Al momento della scelta dell'indirizzo di questo blog, dopo una serie di tentativi a vuoto alla ricerca di un nome semplice e pertinente, la sorpresa: "regola" era libero! L'architettura è oppressa da leggi e regolamenti, i termini più altisonanti della "creativa" cultura architettonica erano già occupati ma una parolina così semplice e antica e comprensibile da tutti, cioè "regola", era libera!
Questo blog parla appunto di "regole" contro la sregolatezza architettonica.


22 luglio 2010

IPERMERCATO D'ESTATE

Pietro Pagliardini

21 luglio, ore 15,00: appuntamento di lavoro per un sopraluogo. Incontro fissato all’ingresso di un grande centro commerciale; unico motivo della scelta: la vicinanza all’oggetto del sopraluogo e l’aria condizionata, dato per scontato il consueto ritardo di qualcuno.
L’ora non è di punta, molti sono in vacanza, il parcheggio è deserto e nel bar-selfservice due sole coppie di anziani ai tavolini, con l’aria dei turisti. Per fortuna, un caffè senza coda.
Conosco quel luogo – o come si dice non-luogo – ma mai come oggi ne ho ricavato un’impressione di disagio, di degrado e di squallore. Con la folla, la sensazione prevalente era il fastidio claustrofobico, il desiderio di scappare; l’assenza di folla esalta la percezione del brutto e del grossolano


L’attesa e la scarsità di persone costringono a vedere i dettagli – polvere nelle cornici sopra i negozi, carte in terra, arredi del bar e del giornalaio di pessima fattura, materiali di rivestimento da sala d’attesa della stazione, ridondanza di segnali pubblicitari. La pensilina in ferro sopra l’ingresso mostra tracce di ruggine, nella pavimentazione esterna mancano molte piastrelle di gres, specie ai bordi, laddove vi sono i tagli, i buchi riempiti con cemento per non inciampare. Ma anche ad immaginarlo pulito e ben mantenuto e ordinato, è davvero impossibile scovarvi il bello.

Il centro commerciale non è un outlet finto-antico, ma un ipermercato finto-moderno: corridoio longitudinale, simulacro di un “corso urbano”, con negozi posti sul lato esterno - ma rigorosamente non visibili da fuori per costringere il consumatore ad entrare - supermercato sull’altro alto.
Nei due vertici del “corso” gli ingressi, con i servizi bar da una parte, grande negozio di elettronica dall’altro.
Nella zona centrale del “corso” c’è uno slargo e ci sono pure le panchine, patetica parodia di una “piazza”. Davanti a queste un grande banco del gelato, a mò di chiosco.

Dunque, anche il finto-moderno fa il verso alla città, proprio come il finto-antico.
Chissà perché questo viene disprezzato da molti architetti e quello no!

Il non-luogo, nella sua essenza profondamente anti-urbana e anti-sociale, isola scollegata dall’intorno, conserva nell’organizzazione del proprio interno una pur debolissima memoria della città, improbabile tributo a questa grande invenzione umana.

Possiamo dire che l’urbanistica del finto-moderno è di tipo funzionalista: strada dritta, servizi ai lati, ingresso di testa, tutto rigorosamente al chiuso in ambiente totalmente artificiale; quella del finto-antico, invece, è di tipo tradizionale: strade irregolari che convergono in “piazze” e, ai piani superiori, finte finestre di finte abitazioni, tutto, ad eccezione dei negozi ovviamente, rigorosamente all’aperto, con qualche porticato. Almeno l’aria è naturale.

Ma questo viene disprezzato e quello no! Chissà perché, dato che sono sostanzialmente la stessa cosa, due facce della stessa medaglia anti-urbana.

Senza folla, il non-luogo ricorda la scenografia di un film: edifici provvisori e di pessima fattura, tutta facciata, che con la confusione, sostituta della macchina da presa, crea l’inganno della realtà. Come nel Truman Show. Le luci, il rumore, la gente che si aggira con i carrelli e le borse piene, famiglie intere che vagano al riparo dal freddo o dal caldo, alimentano l’illusione di trovarsi in un luogo d’incontro e di scambio sociale; ma vuoto, appare in tutto il suo squallore di spettacolo, di messa in scena organizzata per favorire quell’unica funzione per cui esiste, il consumo.
Il centro commerciale è l’esaltazione dell’effimero che però provoca segni e danni profondi e incancellabili nella città, defraudandola della sua essenza di complesso luogo di scambio e di incontro e, alla lunga, trasformando le abitudini delle persone: abitare, lavorare, ecc. ecc. Sì, ancora lui, LC.

Anche i nuovi musei di cui molti vanno fieri, a prescindere dalle loro insensate forme, altro non sono che non-luoghi come i centri commerciali, dove si dispensa, se non si vende, l’immagine di un’arte assurda quanto il suo contenitore. Anche qui si concentra una funzione importante, quella della cultura - una pessima cultura in verità – che nel centro storico è invece diffusa e gratuitamente offerta in ogni angolo della città, e che i cittadini assimilano continuamente, senza doverla andare a cercare in un non-luogo.

Un corso vero di città, anche vuoto, anche alle 15,00 di un giorno di luglio, offre uno spettacolo di cultura, di bellezza e armonia. Manca solo l’aria condizionata, ma è il sacrificio di 15 giorni e neppure per tutto il giorno. Se poi si deve consumare, basta entrare in un bar, e il fresco è assicurato.

15 commenti:

ritorno alla città ha detto...

Complimenti Pietro, è uno dei tuoi post più belli.

Angelo

Pietro Pagliardini ha detto...

Grazie Angelo. Sono solo impressioni estive frutto di una ventina di minuti di attesa dei soliti ritardatari e di un pessimo caffè consumato in un pessimo bar.
Forse se il caffè fosse stato buono avrei guardato il tutto con occhio più benevolo.
Ciao
Pietro

Anonimo ha detto...

Molto efficace, di taglio decisamente cinematografico la tua rappresentazione, suggestiva e ricca di atmosfera!
A voler proprio trovare di che discutere direi che non è del tutto esatto dire che il finto-antico “viene disprezzato e (il finto-moderno) quello no!", anzi, viene talmente disprezzato che hanno inventato il neologismo non-luoghi, con tutta la sua carica negativa, proprio per posti come questo.
Né credo che sia imputabile in toto ai centri commerciali la trasformazione delle abitudini delle persone, ma che, preferibilmente, siano le persone a richiedere/accettare/gradire questo tipo di strutture:certe fasce di persone, che anche tu individui come quelle che non possono permettersi un condizionatore in estate, che risparmiano sul riscaldamento in inverno, che cercano nella folla il minimo vitale di rapporti umani, oppure, aggiungerei, le ormai classiche famigliole tipo, un giovane padre in abbigliamento tecno-sportivo che non si sa che mestiere faccia visto che al pomeriggio di un giorno lavorativo bighellona all’outlet, giovani madri in sovrappeso che leccano sontuosi gelati senza apparenti sensi di colpa, bimbo/a grassoccio/a ingolfato/a di merendine, in via di precoce obesità. Eppure è l’ora in cui a noi dicevano “adesso non si mangia perché hai appena finito di pranzare” o in alternativa “perché fra poco è ora di cenare”.
Viene da chiedersi dove andrebbero queste famigliole, se passeggerebbero con la stessa soddisfazione lungo il corso di una delle nostre città, del che dubito fortemente.
Eppure, oggi trovi spesso nei negozi cittadini le stesse cose, o non-cose, che trovi nel centro commerciale, prodotti generici fabbricati in migliaia di esemplari identici, senza sostanza distintiva, realizzati in uno stesso luogo centralizzato in qualche parte del mondo dove la manodopera costa meno.
Ciò che preoccupa è che il rito della passeggiata nel centro commerciale si consuma talvolta anche senza il fine dell’acquisto: significa che da non-luogo il centro commerciale sta diventando luogo, assumendo il significato paradigmatico della nostra società del nulla.
E poiché i non-luoghi si espandono più rapidamente e facilmente dei luoghi, ed i non-luoghi e le non-cose sono due realtà che si alimentano reciprocamente, appare inevitabile che l’utente del non-luogo accetti sempre più come normale l’impersonalità del rapporto tra commesso e cliente, o che ci rinunci proprio servendosi da solo, comprando non-cose, ricevendo non-servizi, trattando con non-persone.
Si tratta a mio avviso di un processo tragico ma inevitabile, che non prevede recuperi, ma solo cambiamenti radicali.
Cito le belle parole di Caterina Resta: “La perdita del Luogo si compie dunque nell’orizzonte del nichilismo come un processo che attiene alla logica interna della ratio occidentale divenuta unico pensiero dominante sull’orbe terracqueo: ogni tentativo di ri-localizzazione dovrà fare necessariamente i conti con questa storia, con il destino stesso dell’Occidente divenuto mondo, senza consolarsi in nostalgiche tentazioni regressive, ma, piuttosto, procedendo oltre l’inevitabile tramonto di ciò che è stato.”

Vilma

Pietro Pagliardini ha detto...

Commento impietoso il tuo, non nei miei confronti ma nei confronti della realtà, che tu dipingi in maniera superba. Le cause cui tu accenni sono le stesse su cui filosofeggia E. Severino. Difficile dargli torto sul piano logico, difficile dare torto a te.
Ma esistono fattori diversi ma essenziali che le menti logiche non possono mettere nel conto, e sono la speranza e la volontà. Certo, se si deve fare una previsione, a rigore di logica, anche se con molta tristezza, sembra avere ragione Caterina Resta. Ma come escludere una via di uscita? Non mi auguro certo una crisi del sistema analogo o peggiore di quello che abbiamo subito e stiamo ancora subendo con la crisi finanziaria di due anni fa, ma come è accaduta quella, può accadere altro, magari di positivo, capace di cambiare il corso degli eventi.
Se ogni generazione avesse ragionato in termine di rassegnazione dell’esistente, che non credo sia stato sempre splendido, non saremmo qui a scriverci a migliaia di chilometri di distanza in tempo reale.
Lo so che Severino afferma che è proprio la vittoria della tecnica il futuro dell'uomo e quanto oggi io, ma anche te mi pare di capire, giudico negativo altro non è che l'inizio di questa vittoria ma continuo a sperare, anche perché non saprei fare altro, che le cose possano cambiare. Ma chi lo può cambiare il corso degli eventi se non ognuno di noi?
Il punto vero è il modo in cui ci poniamo di fronte a certi fatti: se si ritiene che sia inevitabile la fine della città così come si è configurata nel corso dei secoli, vuol dire che si ritiene che debba finire, che ci piace così. Siamo nel campo del relativismo assoluto. Esattamente quanto è accaduto per l’arte contemporanea. C’è un bellissimo numero de Il Covile, (questo il link http://www.ilcovile.it/news/archivio/00000597.html) in cui si racconta di un filosofo Arthur Danto che, invitato ad una mostra di arte contemporanea, non ci capì niente. Poi ci ragionò sopra e trasse questa definizione conclusiva: “E arte ciò che è considerata tale dalla società”.
L’uovo di Colombo, la spiegazione di ogni cosa, la motivazione per tutto quanto accade, cioè tutto è arte, basta chiamarla tale.
continua......

Pietro Pagliardini ha detto...

continua.....

Certo che i frequentatori dei non luoghi ci vanno spontaneamente e nessuno li costringe, ma non per l'attrattiva del luogo quanto per la funzione del consumo. Tant'è che le varie notti rosa, bianche, blu con i negozi aperti sono affollatissime, come pure i centri storici si affollano quando ci sono manifestazioni tipo "Il Centro commerciale naturale" (senza spiegare si capisce cosa sia). Sono tutte occasioni di consumo e anche di incontro. Come al Centro Commerciale.
Da architetti, però, possiamo essere autorizzati a pensare che se la città avesse un suo disegno chiaro e definito, con i negozi lungo le strade e le abitazioni sopra, se il commercio e le attività fossero diffuse, con ovvie concentrazioni in punti nodali, la gente potrebbe godere di un ambiente sempre vivo e vitale e non solo in determinate e organizzatissime occasioni? C’è un aspetto nevrotico in questa spinta indotta e incoraggiata anche dalle amministrazioni pubbliche verso l’evento in genere, che copre, secondo me, l’incapacità di governare la città, cioè di fare politica.
Perché dovrebbe essere impossibile? In fondo se esiste una tendenza verso i piccoli centri, piuttosto che per le grandi concentrazioni urbane, un motivo ci dovrà pur essere.
Ciao
Pietro

Anonimo ha detto...

Bellissima, documentata e assolutamente condivisibile la ricerca del Covile, la linkerò nei miei scritti sullo stesso argomento.
Quanto a Danto e all'incomprensibilità dell'arte moderna, deve essersene fatto una ragione, se poi scrive, nel 1997, "L'abuso della bellezza" da cui cito: "…… Ciò significa che non puoi spiegare il significato dell’arte per esempi. Ciò significa che, in quanto si tratta di apparenze, qualunque cosa può essere un’opera d’arte, e significa che se si cerca di scoprire che cosa sia l’arte, ci si deve spostare dall’esperienza dei sensi al pensiero. Si deve, in breve, voltarsi verso la filosofia."
E se vogliamo restare in Italia, Dino Formaggio, docente di Filosofia dell'arte all' Università di Pavia, Padova e Milano, afferma prima di lui che arte è tutto ciò che gli uomini hanno chiamato arte, una tautologia ovvia ma non per questo scontata.

Si tratterebbe di capire se anche urbanistica è tutto ciò che gli uomini hanno chiamato urbanistica, dove la risposta va cercata, anche in questo caso, spostandosi verso la filofofia (o la filosofia della sociologia), e forse Zygmunt Bauman ci potrebbe aiutare parecchio.

Vilma

Anonimo ha detto...

scusa, Pietro, mi accorgo ora di un refuso nel mio commento precedente (filofofia anziché filosofia): non è un neologismo o una mia invenzione linguistica (cosa che faccio talvolta, consapevolmente), è proprio uno svarione dovuto alla mia pessima abitudine di non rileggermi, di cui mi scuso.

Vilma

Pietro Pagliardini ha detto...

La domanda che mi pongo e che dovremmo porci è: può una società umana vivere senza città? O meglio può una società umana immaginare una città per ciascuno? Perché trasferendo l'idea di Danto dall'arte alla città il risultato sarebbe questo, almeno teoricamente: ad ognuno la sua città.
Una vera e irresolvibile contraddizione.
Ciao
Pietro

ritorno alla città ha detto...

Lo so che non c'azzecca niente, ma visto che si parlava di Arte contemporanea...
Ho letto da poco un'intervista di Repubblica a Cattelan, ( artista che personalmente apprezzo ) e sentite cosa dice a proposito dei musei: "Il problema, nei musei, non è entrarci, ma come sistemarsi. Prendiamo gli spazi accartocciati, molto simpatici da fuori, di Frank O. Gehry, l'architetto superstar del momento: non sai dove piazzare il tuo lavoro, ogni spazio è un ego, divora se stesso. A Zurigo, una volta, mi hanno messo a disposizione un museo di 2500 metri quadri, suddiviso in tante stanzette. Fa' quel che vuoi mi hanno detto. E io ho fatto tira giù tutti i muri. Sono stati contenti: dovevano ristrutturare prima o poi."
Direi che si commenta da solo.
Ciao
Angelo

Anonimo ha detto...

Per ovviare al fatto che ogni artista che esponga in un museo moderno (il Guggenheim di Bilbao o il MAXXI di Roma, per esempio) venga fagocitato dalle strutture e sopraffatto dal protagonismo del progettista, Cattelan ha aperto da anni, con Gioni e Subotnick, la sua Wrong Gallery a New York, il più piccolo spazio espositivo del mondo, definito dagli stessi fondatori "la porta sul retro per l'arte contemporanea" che oltretutto, aggiungono ironicamente, è sempre chiusa.
Poco più di un metroquadro di spazio vetrato, dove, ovviamente a turno, espongono artisti di fama internazionale.
E ogni volta è un evento, almeno per i newyorkesi. Non so che ne direbbero gli italiani.

Vilma

Pietro Pagliardini ha detto...

Non so cosa ne direbbero gli italiani ma certo, il fatto stesso che la "galleria" altro non sia che una vetrina è appunto un evento.
Però, in fondo, non sarà giunto il momento di dire che dell'evento non ci interessa niente e che invece il vero evento sarebbe di vedere opere di qualità? Probabilmente, come dice Sgarbi nel famoso video contro il MAXXI, in uno spazio qualsiasi, anonimo, che non sopraffaccia le opere, che non sia evento ma solo luogo in cui si possano godere di opere d'arte degne di questo nome.
Personalmente come sento la parola evento mi prende l'orticaria. Evento l'unico concerto italiano della famosa star della musica, evento la mostra del Caravaggio, evento la sfilata di moda alla stazione, evento perfino George Clooney in tribunale ecc.
Evento che auspico: moratoria di tre mesi senza eventi.
Ciao
Pietro

Anonimo ha detto...

La galleria come vetrina sarebbe perfetto!
Ho vagheggiato a lungo, quando ne avevo l'età, l'incoscienza e l'inesperienza necessarie, l'idea di un museo trasparente, il museo immaginario di André Malraux, con pareti interamente vetrate (antisfondamento, naturalmente!), dentro il quale si poteva guardare passando per strada, in auto o a piedi, anche da lontano, senza bisogno di entrare.
Una grande teca senza volume, che di notte si accendesse come un faro per illuminare un intero quartiere.

Ti immagini, mentre un fiorentino va in ufficio si dà un'occhiata alla nascita di Venere, un milanese nella pausa pranzo, dal tavolino del bar si ripassa il futurismo, un genovese mentre corre a prendere l'autobus passa in rassegna i ritratti fiamminghi di palazzo Rosso .....
Niente museo-evento, è come se non ci fosse, c'è solo l'arte, senza code al botteghino, senza biglietti d'ingresso, e tutti i Gerhy e le Hadid disoccupati....

Vilma

Pietro Pagliardini ha detto...

Fantastico, Vilma, anche perché non sarebbe né un museo né una galleria ma solo arte per strada (al sicuro), non un luogo dove andare a "consumare" arte (stasera mi svago al museo, domattina lavoro in fabbrica, stanotte dormo in casa), ma l'arte come consuetudine per tutti, distratti o interessati.
In fondo, nella mia provinciale Arezzo, lontano dal brillio metropolitano, c'è un antiquario, di nome Artemio (pubblicità gratuita, ma solo per pochissimi, dati i prezzi) che mostra nelle sue vetrine (blindate) gratuitamente a tutti, quadri del '500, trittici del '300, perfino un Vasari. E senza eventi particolari.
Chissà, forse anche a Voghera c'è qualcosa di simile per le tue casalinghe!
Ciao
Pietro

ritorno alla città ha detto...

A Firenze esiste già qualcosa di simile (solo per la scultura), si chiama Loggia dei Lanzi.
Fondendo l'idea di Vilma e quella della micro galleria di Cattelan, si potrebbe pensare ad una vetrina sotto la loggia per poter fruire, a turno una per volta, di alcune delle grandi opere pittoriche conservate agli Uffizi.
Questo si che sarebbe un evento!
Scusa Pietro non dovevo dirlo ;-))

ciao

Angelo

Pietro Pagliardini ha detto...

Caro Angelo, soprassiederò sulla bestemmia perché è a fin di bene.
Ciao
Pietro

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