E così anche Arezzo entra, se pur dalla porta di servizio, nella "modernità" con il suo più noto simbolo: il grattacielo. Questa è una delle rare deroghe dedicate a parlare degli accadimenti della mia città, ma il tema è di quelli che interessano proprio questo blog.
Accade infatti che è stato approvato il Piano complesso(1) per una importante area all’ingresso della città, sede fino a circa dieci anni fa di una prestigiosa industria di abbigliamento poi decaduta, la Lebole, successivamente passata alla Marzotto, che prevede anche qualche grattacielino di 60 o 70 metri, non ricordo bene. Dalla porta di servizio a causa dell’altezza, troppo alta per la città ma troppo bassa per guardare in alto ed esclamare: "ooooh!" ma non solo per questo.
Non c’è in verità molta preoccupazione nel vedere disturbata la vista della città antica adagiata sul colle, proprio dal lato raffigurato da Piero della Francesca, dato che difficilmente quelle torri saranno mai realizzate, essendo state messe lì più come uno specchietto per le allodole a controbilanciare scelte del tutto diverse ma altrettanto “moderne” come un centro commerciale che per una convinzione profonda. Infatti, date le dimensioni del commerciale, per riequilibrare la grande superficie coperta si è evidentemente ritenuto che le torri fossero la soluzione più giusta e digeribile per liberare area da destinare a verde, con ciò aggiungendo male al male, perché condanna quell’area ad una condizione non urbana, dato che ci saranno due zone specializzate e separate: quella commerciale e quella residenziale, nessuna delle due aventi i caratteri della città. E’ il classico caso, negativo, in cui 1+1 fa meno di 2 e difficilmente saranno edificate in presenza di un mercato dove non si investe nemmeno in un condominio di quattro alloggi e quindi dubitiamo che qualche imprenditore rischierebbe il proprio denaro nelle torri le quali, una volta iniziate, vanno finite per vendere magari solo i piani "alti".
Stupisce però il fatto che tale scelta non sia stata nemmeno oggetto di dibattito in Consiglio Comunale, a leggere almeno il resoconto dell’ufficio stampa del Comune stesso: solo il consigliere del Movimento a cinque stelle ha fatto un accenno alla insostenibilità ambientale delle torri. Per il resto si parla d’altro.
Stupisce l’indifferenza con cui è passata questa perdita di “verginità”. Arezzo non è certo la prima città di provincia che sposa la verticalità, ma di ogni caso si è letto sui giornali, c’è stata discussione, fiere opposizioni e incondizionate dichiarazioni a favore. Qui invece si è parlato solo di commerciale, quasi a conferma di quanto prima detto. Le torri sono passate praticamente sotto silenzio, come fossero un accessorio, senza collera, certo, ma anche senza passione ed emozione.
Stupisce che un atto così “culturalmente” rilevante sia stato approvato in un momento in cui la città è in profonda crisi economica, con le industrie in difficoltà, e per la assoluta mancanza di idee e di volontà che non danno proprio l’impressione di essere in una fase creativa di sviluppo impetuoso. Non mi stupirebbe affatto l’adesione alla forma grattacielo come simbolo di sviluppo se ci trovassimo in una fase espansiva, se Arezzo avesse imboccato una strada di crescita economica che facesse presagire un futuro positivo e di speranza. E’ già avvenuto in passato che siano stati compiuti errori di cui oggi ci pentiamo, quale l’abbattimento delle mura urbane all’arrivo della ferrovia, ma almeno in quel caso c’era una spinta positiva verso la modernizzazione, c’era una comprensibile adesione ad un progetto di sviluppo. Ma oggi ci troviamo nella condizione opposta di decadenza e il simbolo stesso dell’improbabile rilancio, il grattacielo, è ormai diffuso in tutto il mondo sviluppato e anche sottosviluppato e non rappresenta nulla sotto il profilo della novità: non rappresenta più nessuna sfida né tecnica né ideale anzi accentua il contrasto con l’idea stessa di sostenibilità economica che a parole è la filosofia di questo tempo che viviamo. Il grattacielo è il simbolo vero di una contraddizione tra il pensiero e l'azione della nostra epoca. A meno che non si ritenga, e sarebbe quasi peggio, che il rilancio economico di una città possa essere affidato all’edilizia, di cui il grattacielo sarebbe, ancora una volta, il segno più sfavillante; non è così, ovviamente, avendo l’urbanistica il compito di disegnare le condizioni affinché la crescita si svolga in un ambiente urbano favorevole e l’edilizia al più può costituire un volano o un ammortizzatore in tempi di difficoltà, ma che può girare davvero solo se l’intera economia gira, non certo da sola. Il caso Spagna qualcosa dovrebbe avere insegnato.
Stupisce anche, e direi soprattutto, che questa scelta non sia stata minimamente inquadrata nella realtà urbana, economica e sociale di Arezzo, non tentando nemmeno di distinguere fra situazioni del tutto diverse, come quella di Milano ad esempio, città inserita a pieno titolo nel mondo del business globale, in cui c’è una sorta di obbligo di immagine che rispecchi questa realtà e si può anche comprendere, se non giustificare, che possa avere una sua importanza.
Non ci dovrebbe invece stupire dato che ormai sappiamo bene come la politica in genere abbia perso contatto con la realtà, sia diventata del tutto autoreferenziale e, al massimo, abbia come interlocutori privilegiati le varie corporazioni, chiusa nel suo Palazzo sempre più simile ad un grattacielo privo di rapporto vitale con la terra ma anche con la grandezza del cielo; tuttavia il minimo necessario di scambio di idee, anche sotto il profilo formale, sarebbe stato ragionevole attenderselo. Va detto, a parziale attenuante, che al solito la politica ha trovato il suo supporto nella tecnica, cioè negli architetti.
Molti altri sarebbero gli appunti da fare al Piano così detto complesso - che non è nemmeno un punto fermo dato che senza piano attuativo è poco più che una dichiarazione d’intenti, ragione in più per averne dovuto discutere senza l’urgenza dell’attuazione - ma questo dei grattacieli è il fatto più significativo di una scelta fatta in maniera indifferente e sbagliata, sintetizzabile appunto con l’espressione di "banalità del male".
Note:
1) Piano complesso d’intervento, in sigla PCI (sic): strumento urbanistico previsto dalla Legge urbanistica n° 1/2005 della Regione Toscana. E’ un piano intermedio tra il Regolamento Urbanistico e il Piano Attuativo che è talmente poco usato, servendo davvero a poco e allungando i tempi, dato che comunque prevede un successivo Piano Attuativo, che nella proposta di revisione della Legge la Regione ne ha deciso giustamente l’abolizione.
Altri link:
La Nazione- Arezzo
Commenti su Informarezzo
Osservazione al Piano Complesso presentata da INARSINDAREZZO
Credits:
L'immagine del primo progetto di 5+1AA è tratta dal quotidiano La Nazione
23 ottobre 2011
LA BANALITA' DEL MALE
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2 commenti:
Caro Pietro,
spero che il Piano Casa Regionale della Toscana che ci hai raccontato tempo fa possa bloccare questa ennesima follia dell'incoscienza. Tu dici: "A che meno che non si ritenga, e sarebbe quasi peggio, che il rilancio economico di una città possa essere affidato all’edilizia, di cui il grattacielo sarebbe, ancora una volta, il segno più sfavillante;" Io vorrei fare una puntualizzazione: affidarsi all'edilizia per il rilancio economico della città può risultare un'arma a doppio taglio. Se si opera, come sembra si voglia fare, in maniera privata e promuovendo grattacieli, zonizzazione ed edifici energivori, la cosa risultarebbe totalmente fuori di ogni logica, diversamente, se la cosa investisse in forma attiva il settore pubblico, come ci ha mirabilmente raccontato Italo Insolera relativamente al cambiamento operato a partire dal 1910 e Roma «in una città che ha l’edilizia come sua unica attività industriale, il deficit dell’amministrazione, già allora cospicuo, può essere sanato proprio con una diretta partecipazione in tale ramo di investimenti», questo genere di "investimenti" - che definirei "opere grandi" - diversamente dalle cosiddette "grandi opere" può generare un enorme numero di posti di lavoro - facendo girare l'economia - e può migliorare drasticamente la situazione socio-ambientale delle città.
Caro Ettore
la Regione non può fare niente per bloccare il piano perché la scelta rientra nelle competenze dei comuni. Al massimo avrebbe potuto intervenire facendo moral suasion ma non credo proprio l'abbia fatto. Troppe ne dovrebbe fare in tutta la regione.
D'altra parte se vi fosse stato contrasto con leggi regionali avrebbe dovuto intervenire con una osservazione al piano, come è tenuta a fare. Non so se l'abbia fatto, credo di no, ma anche se lo avesse fatto non c'era evidentemente contrasto con nessuna legge, dato che è stato approvato.
Ma, ripeto, ci penserà il mercato a non realizzarle, almeno a breve-medio termine. Nel lungo termine è impossibile fare previsioni, comunque il Piano complesso dura per la consigliatura che lo ha approvato, quindi restano circa 4 anni e mezzo.
Il problema è a mio avviso solo di carattere culturale e io considero questo piano un'occasione perduta o sprecata male. Soprattutto non lascia ben sperare per il futuro, se l'approccio alla città rimane questo.
Ciao
Pietro
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