Al momento della scelta dell'indirizzo di questo blog, dopo una serie di tentativi a vuoto alla ricerca di un nome semplice e pertinente, la sorpresa: "regola" era libero! L'architettura è oppressa da leggi e regolamenti, i termini più altisonanti della "creativa" cultura architettonica erano già occupati ma una parolina così semplice e antica e comprensibile da tutti, cioè "regola", era libera!
Questo blog parla appunto di "regole" contro la sregolatezza architettonica.


14 aprile 2009

IL PARADOSSO DEL MODERNISTA

Pietro Pagliardini

Un brano di Karl Popper:

"In conseguenza della perdita del proprio carattere di organicità una società aperta può diventare gradualmente quella che amo definire una “società astratta”. Essa può perdere, in considerevole misura, il carattere di gruppo concreto o reale di uomini o di sistema di gruppi reali siffatti. Questo punto, che è stato raramente compreso, può essere spiegato per mezzo di un’esagerazione.
Noi possiamo concepire una società nella quale praticamente gli uomini non si incontrano mai faccia a faccia –nella quale tutte le attività sono svolte da individui completamente isolati che comunicano tra loro per mezzo di lettere dattiloscritte o di telegrammi e che vanno in giro in automobili chiuse. (La fecondazione artificiale consentirebbe anche la riproduzione senza la componente personale). Siffatta società fittizia potrebbe essere chiamata una “società completamente astratta o depersonalizzata”. Ora, il punto interessante è che la nostra società moderna assomiglia in molti dei suoi aspetti a siffatta società completamente astratta. Benché noi non sempre viaggiamo da soli in automobili chiuse (ma incontriamo faccia a faccia migliaia di uomini che ci camminano accanto nella strada), il risultato è quasi o stesso che se viaggiassimo a quel modo: noi cioè, di norma, non stabiliamo alcuna relazione personale con pedoni nostri simili.[…..]



Ci sono molte persone che, vivendo in una società moderna, non hanno alcun contatto personale intimo o ne hanno pochissimi, vivono nell’anonimità e nell’isolamento e, di conseguenza, nell’infelicità. Infatti, benché la società sia diventata astratta, la struttura biologica dell’uomo non è cambiata molto, e gli uomini hanno bisogni sociali che non possono soddisfare in una società astratta.

Naturalmente, il nostro quadro, anche in questa forma, è oltremodo esagerato. Non ci sarà mai o non ci può essere mai una società completamente astratta o anche una società prevalentemente astratta. Gli uomini continuano a creare gruppi reali e ad allacciare reali contatti sociali di ogni genere e cercano di soddisfare nella massima misura possibile i loro bisogni sociali emozionali.
[….]

Alla luce di quanto si è detto, risulterà chiaro che il passaggio dalla società chiusa alla società aperta può essere considerato come una delle più profonde rivoluzioni attraverso le quali è passato il genere umano. In conseguenza di quello che abbiamo definito il carattere biologico della società chiusa , questo passaggio deve avere su coloro che lo vivono un’incidenza profondissima. Perciò, quando diciamo che la nostra civiltà occidentale deriva dai greci, dobbiamo renderci conto di che cosa ciò significa. Significa che i greci cominciarono per noi quella grande rivoluzione che, a quanto pare, è ancora ai suoi inizi: il passaggio dalla società chiusa alla società aperta."

Karl Popper, La società aperta e i suoi nemici. Platone totalitario. Roma 1973.

Questo brano di Karl Popper, pubblicato in Italia nel 1973 ma concepito in gran parte circa 70 anni fa, non si occupa direttamente di urbanistica, tanto meno di architettura ma suggerisce alcune cose sul rapporto tra l’individuo, la società e la città: chi ritiene (in realtà auspica) che la città, nel suo adattarsi alla “società aperta”, debba assecondare quell’isolamento sociale di cui parla Popper, non tiene conto di quanto Popper stesso dice e che è abbastanza evidente anche senza scomodare Popper, cioè che la struttura biologica dell’uomo, nel passaggio durante questi secoli da un tipo di società all’altra, non è cambiata molto e ha ben poco di astratto.

Quindi l’uomo, la cui condizione ancora fortemente legata alla sua biologia alcuni giudicano evidentemente come primitiva, ha bisogno di città che permettano lo scambio sociale e che lo facciano sentire meno isolato, di case capaci di garantire loro intimità e riparo. Nonostante sia passato e passi sempre più di frequente nei media il messaggio di una società astratta in atto e si confondano alcuni episodi marginali, ma di grande impatto pubblicitario, legati al mondo dell’immagine, il grosso della società mantiene tutta la sua concretezza e la sua naturalità.

Questa società ha bisogno di città tradizionali e a chi pensa che ciò non sia vero io suggerisco di individuare, in ogni occasione possibile di nuovi progetti importanti, la strada giusta per fare una verifica: si rendano i cittadini responsabili delle scelte importanti per la città, sottoponendo loro una variegata gamma di progetti diversi e opposti come impostazione (non uno stesso genere, cioè) al voto popolare. Ciò che verrà scelto sarà la scelta giusta.

Chi sostiene una scelta tradizionale in urbanistica e architettura non teme il giudizio popolare. Chi lo teme si rifugia sempre dietro l’idea che queste scelte spettano agli esperti perché la gente non capisce, non possiede gli strumenti per giudicare.

Tale ragionamento ha in sé questo paradosso: i sostenitori di un tipo città che loro reputano adatta ad una “società aperta”, usano esattamente gli strumenti di potere e la forma mentis propri della “società chiusa”, della società organica e platonica.

In altre parole i modernisti sono "antichisti" oppure i progressisti sono i veri conservatori.

3 commenti:

Salvatore D'Agostino ha detto...

Pietro,
trovo i tuoi ultimi post ingenuamente faziosi e distaccati dai problemi reali.
La tua è una visone elitaria, borghese e innocentemente militante.
Predichi una soluzione che azzera la conquista più bella della nostra epoca, la complessità.
T’invito a leggere questo articolo di Gianni Biondillo su Nazione Indiana ---> http://www.nazioneindiana.com/2009/03/20/urbanita-9/
Magari chiama a raccolta Rupi, Salingaros e Krier per inviare dei commenti ‘tradizionalisti’.
Questa società ha bisogno di progettisti giovani, perché i vecchi hanno dimostrato di aver distrutto tutto ciò che di bello c’era.
Se il comunista Vittorio Gregotti ha costruito lo ZEN a Palermo, i democratici cristiani hanno alzato centinaia di palazzoni (chiamato ‘sacco di Palermo’).
Ancora dobbiamo sopportare le vostre beghe destra/sinistra, avete veramente stancato. Cortesemente andate a discutere dei vostri problemi infantili altrove, perché noi sappiamo benissimo cosa fare, tutto il contrario di quello che avete fatto voi.
E se ci permetti con il nostro stile.
Avete paura dei giovani perché ignorate il linguaggio contemporaneo. Ti faccio un esempio con una frase fatta: “gli immigrati ci rubano il lavoro”. Avete mai parlato con un imprenditore di come riescono a salvare i loro bilanci. Si osservano gli episodi ignorando le cause.
Pietro, sveglia! Meno ingenuità e più fegato. Siamo messi troppo male per parlare di ‘niente’.
Questo blog è palesemente astioso e si nota in ogni frase. Come se cercassi una rivalsa.
Per favore nel prossimo post puoi scrivere qualcosa di personale?
Saluti,
Salvatore D’Agostino

Pietro Pagliardini ha detto...

Salvatore, io credo di scrivere quasi tutto di personale, per quanto può essere personale il pensiero di ognuno, con tutti i libri che si leggono, le amicizie che si frequentano, le informazioni che si ricevono.
Un pensiero veramente personale e assolutamente originale, dice l'antropologa Ida Magli nel suo libro su Gesù, è caratteristica del Genio. E di questi non se contano molti in ogni secolo.
Quanto al giovanilismo mi sa che tu leggi qualche altro blog visto che i "giovani" che a me non piacciono sono i Rem Koolhaas, Zaha Hadid, Ghery, Libeskind, Eisenmann, ecc. tutti notoriamente neo-laureati in cerca di prima occupazione. Se poi i giovani anagrafici hanno quel genere di architettura come riferimento allora rientrano a pieno titolo nel discorso e il fattore età per me resta del tutto indifferente.
Ma, ora che ci penso, chi mai, oltre a te, ha mai usato in questo blog la categoria "giovani" come portatrice di qualche particolare valore o disvalore? Forse che tu confondi "giovani architetti" con "studenti di architettura" che io ritengo vittime di docenti che li spingono verso il mito della creatività. Vedi in proposito il commento Riccardo, un "giovane" studente, nel post precedente. Oppure leggiti il post tratto da Il Foglio, di Carlo Maria Acerbi, anche lui un "giovane", non so se studente o fresco di laurea. O vatti a leggere qualche commento nel blog Bovisiani. Troverai una certa coincidenza di giudizio tra me e qualche "giovane".
Sull'astiosità non saprei che dirti perché è difficile per ciascuno di noi capire se all'origine dei nostri convincimenti ci sia anche questo deprecabile moto umano.
E' possibile!
Tu però mi fai pensare seriamente che sia effettivamente così.
Saluti
Pietro

Salvatore D'Agostino ha detto...

Pietro,
evitiamo la retorica del giovanilismo.
Andiamo al sodo, io sono stanco di una (due/tre) generazione che ha creato liste di prescrizione (i nemici da eliminare, vedi elenco da te fatto nel commento) e che concentrandosi su questa missione ha perso il senso della propria sfida.
Una generazione astiosa che ha permesso lo svilimento dell’architettura e la decadenza della figura dell’architetto.
Io credo nella nuova generazione, perché attraverso i nuovi strumenti sta saltando l’inghippo ‘accademico’, creando un nuovo modo di pensare. Io ho fiducia in questa generazione meno astiosa è più aperta.
I tuoi esempi ‘giovani’ li rispetto ma non li condivido. Sicuramente non sono loro gli autori della cementificazione e della cultura bieca dell’edilizia, ma qualcun altro. Spero che non siano la maggioranza, altrimenti ci tocca vivere sempre peggio.
Vorrei parlare di questo e non di favole ‘elitarie’.
Da te mi aspetto post concretamente reali e non di regole nate all’interno di uno studio di architettura.
Termino con un’ipotesi concreta di architettura, citando Gilles Clément (nato nel 1943 ma non facente parte della generazione degli astiosi, ovvero i perenni impuniti della devastazione della nostra povera Italia): «Mettere in discussione, anzi in pericolo l’architettura intesa come modo unico di comprendere lo spazio.».
Questo è un invito alla concretezza, continuare a essere astiosi, incolpevoli e ciechi non serve a nessuno.
Saluti,
Salvatore D’Agostino

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