Ricevo da Ettore Maria Mazzola questo testo sulla morte delle cinque donne per il crollo dell'edificio nel quale lavoravano. E' un testo scritto sull'onda della commozione, essendosi la tragedia consumata nella sua città natale, ma lucido come al solito nell'evidenziare l'approssimazione con cui vengono emessi giudizi e la scarsa conoscenza delle cause che possono averla determinata.
Il testo è stato anche pubblicato su Archiwatch.
Caro Pietro,
ho sentito il dovere nei confronti della mia città natale di raccontare ciò che a 500 km di distanza ho percepito di questa terribile tragedia e della speculazione che c'è stata intorno al dolore di chi ha perso la vita, un familiare o una casa e un lavoro.
Spero possa postare sul tuo blog questo mio sfogo
IL DOLORE NON HA PREZZO
di Ettore Maria Mazzola
Succede che, mentre una città si stringe intorno ai feretri di cinque povere vite strappate, e la donna sopravvissuta al crollo di via Roma dal suo letto di ospedale racconta si che lavorasse per 4 euro all’ora, ma che non è vero che il suo datore di lavoro fosse un negriero, la stampa locale e nazionale continuava ad accanirsi, descrivendo Barletta come un luogo in cui gli imprenditori sfruttane le operaie .. e trascurando colpevolmente la ricerca della verità sulle ragioni del crollo.
Peggio hanno fatto certi politicanti i quali, stimolati dal banchetto per sciacalli e avvoltoi allestito dalla malasorte e dalla faciloneria, hanno pensato bene di cogliere al volo l’occasione per potersela prendere con il sindaco chiedendone le dimissioni.
Che senso ha tutto ciò? Come è possibile essere così cinici da trasformare una tragedia che ha distrutto 5 famiglie in una occasione di rivincita politica? Dov’è la dignità e l’etica di certa gente il cui comportamento è paragonabile a quello degli sciacalli, se non addirittura a quello degli stercorari?
Se c’è qualcosa che certi momenti richiedono è un’unità, al di là del credo politico, è il senso di solidarietà verso chi ha perso la mamma o una figlia, verso chi ha perso la casa, verso chi non ha più nulla. E invece certa gentaglia, assetata di “politica”, ha pensato bene di approfittare della situazione.
Questa gentaglia ha trovato l’ovvio appoggio di certi media interessati allo scoop scandalistico che, nell’era della società dello spettacolo, trovano molto remunerativo usare la macchina del fango che non mira solo a distruggere la personalità dei titolari del maglificio all’interno del quale hanno perso la vita 5 giovani vite, inclusa quella della loro piccola figlia, ma ad infangare un’intera città, e se si vuole, tutto il sud d’Italia!
Ieri c’è stato il funerale, anch’esso immortalato dalle telecamere come in uso per le grandi tragedie, anch’esso preceduto e seguito da passaggi pubblicitari televisivi. I servizi degli inviati hanno “giustamente” dato ampio spazio alle rimostranze dei cittadini che chiedevano la verità … senza assicurarsi dei modi con i quali lo facevano, né a chi fossero rivolte le accuse che, purtroppo, in parte sono sembrate manipolate da chi sosse interessato solo alla testa del sindaco Maffei.
Ora cala il sipario, e probabilmente in Italia, Presidente della Repubblica incluso, non fregherà più nulla a nessuno della tragedia che si è consumata a causa del pressappochismo con cui qualcuno ha operato.
Se c’è qualcuno con cui bisognerebbe prendersela, non credo proprio che possano essere le autorità comunali, semmai bisognerebbe alzare l’indice verso quei tecnici e periti che non hanno saputo valutare il pericolo incombente, oppure verso quella cultura generale che a Barletta, come in molte altre città italiane, consente di far demolire edifici storici ritenendoli intenzionalmente “fatiscenti”, mentre nella realtà potrebbero vivere molto più a lungo di quanto non si immagini: la loro colpa è solo quella di essere dislocati in zone centrali, molto appetibili per chi voglia fare speculazione e costruire in zone molto più vivibili che non nelle orribili periferie zonizzate che la pseudo-cultura urbanistica a partire dagli anni ’50 ci ha “regalato”.
Ma c’è di più. Lo sputtanamento mondiale sul salario delle povere vittime andrebbe capito meglio. La fortunata e coraggiosa sopravvissuta ci dice che fossero proprio loro stesse, le operaie, a chiedere di non essere messe in regola: qui si tratta di una situazione di necessità di sopravvivenza!
Uno Stato la cui Costituzione si apre dicendo che “l’Italia è una Repubblica fondata sul Lavoro” non dovrebbe consentire che certe cose possano accadere, e se accadono è perché i “moderni” politici – anni luce distanti da chi concepì e scrisse quelle parole sulla Costituzione – hanno trasformato questa “Repubblica” in una “Oligarchia fondata sul precariato e sul gioco d’azzardo”.
Ci scandalizziamo per i 4 euro l’ora delle povere ragazze di Barletta, ma quanto guadagnano le loro omologhe che lavorano nelle altre città d’Italia, nord incluso? Ce lo siamo dimenticato il servizio di Report che mostrava come gli operai delle “grandi imprese” impegnate nei cantieri “a 5 stelle” milanesi vengono pagati 2,5 euro l’ora? E quanto guadagnano i maestri di scuola e i professori delle medie e superiori? E quelli delle Università? E come è possibile accettare la sola esistenza delle Agenzie Interinali che guadagnano sul lavoro sottopagato dei loro iscritti? Quanto guadagnano gli addetti ai call-center della grandi aziende? E quanto i “tecnici” che oggi fanno le perizie per alcune banche italiane pur avendo le loro basi in Romania, togliendo lavoro ai tecnici nostrani che, tra l’altro, potrebbero visionare meglio gli immobili da periziare? Cosa dire poi della mia categoria, gli architetti, dove i grandi studi sfruttano vergognosamente i giovani laureati e abilitati pagandoli (quando li pagano) i giovani e volenterosi ragazzi molto meno di quei 4 euro l’ora?
Cosa può fare un piccolo, o piccolissimo, titolare d’azienda italiano che vuole continuare a produrre in Italia invece di farlo in Cina (magari anche prendendosi dei contributi dallo Stato Italiano)? A nord si sfruttano i lavoratori stranieri i quali, pur consentendo al loro “padrone” di mantenere in vita l’azienda nonostante il mondo globalizzato, viene anche negato il diritto a mantenere il proprio credo religioso perché, essendo in Italia, questi “sporchi stranieri” devono rinnegare le loro origini e tradizioni! Non c’è dunque da meravigliarsi se a sud la cosa avvenga, come è sempre avvenuta, coinvolgendo dei connazionali. Questo non significa voler giustificare chi lo faccia, ma semplicemente voler guardare più onestamente, e senza retorica, alla dura realtà che investe il mondo del lavoro di tutto il Paese, e non solo Barletta.
Il vero scandalo non è dunque questo, ma l’esistenza di un sistema marcio che si ricorda di queste realtà solo in occasione di certe disgrazie, disgrazie che esso stesso ha generato avendo gettato nella disperazione l’intero mondo del lavoro.
Poche ore dopo aver appreso la notizia, quasi in diretta perché me l’aveva comunicata mia madre che si era trovata a passare lì vicino quando ancora si levava in volo la nuvola di polvere avevo scritto queste parole:
“È una storia che si ripete. Spero che adesso si riescano a salvare i superstiti e si comprendano fino a fondo le cause che hanno generato questo crollo. Che si puniscano gli eventuali responsabili, se non è stato un caso dovuto all'abbandono parziale dello stabile, come sembra di capire da alcune notizie che ho potuto leggere nel web, spero soprattutto che non si speculi politicamente sul dolore e sul lutto che ha colpito Barletta. Dalle foto mi sembra comunque di capire che la malta che legava i tufi delle murature non fosse di buona qualità, mi sembra uno di quegli edifici che, come usano dire gli operai molto anziani, ha sofferto la sete, ovvero un edificio la cui malta aveva poca calce, tanta sabbia e poca, se non pochissima, acqua. In questo caso, finché l'edificio è stato abitato e vissuto, e non ha subito stravolgimenti degli orizzontamenti e delle murature portanti, nulla gli è capitato perché aveva raggiunto un suo equilibrio che lo faceva "lavorare" a compressione, nel momento in cui sono sopraggiunte delle modifiche (pare che ci fossero dei lavori in corso?) che hanno generato delle tensioni, quell'equilibrio precario è venuto meno. Diversamente non mi spiego come possano esserci la quasi totalità dei blocchi di tufo che sembrano essere usciti ieri dalla cava. Chiudo esprimendo il mio dolore ai parenti della piccola che è deceduta e all'intera cittadinanza”.
Il giorno dopo ho potuto capire qualcosa in più e ho scritto:
“ho letto stamattina un po' di notizie che non avevo potuto leggere ieri, ed ho anche visto un video prima del crollo che mi ha lasciato alquanto perplesso: Un edificio che viene demolito in adiacenza ad un altro con il quale "collaborava" staticamente. Una demolizione avvenuta sicuramente con l'ausilio di martelli pneumatici (tassativamente vietati sugli immobili costruiti in tecnica tradizionale), un muro ad arcate che è stato demolito venerdì e che, si suppone, facesse da contrafforte alla struttura, sono tutte cose che lasciano sconvolti per la faciloneria con cui si è proceduto. Non sapevo dell'atteggiamento discutibile dei VVFF cui qualcuno ha fatto riferimento, del quale sono venuto a conoscenza solo stamattina. Fino a ieri pensavo che il crollo fosse relativo all'intero blocco che non c'è più, solo stamattina ho compreso che a crollare è stata la casa a schiera con due sole finestre. Penso che sia fin troppo chiaro come le cose siano andate, spero che lo sia altrettanto per chi farà le indagini e le perizie, e per chi emetterà delle sentenze .. nella speranza che certe cose non accadano mai più”.
E poi, avendo letto un post di Niki Vendola sul crollo ho voluto puntualizzare:
“Condivido il discorso, ma voglio puntualizzare alcune cose perché potrebbe partire una campagna demonizzatrice di una certa edilizia nell'interesse di chi voglia specularci (specie in conseguenza dei Piani Casa). Voglio ricordare che certi edifici vengono giù per l'incompetenza con cui vengono fatti certi lavori e non perché sono costruiti con pietre, mattoni e calce. Tra l'altro gli edifici in tecnica tradizionale, se ben costruiti, in caso di sismi o altre sollecitazioni, adattandosi gradualmente alle mutate condizioni statiche, possono salvare molte più vite degli edifici in cemento armato e/o acciaio che, in caso di collasso, non lasciano vie di scampo. Per essere più preciso voglio ricordare che i crolli di L'Aquila e Pompei ci hanno dimostrato come, se certi edifici fossero stati restaurati con tecniche e materiali tradizionali, oggi starebbero ancora in piedi, e molte vite sarebbero state salvate. Non si deve demonizzare gli edifici antichi e/o "vecchi", semmai si devono demonizzare le università che non formano più dei tecnici in grado di restaurare a dovere il nostro patrimonio. Non è poi ammissibile che per ragioni economiche (anche dovute alla situazione politico-economica attuale) si debba risparmiare sulle norme e i sistemi di sicurezza: Come è stato possibile demolire l'edificio accanto a quello crollato (col quale collaborava staticamente) senza nemmeno puntellare quello crollato? Chi ha vigilato sulle opere di demolizione in corso ha valutato la necessità di demolire "a mazza e piccone"? Oppure ha consentito l'uso (proibito sugli immobili costruiti in tecniche tradizionali) del martello pneumatico che crea vibrazioni pericolosissime che generano il distacco tra i blocchi di tufo e i ricorsi di malta? Come è stato possibile che, come ha raccontato un volontario, sotto gli occhi dei VVFF e della Protezione Civile, una pala meccanica si sia potuta mettere a scavare senza pensare che sotto potevano esserci ulteriori cedimenti che, come poi si è visto, probabilmente hanno portato ad estrarre solo cadaveri nonostante ci fossero stati dei contatti tra i soccorritori e le "sepolte vive"?
Riflettiamoci tutti, e stiamo vicini, almeno col pensiero, a queste famiglie straziate da un dolore che nessuna condanna potrà più colmare.
7 ottobre 2011
IL DOLORE NON HA PREZZO
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1 commento:
Che dire?
Il collega Mazzola ha centrato in pieno nonostante la distanza...
del suo post condivido ogni punto e virgola.
Credo che sia ora di fare le dovute riflessioni sull'accaduto e si inizi a lavorare seriamente.
Francesco Giordano
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