Al momento della scelta dell'indirizzo di questo blog, dopo una serie di tentativi a vuoto alla ricerca di un nome semplice e pertinente, la sorpresa: "regola" era libero! L'architettura è oppressa da leggi e regolamenti, i termini più altisonanti della "creativa" cultura architettonica erano già occupati ma una parolina così semplice e antica e comprensibile da tutti, cioè "regola", era libera!
Questo blog parla appunto di "regole" contro la sregolatezza architettonica.


26 febbraio 2012

RIFLESSIONE SUL METODO

Questa è una riflessione sul metodo, suscitata da diversi giorni di intenso dibattito e scontro su questioni urbanistiche cittadine, ma che sono estendibili anche al dibattito urbanistico e architettonico. Non scopro niente di nuovo, ovviamente, ma una rinfrescatina alla memoria è utile.

Nella vita pubblica degli individui e dei gruppi di individui riuniti in forme di qualsiasi tipo (associazioni, partiti, sindacati, mondo del lavoro, aziende private, ecc.), e quindi nella politica intesa in senso ampio, esistono due livelli di comportamento che devono guidare l’azione utile a conseguire un determinato fine: quello strategico e quello tattico.

La strategia è l’insieme dei principi generali che rappresentano l’obiettivo da raggiungere, il fine, il cui tempo è variabile in base al soggetto che se lo pone e in base alle condizioni che ne determinano la possibilità o meno di poterlo raggiungere. Alcuni principi, infatti, non hanno tempo, sono o possono essere assoluti e addirittura eterni, è il caso della libertà e della religione, altri sono più  limitati nel tempo, quali ad esempio quelli di un partito politico che deve conseguire il risultato di riuscire a rendere vincente la propria visione di società nell’arco di un certo numero di anni. Determinate dottrine politiche invece durano da e per secoli.


La strategia fissa gli obiettivi nobili, che sono la carta di identità di ciascuno individuo o gruppo. Gli obiettivi possono perciò subire aggiustamenti e modificazioni in base alle mutate condizioni ma, in linea di principio, alcuni punti debbono rimanere fissi e immutabili. Per fare qualche esempio, perfino la religione è soggetta a interpretazioni diverse, e la teologia esiste apposta, l’importante è che la base fondante di ognuna non si stravolga, altrimenti diventa una religione diversa e si va nell’eresia. Per quanto riguarda la politica, esiste la dottrina filosofica e politica cui ispirarsi e che avrà certi punti cardine non “negoziabili” e se si considera il liberalismo, ad esempio, esso non potrà trasformarsi mai nella prevaricazione dello Stato sull’individuo, pena la morte della dottrina stessa.

La tattica, invece, è il metodo che permette di conseguire gli obiettivi, di raggiungere il fine; è l’azione che consente, nel tempo, l’avveramento della strategia finale.
La tattica dunque è e deve essere necessariamente variabile in funzione delle condizioni al contorno in quel determinato momento. La tattica è flessibile. La tattica non deve esprimere verità che chiamiamo assolute per comodità, ma verità relative ad un particolare caso o momento, tenendo sempre a mente però la strategia finale.
Dunque possiamo dire, semplificando, che la strategia è assoluta, la tattica è relativa. La strategia richiede una maggiore elaborazione del pensiero astratto ma la tattica richiede una grande capacità e intelligenza nel saper valutare una serie numerosa di variabili in gioco perché richiede scelte veloci e in sequenza continua. La lotta politica ne è l’esempio più conosciuto da tutti.

Veniamo ora al caso, anzi ai casi.
In questi giorni, dicevo, ad Arezzo è in corso un ampio dibattito sul vigente PRG approvato da pochi mesi e, come ampiamente previsto dai più, inutilizzabile. Senza parlare dei contenuti, che sono del tutto assenti, è proprio la lettura e l’interpretazione ad essere difficile, astrusa e contraddittoria. L’obiettivo è dunque cambiarlo per ottenere un primo scopo: poterlo utilizzare con relativa semplicità.
Poi esiste un altro scopo, quello strategico, cioè avere un PRG che risponda ad una idea di città, attualmente assente. Per fare questo non è sufficiente rifare tutto il PRG, anche se sarebbe già un gran risultato che oggi, per una serie di fattori, è però difficilmente perseguibile, ma è necessario cambiare il modello culturale di riferimento che è la legge urbanistica regionale. Arezzo è una città in emergenza, tutto è paralizzato dalla crisi economica ma, quelle poche iniziative che ci sono, anche piccole da parte dei cittadini per la propria casa, vengono frustrate da norme inesplicabili.

Cosa è opportuno fare dunque in una situazione come questa? Immaginare di trasformare radicalmente la legge regionale, che richiede il concorso non di una sola città, tra l’altro marginale rispetto alle altre della Toscana, oppure prendere atto che la legge esiste e intervenire laddove è possibile, vale a dire sullo strumento di “governo del territorio” che è nelle attribuzioni proprie del Comune?
Mi pare evidente la risposta. E invece, in questi giorni in cui si è fatta insistente la richiesta dal basso di modificare il PRG (o meglio quella parte di PRG che si chiama Regolamento Urbanistico, ecco una complicazione della legge regionale) spuntano coloro che si rifanno alla strategia: la responsabilità è della legge regionale, bisogna cambiare quella. E’ chiaro che parlare in termini strategici significa parlare in termini di lustri se non di decenni, visti i tempi della politica e di quella regionale in particolare. Se si scegliesse questa direzione, tutto rimarrebbe com’è e, quando accadesse il miracolo della nascita della meravigliosa nuova legge urbanistica questa troverebbe una città morta e sepolta.
Quindi coloro che oggi privilegiano la visione strategica, di fatto difendono la conservazione dello status quo perché mancano di visione tattica. Il richiamo al “ci vuole ben altro”, tipico della cultura italiana, è un modo per non cambiare niente passando però da persone colte e intelligenti oppure per politici capaci.
La soluzione semmai, sta nel doppio binario, che non è affatto impedito, vale a dire nella doppia azione di modifica dello strumento che non funziona e in quella parallela, e del tutto coerente con la prima, di agire per la revisione profonda della legge regionale, basata sull’urbanistica e non sulla somma di astratte procedure urbanistiche.

In campo architettonico e urbanistico avviene la medesima cosa. Nello scontro tra i così detti antichisti e i modernisti (questi non sono così detti, sono e basta), spunta sempre quello bravo che fa riferimento alla strategia, cioè all’architettura tout court, senza se e senza ma, all’esistenza di principi che prescindono dagli opposti ismi e da valori fondanti che devono essere applicati. Ebbene, affermando questo si favorisce, nei fatti, la tendenza dominante, cioè il modernismo nelle sue varie manifestazioni di moda, la creatività, l’architettura-spettacolo, la città zonizzata ed esplosa. La tattica invece prevede l’opposizione forte ad un pensiero forte perché consolidato nella prassi, nella mente degli architetti perché dominante ormai per abitudine e, sempre per abitudine condita da opportunismo, trasmesso dalle università.
Stare a disquisire quanto sia fuori della storia Tor Bella Monaca di Lèon Krier significa, willy nilly, apprezzare la squallide Tor bella Monaca attuale. Tor Bella Monaca di Lèon Krier non sarà l'obiettivo strategico da raggiungere, ma senza "questa" Tor Bella Monaca tutto rimarrebbe come oggi.

Architettura ed urbanistica sono arti civiche, cioè sociali, i cui soggetti preminenti non sono gli architetti, se non nella fase di soluzione tecnica del problema alle risposte della società e degli individui, hanno a che fare con la politica, sono politica nel senso che la politica ne è il brodo di coltura perché interessa tutti indistintamente i cittadini, quindi le modalità di azione sono esattamente le stesse di qualsiasi azione politica. Il luogo di scontro non sono le accademie o le riviste di critica, ovviamente necessarie e importanti se non sono solo luoghi di potere, il luogo di scontro e di decisione è la città.
Solo con un corretto rapporto conflittuale si può giungere ad una sintesi, non essendo l’architettura arte o scienza, le quali invece possono essere per una buona parte demandate ai soli esperti.
Perché il conflitto? Perché non esiste armonia nella società democratica, esiste affermazione delle proprie idee con metodi specifici della democrazia. L’armonia esiste solo nelle società non democratiche. In Cina, ad esempio, c’è molta armonia, ma la democrazia è assente. Il metodo occidentale è altro.

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