonica erano già occupati ma una parolina così semplice e antica e comprensibile da tutti, cioè "regola", era libera!
Questo blog parla appunto di "regole" contro la sregolatezza architettonica.


30 settembre 2012

FACEBOOK ED EDILIZIA SCOLASTICA: SCAMBI DI OPINIONI

Questo post è un resoconto di alcuni commenti su Facebook tra E.M.Mazzola e un "amico/a" che ha come oggetto il giudizio su una nuova scuola. Ma oltre ai consueti e fondamentali aspetti architettonici c'è anche il tema del rapporto tra spazio architettonico e benessere degli abitanti.
Avvertenza: le immagini della scuola in discussione non sono pubblicate in quanto risultano bloccate. Si possono vedere con il link nel testo.

Scuole bunker spacciate per montessoriane ed effetti collaterali di FB
Per la serie “come ti manipolo l’informazione evitando le critiche”
di Ettore Maria Mazzola

È una bella giornata, forse troppo calda per essere fine settembre, tutto sembra andare bene, e non c’è alcuna necessità di dover avere pensieri negativi ed arrabbiarsi. Magari sei anche preso da qualcosa di piacevolissimo su cui stai lavorando, e le tue endorfine lavorano alla grande dandoti un piacevolissimo senso di piacere per le gioie della vita. Poi, d’un tratto, succede che qualcuno decida di condividere sul tuo profilo FB un articolo per il quale, ovviamente, avrebbe piacere di ricevere la tua approvazione.
Allora vai a vedere di cosa si tratti e salta fuori una roba da far accapponare la pelle! Facebook però consente solo due cose, cliccare su “mi piace”, o lasciare un commento … non hanno ancora inventato il “non mi piace”. E già, Facebook è nato per fare aumentare i contatti tra gli utenti, non per farli allontanare … la chiamano “socializzazione”, ma è solo virtuale



FB è uno strumento strano, può risultare fantastico, o del tutto devastante. In tanti tendono a cliccare su “mi piace” senza nemmeno sapere perché … tuttavia, se c’è qualcuno che detesti l’ipocrisia, quel qualcuno rischia di sconvolgere il sistema, così può capitare che, per evitare fraintendimenti, quel qualcuno vada a cliccare sul link prima di lasciare un fasullo “mi piace” di approvazione. Può quindi capitare che quel qualcuno decida di scrivere un commento sincero nel quale ironizzi – magari con termini forti – su quell’edificio, facendo apertamente capire che lo stesso non trovi il suo gradimento … Quasi certamente quella giornata stupenda può trasformarsi in un putiferio!

Quel commento viene immediatamente cancellato dal titolare del profilo che aveva postato il link. Alla rimozione segue un messaggio privato in cui il risentito di turno ti dice un po’ di tutto.
Quella piacevole mattinata si trasforma in una giornata in cui, probabilmente, hai perso un amico-virtuale su FaceBook … vogliamo farne un dramma???
Ma chissenefrega!
Il link era questo:
e al suo interno c’era quest’altro:

Il mio commento, più o meno, diceva che l’edificio non trovava il mio apprezzamento, mi sembrava piuttosto un qualcosa a cavallo tra un lager e l’opera di un palazzinaro degli anni ’70, ovvero un luogo dove non avrei mai fatto studiare i miei figli. Un luogo dove, piuttosto che dare libero spazio alla fantasia degli scolari, l’ambiente sembra voglia schiacciare a terra qualsivoglia volo pindarico della mente dei bambini. Il commento si chiudeva chiedendomi per quale oscuro motivo certi progetti debbano darsi a certi personaggi.
Per dovere di cronaca, perché è giusto che certe cose si sappiano, riporto di seguito un sunto dei messaggi che ho scambiato con la persona che aveva chiesto il mio parere sulla scuola, messaggi in privato scambiati dopo la damnatio memoriae al mio commento.

Per ragioni di privacy non dirò né il nome, né riporterò il testo completo dei messaggi inviatimi, limitandomi a riassumerne il senso.
Contestualmente alla cancellazione del mio commento … il “bavaglio” in certi casi è di rigore tra chi tenti di far credere che un’opera risulti avere il massimo consenso pubblico e “intellettuale” … mi son visto recapitare un messaggio sprezzante, e a dir poco violento, nel quale la persona interessata al mio parere si rammaricava di aver sopravvalutato la mia capacità di informazione, nonché la mia sensibilità di architetto, accusandomi di parlare senza sapere nulla di ciò di cui stessi parlando. Dal messaggio veniva fuori che la stessa persona figurasse tra i progettisti di quella scuola che, a quanto pare, basata su principi montessoriani. Il messaggio si chiudeva con l’accusa di essere un finto intellettuale che vomita insulti infondati … Della serie mai far sapere ad un collega, nemmeno con l’ironia, che il suo progetto non ti piace! 

A quel punto, benché non avessi né il tempo, né la voglia di imbattermi in una discussione che, come sempre tra colleghi di opposte vedute, non avrebbe portato da nessuna parte, ho dovuto replicare a tono con questo messaggio:
conosci molto bene la mia posizione, sai benissimo che non condivido affatto certe tendenze, che lasciano soddisfatti solo i progettisti e i costruttori, dimenticandosi dei futuri fruitori. Ergo non comprendo come mai ti meravigli della mia sincerità.
Mi dispiace per te, ma dalle foto risulta chiaro che l'edificio risulti davvero l'esatto opposto di ciò che una scuola dovrebbe essere ... esiste troppa letteratura in materia per doverne riassumere le ragioni, ovviamente non mi riferisco alla letteratura scritta da architetti ideologicamente compromessi, ma alla letteratura in materia scritta da sociologi, psicologi, neurofisiologi, ecc. che, grazie alla loro "indennità alla lobotomizzazione delle facoltà di architettura" hanno potuto dare un quadro abbastanza veritiero che, purtroppo, gli architetti-demiurghi ignorano, oppure condannano perché non elaborato da architetti.
Non posso farci nulla, a me piace la sincerità e non c'è nulla nelle immagini che mi possa rimandare alla Montessori ... magari una sbirciatina alle "Case dei Bambini" di San Lorenzo, Trionfale, Testaccio, dove avviò la sua professione andava data.
Esistono studi di neurofisiologia (ergo realizzati da gente super partes che non ha nulla a che fare con l'ideologia imperversante nella nostra professione) che spiegano scientificamente perché certe forme risultino più o meno dannose alle persone che le utilizzano.
Personalmente posso dirti di aver avuto una esperienza diretta, nel 1995, con lo stesso gruppo di persone ospitate per una Summer School a Caprarola (nelle Scuderie Farnese) e a Biarritz (in una scuola molto simile a quella dell'Anagnina). Ebbene, nonostante Biarritz risulti essere una splendida località che dovrebbe mettere di buon umore le persone, mentre a Caprarola risulta esserci ben poco da fare, il comportamento dei partecipanti a Biarritz divenne assurdo, tutti divennero litigiosi e scostanti, e l'esito progettuale della scuola risultò essere ben diverso. Mentre il progetto partorito a Caprarola risultò un enorme successo, tanto da venir pubblicato, quello di Biarritz fu una porcheria (anzi 3 perché non si raggiunse nemmeno la possibilità di lavorare in team) ... questo non può essere un caso. Il fatto che spesso noi architetti tendiamo a dare per scontata la "sostenibilità" di un edificio, o la "montessorità" di una scuola, non sempre equivale alla realtà. Un po' come nelle fesserie dell'ultima biennale su cui ho ironizzato nel post pubblicato sul blog De-Architectura.
Quanto allo "schiacciamento", dovresti semplicemente documentarti su quello che è il risultato di un edificio "a piastra" sulle persone, figuriamoci sui bambini, per comprendere di cosa stia parlando. Ti assicuro comunque che la critica non era un attacco personale nei tuoi confronti .. non sapevo nemmeno che fossi nel gruppo di progettazione. Quando ho letto i nomi dei capigruppo mi ha dato non poco fastidio pensare che si debbano chiamare certi personaggi per realizzazioni che potrebbero essere affidate tranquillamente a chi conosce meglio i contesti e le tradizioni locali.
Dimenticavo ... in un Social Network, che è il sistema più democratico del mondo perché non risulta essere assoggettato alle "purghe" ideologiche delle riviste e dei giornali al soldo dell'industria edilizia, della casta delle archistars, ergo dell'ideologia, non risulta corretto cancellare le opinioni altrui, diversamente si dà conferma del fatto che si voglia dimostrare, scorrettamente, che non vi siano opinioni contrarie a certe cose. Questa per me si chiama scorrettezza, se non addirittura dittatura ideologica!

Il mio messaggio ha ovviamente provocato una risposta ancora più rabbiosa, secondo la quale il sottoscritto non avrebbe la minima idea di ciò che riguardi  il metodo montessoriano su cui si basa questa scuola, per la cui progettazione (trattasi di concorso), ci sarebbe stato nientepopodimeno che la consulenza di pedagoghi quali  Libera Dolci e Carlo Romano, formati alla scuola di Danilo Dolci, ergo considerati dei guru in materia di progettazione di una scuola basata su principi maieutici
Nel messaggio mi veniva inoltre fatto sapere che per il progetto, che come ho detto risulta essere il risultato di un concorso, ci sarebbero stati anche molti momenti di partecipazione col quartiere, facendo sì che non si possa parlare di imposizione.

Si rifletta a questo punto sul fatto che il progetto, venendo fuori da un concorso per il quale ovviamente non ci sono tempi tali da poter consentire una corretta e sana partecipazione, dimostra come spesso gli architetti tendano a dar per scontati i “molti momenti di partecipazione col quartiere” senza però dimostrarli … basta raccontare demagogicamente certe cose alla massa incolta, ce lo insegna tutti i giorni la politica, nessuno si prenderà la briga di andare a verificare la verità, e così la strada risulta spianata per poter rivendicare la partecipazione dei progetti, la sostenibilità ambientale, ecc!
Tornando al messaggio furioso, apprendo che Clotilde Pontecorvo avrebbe ritenuto questa scuola la migliore scuola dell'anno!

… È interessante far notare che la scuola è appena stata terminata, ergo non ancora in funzione, Tuttavia una “grande esperta” dell’ambiente già la riconosce come “la migliore scuola dell'anno!” … Chissà come mai la cosa mi ricorda quelle squallide ed insopportabili pubblicità che, da 2 o 3 anni a questa parte, mostrano – contestualmente – dentifrici, saponi, detergenti per la casa, ecc. “eletti prodotti dell’anno”.

Bisognerebbe riflettere sulla credibilità che certe affermazioni possano avere. Mi chiedo a tal proposito se l’illustre Pontecorvo abbia riflettuto sull’eventuale frettolosità di un giudizio del genere. Come è possibile, in assenza di un periodo di “sperimentazione” – o meglio utilizzazione da parte degli alunni – verificare se risulti vero o meno che questa possa definirsi la migliore scuola dell'anno? Ma queste, si sa, sono le cose che succedono nella società dello spettacolo.

Ho quindi replicato nuovamente al personaggio in questione con queste parole:
Parole, parole, parole! Mi costringi a dirti che l'edificio è proprio orrendo. Roma è stracolma di edifici la cui architettura è praticamente identica a quella che vuoi proporre come del tutto innovativa e montessoriana. Tra il dire e il fare c'è di mezzo il mare. Quel genere di architettura scolastica è quella che il mondo del cinema e della TV prende come location per film sul disagio giovanile, mentre prende come modelli di successo gli edifici scolastici degli anni '20 del secolo scorso. I nomi che fai valgono per me quanto il parere di un membro della CEI sui concorsi per le nuove chiese. Quanto alla partecipazione posso immaginarmela, immagino Hertzberger e tutti gli illustri consulenti a colloquio giornaliero con centinaia di abitanti del quartiere (se così si può chiamare). Ne abbiamo viste e sentite troppe di queste storie.
Io non dovrei parlare perché risulterei disinformato su una ciofeca del genere?? Se uno dovesse leggere e documentarsi su tutte le ciofeche/fotocopia che Casabella e le altre riviste faziose pubblicano a catena non ci sarebbe più spazio per tante cose molto più piacevoli ed interessanti.
A me sembra che ci sia della disinformazione da parte tua sugli studi scientifici delle materie che ho elencato. Inoltre, come Casabella e le altre riviste "specializzate", mi sembra che tu non abbia nessuna obiettività, visto che tendi a rimuovere i commenti di chi non condivida certe cose. Non preoccuparti, ci farò un bel post da qualche parte, hai visto mai che si possa conoscere anche il suono di un'altra campana?

Non poteva mancare l’ennesima replica, nella quale ovviamente veniva rincarata la dose dell’accusa di essere prevenuto, tuttavia mi veniva comunicato che, qualora le “campane avverse” si fossero espresse senza pregiudizi, sarebbe stato un piacere poterle ascoltare.
In una replica, di cui riporto solo i pezzi che possano evitare di far venire allo scoperto l’identità della persona in oggetto, ho voluto concludere lo scontro con le riflessioni che seguono, non potevo infatti non far notare a quella persona che, se fosse stata coerente, dovrebbe ospitare i commenti avversi atti a stimolare un dibattito critico … ma, si sa, in certi ambienti si preferisce il bavaglio .

(omissis)
Quelli come te, che criticano gli altri di essere prevenuti, in realtà sono i primi a proclamarsi pluralisti comportandosi da monisti. Dalle parti mie c'è una frase dialettale che dice "il toro dice all'asino sei cornuto!".
Io non ho alcun pregiudizio, semmai mi sono rotto le scatole di vedere sempre e soltanto le solite orribili strutture spacciate per meraviglie. (omissis)
Quanto alla scuola del post, essa non merita altri commenti, è l'ennesimo scempio intorno al quale una presunta élite colta costruisce delle parole indimostrabili e spesso insulse per tesserne le lodi agli occhi della massa ignorante che necessita di essere educata alla comprensione dell'architettura contemporanea ... massa che, sempre, subisce e disapprova certe cose.
Mi chiedo quali possano essere i tuoi modelli, (ma posso immaginarli) non mi sembra affatto che tu abbia mai dato alcuna importanza all'esistenza del modo di fare architettura contemporanea in modo rispettoso delle tradizioni, semmai ho solo visto un pregiudizio assoluto contro quel modo di fare che, diversamente dalle scatolette cui si ispira quella scuola, richiede molto più studio e rigore di quanto tu non possa immaginare … Ma le regole danno fastidio, meglio farne a meno!
Mi chiedo, visto che la Montessori lavorò a braccetto con l'ing. Talamo e gli altri progettisti dell'epoca, quanti di quegli edifici storici sarebbero stati visitati, studiati attentamente e presi a modello per quella struttura che definite scuola montessoriana? Non mi sembra di riconoscervi proprio nulla!
Quanti edifici scolastici storici, ancora perfettamente funzionali, hai tenuto in considerazione per quella progettazione? … Non è che i tuoi modelli sono solo e sempre gli stessi che vengono imposti a bastonate nelle facoltà di architettura? Quando dimostrerai la tua obiettività ed apertura al dibattito potremo riparlarne. Penso che non valga più la pena andare avanti con un battibecco che non smuoverà mai di un millimetro le nostre opposte posizioni.
Un caro saluto

Questo battibecco, che ho voluto rendere pubblico affinché si sapesse come l’informazione, i premi e i giudizi su certi progetti vengano gestiti ed elargiti mi porta a fare una ulteriore riflessione: Facebook può avvicinare virtualmente persone che non si conoscono … ma rischia anche di allontanare per sempre amici e conoscenti!
Il cielo s’è rannuvolato, un po’ come il mio umore … quella bella giornata ha preso una piega diversa … ma chissenefrega!

Leggi tutto...

14 settembre 2012

JOSE' CORNELIO DA SILVA

Pubblico uno scambio di mail tra Ettore Maria Mazzola e l’architetto Josè Cornelio da Silva, che considero una sorta di conclusione del piccolo ciclo su Gubbio.
Occorre tenere presente che Josè ha scritto direttamente in italiano e quindi la costruzione dei periodi e alcuni vocaboli sono molto semplificati. Io mi sono permesso di fare alcune marginali correzioni senza interpretare troppo, anche per non alterare la naturale gentilezza del carattere di Josè.
Qualche breve riferimento alla sua biografia:
José Cornelio da Silva è portoghese, ha studiato nel suo paese e successivamente a Parigi e ha seguito il corso di specializzazione in restauro presso l'ICCROM, studiando anche le tecniche costruttive romane con Roberto Marta.
Nel 2001 ha fondato la Facoltà di Architettura dell'Università Cattolica Portoghese, che ha diretto per due anni.
Ha insegnato presso la University of Notre Dame School of Architecture.
Ha collaborato con molte altre università straniere e con il Principe di Galles.
Ha realizzato edifici e giardini in Portogallo, alcuni con il suo ex socio José Franqueira Baganha e molti da solo.
Ultimamente ha realizzato delle spettacolari aziende vinicole ed un giardino per il più importante imprenditore vinicolo portoghese, nonché la sede dell'ambasciata del Quatar in Portogallo.
Insieme a Nikos Salìngaros ha progettato a Doha in Qatar un complesso per HRH The Prince of Qatar.
Josè mi ha autorizzato a pubblicare il suo Portfolio che non credo sia in rete:


Questa la corrispondenza tra E.M. Mazzola e Josè Cornelio da Silva:

Caro Ettore
"La carrotte et le baton" vuol dire in francese che si usa la pazienza e la determinazione e io credo che in una societá pigra sia necessaria la bontá francescana e qualche volta il pugno sul tavolo!
Ti prego di comunicare il mio commento al caro Pietro Pagliardini. Ammiro veramente la vostra Bontá e Nobiltá, e sono sicuro che riuscirete pazientemente a risvegliare i pigri sensi, almeno dei più onesti. Ma il trattamento, per sfortuna, non potrà essere lo stesso per tutti e a volte una parola piú forte o un’idea più provocatoria, può essere efficace.
Mi rendo conto ogni giorno di piú che una formazione culturale più ampia ha l'effetto di una bussola nei confronti del paesaggio desertico di oggi. Questo non vale soltanto per l'architettura ma per tutta l'attivitá umana. Siamo ridotti a guidare le nostre vite ad una velocità e ad un ritmo disegnati per non lasciare pensare, facendo in modo che le scelte siano sempre incompiute e deboli. Il futuro diventa strutturalmente insostenibile perche non riflette un pensiero compiuto e finito, ma una occasionale esclamazione!

Nel progetto di Gubbio, tutto viene pensato e curato con il progetto dei più piccoli dettagli, rispettando la tradizione edilizia, conciliando mirabilmente la materia con il simbolo.
La "Casa della Musica" di Porto è invece un disastro insostenibile sotto ogni aspetto, un inconfessabile, mostruoso errore della mediocritá, che non riesce a giustificare gli spaventosi costi con i debolissimi risultati. Ma l'onestá di pensiero e anche una linea guida, non credo che siano gli elementi forti di questi tempi di pigra vanità, assecondata sempre con i soldi dei poveri contribuenti degli stati, ormai falliti per il capriccio degli illuminati!!!!
Mi auguro che il messaggio meriti l'attenzione dei media, perché c'e altro nell’uomo al di là di quello che mangia....quando si dimentica chi siamo e quale sarebbe la nostra strada, pur tradendo la nostra genetica, si finisce molto male con la faccia distrutta e forse senza i denti....
Speriamo che agli "anni della follia" non seguano gli “anni della distruzione bellica”, dato che abbiamo costruito un mondo che ormai sembra voler distruggere a ogni costo
 Un forte abbraccio
Josè


Caro Josè,
grazie per queste tue ulteriori splendide considerazioni.
Visto che mi autorizzi, le giro volentieri (insieme alle altre) al caro Pietro Pagliardini che ci legge in copia.
Ettore


Ringrazio Josè per la sua bella lettera che mostra, oltre che gentilezza nei miei confronti, una visione del mondo non limitata all’architettura ma che si allarga agli accadimenti che travagliano l’Europa e i nostri rispettivi paesi in particolare.
Mi auguro di incontralo un giorno avendo lasciato questi problemi alle nostre spalle.
Pietro

Leggi tutto...

12 settembre 2012

CETTE-CI S'AGIT D'UN PIPE

Cette-ci s’agit d’un pipe
Il Padiglione Italiano alla Biennale di Architettura 2012 – Common Ground
di
Ettore Maria Mazzola


Chi, stanco dell’architettura e dell’urbanistica degli ultimi decenni, abbia avuto modo di leggere l’articolo di Marco ValloraArchitettura: non è più tempo di "farla strana" – Venezia, la Biennale che si apre mercoledì alla ricerca di un «terreno comune» dopo gli eccessi delle archistar(1)” pubblicato su “La Stampa” del 27 agosto u.s., avrà gridato “ERA ORA!!”.
Tuttavia, non è tutto oro quello che luccica e, come si suol dire, “tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare … o forse la laguna!


Nella sua Trahison des Images, René Magritte volle sottolineare la differenza tra un oggetto reale e la sua rappresentazione. Il suo obiettivo era quello di mettere in discussione la convenzione che lega ad ogni oggetto un nome(1).
Vi chiederete: ma tutto ciò che c’entra con la Biennale 2012? C’entra eccome … basta porsi un obiettivo opposto rispetto a Magritte, vediamo come.

Il curatore dell’ultima Biennale, David Chipperfield, nella presentazione del suo programma, disponibile on-line sul sito della Biennale, ha spiegato le ragioni, del suo slogan Common Ground (il sottolineato è mio):

«Common Ground, il terreno comune, ci incita ad ammettere quelle ispirazioni e influenze che dovrebbero, a mio avviso, caratterizzare la nostra professione. Questa locuzione serve inoltre a educare l’attenzione rivolta alla città, nostra area di competenza e attività, ma anche realtà creata in collaborazione con ogni cittadino e con i molti partecipanti al processo di costruzione. La disciplina dell’architettura implica problematiche diverse, spesso contraddittorie, ma sono convinto che abbiamo idee e visioni comuni confermabili per mezzo dell’architettura stessa. Common Ground ci invita a scoprire queste idee condivise partendo dalle nostre singole posizioni di differenza».

Questa Biennale, che ha luogo in un momento di grande preoccupazione economica a livello globale, ci dà la possibilità di riconsiderare da un diverso punto di vista i singoli, innegabili, conseguimenti architettonici che hanno contrassegnato l’identità degli anni recenti e di stimolare una più intensa valutazione dei nostri obiettivi e attese comuni.

Il tema della Biennale era una provocazione rivolta ai miei colleghi affinché dimostrassero il loro impegno in questi valori comuni e condivisi; li incitava ad abbandonare la presentazione monografica della loro opera per mirare invece a un ritratto delle collaborazioni e affinità presenti dietro al proprio lavoro. La grande energia e impegno con cui essi hanno aderito a questa iniziativa sono una testimonianza del loro proposito e una conferma di ciò che sappiamo ma non esprimiamo con sufficiente evidenza, ossia che nonostante la diversità dei nostri interessi, storie e idee, condividiamo di fatto un “terreno comune”. E ciò costituisce la base di quella che potremmo definire una “cultura architettonica”. Inoltre, è una piattaforma di partenza per il dialogo, il dibattito, l’opinione
».

Nelle intenzioni, dunque, c’era finalmente l’idea di riportare l’architettura ad un livello umano, ad un livello di “valori comuni condivisi” … ottimo direi!

Tuttavia, nonostante le speranze di Chipperfield, a scuola ci hanno insegnato che, cambiando l’ordine dei fattori, il risultato non cambia.

Il limite di Chipperfield è infatti stato quello di invitare alla sua Biennale i soliti nomi, e le solite “scuole”, nell’ipotesi – vana – che una politica trasformista, di rattazziana memoria, applicata agli architetti ed alle scuole autoreferenziali, fosse sufficiente a cambiare il futuro dell’architettura d’autore(2).

In realtà, se si va a controllare i nominativi dei partecipanti, risulta subito evidente l’esclusione delle università “controcorrente” rispetto al sistema che Chipperfield vorrebbe combattere, così come risultano esclusi tutti quei progettisti che pongono al centro della progettazione il rispetto per gli altri piuttosto che l’ideologia personale …
Come mai, questa contraddizione? Probabilmente perché quei nomi e quelle scuole vengono ritenuti sconosciuti? Verosimilmente perché essendo sconosciuti (in quanto ignorati dalle riviste patinate sponsorizzate dall’industria edilizia) non avrebbero garantito il successo commerciale della Biennale?
… O magari perché il confronto sarebbe risultato devastante per la solita cricca?
Del resto, la Biennale di Architettura, da molti anni, dimostra essere nulla più che una insignificante vetrina dove esporre le merci prodotte dall’ideologia egemone a servizio della “cultura dell’usa e getta” … altro che la sbandierata piattaforma di partenza per il dialogo, il dibattito, l’opinione.

La notizia che a questa Biennale non ci sarebbe stato spazio per gli architetti ma solo per le architetture” ha fatto scatenare la pletora di “parolai” in giro per l’Italia: “come si permette un architetto di organizzare una mostra di architettura … prerogativa riservata ai soli critici?
Ma anche un certo tipo di architetti autoreferenziali ha tuonato: “Come si permette questo signore di mettere in discussione il ruolo dell’architetto?

Tra le varie invettive contro questa Biennale ce n’è però una che merita d’esser presa in considerazione, ovvero il terzo punto debole della manifestazione evidenziato nella critica di Luigi Prestinenza Puglisi, punto che non solo risulterebbe condivisibile, ma addirittura degno di cornice:

«In un periodo in cui si fa fatica a distinguere il lavoro di un architetto da quello di un altro, una buona biennale avrebbe dovuto mostrare più le differenze che i punti di contatto. Oppure sarebbe stata ugualmente interessante se tali punti di contatto li avesse fatti emergere criticamente, mostrando per esempio come oramai la produzione delle archistar si sia omogeneizzata per il fatto che a produrre i progetti sono giovani che girano da uno studio all’altro e si sono formati in tre o quattro università di eccellenza (Architectural Association, Berlage, Columbia, Sciarch …) anch’esse frequentate dagli stessi professori. Dubitiamo però che ciò avvenga: è molto improbabile che un architetto appartenente al circo mediatico sia disposto ad attaccarlo frontalmente».

Peccato però che Prestinenza Puglisi non faccia capire più esplicitamente cosa intenda con quel “mostrare le differenze”, lasciandoci nel dubbio – legittimo – che quelle differenze reclamino il “famolo strano”.
Sebbene infatti risulti utilissimo mettere a confronto tutte le correnti esistenti in questo momento, è altrettanto vero che occorrerebbe fare maggiore chiarezza da parte di chi, nel suo ruolo di critico, abbia costantemente mostrato una posizione apertamente avversa nei confronti di chi proponga architettura e urbanistica tradizionale contemporanea … e non solo nei riguardi dei contemporanei. Alcuni anni fa, infatti, Prestinenza Puglisi pubblicò un articolo su exibart.it nel quale proponeva l’abbattimento del Museo di Arte Moderna di Cesare Bazzani al fine di “preservare l’Ala Cosenza”. La mancanza di obiettività di chi metta l’ideologia davanti alla realtà svilisce il valore delle parole che si dicono, facendo sì che si divenga sospettosi su ciò che si sostiene.

Ma veniamo all’oggetto di questo articolo: il Padiglione Italiano curato da Luca Zevi … un nome, un programma!

Nel suo progetto, Zevi ha sciorinato tutta la demagogia possibile affinché risultasse vincente. Lui, che nelle sue realizzazioni e progetti ha proposto opere mostruose, lontane anni luce da quel “common ground”, opere figlie dell’ideologia modernista e del consumismo applicato all’architettura, ha voluto far credere di essere indignato dall’attuale sistema sballato, (quello di cui lui è un degno rappresentante), ed è perfino andato a tirar fuori il “pensiero di Adriano Olivetti, col suo modo di fare impresa e di coniugare la cultura con il business” per rivendicare la “necessità che nel futuro dovrà essere il lavoro, e non la finanza, ad avere un ruolo centrale nello sviluppo della nostra civiltà e dell’architettura
… In quale modo questo discorso si coniughi con l’edilizia industriale dell’esposizione è tutto da capire!

In pratica – nel puro stile che governa l’architettura ormai da decenni, o la politica più in generale – non occorre che tra le promesse e la realtà ci siano delle discrepanze macroscopiche, l’essenziale è parlare e far parlare di sé. Si deve parlare fino ad ubriacare di parole la “massa ignorante”. Per essere certi del successo è necessario crearsi una apparenza di impegno socio-ambientale, sbandierandolo ai quattro venti, possibilmente con parole arcane atte a creare un senso di inferiorità culturale nella massa ignorante in materia, sì da poterle ricordare il fatto che l’unica a poter parlare sia l’auto proclamata élite colta che, semmai, può abbassarsi ad istruire quella massa sul significato (inesistente) nascosto dell’architettura contemporanea.

In questo lavoro di apparenza, ovviamente non può mancare l’argomento “sostenibilità”, abusato a dovere anche nel caso del Padiglione di Zevi alla Biennale. Come di consueto, non occorre dimostrare fino in fondo se la proclamata sostenibilità risulti realmente tale, anche davanti all’evidenza del fatto che si tratti dell’ennesima presa per i fondelli nei confronti della gente comune obbligata a subire le scelte dell’élite colta degli architetti.
Nelle parole di Zevi si legge:

«E credo che nel messaggio di Adriano Olivetti vi sia un seme che dice che si può essere imprenditori producendo beni eccellenti, realizzando servizi qualificati e, al tempo stesso, facendosi carico dello sviluppo urbanistico. L'esperienza di Adriano Olivetti è diventata un modello di sviluppo in cui politica industriale, politiche sociali e promozione culturale si integrano nella proposta di una strada innovativa nella progettazione delle trasformazioni del territorio. Nella mia proposta non c'è nulla di nostalgico (NON SIA MAI IDDIO!!! n.d.r): per me Olivetti era un moderno per la sua capacità di progettare in funzione delle esigenze dell'uomo».

Se volessimo comprendere le ragioni – o perlomeno quelle che ci sono state raccontate – per cui sia stato scelto il progetto di Zevi rispetto agli altri, possiamo far riferimento al citato testo di Vallora pubblicato su “La Stampa”:

«Il segretario generale del Mibac, Antonia Pasqua Recchia, ha spiegato che il progetto di Zevi, tra le undici proposte che erano arrivate al dicastero, “Mette in relazione l'architettura con l'economia, la cultura con le imprese e abbiamo pensato che in un momento così delicato per il paese si dovesse fare qualcosa di più di una semplice esposizione. Il Made in Italy del Padiglione Italia - ha osservato Recchia - tornerà quindi alle sue radici, agli anni del boom economico, di un momento storico particolarmente positivo per l'Italia” ».

Quanta retorica c’è dietro queste parole? E dove sarebbe il Made in Italy in una mostra che espone il piattume universale del fare architettura, specie in Italia?
E poi, in un momento in cui l’industria italiana (incentivata dallo Stato) va a produrre all’estero, dimenticando per strada i nostri operai perché troppo costosi, non si dovrebbe puntare sul recupero dell’artigianato locale?
Inoltre, in un momento in cui i problemi ambientali sono quello che sono, non si dovrebbe puntare su un’architettura a chilometri zero, prodotta con materiali locali realmente rispettosi dell’ambiente?
C’è quindi da restare sconcertati davanti all’assenza programmata di quegli architetti e quelle università che avrebbero potuto realmente mostrare un’altra via, più sostenibile, per produrre un’architettura che non solo possa raccontare il Made in Italy, ma anche il Made in Lazio, Made in Veneto o Made in Sicily.

Il pezzo pubblicato su “La Stampa” – indipendentemente dal fatto che all’autore sfugga la menzogna nascosta dietro i proclami della Biennale 2012 – merita comunque di esser letto, specie per la naturalezza in cui si prende gioco del fare architettura odierno, arrivando a citare un «no xè ghe ne podeva pì» (non se ne poteva più) di goldoniana memoria.

Purtroppo, le buone intenzioni sono disattese e, a meno che non si voglia ribaltare il programma di Magritte, affermando che un oggetto qualsiasi possa essere una pipa … PERCHÉ LO DICE L’ÉLITE COLTA! … dobbiamo ancora una volta registrare la pochezza della Biennale di Architettura di Venezia che, arroccata sempre sulle stesse posizioni e gli stessi personaggi, non riesce a dirci nulla di nuovo, se non che l’élite colta è dura a morire. Finché nomi e scuole di pensiero resteranno sempre gli stessi, finché l’ideologia verrà considerata una spanna sopra quegli sbandierati valori comuni e condivisi, finché si dovrà – come Zevi – sottolineare di non essere nostalgici, perdendo l’occasione per imparare dai successi e dagli errori del passato, non ci sarà alcun futuro.

Note:
1) «Chiunque di noi alla domanda "Che cos'è?" risponderebbe "È una pipa". In realtà non lo è, ma è la rappresentazione di una pipa. L'equivoco è dovuto alla convenzione che lega a ogni oggetto un nome. Per evidenziare la rottura delle convenzioni egli scrive "Questo non è una pipa". Ovvero: tutto il quadro, immagine e didascalia, non sono nell'ordine delle cose bensì della rappresentazione. Linguaggio denotativo ("questa è una pipa" sul cartiglio che di solito la rappresenta per esempio a scuola per i bambini che imparano a leggere e scrivere) e metalinguaggio (i cartelli che indicano le cose non sono, in effetti, quelle cose: questo, ceci in francese e non "cette-ci" come sarebbe corretto) convergono e si appiattiscono nel quadro, costituendo un paradosso comunicativo che rientra tra quelli considerati dalla teoria del "doppio vincolo", elaborata per comprendere le cause delle patologie comunicative. Esempio antico di tali paradossi, ma solo verbali: "vietato vietare", oppure "io mento sempre" (paradosso del "mentitore cretese"). Il messaggio che il dipinto ci trasmette è di tipo filosofico e invita alla riflessione sulla complessità della comunicazione umana e dei suoi codici, verbali e non verbali» (cfr. http://it.wikipedia.org/wiki/La_Trahison_des_images).
2) I partecipanti sono quelli riportati in questo link: http://www.labiennale.org/it/architettura/mostra/partecipanti/

Leggi tutto...

9 settembre 2012

L'ARTE....DELLA PAROLA

Stamani, domenica, radendomi la barba, come al solito accendo la radio.
Sento una bella voce di donna che espone, ma direi meglio narra, senza pause o incertezze.
Non posso fare a meno di astrarmi totalmente dall’azione, anche se il rasoio continua a scorrere sulla pelle.
Non so se stia leggendo ma sono portato a credere di no. Se anche leggesse, sono comunque certo che sarebbe capace di esporre in maniera così fluente e formalmente perfetta anche a braccio. Una grande dote, indubbiamente.
La prima parola che sento è “programmazione” e sono portato a pensare che parli di economia. Poi va avanti e parla di MAXXI. Mi dimentico sempre più di essere davanti allo specchio con il rasoio in mano.

Esalta la nuova spazialità del museo, si augura che “tutti” l’abbiano visitato (auspicio un po’ irrealistico in vero) e parla di arte contemporanea.
Mi ci vuole poco a realizzare che non vale la pena cercare di capire i contenuti espressi dato che siamo nel campo della pura forma verbale, di alta qualità, la comprensione dei quali è, ad essere benevolenti, indecifrabile.

Alla fine scopro che è Anna Mattirolo la direttrice del MAXXI Arte.
Se non mi sono tagliato è solo grazie alla, ahimè, pluridecennale esperienza per cui la mano è quasi indipendente dal controllo del cervello. Un po' come molti discorsi sull'arte contemporanea.
Lascio a voi l’ascolto della lezione:



Leggi tutto...

6 settembre 2012

ROGER SCRUTON: LA COMMISSIONE POTEMKIN

Roger Scruton, filosofo inglese, ha pubblicato su Il Foglio del 5 agosto 2012 un articolo dal titolo:


L’articolo, che invito a leggere, affronta un argomento, l’Europa e l’euro, che in questo blog appare “fuori tema”. Appare e lo è, ma non del tutto.

Intanto la foto a corredo dell’articolo, quella pessima figura di donna che innalza orgogliosamente il simbolo dell’euro, è anche l’immagine di un’Europa priva di bellezza. L’Europa non ha trovato un’arte e un’architettura capace di celebrare se stessa almeno ad un livello paragonabile, se non uguale, a quello dei singoli stati che ne fanno parte.
Basti dire che il laboratorio spaziale atterrato qualche giorno fa su Marte reca, nel pur improbabile incontro con i marziani, un disegno di Leonardo da Vinci, e non il $ di Paperone (dollaro che in verità è parte integrante della storia, della cultura e dell’anima americana).
Chissà se lo stesso laboratorio l’avesse lanciato l’Europa cosa ci avrebbe messo! Un Certificato di Credito tedesco, o una omogeneizzante Direttiva comunitaria di 200 pagine, suppongo.

Ma soprattutto il nesso con l’architettura e con l’urbs esiste nel momento in cui Scruton scrive:
E fornisce un’immagine di questa crisi europea: la fine di Bruxelles. “Gli Alleati hanno evitato che la città venisse bombardata durante la guerra, perché doveva essere il luogo della parata della vittoria e il simbolo della rinascita europea. Tuttavia, le istituzioni europee hanno colonizzato la città, distrutto la sua bellezza e dignità, sfigurandola con blocchi di edifici di cemento e vetro, simboli del vuoto morale che c’è dentro. Quando il progetto europeo fallirà, la città tornerà alle Fiandre, ma sarà una città senz’anima”.

Saranno tutte senz’anima le città europee, non solo Bruxelles, perché l’Europa cancella le tradizioni culturali dei tanti popoli che, sempre più forzosamente, ne fanno parte, ne omogeneizza i comportamenti non in forza di una nuova cultura vincente e assimilata ma con l’imperio delle leggi imposte da non eletti, con la violenza impersonale della burocrazia.

Dice ancora Scruton:
l’Europa deve far suo il patriottismo repubblicano di Machiavelli, Montesquieu e Mill, una forma di lealtà nazionale non patologica come il nazionalismo, bensì un amore naturale per il paese, per i connazionali e per la cultura che li accomuna”.

E Leonardo Benevolo inizia il suo La città nella storia d’Europa, Laterza, 1993, primo volume di una collana dal titolo “Fare l’Europa”, un libro scritto dunque tutto in chiave europea, con queste parole:
Le città europee nascono con l’Europa e in un certo senso fanno nascere l’Europa; sono una ragion d’essere, forse la principale, dell’entità storica distinta, continuano a caratterizzare la civiltà europea quando essa assume un posto dominante nel mondo, e danno un’impronta – positiva, negativa, ma in ogni caso preponderante – alle città contemporanee in ogni parte del mondo …. la storia degli organismi urbani è per sua natura una storia di casi particolari, che devono essere considerati in primo luogo uno per volta, e quasi tutte le città europee grandi e piccole sono state studiate in questo modo, di solito dai loro stessi cittadini: il senso dell’appartenenza a ciascuna di esse ha sollecitato, in diverse epoche, la ricostruzione letteraria o scientifica delle vicende materiali che hanno plasmato il loro volto.
Le vicende della forma fisica , derivanti dalle più varie combinazioni di fattori geografici e storici, formano una casistica ancor più differenziata che le vicende economiche, sociali, culturali, riconducibili più facilmente ad alcune caratteristiche concettuali
”.

La casistica delle città di questa Europa rischia di non essere più differenziata, di non avere più quei “casi particolari che hanno caratterizzato la civiltà europea” per il fatto che l’Europa insegue “progetti politico-morali universali” e perché “l’euro dei trattati firmati obbliga i paesi membri a far convergere i propri comportamenti, l’euro della visione politico-morale doveva obbligare gli stati a mutare la propria natura”.

Se l’Europa non cambia rotta, se non ritrova le proprie radici, che hanno molto in comune ma nella diversità e nelle differenze anche sostanziali, che hanno dato origine alla più grande civiltà urbana della storia dell’uomo, se non si abbandona il progetto politico-morale universale, cioè del “salvataggio del pianeta dal degrado, del contrasto alla povertà del terzo mondo, della diffusione dei diritti umani, di tutto ciò che si può ammantare della parola “sociale”, il potentissimo aggettivo capace, come diceva Hayek di ridurre tutte le idee alla vacuità”, se l’essenza della città sarà ridotta ad aspetti di funzionalità tecnologica adornata di principi “green”, del perbenismo verde cui è stato assegnato il ruolo di salvare il globo dall’uomo cattivo che lo popola in maniera esagerata, del nevrotico salutismo obbligatorio che anche i nostri governanti hanno "recepito" con il maldestro tentativo delle tasse sulle bollicine, se non ritroverà le ragioni stesse per cui sono nate, cresciute e modificate le città, ciascuna legata al proprio territorio e alla sua situazione geografica e morfologica, cioè quella di vivere in comunità, temo che non ci sarà solo la fine definitiva della città europea, già ampiamente martoriata negli ultimi sessant’anni, ma che si alimenterà l’odio tra i popoli europei (sempre gli stessi peraltro) e un nazionalismo patologico come reazione alla negazione delle nazioni.

Leggi tutto...

4 settembre 2012

ROB KRIER, UN ARTISTA RINASCIMENTALE

Sul profilo personale di Facebook di Rob Krier, ho trovato questo link straordinario che ci restituisce la figura di un artista rinascimentale:

di Rob Krier

Leggi tutto...

30 agosto 2012

BIENNALE NON D'AUTORE?

L’architettura è processo, coinvolge una pluralità di attori, dal committente, all’inquilino che la trasforma e una molteplicità di operatori progettuali….La Biennale e l’architettura non deve essere come XFactor , l’architettura non deve essere espressione di una autobiografia, ma professione collettiva, utile alleanza: non ha bisogno di geni”.
Pierluigi Panza ha scritto sul Corriere della Sera un articolo sul copyright alla Biennale di Venezia e cita questa frase di David Chipperfield che dichiara di essere contro l’opera d’autore.
Per essere pronunciata da un “autore” può suonare strana, però l’ha detta.
Non so come sia o sarà la Biennale, e nemmeno mi appassiona più di tanto, ma se fosse consequenziale al contenuto della frase potrebbe non essere peggio del solito.
Forse è per questo che Luigi Prestinenza Puglisi ne dice peste e corna.

Leggi tutto...

23 agosto 2012

LA "LUNGA EMERGENZA" E IL RIFIUTO DELLA REALTA'

di
Ettore Maria Mazzola


La crisi che sta mettendo in ginocchio il nostro Paese e l’intero pianeta, le false rassicurazioni di uscita dalla stessa dei nostri governanti, creano le giuste condizioni per riflettere sul messaggio di allarme lanciato alcuni anni fa da James Howard Kunstler.

Molto opportunamente nei giorni scorsi, sul blog “De-Architectura”, Pietro Pagliardini ha pubblicato il video dell’interessantissima conferenza “How Bad Architecture Wrecked Cities” tenuta da James Howard Kunstler nel lontano febbraio 2004.

Con l’occasione, Pietro ha anche gentilmente postato il link al mio articolo "Costruire con parsimonia" scritto all’indomani della tragedia di Fukushima.
Il motivo del collegamento è che, in quell’articolo, ponevo dei quesiti sull’attuale modo di costruire e consumare energia, del tutto in linea col pensiero di Kunstler.
James Howard Kunstler è un personaggio coraggioso e fantastico ... per questo è uno di quelli che danno fastidio.
Personalmente, ritengo il suo "The Long Emergency" (pubblicato in Italia dalla Nuovi Mondi col titolo di "Collasso - Come sopravvivere alla fine dell'era del petrolio a buon mercato”) un libro straordinario, altrettanto dicasi per il precedente "Geography of Nowhere".


Purtroppo, quelli di Kunstler sono discorsi che gli architetti, gli urbanisti, i petrolieri e gli industriali – ed i politici ai loro servigi – rifiutano di ascoltare ... resta però per lui la soddisfazione che mai nessuno sia ancora riuscito a smontare le sue parole, sulla fine del “petrolio a buon mercato” e sulla dipendenza di tutte le presunte energie alternative dal petrolio.
… Una ragione in più per rimboccarsi le maniche e ripensare al nostro futuro ed a quello dei nostri figli, prima del raggiungimento del punto di non ritorno ("The Long Emergency").

L’esistenza, nel web, di video sottotitolati in italiano come quello citato, è per me una grande speranza, la speranza che i nostri ignorantissimi politici, e l'enorme massa di pseudo-architetti e pseudo-urbanisti che infesta il nostro Paese, ascolti, o legga i sottotitoli di cui i video sono provvisti e, finalmente, comprenda che dal dopoguerra ad oggi abbiamo intrapreso una strada che non va da nessuna parte … se non al collasso della nostra presunta "civiltà".
Ascoltare certi discorsi, aiuta le persone di buona volontà a capire, una volta per tutte, che quello dell'architettura e dell'urbanistica non è un problema di "stile architettonico", ma di "stile di vita".
A tal proposito, ritengo anche molto utile un altro video, della stessa serie sottotitolata, relativo alla conferenza “Retrofitting Suburbia“ tenuta ad Atlanta nel gennaio 2010 da Ellen Dunham-Jones.
Nel video, la relatrice si spinge – anche se brevemente – a ricordare quelli che sono i disastrosi effetti collaterali sulla nostra salute dell'urbanistica fallimentare del dopoguerra, mostrando anche qualche esempio americano di rigenerazione urbana possibile.

Personalmente mi sento molto coinvolto da questi discorsi, e vorrei che in tanti, in Italia, lo fossimo.
Sono ormai tanti anni che “combatto” – spesso usando toni molto aspri e provocatori – nella speranza che certi architetti, certi pseudo-storici e "critici" di architettura comprendano la grande menzogna che ci è stata raccontata sui banchi universitari e sulle riviste patinate. Costoro dovrebbero smetterla di accusare di "passatismo" chi come me, rifiutando in nome del bene comune uno stile di vita sbagliato, promuova un tipo di architettura e di urbanistica a dimensione umana e rispettosa dei luoghi.
Per questo mi auguro che ascoltino Kunstler – CHE GUARDA CASO NON È UN ARCHITETTO! – e apprendano dalle sue parole una serie di termini come "senso di appartenenza", "grammatica", "definizione dello spazio", ecc. … se mai riuscissero ad essere umili, costoro potrebbero finalmente, rivedere le proprie posizioni, troppo spesso arroganti, ignoranti e presuntuose.
Gli architetti infatti – ma anche tutti gli urbanisti, i costruttori e gli amministratori della cosa pubblica – che presumono di poter fare ciò che vogliono in nome di una ipotetica modernità dettata dalla propria ideologia, oppure in nome di una distorta visione della libertà a danno degli altri, dovrebbero sempre ricordare che questo pianeta ci è dato prestito dalle generazioni future che, si suppone, gradirebbero vederselo “riconsegnato” ancora salubre e fruibile.

A seguito del dibattito scaturito dai post precedenti, Pietro Pagliardini ha pubblicato alcune sue ulteriori riflessioni nel post, “Leonardo Benevolo e la Città del Movimento Moderno

Questo articolo pone a confronto un estratto de “La città nella storia europea” (Edizioni Laterza, 1993), di Benevolo, e il contenuto della conferenza di Kunstler.
Al termine della citazione del testo di Benevolo, Pagliardini scrive: “Una sintesi onnicomprensiva e perfetta di un periodo storico, con una conclusione (e un tono complessivo) che però mostra la mancata presa di distanza da quel modello, soprattutto delle ricadute, dell’applicazione di quel modello sull’attuale deserto urbano”. Suggerisco vivamente a tutti di leggere il testo completo, sia di Benevolo che di Pagliardini.

Personalmente direi che il testo di Benevolo, come Pagliardini ha fatto notare, non solo non prenda le distanze da quelle scelte che hanno condotto l’architettura al triste punto in cui viviamo, ma che addirittura abbia voluto giustificarle ed enfatizzarle, tanto da “ringraziare” il movimento modernista per le teorie moderniste sviluppate nel quinquennio ’24 – ’29 che, a quanto l’autore sostiene, spianarono la strada verso la “liberazione dai condizionamenti del passato” aiutando le città a migliorarsi.

Benevolo dice: “È il climax della cultura artistica europea, che taglia nello stesso tempo i legami con la tradizione propria dell’Europa e offre una base concettuale utilizzabile in tutto il mondo, per modernizzare ogni altra tradizione … Per spezzare le limitazioni della teoria e della pratica post-liberale, bisognava passare attraverso la tabula rasa, sgomberare una volta per tutte l’enorme carico delle forme convenzionali dedotte dal passato (...) Si perde la continuità soggettiva con la vicenda europea, per recuperare la comprensione oggettiva dell’intera serie degli interventi umani nel paesaggio terrestre (…)”.

E ancora: “ma senza lo strappo, la consapevole presa di distanza, non si sarebbe potuto affrontare seriamente la progettazione della città moderna, riconoscere la molteplicità delle esigenze da sintetizzare e anche la ricchezza delle tradizioni locali, da sottrarre alle schematizzazioni degli stili”. … in poche parole la madre di tutte le pippe mentali che crearono le premesse “culturali” che hanno consentito agli architetti di abusare a proprio piacimento delle nostre città, conducendole verso il delirio attuale!! Quelle pippe mentali che, nel fare tabula rasa, dimenticarono intenzionalmente quanto di buono era stato sviluppato nel primissimo Novecento.

Benevolo, nel suo racconto parziale del modernismo, dimentica infatti di far notare che, proprio all'indomani di quel quinquennio che lui sembra voler osannare, qui in Italia (ma anche altrove) nacquero i primi veri problemi delle città.

Infatti, fino alla legge del '25 sui Governatorati, che portò anche all'esautoramento dell'ICP – che fino ad allora costruiva meravigliosamente in proprio e per conto terzi risultando un Ente florido e non in perdita – le cose non erano andate affatto male, le prime esperienze delle "città giardino all'italiana" di Giovannoni & co., anni luce diverse da quelle estere, avevano infatti generato – senza alcuna necessità di fare "tabula rasa" – gli ultimi quartieri degni di esser annoverati tra i luoghi "urbani" piacevoli da vivere, e in grado di generare quel "senso di appartenenza e di comunità” tanto importante per i residenti ... i casi romani che ho più volte elencato lo dimostrano.

Quanto al testo di Pagliardini, sebbene condivida totalmente il suo scetticismo sul "New Urbanism" e sul suo approccio al problema, non riesco ad essere d'accordo quando definisce "catastrofista" il discorso di Kunstler sull'esaurimento del petrolio.
E' infatti stato scientificamente dimostrato – e Kunstler in "The Long Emergency" cita le autorevoli fonti scientifiche cui attinge … tant'è che nessuno l'ha potuto smentire – che il petrolio è in fase di esaurimento, per la precisione i dati presentati da Kunstler nel 2005 davano altri 34 anni di petrolio estraibile, sebbene a costi crescenti, dopo di che il costo di estrazione supererà quello dell'estratto e non sarà più logico procedere alle trivellazioni! Non è un caso se le principali guerre che hanno insanguinato il pianeta negli ultimi anni si siano concentrate in quella "sfortunata" regione che, diagrammi alla mano, vede la presenza del petrolio ancora di poco al di sotto del picco massimo ... altro che talebani e motivi religiosi! Ma questo è un altro argomento che necessiterebbe lunghe discussioni che esulano da questo contesto.

Per questo motivo, se mai dovessi fare una critica a Kunstler, cosa che non mi pare giusta visto che stiamo parlando di un giornalista e non di un progettista, dovrei far notare che nei suoi scritti manchino delle proposte concrete.

Kunstler si limita voler far riflettere la gente, egli fa un ammonimento che solo la miopia dei potenti della terra non vuole raccogliere.

Le grandi lobbies del petrolio e degli armamenti hanno infatti tentato, attraverso la consueta manipolazione dei media, di screditare i discorsi di Kunstler, mettendo in giro l’accusa di catastrofismo … mai però è stato dimostrata!

Del resto, l’arrogante affermazione di G. W. Bush “Lo stile di vita americano non è negoziabile!” lascia capire tante cose sull’ottusità dei cosiddetti “potenti della Terra” e dei loro burattinai!

Spetta quindi a noi progettisti a raccogliere il grido di allarme, e spetta soprattutto al corpo docente delle nostre università farlo, perché è lì che le teorie e le ricerche dovrebbero svilupparsi al di là delle ideologie ed in nome del bene comune.

Questo è uno dei motivi principali che mi anima, e che mi espone alle critiche – spesso sterili – di chi, non volendo cambiare il suo modo di fare e pensare, preferisce accusare di "passatismo" la mia attenzione e il mio interesse a recuperare l'esperienza dei nostri predecessori (anche molto recenti) per poter pianificare un futuro migliore, non per noi, ma per le generazioni a venire.

Il messaggio di Kunstler è forte e chiaro: fermatevi e riflettete ora che siete ancora in tempo per migliorare le cose ... quando comincerà la "lunga emergenza" non ci sarà più spazio per pensare, ma solo tentativi, violenti, per accaparrarsi le ultime risorse di greggio disponibili e sopravvivere nel nostro “stile di vita” distorto ... ma, si badi, egli ci ricorda anche che quei tentativi sono già iniziati, anche se mascherati da presunte ragioni religiose.

Leggi tutto...

22 agosto 2012

EGEMONIA DEL PARAMETRICISMO? E' COME AUSPICARE UNA EPIDEMIA!

di
Ettore Maria Mazzola


Recentemente, sul blog “amatelarchitettura.com” è apparso un articolo che intendeva far riflettere sul significato, e giustificarne l’aspetto, dell’orribile Casa della Musica realizzata da Rem Koolhaas a Porto. Questo è il link:
Cu nasci tunnu un’ pò moriri quadratu

Volendo dimostrare il fatto che i posteri arrivano sempre a dimostrare la validità di un’opera incompresa dai suoi contemporanei, l’autore del post aveva redatto una ipotetica critica scritta da un iguvino del ‘300 disturbato dalla realizzazione del Palazzo dei Consoli della sua città.
A quel post aveva fatto seguito un altro post, apparso su De Architectura, nel quale Pietro Pagliardini dimostrava l’assurdità del contenuto dell’articolo in questione. Questo è il link:
Gattapone archistar?

Ne è scaturito un acceso dibattito, provocato anche dal mio intervento, “not really politically correct”, con il quale esponevo le ragioni per cui ritenevo che Pagliardini fosse stato troppo magnanimo nei confronti dell’anonimo autore del post su Koolhaas e Gubbio.


A chiarire ulteriormente le ragioni per cui il testo su Koolhaas e Gubbio fosse fuori luogo, Pagliardini ha pubblicato un nuovo post, molto ben articolato, col quale discute di argomenti poco digeribili da parte dei sostenitori di Koolhaas & co., vale a dire se si debba svolgere la professione all’interno di regole universalmente riconosciute, oppure se sia meglio fregarsene in nome del “fuck the context”, slogan e vera e propria ragione di vita dell’architetto olandese.
Questo è il link:
Gattapone ovvero delle regole vs la casualità

Nell’articolo, stimolato dal mio commento nel quale raccontavo del mio scontro con Patrick Schumacher (teorico del “parametricismo”) in occasione di una conferenza/confronto tenutasi a Londra un paio di anni fa, Pagliardini ha parlato del modo di progettare dei cosiddetti “parametricisti”, dimostrando come, alla fin fine, il progetto venga elaborato più dal computer che dall’architetto che ne faccia uso.
La progettazione parametrica è proprio quella descritta da Pagliardini, una progettazione nella quale i presunti "schizzi" di Zaha, possono tramutarsi in "architetture" solo grazie agli “schiavetti” in grado di gestire il software, adattando il modellatore CAD affinché esca fuori qualcosa che assomigli allo scarabocchio iniziale … un po’ pochino per essere considerati delle archistars!
Generalmente infatti, queste archistars non sanno nemmeno come il loro progetto sia venuto fuori, e gli ingegneri che (come nel caso del MAXXI) sono riusciti a farlo stare in piedi, resteranno degli illustri sconosciuti pur essendo i reali realizzatori dell'opera.
Vale a dire che tutti quei sindaci, affamati di fama, che spendono una barca di soldi pubblici per portare nelle “loro” città la griffe dell'archistar di turno, portano nel “loro” territorio il lavoro di un computer passato attraverso le dita di qualche giovane “smanettatore” (magari sottopagato perché sta facendo esperienza!) che resterà sempre ignoto all’umanità.

Agli architetti incapaci – come Zaha e Patrick Schumacher – di progettare in maniera rispettosa della tradizione, ovvero quegli architetti che condannano chi lo faccia di falsificare la storia, o di essere passatisti, non comporta alcun senso di colpa realizzare opere che, oltre a non essere state disegnate da loro, risultano anche essere il clone di porcherie similari.

Questo modo di progettare porta infatti a delle “opere” che sono il risultato dell'uso di softwares che lavorano per modelli precostituiti … ecco il perché il MAXXI e l'obbrobrioso museo di Liverpool sembrano essere usciti dallo stesso stampo!

In pratica, siamo davanti ad un modo molto facile per potersi sentire architetti, anche se si è incapaci di progettare, è la legge parassita della nostra società, una società basata sul principio del "massimo del guadagno con il minimo dello sforzo".
... Forse Schumacher intendeva questo quando ha affermato che il "parametricismo" sarebbe divenuto la "tradizione egemone" ... le colonie di parassiti infatti, come le cellule cancerose, quando vengono ad “avere la vita facile”, si moltiplicano a dismisura a danno delle cellule sane e, se non si provvede a fermarle in tempo, finiscono per distruggere ciò che le circonda!
Mi dispiace per l'orrendo paragone finale, ma ogni tanto è necessario arrivare a tanto per portare la gente a riflettere!

Leggi tutto...

21 agosto 2012

LEONARDO BENEVOLO E LA CITTA' DEL MOVIMENTO MODERNO

Da Leonardo Benevolo, La città nella storia europea,Edizioni Laterza, 1993.
I grassetti sono i miei, i corsivi dell’autore:

L’invenzione di una nuova città
…Nei primi due decenni del ‘900 [queste] due linee di esperienze si incontrano. Infatti:
- La ricerca artistica smaltisce, nella sua accelerazione, tutto il repertorio delle forme accumulate in passato, e arriva alla “parete nuda” (Kandisky), disponibile per un’invenzione totalmente nuova;
- La sperimentazione concreta, ingrandendo la scala degli interventi pubblici sussidiari e sperimentali – i quartieri di edilizia sovvenzionata, le città giardino – si accorge che l’urbanizzazione pubblica può diventare un metodo alternativo per lo sviluppo della città e una chiave per ricostruire, in senso moderno, l’equilibrio tra scelte individuali e collettive.

L’amministrazione e gli operatori si spartiscono i compiti nel tempo, non nello spazio; l’amministrazione acquista i terreni da trasformare , li sistema e cede le porzioni fabbricabili ai vari operatori pubblici e privati, in pareggio economico. Diventa possibile disegnare la sistemazione complessiva, senza l’ostacolo dei confini di proprietà, e i singoli edifici, senza la pressione della rendita fondiaria; così si apre lo spazio per una progettazione nuova in cui è pronta a inserirsi la cultura artistica finalmente liberata dai condizionamenti del passato.

Le due linee convergono così verso un risultato unico: da un lato reintrodurre l’invenzione artistica nelle varie scale della progettazione urbana, dall’altro trasformare la pianificazione in una combinazione razionale di interessi pubblici e privati componibili tra loro dentro le regole del mercato e della competizione imprenditoriale. La posta è un nuovo assetto della città, considerata in tutta l’estensione del suo significato, come quadro fisico in cui la vita umana può acquistare il suo intero valore….

..Il movimento che è stato chiamato dell’”architettura moderna” coglie con estrema tempestività il momento in cui le molte fila da riannodare sono aperte e disponibili: l’esaurimento della ricerca pittorica post-cubista, il desiderio di una nuova integrazione di valori dopo la tragedia della prima guerra mondiale, i grandi programmi di ricostruzione del dopoguerra, l’inizio di una comprensione scientifica dei comportamenti individuali e collettivi. Il tentativo è compresso in un tempo brevissimo – tra la ripresa economica del ’24 e la crisi del ’29 – ma imprime una svolta durevole alla cultura europea: progettisti di molte esperienze imparano a collaborare tra loro nel Bauhaus di Gropius e da questo crogiolo escono le più straordinarie esperienzae architettoniche comparse in Europa da molti secoli: Mies van der Rohe, Le Corbusier, Alvar Aalto.
E’ il climax della cultura artistica europea, che taglia nello stesso tempo i legami con la tradizione propria dell’Europa e offre una base concettuale utilizzabile in tutto il mondo, per modernizzare ogni altra tradizione…..Per spezzare le limitazioni della teoria e della pratica post-liberale, bisognava passare attraverso la tabula rasa, sgomberare una volta per tutte l’enorme carico delle forme convenzionali dedotte dal passato….. Si perde la continuità soggettiva con la vicenda europea, per recuperare la comprensione oggettiva dell’intera serie degli interventi umani nel paesaggio terrestre….

Il ruolo della città, come sistema paesistico contrapposto al territorio, diventa necessariamente problematico: il quadro della nuova progettazione è l’intero ambiente geografico ed entro questo quadro la città va nuovamente definita a ragion veduta.
Si distinguono le funzioni della città: abitare, lavorare, coltivare il corpo e lo spirito (Le Corbusier), e si definiscono i loro caratteri in contrapposizione con la città post-liberale. La residenza, dove si trascorre la maggior parte della giornata, diventa l’elemento più importante della città, ma è inseparabile dai servizi che formano i suoi “prolungamenti”; la attività produttive determinano i tre tipi di fondamentali di insediamento umano: la città sparsa nel territorio, la città lineare industriale, la città radiocentrica degli scambi; le attività ricreative richiedono un’abbondanza di spazi liberi, che non basta concentrare in certe zone, ma devono formare uno spazio unico dove tutti gli altri elementi siano liberamente distribuiti (il parco ottocentesco prefigura la nuova città, che è un grande parco attrezzato per tutte le necessità della vita urbana); la circolazione dev’esser selezionata secondo le necessità dei vari mezzi di trasporto e alla rue-corridor va sostituito un sistema di percorsi separati per i pedoni, le biciclette, i veicoli lenti e i veicoli veloci, tracciati nello spazio continuo della città-parco…..
I primi tentativi su questa strada son risultati spesso utopistici e approssimativi; ma senza lo strappo, la consapevole presa di distanza, non si sarebbe potuto affrontare seriamente la progettazione della città moderna, riconoscere la molteplicità delle esigenze da sintetizzare e anche la ricchezza delle tradizioni locali, da sottrarre alle schematizzazioni degli stili
.

Una sintesi onnicomprensiva e perfetta di un periodo storico, con una conclusione (e un tono complessivo) che però mostra la mancata presa di distanza da quel modello, soprattutto delle ricadute, dell’applicazione di quel modello sull’attuale deserto urbano. Sono riproposti in questo brano tutti i principali temi di quel periodo storico che ha prodotto l’attuale modernità. Alcuni poi sono addirittura all’ordine del giorno del dibattito contemporaneo, come la specializzazione dei percorsi urbani.
Se si mette in sequenza questo testo con la breve lezione di J.H. Kunstler del post precedente, ecco che ognuno dei criteri del Movimento Moderno viene smontato pezzo per pezzo, fino a dire che di ognuno di quei criteri è necessario applicare il suo opposto per tentare di recuperare le nostre città ad una civile vita urbana:
- la campagna che entra nella città come un piano continuo in cui liberamente si appoggiano i vari edifici diversi per funzione creando uno spazio indistinto, un vuoto fisico e un vuoto dell’anima, diventa la definizione dei confini urbani, la netta differenza qualitativa tra lo spazio urbano e quello naturale;
- alla dispersione dell’urbanizzazione nel territorio per zone specializzate si deve opporre la concentrazione della città con la commistione delle diverse attività;
- alla specializzazione dei percorsi si deve opporre la rue-corridor, la strada tradizionale stretta tra cortine di edifici e caratterizzata dalla pluralità delle funzioni e dall’integrazione, dalla prossimità, dalla naturale pedonalità, dalla permeabilità, come dice Kunstler, cioè dal fatto che c’è scambio continuo tra gli edifici e la strada stessa.

Come non vedere, inoltre, nel MM una ideologia totalizzante di chi si sente investito della missione di cambiare il mondo, di creare l’uomo nuovo, attraverso una progettazione integrale di ogni parte del territorio? Lo stesso Benevolo lo riconosce quando scrive: ”Si perde la continuità soggettiva con la vicenda europea, per recuperare la comprensione oggettiva dell’intera serie degli interventi umani nel paesaggio terrestre

C’è quindi alla base del MM una visione di tipo “morale”, in perfetta analogia con le ideologie del secolo breve, l’epoca delle grandi visioni politiche che hanno prodotto le più grandi catastrofi della storia, così come il MM ha prodotto l’era della disgregazione delle città e la perdita della conoscenza, delle regole per costruire la città, avendo azzerato nella teoria, ma anche nella memoria della cultura urbanistica e architettonica, ogni ricordo, ogni canone, ogni esperienza, se non cristalizzandola e museificandola nelle espressioni di “centro storico” e “monumento”.

Per questo motivo, personalmente non apprezzo molto di Kunstler e del New Urbanism l’insistere in maniera ideologica su aspetti che hanno anch’essi un background di tipo morale, quali quelli ambientalistico-catastrofistici sull’esaurimento delle risorse petrolifere (che in verità non sono esaurite ma il cui prezzo è destinato ad aumentare per l’incremento della domanda da parte dei paesi emergenti e per ragioni geo-politiche e se anche fosse finito non ci sarebbe da compiacersene), proprio perché anch’essi si presentano, nell’ansia di voler dimostrare gli errori commessi, come una visione “globale” che coinvolge ogni aspetto della vita degli uomini e il loro “stile di vita”. E dal voler cambiare lo stile di vita all’”uomo nuovo” il passo è breve.

Non serve l’uomo nuovo, serve la città nuova, cioè la città tradizionale, in cui l’uomo di sempre, l'uomo e basta, abbia la possibilità di comportarsi da cittadino di una comunità di persone. La città nuova serve anche per motivi energetici, ma servirebbe anche se il petrolio costasse poco.

Non c’è bisogno di ricorrere a queste visioni perché si rischia lo stesso abbaglio ideologico del secolo scorso, dato che è sufficiente la presa d’atto degli errori fatti e la necessità di rivalutare il principio civile di cittadinanza, proprio come afferma molto opportunamente lo stesso Kunstler nell’intervista, non considerando cioè i cittadini solo come consumatori ma come esseri umani che hanno la necessità di vivere in una comunità che offra loro la possibilità di avere una vita urbana piena, civile e accogliente e in essa poter dispiegare tutta la ricchezza e la varietà di attività, interessi, rapporti, emozioni che il diritto di cittadinanza è in grado di offrire.
La città tradizionale ne è la premessa indispensabile perché ciò avvenga, un mezzo e non un fine di ordine morale.

Leggi tutto...

19 agosto 2012

JAMES HOWARD KUNSTLER: VIDEO

Su segnalazione di un'amica, propongo un altro video, questa volta di James Howard Kunstler, sulla città americana.
Questa volta però, contrariamente al video precedente, i concetti che Kunstler esprime sono perfettamente validi anche per le nostre città europee e italiane.
Tra l'altro il video è anche molto divertente perchè Kunstler è brillante e ha il dono di dire cose intelligenti e importanti con grande umorismo.
Al solito, il video può essere sottotitolato in italiano.


Altri post su Kunstler
- LA SOSTENIBILITA' DI JAMES KUNSTLER E QUELLA DI CASA NOSTRA
- COSTRUIRE CON PARSIMONIA, di Ettore Maria Mazzola

Leggi tutto...

17 agosto 2012

RETROFITTING SUBURBIA-VIDEO

Pubblico il link ad un video dal titolo "Retrofitting suburbia" che illustra principi ed esempi di come restituire alla città aree dismesse destinate a parcheggio o a grandi centri commerciali oppure insediamenti tipici dello sprawl americano.
E' evidente che l'esperienza, la cultura e il territorio americano sono molto diversi rispetto all'Europa e non sono riproducibili sic et simpliceter, tuttavia l'approccio concettuale resta di notevole interesse. In fondo è il concetto di densificazione a guidare queste esperienze.
Singolare la coesistenza di due mentalità che a me appaiono contrastanti e che guidano tutta l'esposizione:
da una parte la cifra prevalente è quella di un grande pragmatismo dove è l'operazione economica, e quindi il profitto, a determinare l'interesse e la fattibilità per gli investitori; dall'altra gli argomenti utilizzati a supporto dell'abbandono dello sprawl e della densificazione sono impostati, per lo più, sulla forma più acritica del "politicamente corretto", basandosi tutto sul cambiamento climatico, tutto da dimostrare, a maggior ragione quello per cause antropiche, e su una smisurata fiducia sulla previsione di come evolverà la società addirittura nei prossimi 100 anni.
Informo che il video è sottotitolato anche in italiano, basta selezionare la funzione nella barra del video, in basso a destra .

Leggi tutto...

15 agosto 2012

GATTAPONE, OVVERO DELLE REGOLE V/S LA CASUALITA'

Il post precedente, immediata risposta a quello di amatelarchitettura su Gubbio, merita un approfondimento, anche alla luce di un primo commento, molto ideologico, lasciato in quel blog.

In particolare è dell’architettura del complesso del Palazzo dei Consoli, costituito dal Palazzo dei Consoli vero e proprio, dalla piazza posta a livello della via dei Consoli, che costituisce copertura per un edificio di due piani, e il Palazzo dei Priori, che mi interessa sottolineare la grande “modernità”, elemento questo che può avere tratto in inganno l’autore del post di amatelarchitettura.
Certo bisogna intendersi sul termine modernità, non quella legata al periodo storico di sviluppo della società industriale, che ha trovato la sua espressione architettonica nel Movimento Moderno, rimasto congelato in un modernismo d’antiquariato e conservatore che ha perso ogni rapporto con la realtà dell’abitare individuale e collettivo, con l’architettura e la città, che ha mummificato l’idea della “tabula rasa” rispetto ai canoni di cui si era alimentata la tradizione, che ha perduto la spinta originaria, sbagliata ma comprensibile per le mutate condizioni economiche e sociali e l’impetuoso urbanesimo, e che ha perduto la percezione stessa del motivo per cui esiste la città e le parti che la compongono, cioè l’ambiente di vita più adatto all’uomo, al suo creatore cioè.


Per modernità, riferita all’architettura, intendo ciò che ancora oggi è attuale e vitale, indipendentemente dall’età anagrafica del manufatto, e che risponde alle varie esigenze della vita individuale e collettiva: modernità dell’essere e non dell’apparire.

Ebbene io credo che l’autore del post di amatelarchitettura, Qfwfq, abbia avuto una suggestione, abbia intuito la modernità del Palazzo dei Consoli, ma abbia avuta questa intuizione guardando il progetto di Koolhaas a Porto e, da questo abbagliato per puri motivi formali, abbia sentito il bisogno di giustificare quel progetto, diversamente privo di alcun significato se non di pura autoreferenzialità, appoggiandosi alla modernità di Gattapone, l’architetto del 1300. Ha insomma voluto fornire un sostegno di dignità storica e culturale alla Casa della Musica, ha compiuto un’operazione inversa, forse per non sentirsi troppo fuori moda, e ha ribaltato la realtà, facendo di Gattapone una archistar ante literram, piuttosto che di una archistar un improbabile seguace di Guattapone. Avrebbe cioè finito per dare dignità culturale al Palazzo dei Consoli grazie a…Rem Koolhaas. Io credo che Rem Koolhaas sarebbe il primo a contestare del tutto questa idea, intanto perché è ideologicamente indifferente al contesto, “’fanculo il contesto” è la sua cifra, e poi perché non credo sia affatto ignorante o stupido e saprebbe leggere con maggiore acume il complesso del Palazzo dei Consoli.

In vero, la forma vagamente psicanalitica di questa mia analisi, è solo un artificio retorico per esprimere in maniera discorsiva un concetto, rimanendo cioè nel rapporto dialogico tra due persone e tra due idee, e quindi non è riferita direttamente a quella specifica persona, Qfwfq, ma ad una forma mentis diffusa tra gli architetti, una rappresentazione di due modi opposti di attribuire significati alle medesime architetture. Nè vale discutere troppo sulla forma ironica e/o provocatoria di quel post, ancorchè stimolante, perchè ciò che emerge chiaro anche dai commenti è una interpretazione molto "seria" di quanto affermato.

Perché dunque il Palazzo dei Consoli “è” e “appare” moderno, tanto da meritare un confronto - e resto nel gioco surreale del ribaltamento dei meriti - con la Casa della Musica?
Cominciamo “dall’apparire moderno".
Se si astrae il complesso dal suo contesto, come nella foto iniziale, un plastico tratto da l’Italia in miniatura ed elaborato al computer per ridurlo alle sue linee essenziali, privarlo di decorazione, smaterializzarlo insomma per renderlo astratto secondo il gusto modernista, si può comprendere che:
si tratta di una “piastra” di due piani dalla quale spiccano due “torri” parallelepipede - e pure con poche finestre, che è il massimo per l’architettura del purismo - e con una decorazione misurata in una delle due e quasi assente nell’altra.
Quanti progetti moderni, in senso cronologico, di questo tipo esistono! Due esempi famosi, la Lever House di SMO, con una sola torre, e la Biblioteca Nazionale di Francia a Parigi, con quattro torri.
Il complesso “Palazzo dei Consoli” è tipologicamente una piastra ridotta ai suoi elementi essenziali e quindi niente di strano che questo insieme offra suggestioni all’architetto modernista, anche se di questo suo aspetto tipologico colpisce più il parallelepipedo che emerge e svetta su tutta Gubbio piuttosto che il sistema nel suo insieme.

E veniamo “all’essere moderno".
Se è vero che il progetto è una piastra, è però vero che la forma in cui si presenta oggi questa tipologia è del tutto diversa ed opposta. Si faccia una ricerca su google con le chiavi “edifici a piastra immagini” e appariranno: ospedali, sedi di grandi aziende, università, grandi complessi commerciali, edifici fieristici, vale a dire edifici specialistici. Ma non basta, perché tutti presentano una caratteristica comune: sono complessi unitari a sé stanti, sono oggetti “calati dall’alto”, questi sì, come scrive Qfwfq nel suo post, che vivono di vita propria e potrebbero essere collocati ovunque. E’ l’idea stessa di piastra a richiederlo: il piano terra, la piastra vera e propria, contiene la distribuzione e tutti i servizi comuni necessari e al servizio delle funzioni svolte negli edifici specializzati a torre.
Il Palazzo dei Consoli no, perché la piastra non è una scelta tipologica coscientemente teorizzata ma è la risoluzione straordinaria di un problema urbano e architettonico che appartiene a quel luogo e solo a quello. La piastra di due piani è utile ad assorbire il forte dislivello tra la strada maestra superiore e quella parallela inferiore e per creare una piazza pubblica pianeggiante, e allo stesso tempo terrazza panoramica sulla città, al livello di via dei Consoli, nel luogo centrale in cui convergono le due strade principali e dove, per questo, si incontrano tutti i quartieri. Non solo: al piano strada inferiore vi sono fondi di servizio alla strada stessa, più che agli edifici sovrastanti.

Quello è il luogo sacro, - in senso civile - della comunità, è lo spazio pubblico in cui tutti si potevano riconoscere e si riconoscono tutt’ora, che meritava due palazzi che eccellessero anche in dimensioni, con uno spazio pubblico aperto, la piazza, e uno pubblico interno, l’Arengo al piano primo del Palazzo dei Consoli, una vera e propria piazza al coperto unita a quella all’aperto dalla splendida scalinata:
A questo punto passiamo al termine di paragone, alla Casa della Musica di Rem Koolhaas.

Architettonicamente siamo in presenza di un’astronave, oggetto quindi caduto dall’alto, che ha aperto il portello e ha allungato la scala. Mi pare sia del tutto evidente la simbologia, chiamiamola così, l’idea guida. La forma esterna suggerisce certamente la presenza al suo interno di almeno una sala pubblica (che sia musica, o convegni o altro bisogna saperlo, ovviamente). Ma dove è atterrata questa astronave? In uno spazio indifferenziato, come se avesse scelto quello più adatto ad un atterraggio sicuro. La sua unica relazione è con il terreno, nel senso letterale del termine, perché sembra esserci letteralmente penetrata con la carena.

Questa la descrizione che ne fa l’autore nel suo sito:
La localizzazione della Casa della Musica è stata la chiave dello sviluppo del pensiero di OMA; abbiamo scelto di non costruire la nuova sala concerti sull’anello di vecchi edifici che definiscono la Rotonda, ma di creare un edificio isolato che si appoggia su un piano di travertino davanti al Parco della Rotonda, confinante con un quartiere operaio. Con questo concetto, i problemi del simbolismo, la visibilità e l'accesso sono state risolte in un solo gesto”.
Fantastica descrizione! Nella prima parte è chiara la volontà di non trovare alcuna relazione con la Rotonda e con la città, di rifiutare cioè l’anello, l’elemento urbanistico forte di quell’area. Nella seconda mi sembra vi sia una fumosa accondiscendenza al “sociale” non ben comprensibile, mentre è chiarissimo l’atteggiamento progettuale riassumibile nel “gesto”. Quindi inutile perdersi in discussioni sull’inserimento perché, quand’anche non ce lo avesse spiegato l’autore, basta questa foto a spiegarla.
Sull’edificio che altro dire! E’ instabile, come si conviene ad una astronave senza gambe appena atterrata e conficcatasi al suolo.
Siamo agli antipodi di Gubbio, proveniamo da un altro pianeta e qui non ci troviamo molto a nostro agio.
Perché andare a cercare relazioni inesistenti e impossibili quando lo stesso progettista le rifiuta per scelta? Siamo nella modernità apparente, nella modernità modaiola il cui valore sta al massimo nella funzione che vi si svolge, merito questo, e onere, del committente e del gestore, non dell’architetto, cui è demandato il compito, che spero sia stato assolto, di risolvere la funzionalità interna. Siamo nel campo del rifiuto preconcetto della città a favore dell’oggetto singolare e “diverso”. Siamo nel campo dell’immagine, dell’effimero, del provvisorio.
Il Palazzo dei Consoli invece sta là da 700 anni, saldamente ancorato al suolo e legato alle strade, alla città, alla comunità; funziona ancora, è il simbolo di una città per i suoi cittadini e per chi la visita.
Ma di cosa stiamo parlando, in effetti?


Credits:
Immagini tratte da:
Italia in miniatura, Bings map, Sito ufficiale OMA

Leggi tutto...

Etichette

Alemanno Alexander Andrés Duany Angelo Crespi Anti-architettura Ara Pacis Archistar Architettura sacra Archiwatch Asor Rosa Augé Aulenti Autosomiglianza Avanguardia Barocco Bauhaus Bauman Bellezza Benevolo Betksy Biennale Bilbao Bontempi Borromini Botta Brunelleschi Bruno Zevi CIAM Cacciari Calatrava Calthorpe Caniggia Carta di Atene Centro storico Cesare Brandi Christopher Alexander Cina Ciro Lomonte Città Città ideale CityLife David Fisher Deridda Diamanti Disegno urbano Dubai E.M. Mazzola EUR Eisenmann Expo2015 Frattali Fuksas Galli della Loggia Gehry Genius Loci Gerusalemme Giovannoni Gregotti Grifoni Gropius Guggenheim Hans Hollein Hassan Fathy Herzog Howard Il Covile Isozaki J.Jacobs Jean Nouvel Koolhaas L'Aquila L.B.Alberti La Cecla Langone Le Corbusier Leon krier Leonardo Ricci Les Halles Libeskind Los Léon Krier MVRDV Maffei Mancuso Marco Romano Meier Milano Modernismo Movimento Moderno Muratore Muratori Musica Natalini New Urbanism New York New York Times New towns Nikos Salìngaros Norman Foster Novoli Ouroussoff PEEP Pagano Palladio Paolo Marconi Petruccioli Piacentini Picasso Pincio Pittura Platone Popper Portoghesi Poundbury Prestinenza Puglisi Principe Carlo Purini Quinlan Terry Referendum Renzo Piano Ricciotti Robert Adam Rogers Ruskin S.Giedion Sagrada Familia Salingaros Salzano Salìngaros Sangallo Sant'Elia Scruton Severino Star system Stefano Boeri Strade Tagliaventi Tentori Terragni Tom Wolfe Tradizione Umberto Eco Valadier Valle Verdelli Vilma Torselli Viollet le Duc Vitruvio Wrigth Zaha Hadid antico appartenenza architettura vernacolare arezzo bio-architettura cervellati città-giardino civitas concorsi concorsi architettura contemporaneità cultura del progetto cupola densificazione falso storico globalizzazione grattacielo identità leonardo levatrice modernità moderno naturale new-town paesaggio periferie restauro riconoscibilità rinascimento risorse scienza sgarbi sostenibilità sprawl steil toscana università zonizzazione