Al momento della scelta dell'indirizzo di questo blog, dopo una serie di tentativi a vuoto alla ricerca di un nome semplice e pertinente, la sorpresa: "regola" era libero! L'architettura è oppressa da leggi e regolamenti, i termini più altisonanti della "creativa" cultura architettonica erano già occupati ma una parolina così semplice e antica e comprensibile da tutti, cioè "regola", era libera!
Questo blog parla appunto di "regole" contro la sregolatezza architettonica.


19 dicembre 2011

CONTRO (E PRO) LA COMMISSIONE EDILIZIA

Sandro Lazier, il curatore di Antithesi, ha scritto quasi un anno  fa un articolo in cui contesta vivacemente l'esistenza della Commissione edilizia, dall'eloquente titolo "Sopprimere le Commissioni edilizie", in quanto vi ravvede, e non è certo il solo, una violazione della libera espressione dell'architetto e quindi della libertà in generale. L'immagine che accompagna l'articolo, e che ho ripreso, è eloquente quasi quanto il suo titolo e semplifica le ragioni dell'autore.

E' un testo piuttosto lungo e certamente ricco di spunti interessanti, che io ho letto solo qualche giorno fa e a cui ho lasciato un altrettanto lungo commento.
L'idea di Lazier è largamente condivisa da moltissimi architetti ed ancor più da politici e amministratori, talvolta, bisogna riconoscerlo, con ragione. Ho provato non tanto a contestare abusi e storture, che tutti sappiamo esistere e talvolta anche molto gravi, ma il principio che sottende l'idea di abolirla.
Discutere di Commissione edilizia è discutere di architettura, di urbanistica, di città, di politica, per questo ringrazio Lazier per averlo affrontato in maniera così lucida e appassionata, anche se i nostri punti di vista sono totalmente divergenti.
Naturalmente chi volesse leggere il mio commento deve necessariamente leggere prima l'articolo.
Da leggere anche il commento di Vilma Torselli che affronta il rapporto architettura-arte.
Gli altri commenti non li cito perché, onestamente, non ho avuto il tempo di leggerli.

6 commenti:

memmo54 ha detto...

E' ciò che può accadere leggendo e rileggendo Zevi: confondere il volo di un moscone con la libertà.

Un saluto perplesso dall'architetto di fiducia di Nonna Papera.

ettore maria ha detto...

Parte 1^
Penso che l’apertura del post di Lazier: “Tra i diritti fondamentali di una persona c’è anche quello di potersi costruire la casa con un’architettura rappresentativa della propria cultura e sensibilità”, benché vera, sia totalmente priva fondamento.
Infatti, sarebbe vera se a progettare e costruire gli edifici fossero i cittadini. Purtroppo però, visto che a farlo sono gli architetti – che tendono a fare solo ed esclusivamente ciò che la loro mente ideologizzata gli suggerisce, e mai ciò che i loro clienti gradirebbero – non ha alcun senso dire che non si dia la possibilità alla gente di vivere negli edifici che vorrebbe.
Ciò vuol dire che il lamento di Lazier è relativo alla agli architetti di fare ciò che vogliono … magari fosse vero!
Che mi risulti, l'unica cosa che non si può fare in Italia è un edificio tradizionale, e, se per miracolo lo si realizza, non c’è rivista che lo pubblichi. Ergo, l’unica cosa che si dovrebbe condannare sarebbe l’ostracismo nei confronti di chi “fa architettura”, da parte di chi sa solo “fare edilizia” … Hai visto mai che, per ragioni di “coerenza”, sia stata chiamata “commissione edilizia” e non “architettonica”.
In questa vergognosa diatriba, chi ne paga le conseguenze è proprio il cittadino che, a digiuno delle polemiche ideologiche degli architetti, “gradirebbe semplicemente vivere in un ambiente rappresentativo della propria cultura e sensibilità”.
Per onestà espositiva quindi, l’autore dell’articolo avrebbe potuto evitare i patetici commenti infarciti di ideologia modernista, e avrebbe fatto bene a riflettere sul fatto che – architetti lobotomizzati a parte – alla gente comune non frega un bel niente del presunto “falso storico” e delle fantomatiche “case di Nonna Papera”!
Forse, anzi ne sono certo, è per questa ragione che oggi c’è chi sostiene che “la gente andrebbe educata all’architettura contemporanea”. Ma la realtà dei fatti è che, non è la gente a dover imparare come vivere nelle architetture assurde, ma gli architetti a dover imparare a progettare in maniera umana e rispettosa degli altri!
L’autore s’è poi spinto in questa affermazione: “Non si può imporre a tutti, per diritto, una tendenza culturale per sua natura reazionaria, generalmente avversa ad ogni forma di novità formale, fondamentalmente conservatrice e tradizionalista, in cui si sostiene il falso storico e si rimpiazzano le poche cose originali rimaste in piedi con la loro caricatura. Non si può imporre uno stile, una tipologia, nemmeno con l’alibi filologico, spacciando il nulla per linguaggio architettonico, a chi non ne vuole sentir parlare perché giudica insensata la mistificazione” affermazione del tutto priva di fondamento perché in Italia ci troviamo esattamente in una situazione opposta a quella qui esposta, tant’è che, sin dal 1938, i nostri soprintendenti seguono alla lettera le “istruzioni per il restauro dei monumenti” emanate dal Ministero della Pubblica Istruzione che, al punto 8 recitavano:

ettore maria ha detto...

parte 2^
«per ovvie ragioni di dignità storica e per la necessaria chiarezza della coscienza artistica attuale, è assolutamente proibita, anche in zone non aventi interesse monumentale o paesistico, la costruzione di edifici in “stili” antichi, rappresentando essi una doppia falsificazione, nei riguardi dell’antica e della recente storia dell’arte», istruzioni che non sono mai state abrogate e, semmai, peggiorate dalla Carta di Venezia e dal Memorandum di Vienna.
Penso che sia davvero inaccettabile quindi che si possa manipolare la realtà facendo credere a chi non conosca i fatti che le cose siano come Lazier le ha raccontate. Per dirla tutta, voglio far notare all’autore che gli edifici storici, e non la gente, gradirebbero essere restaurati in maniera filologica, e non con materiali e forme alieni. E non per ragioni nostalgiche e/o estetiche, ma per motivi prettamente strutturali che, a chi non ha cultura, o conosce solo la “cultura consumista del mordi e fuggi” non interessano affatto, perché la cosa richiederebbe uno studio filologico approfondito che, come tale, non è ben visto dagli architetti demiurghi che pensano di poter far derivare le proprie conoscenze sono da sé stessi!
E allora, indipendentemente dalla necessità di dover rivedere non solo le Commissioni Edilizie (ma non per le ragioni di Lazier), ma tutta la disciplina urbanistica a partire dalla 1150 del 1942, perché figlia di un’ideologia che il tempo ha dimostrato fallace, voglio ricordare a Lazier e a chi possa pensarla come lui, un paio di illuminanti norme che, in nome del rispetto per gli altri, dovrebbero essere riconsiderate nel caso si riuscisse a cambiare le cose:
«[…] Tra le attribuzioni del Comune e della Commissione, dovrà essere quella che fa capo al Diritto Architettonico, in quanto l’opera esterna non tanto appartiene al proprietario quanto alla città» (estratto dalla Relazione al Piano di Bari Vecchia del 1930)
In armonia con la norma precedente, ma non si tratta di una norma comunale, quanto di un tentativo di garantire la qualità estetica di un quartiere da parte dell’azionista di maggioranza di un’operazione immobiliare, torna utile ricordare come la Società Generale Immobiliare, al fine di valorizzare l’intera area residenziale dell’ex Villa d’Heritz di Roma, negli atti per la promessa di vendita di alcuni appezzamenti di terreno edificabile, obbligava gli acquirenti ad ottenere «l’approvazione» della Società «per il progetto esterno dell’edificio da costruire, a tutela dell’estetica e della euritmia dell’erigendo quartiere» (Archivio Centrale dello Stato, Sogene, Documentazione provenienza proprietà e Atti diversi. Promessa di vendita della Società Generale Immobiliare agli ingegneri Riccardo Esdra e Renato Di Nola, 1° febbraio 1928, art. 5).

Pietro Pagliardini ha detto...

Ettore, molto interessante le istruzioni del Ministero, in particolare la "coscienza artistica attuale", che è a mio avviso l'origine e il cuore del colossale equivoco su cui si gioca tutta la storia dell'architettura del secolo scorso e di questo primo decennio. Il super-io dell'architetto inteso come grande artista-creatore, quasi obbligato ogni volta ad una nuova "invenzione", che ha formato e continua a formare schiere di studenti i quali, secondo me, da professionisti rimangono chiusi in questa bolla autoereferenziale, incapaci di guardare la realtà esterna e di comprendere l'inganno entro cui sono racchiusi. Niente rappresenta meglio questa condizione di cecità quanto il mito della caverna di Platone: ecco, i prigionieri dentro la caverna sono gli architetti del XX e XXI secolo che vedono solo l'ombra riflessa di se stessi senza sapere che fuori c'è un mondo diverso di cui loro sono solo una piccola, modesta parte, comparse rispetto ai numerosi attori in campo.
Non è un caso se l'architettura è morta da molti decenni e adesso si scambiano, in questo gioco di specchi deformanti, come capolavori quelle che sono solo stramberie prive di senso.
Ciao
Pietro

ettore maria ha detto...

caro Pietro,
il Punto 8 delle Istruzioni per il Restauro non è altro che l'atto finale di un processo nato diversi anni prima e mirato all'affermazione di un'architettura "Italica rappresentativa del Fascismo". A noi, da Zevi in poi, ci hanno fatto credere che l'architettura tradizionale fosse quella fascista, ma in verità, l'unica architettura imposta per legge dal Fascismo è stata quella "razionalista". Sin dal 1931, infatti, mentre a seguito della Mostra organizzata da Bardi per celebrare l'architettura razionalista (e denigrare l'architettura contemporanea tradizionale raffigurata nel collage della "Tavola degli Orrori") chiudeva i battenti la scomoda rivista Architettura e Arti Decorative, pubblicata nella Roma artigiana, nelle industriali Milano e Torino, Giuseppe Pagano con La Casa Bella, Pier Maria Bardi e Massimo Bontempelli con Quadrante, Giò Ponti con Domus, Luigi Colombo Fillia con La Nuova Architettura, iniziarono ad impartire i propri dogmi, enfatizzando la necessità di azzeramento della Storia, teorizzato da Gropius nel Bauhaus. Queste nuove riviste spiegavano altresì “le ragioni di una Nuova Architettura”, definita “virile e dunque priva di ogni aggiunta decorativa, antitradizionale, espressione della Rivoluzione Fascista”. Noi oggi viviamo ancora in questa situazione, e tanti presunti architetti di sinistra non fanno altro che continuare a rispettare le scelte di quel periodo che tanto dicono di combattere. Talvolta mi illudo che, sbattendo in faccia certe cose, alcuni architetti che sostengono di essere di sinistra si redimano e, data la preponderanza, si riesca a produrre una Nuova Architettura antifascista e, per questo, rispettosa della tradizione

Pietro Pagliardini ha detto...

Caro Ettore, è sempre pericoloso abbinare lo stile architettonico alla politica nel senso che non c'è necessariamente un rapporto meccanicistico di causa-effetto. Tutta la politica urbanistica (e quindi architettonica) degli anni 70 e fino all'80 in Italia porta certamente l'impronta ideologica della sinistra, ma bisogna anche capire se non sia stata maggiore l'influenza che gli architetti, coccolati dal partito come intellighenzia per motivi di egemonia culturale e politica, hanno avuto sulla politica piuttosto che viceversa. La nostra classe politica è sempre stata culturalmente debole (anche se molti continuano ad esaltare la prima repubblica), ad essa interessando solo il legare a sè il mondo della cultura e dubito che generalmente abbai avuto chissà quali grandi idee di città.
Ad esempio con Stalin si costruivano anche edifici ispirati al classicismo ma contemporaneamente si costruivano ignobili scatoloni per il popolo. Nello stesso periodo, e immediatamente prima e dopo, negli USA si costruivano splendidi edifici e grattacieli ricchi di decorazioni e di grane qualità architettonica. Io ricordo che qualche anno fa un ex amministratore di un comune piemontese, comunista, fece una sorta di autocritica per aver dato troppo spazio agli architetti che avevano "dettato la linea" in campo urbanistico e architettonico, facendo dei veri e propri scempi oggi imputabili alle amministrazioni.
L'architettura fascista e razionalista tutto sommato non è certo la peggiore che sia stata fatta in Italia nel secolo scorso e anzi mi sembra che dopo quel periodo ci sia stata molta "sperimentazione" ma globalmente sia un vero disastro.
Quindi, visto il conformismo che caratterizza la cultura degli architetti (non so se si è capito, ma non ho un'alta considerazione della classe degli architetti) non c'è da auspicare che cambino idea per motivi politici, dato che si correrebbe il rischio di passare da un estremo all'altro, ritrovandoci a dover disegnare davvero le case di...Heidi. Cosa poi nemmeno tanto lontana, vista l'invadenza delle casette di legno eco-bio provenienti da Bolzano e zone limitrofe.
Ciao
Pietro

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