Rubo letteralmente dal sito Archiwatch un video in cui Antonio Paolucci, Direttore dei Musei Vaticani, storico dell'arte nochè grande e seducente comunicatore e divulgatore, oltre a raccontarci come il consumo di cultura e di arte segua direttamente la crescita o la decrescita economica del paese - con questo mettendo un punto fermo sul luogo comune che i "servizi" o gli "eventi" producano reddito quasi fossero indipendenti da tutto il resto - fa una impietosa e veritiera analisi delle condizioni in cui versano le città e il paesaggio italiano, a far data dalla seconda guerra mondiale.
Paolucci ha ben chiaro il fatto che è stato dissipato un vero patrimonio di "bellezza" che costituiva un patrimonio economico alla voce "turismo", oltre ad un grande patrimonio alla voce "cultura di un popolo", a causa del combinato disposto della enorme quantità del costruito degli ultimi 60 anni con la pessima qualità dello stesso.
Paolucci non attribuisce le responsabilità a questo o quel soggetto ma, per restare in casa nostra, gli architetti devono fare i conti con se stessi e riflettere sulle loro responsabilità, che sono enormi, non cercando di nascondersi dietro quelle della politica, della speculazione, delle varie mafie, che sono gigantesche, ma che sono state le scuderie che hanno fornito l'auto, il motore che ha corso, e di cui gli architetti sono stati, in buona parte, i piloti, coloro che hanno determinato la condotta di gara, che hanno fatto la scelta delle gomme.
Non abbiamo determinato noi architetti le quantità, di certo, ma buona parte della scadentissima qualità certamente sì.
Noi abbiamo fatto i piani urbanistici, poi peggiorati ulteriormente dagli interessi e dai decisori, noi abbiamo costruito edifici pessimi, poi ulteriormente peggiorati per lucrare. Ma noi, da soli, abbiamo determinato il fallimento dell'edilizia residenziale pubblica, cullati e accarezzati da una classe politica in cerca di consenso e potere.
Noi architetti ci esaltiamo per il MAXXI e i grattacieli a Roma, ed elucubriamo sulle magnifiche sorti e progressive della contemporaneità architettonica, semmai lamentandoci che è troppo poco per entrare in gara con i corrispondenti MAXXI e grattacieli del mondo.
Noi ci siamo inventati di sana pianta l'esistenza dell'effetto Bilbao, come se Bilbao vivesse del museo, come se Bilbao fosse Firenze.
Sempre noi ci riempiamo la bocca, girandoci il dito nell'ombellico, sulla necessità di lasciare i segni architettonici della nostra contemporaneità in paesaggi e in città da "camera con vista", come dice Paolucci, consegnateci belle dai nostri nonni, senza nemmeno sforzarci di capire che la nostra contemporaneità è proprio quella delle nostre brutte periferie, dei nostri brutti casermoni, delle nostre brutte architetture di cui noi siamo in buona parte gli autori.
E quello che è peggio, senza ancora aver preso atto che è necessario invertire la rotta, anche se ormai i buoi sono scappati dalla stalla.
Adesso godetevi questa intervista, non prima però di farvi notare che effettuando su Google la ricerca "Paolucci", il primo nome che appare è quello di un calciatore, il secondo è il nostro. Questo fa parte della nostra contemporaneità. Come in architettura.
3 febbraio 2012
UN'ESEMPLARE LEZIONE DI ANTONIO PAOLUCCI
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9 commenti:
L'intervista a Paolucci è molto interessante. Quello che dice sullo sputtanamento dei nostri paesaggi è verissimo. Noi architetti abbiamo colpe enormi. Abbiamo firmato molti progetti che hanno sciupato il territorio. Non abbiamo firmato la maggioranza dei progetti perché i geometri ci hanno battuto, alla grande, in questa classifica. Ma siamo i principali colpevoli perché eravamo quelli che dovevano evitare lo scempio e non lo abbiamo fatto.
E' mancata la coscienza collettiva della categoria. Ci sono stati, tra noi, degli ottimi architetti ma è mancata la capacità ci cantare in coro. Se canti nel coro, devi saper modulare bene la tua voce ma contemporaneamente devi ascoltare gli altri. Ma non basta. Se canti nel coro devi saper ascoltare anche l'effetto complessivo, altrimenti rischi di calibrare male il volume della tua voce. Il direttore è importante ma, comunque, ogni corista deve ascoltare sia gli altri che l’effetto complessivo. Dopo che hai imparato ad essere “corista” ti puoi permettere di essere “solista”.
Le archistar in genere hanno un’ottima voce ma non sanno cantare in coro. Fanno dei danni perché berciano a squarciagola anche quando si dovrebbe sussurrare. Hanno successo tra gli ignoranti che non sanno ascoltare musica e sono come certe rockstar che in Italia vendono più dischi che altrove.
Gli architetti mitteleuropei sono, nella media, più bravi di noi italiani. Loro hanno avuto la Riforma luterana che ha imposto il canto corale nel normale ciclo scolastico.
Loro, se fanno un’assemblea, sono abituati ad ascoltare e a parlare uno alla volta perché hanno fatto canto corale. Noi, invece, a scuola non cantiamo in coro e alle assemblee facciamo, spesso, una grande confusione.
In Italia noi architetti pensiamo, in genere, a torto, di essere dei grandi solisti. Chi non ha pensato di essere un grande solista ha pensato solo a sbarcare il lunario.
E’ mancata la riforma luterana ed è mancato lo spirito di gruppo. Se fai parte di un solido gruppo, puoi anche diventare un buon solista . A pensarci bene, anche gli architetti italiani, con i loro Ordini Professionali, sono figli della Controriforma (cft. http://www.stukhtra.it/?p=7553).
Pensiero per la categoria in questo periodo di “riforma” delle professioni:
bisogna che i figli della Controriforma “schioppino” tutti e dopo potremo imparare a vocalizzare in coro e a fare gruppo, per “cantarle” sonoramente a chi di dovere!
Saluti
Alessandro
Davvero efficace il paragone tra il corista e il solista, che è poi la differenza tra disciplina e mancanza assoluta di regole. In verità da noi non si insegna il coro, ma non si insegna nemmeno la musica. Anzi, si insegna a spifferare nel flauto misere canzoncine, sottintendo l'idea che quella scarna melodia sia tutta la musica e quindi il ragazzo ne ricava l'idea di essere bravo. Lo stesso principio che si insegna nelle facoltà di architettura.
Non sono d'accordo invece sulla riforma luterana e la controriforma. Non lo sono perché sono convinto che ogni cultura, ogni popolo quindi, aderisce naturalmente a quella religione che più si confà al proprio carattere, determinato dalla cultura certo, dal clima, dal paesaggio, dalla storia sedimentata.
Potresti immaginare una Napoli calvinista? Ma nemmeno una Toscana o una Sicilia! Questa è stata la Magna Grecia, quindi la culla di una civiltà mediterranea, solare, umanista, godereccia anche!
Io comincerei con il rovesciare il luogo comune dell'influenza delle religioni sui popoli, nel senso che, come minimo, c'è un rapporto biunivoco di scambio e di influenza reciproca, e che non è nè potrebbe essere impositivo da una parte sola.
Non è solo una questione dottrinaria e teologica, è un fatto antropologico.
Ciao
Piero
Personalmente preferisco la mia cultura di derivazione greco-romano-cattolica a quella Luterana o Calvinista, pur con tutti i difetti che abbiamo. Però continuo ad essere dell'opinione che la Controriforma è andata di pari passo con alcuni "problemucci" che sarebbe meglio non avere. Quanto alla reciproca influenza tra religioni e popoli é ovvio che sono d'accordo. Continuo però a pensare che alcuni aspetti (solo alcuni!)della Riforma potrebbero aiutarci nell'essere più incisivi come categoria
(architetti liberi professionisti) e anche come cittadini in generale.
Ciao
Alessandro
devo dire che non condivido il discorso su architetti e geometri, o lo condivido solo in parte. Infatti, come ebbi a dimostrare nell'articolo "non solo Corviale" il peggio dell'edilizia che deturpa le città ed il paesaggio italiano lo si deve ai più grandi nomi delle nostre università, ovvero coloro i quali avrebbero dovuto dare il buon esempio, per citarne alcuni esempi romani: Laurentino 38 – (1969-81) prof. arch. Pietro Barucci; Corviale – (1975-82), prof. arch. Mario Fiorentino; Vigne Nuove – (1971-79) prof. arch. Alfredo Lambertucci; Spinaceto – (1965 – anni ’80) proff. arch. Piero Moroni, Nicola Di Cagno, Lucio Barbera, Fausto Bettinelli e Dino Di Virgilio Francione; Tor Bella Monaca – (1983-92) – proff. arch. P. Barucci (Capogruppo), ing. E. Piroddi, arch. M. Casanova, arch. G. Ruspoli, arch. M. Ianni, arch. A. Bentivegna, arch. M. Cascarano, ing. F. Romanelli, ing. F. Santolini, arch. S. Delle Fratte, arch. E. Dotto, arch. M. Cippitelli, ing. A. Santolini; Vigna Murata (1972- 78), prof. arch. Gianfranco Moneta con Giuseppe Santulli Sanzo e Castellini, Cavatorta, Darò, Puccioni, Ray, Moretti, Chiucini. Se andiamo a indagare su chi ha progettato i vari falansteri milanesi, napoletani, palermitani, genovesi, bolognesi, ecc. la situazione non cambia! Ergo non dobiamo prendrcela con altri che con noi stessi e con l'insegnamento dogmatico e lobotomista delle nostre facoltà e, perché il male possa essere estirpato dalla radice, è proprio in quel contesto che si deve necessariamente intervenire!
Ciao
Ettore
Caro Ettore, io non credo di aver citato i geometri. Non lo faccio quasi mai perchè non mi piace scaricare le responsabilità su altri soggetti. E anzi sono convinto che siano gli architetti, figli di quella cultura universitaria di cui parli te, i maggiori responsabili. Non so se lo siano quantitativamente ma qualitativamente sì perchè gli architetti insegnano, gli architetti progettano i piani nelle loro varie articolazioni, che stanno davvero all'origine del male, gli architetti progettano e propagandano e fanno "moda".
E in verità mi sembra che nemmeno Alessandro abbia citato i geometri. Forse ti riferisci a qualche discorso su facebook dove tra gli architetti, specie più giovani, c'è questa attitudine auto-consolatoria e auto-assolutoria a cercare il male altrove.
Ciao
Pietro
caro Pietro,
Alessandro ha detto "Non abbiamo firmato la maggioranza dei progetti perché i geometri ci hanno battuto, alla grande, in questa classifica", ma non voglio fare polemica contro di lui, perché ho apprezzato molto il resto del suo commento, la frase mi ha però stimolato la puntualizzazione che ho voluto fare, perché ritengo sia giunto il momento di iniziare a sfatare un po' di miti e luoghi comuni che nascondono la dura realtà. Se penso all'idea della Nuova Gerusalemme, il luogo senza più distinzioni di classi sociali che nella mente di Gregotti & co. doveva essere lo ZEN, e quello che ha dichiarato ad Enrico Lucci de "Le Iene" che gli chiedeva se allo ZEN ci vivrebbe ("non ci sono le condizioni, io faccio l'architetto, non faccio il proletario") mi viene la pelle d'oca
Caro Ettore Maria, io ho scritto "siamo i principali colpevoli perché eravamo quelli che dovevano evitare lo scempio e non lo abbiamo fatto." Quindi siamo sulla stessa lunghezza d'onda. Però, che i geometri abbiano complessivamente firmato più progetti di noi architetti è un dato di fatto. Puoi sommare tutti i progetti di architetti che vuoi ma non raggiungerai mai la quantità di case progettate dai geometri. Aggiungo che anche i geometri hanno avuto insegnanti molto "disattenti" così come noi che abbiamo avuto i "lobotomisti" all'università. Le casette con un po' di finta pietra e il tetto a capanna, immancabilmente sfalsato nel colmo, sono sempre una variante (poco variata per la verità) di quelle pubblicate nei testi di "Costruzioni" su cui hanno studiato negli Istituti Tecnici. Anche in questo caso è da sottolineare l'importanza (nel bene e nel male) della scuola o dell'Università, in Italia sempre sottovalutata. Se avessero studiato canto corale e ... qualche tema legato alle nostre tradizioni locali, sarebbe stato meglio!!
Ma a proposito dei “se”, ad Arezzo si dice "se la mi' nonna avea le rote era 'n caretto!!"
Saluti
Alessandro
come sempre la categorizzazione degli individui in generi specifici come barattoli esposti su uno scaffale del supermercato si dimostra insufficiente, ambigua e in gran parte inutile. Luterano, cattolico, geometra, architetto…. chi vale di più? chi è più importante di chi?
Carlo Scarpa, Charles-Edouard Jeanneret, Ludwig Wittgenstein, Ubaldo Badas, Salvatore Rattu, Giulio Savio, Frank Lloyd Wright, Antonio Sant'Elia, Andrea Palladio …. ecco una bella schiera di inclassificabili, noti o meno noti, coristi o solisti, che in varia misura hanno contribuito a fare la storia dell’architettura.
E nessuno di loro è venuto fuori da una scuola di architettura.
Sui geometri mi astengo.
Vilma
Grazie a te, Paolo
Pietro
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