Al momento della scelta dell'indirizzo di questo blog, dopo una serie di tentativi a vuoto alla ricerca di un nome semplice e pertinente, la sorpresa: "regola" era libero! L'architettura è oppressa da leggi e regolamenti, i termini più altisonanti della "creativa" cultura architettonica erano già occupati ma una parolina così semplice e antica e comprensibile da tutti, cioè "regola", era libera!
Questo blog parla appunto di "regole" contro la sregolatezza architettonica.


20 febbraio 2012

VITRUVIO, L'URBANISTICA E IL PRINCIPIO DI REALTA'

Nel corso di una manifestazione di partito svoltasi nei giorni scorsi avente come tema il Regolamento Urbanistico di Arezzo, alquanto problematico, un consigliere comunale, il Prof. Ing. Alessandro Ghinelli, oltre ad avere brevemente riassunto la lunga storia dell’approvazione del PRG, un percorso a ostacoli di circa 10 anni, ha concluso con un richiamo alla triade vitruviana: firmitas, utilitas , venustas, cioè solidità, utilità e bellezza.

All’inizio non capivo il motivo per tirare in ballo il buon Vitruvio in un incontro dedicato all’urbanistica, anche se nel De Architectura vi è un riferimento positivo alle mura di Arezzo. Soprattutto non capivo quale relazione potesse esserci tra la sua famosa triade, attributi propri di una costruzione, con l’urbanistica e a maggior ragione con un Piano Regolatore.


Per un attimo ho avuto l’impressione che Ghinelli, che è conosciuto come persona intelligente e colta e stimato oltre i confini del suo partito, volesse fare mostra di diversità rispetto ai soliti discorsi dei politici, quando va bene generici, intercambiabili ed utilizzabili in qualsiasi circostanza. Un modo per distinguersi insomma, lecito senz’altro ma probabilmente fuori tema. Certo, sempre meglio sentire parlare di Vitruvio che di legge urbanistica toscana e dei suoi futuri, improbabili miglioramenti, ma un minimo di coerenza con l’argomento sembrava necessario.

Poi ho capito invece che Vitruvio c’entrava eccome. Il richiamo alla sua triade è un richiamo alto alla realtà delle cose, dato che l’urbanistica come prodotto di leggi è ridotta a puro formalismo giuridico, rispetto di procedure contorte senza alcuna relazione con il territorio, invenzione nominalistica per descrivere il nulla, retorica ambientalista e verde che sembra però fatta apposta per favorire i grossi interventi immobiliari a scapito di quelli ben più utili e modesti quantitativamente dei singoli cittadini. Una accozzaglia di classificazioni del territorio con nomi altisonanti e pretese pseudo-scientifiche, una quantità di verifiche e valutazioni strategiche, ambientali, integrate e chi più ne ha più ne metta. Sigle ed acronimi come se piovesse, ovviamente diversi da regione a regione talchè ognuno di noi è condannato a restare confinato entro un “regionalismo giuridico”, se anche si presentasse l’opportunità di allargare l’orizzonte oltre i propri confini amministrativi. Altro che accordi di Shengen , siamo invece in presenza di dogane invisibili ma ben più impermeabili di quelle con sbarre e guardie di frontiera.

Vitruvio invece riporta il discorso alla sostanza del progetto, alle regole che non sono fini a se stesse ma finalizzate ad un risultato preciso che si vuole ottenere. In Vitruvio vige il principio di causa-effetto. E Ghinelli cita il caso dell’altezza massima e dell’importanza che la gerarchia dei piani ha nella progettazione di un edificio. Come Léon Krier parla di massimo tre, quattro piani, ma senza porre limiti prestabiliti all’altezza d’interpiano di ciascuno, così Ghinelli osserva che imporre un’altezza massima per ciascun piano esclude a priori la possibilità di poter costruire edifici analoghi a Palazzo Strozzi o al Portico di Santa Maria delle Grazie ad Arezzo, perché sarebbero difformi dalle Norme Tecniche di Attuazione del Piano.

Certo, l’urbanistica è anche altro, ma il richiamo fatto a norme di tipo “prestazionale” e non norme “prescrittive” è un richiamo all’essenza dell’architettura e dell’urbanistica: avere un’idea della città che attraverso il Piano si vuole realizzare, poche norme per ottenere il risultato e il resto demandarlo alla responsabilità e alla cultura dei progettisti e a quella di chi è addetto al controllo. Un ritorno ad un modo più umano ed umanistico di affrontare il tema ed anche di svolgere la nostra professione. Un abbandono della minuziosa e parcellare analisi settoriale a vantaggio della lettura del territorio nella sua unità e organicità seguita dalla sintesi da cui scaturisce il progetto.

Richiamo che probabilmente cadrà nel vuoto ma che ben ha fatto Ghinelli a ricordare, anche per cercare di interrompere il perverso vortice leguleio che ci sta trascinando, non solo ad Arezzo ma in Italia, sempre più in basso e che fa il gioco della politica e della burocrazia, non quello della città e dei cittadini.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Non conosco il regolamento e il PRG del comune di Arezzo, ma a naso mi sembra strano ed anomalo che l'altezza degli edifici sia valutata col doppio vincolo del numero dei piani e dell'altezza massima dell'interpiano. Persino nella rozza Lombardia e persino un oscuro architetto come me può vedersi approvato un progetto residenziale (del tipo loft per intenderci) con soppalchi e interpiani anomali (fermo restando il limite dell'altezza massima totale), unico vincolo l'altezza minima per gli spazi che si vogliono abitabili, il resto libero, se nel colmo del tetto l'altezza è di cinque metri niente che osti, basta pagare gli oneri urbanistici sul volume reale.
Forse non ho capito bene, ma se ad Arezzo voglio costruire uno spazio unico alto dieci metri anziché tre spazi equivalenti sovrapposti alti tre metri non posso?
Sulla triade di Vitruvio non mi soffermo, sono la scoperta dell'acqua calda avanti cristo, sottolineo però come il 'regionalismo giuridico' che tu critichi sia premessa indispensabile alla realizzazione dell'architettura territoriale che tu sempre auspichi, inserita nel contesto, anzi nei mille differenti contesti che la nostra bella e frammentaria Italia pone davanti ai progettisti italiani. La tanto apprezzata conformità a situazioni ambientali diverse, sia climatiche che architettoniche che funzionali, non impone gioco forza regole diverse, parcellizzate, ristrette per essere di volta in volta rispettose delle tradizioni locali? In tal caso, non ci dobbiamo lamentare se non ci vien data "l’opportunità di allargare l’orizzonte oltre i propri confini amministrativi."

Vilma

Pietro Pagliardini ha detto...

Vilma
in realtà la norma sulle altezze non fissa un'altezza massima in metri lineari calcolata in qualche punto, ma fissa il numero massimo dei piani.
Vale a dire: Zona X, altezza massima 3 piani. Successivamente viene determinata l'altezza massima di ciascun piano: 4.80 per il piano terra (o meglio per il primo livello) 3,80 per quelli successivi.
QUnato al regionalismo giuridico non è esattamente come dici te. La legge urbanistica regionale è la corrispondente di quella nazionale che fissa determinate procedure da seguire e impartisce alcune linee-guida per la redazione dei piani ma non fissa le regole per la costruzione degli edifici. Quella è appannaggio dei comuni con il regolamento edilizio. Il brutto è che da sempre la Regione tenta, senza risucirci, di fare un Regolamento Edilizio tipo, questa sì cosa alquanto assurda perchè, se è vero che per semplicità noi diciamo "paesaggio toscano", ma il paesaggio cambia da valle a valle, da fondo valle a collina e sarebbe alquanto strano che il regolamento edilizio toscano indicasse, ad esempio, edifici rivestiti in pietra, laddove a Siena usano il mattone. Quindi dovrebbero fare un regolamento edilizio-tipo talmente "aperto" che tanto vale non lo facciano. E infatti ogni tentativo fallisce.
A onor del vero ho parlato di regionalismo giuridico, ma poi c'è anche quello "provinciale", perchè ogni provincia fa il suo bel Piano Territoriale di coordinamento, e lì c'è un florilegio di nomi e classificazioni nella neolingua ambiental-urbanistica.
Poi ci sono i PRG. Ora è chiaro che ogni PRG ha le sue regole diverse da ogni altro però un PRG "normale" lo si interpreta in poco tempo, quello di Arezzo a distanza di mesi è rimasto illeggibile per il semplice fatto che è scritto in maniera....illeggibile. E' contorto, pieno di rimandi continui ad altri articoli, è un Gioco dell'Oca, un labirinto, un guazzabuglio di norme prive di contenuto. Ma il fatto è che in questa situazione di autentica difficoltà interpretativa, la mancanza dei contenuti è passata del tutto in secondo piano. Come si potrebbe fare a parlare dei contenuti di un romanzo pieno di errori di grammatica e sintassi? O meglio, chi pubblicherebbe un romanzo magari con qualche contenuto ma pieno di errori di grammatica e sintassi (ed anche ortografici ogni tanto)?
Insomma la scoperta dell'acqua calda di Ghinelli, dopo almeno un paio d'anni che siamo costretti a discutere ai minimi termini, al ribasso per cercare di capire, ha il pregio di ricordare a tutti noi che il piano è altro. Non avrà alcuna ricaduta concreta, ovviamente, ma una boccata d'aria sana ce l'ha fatta respirare.
Ciao
Pietro

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