Al momento della scelta dell'indirizzo di questo blog, dopo una serie di tentativi a vuoto alla ricerca di un nome semplice e pertinente, la sorpresa: "regola" era libero! L'architettura è oppressa da leggi e regolamenti, i termini più altisonanti della "creativa" cultura architettonica erano già occupati ma una parolina così semplice e antica e comprensibile da tutti, cioè "regola", era libera!
Questo blog parla appunto di "regole" contro la sregolatezza architettonica.


18 dicembre 2008

CIRO LOMONTE COMMENTA ROBERTO GABETTI

IL LIBRO:
ROBERTO GABETTI, Chiese per il nostro tempo, Elledici, Leumann 2000, pp. 181, £ 32.000.

di Ciro Lomonte

Sembra che alcuni ecclesiastici, lodevolmente impegnati nel fare accettare il tema progettuale della chiesa agli architetti contemporanei, abbiano deciso di arrendersi alla modernità, nonostante questa si sia affermata molto spesso negando il messaggio cristiano. La rivoluzione compiuta dall’arte moderna ha ben pochi elementi in sintonia con il cristianesimo. La Chiesa ha rifiutato la modernità quando quest’ultima era vitale e oggi che è consunta, con problemi quasi insolubili, rischia di accettarla acriticamente. Non bisogna dimenticare che l’arte moderna ha scelto di rivolgersi solo ad un’élite, mentre l’arte della Chiesa era rivolta anche agli analfabeti.

La Chiesa dovrebbe ricuperare la memoria di quello che è stata nei secoli. Nel primo millennio dell’arte cristiana (dal IV al XIV secolo) la fede si fece cultura, infondendo in un mondo stanco l’inedita fiducia nella bontà delle creature, tanto visibili quanto invisibili. Questo fenomeno iniettò linfa nuova nell’arte romana. Si pensi al processo che trasfigurò il modello della basilica pagana, con le sue absidi, nella cattedrale paleocristiana. L’oblio di questa parte della storia, forse legato a un eccesso di spiritualizzazione della vita ecclesiale, rende falso alla radice ogni tipo di dialogo con l’arte moderna.

C’è poi chi rileva che, negli ultimi 35 anni, le chiese sono state ridotte a teatri per la scena liturgica, come se l’effetto cercato fosse lo spettacolo. Moltissimo sarebbe stato mutuato dalla concezione protestante, secondo la quale non c’è nulla di soprannaturale nell’azione liturgica.
È vero tutto ciò? Ha ragione chi sostiene che le chiese moderne sono brutte? La speranza di ottenere risposte puntuali a queste domande spinge a leggere l’ennesimo libro sull’architettura per il culto. La speranza è alimentata dall’autorevolezza dell’architetto Roberto Gabetti, progettista e docente universitario di fama internazionale, dal 1974 Direttore della Sezione di Arte Sacra della Diocesi di Torino.

Nella prosa chiara del testo non v’è traccia del gusto un po’ morboso e clericale per il paradosso, spinto ai confini dell’ortodossia, di Giacomo Grasso (Come costruire una chiesa), né dell’eloquio erudito, piuttosto oscuro ed ambiguo, di Crispino Valenziano (Architetti di chiese). Tuttavia il modo di argomentare è dialettico: pare quasi che il problema non sia risolvere i problemi, bensì rendere problematici i problemi.

La progettazione di chiese secondo la Riforma liturgica seguita al Concilio Vaticano II viene presentata nella cornice della storia dell’architettura dell’Ottocento e del Novecento. L’autore è un architetto moderno, pertanto non può fare a meno di manifestare fastidio per ciò che definisce “arcaismo” e che altri chiamano, più rispettosamente, ornamento architettonico.Egli fa riferimento alle riflessioni del liturgista Frédéric Debuyst, in particolare al suo “elogio della quotidianità”, in base al quale si dovrebbe preferire un normale bicchiere al posto del calice, un tavolo al posto dell’altare, una sedia al posto della sede e così via. Questo è un punto molto controverso: davvero camuffare la liturgia nelle forme della vita ordinaria avvicina i sacramenti agli uomini del nostro tempo? Perché allora Gesù fece preparare accuratamente l’Ultima Cena nel Cenacolo di un anonimo amico facoltoso?

L’autore stigmatizza l’uso del marmo e di altri materiali “preziosi” in nome della “povertà” della Chiesa. Ma un architetto sa bene che le chiese in cemento armato durano trent’anni, nel migliore dei casi. E la durata non è solo questione di materiali (realmente poveri se resistono all’usura del tempo, non se costano poco), ma anche di bellezza dell’edificio. Il guaio è che il bello è un tema esiliato dall’architettura moderna.

Le chiese moderne non sono tutte brutte. Forse nessuna di esse possiede i requisiti di un vero edificio per il culto. Attendiamo pazientemente che qualcuno ce ne spieghi i motivi, non per recriminare ma perché fiorisca un’arte nuova che sappia darci chiese per il nostro tempo.


FOTO:
1) Chiesa di Gesù Redentore, Modena di Mauro Galantino (2008)
2) La Sagrada Familia, Barcellona di Antonio Gaudì i Cornet (come un bosco che echeggia la liturgia descritta nell'Apocalisse)
3) Battistero di San Giovanni in Laterano, Roma

Collegamento al Post: Ciro Lomonte e il genius loci cristiano


8 commenti:

Anonimo ha detto...

Gabetti fu (Lomonte ne parla come se fosse vivo, ma è da un po' che se ne è andato) un architetto molto intellettuale, sofisticato.
La sua ricchezza intellettuale lo rendeva però forse troppo prudente, non abbastanza coraggioso; non amava predere posizione in modo troppo esplicito.
E non è forse un caso che il suo esito progettuale spesso tendeva ad interrare gli edifici.
Raccontano che Mollino - così invece esuberante e "gestuale" - lo ritenesse negato per l'architettura.
Cultore del '700, mi pare che avesse un approccio un po' da illuminista cattolico, quindi non esattamente un "progressista" cattolico.
Per quanto non andai mai molto d'accordo con lui, mi ha lasciato davvero qualcosa, però.

Anonimo ha detto...

Con imperdonabile ritardo, leggo la benemerita reazione del prof. Lomonte alla deriva minimalista dell'architettura sacra contemporanea (il cui massimo esempio è, a mio parere, il libro di A. Galeffi delle Edizioni Dehoniane).
Non è un problema solo di oggi: i libri di S. Benedetti dimostrano quanto -già dagli anni '60- in questa operazione iconoclasta fossero coinvolti, con ottime intenzioni, non solo architetti, ma teologi e altissimi prelati.
La questione dell'orientamento dell'edificio sacro è, in questo contesto, del tutto paradigmatica!
Uno sguardo alla letteratura liturgica precedente al libro di Ratzinger “La festa della fede” permette di notare che la questione dell’orientamento dell’edificio di culto, quando trattata, è confinata nell’ambito della storia dell’arte, dell’antropologia culturale o della fenomenologia religiosa.
Prevale di gran lunga l’atteggiamento che ne fa o il reperto storico di un’epoca conclusa oppure certo di una persistenza, ma singolarmente connotata come residuo ancestrale. Nell’una o nell’altra prospettiva, l’orientamento (e insieme tutta una lunga serie di invarianti “cosmiche”) non ha nulla da dire alla teologia. I pochi contributi specifici (Romano Amerio “Iota unum” ; Louis Bouyer “Architettura e liturgia”; Klaus Gamber “Tournes vers le Seigneur!”; Jean Fournée “La Misa cara a Dios”), perché catalogati nella reazione tradizionalistica al Concilio, non hanno spostato i termini dell’approccio.
La situazione della riflessione teologica è radicalmente mutata proprio con il libro di Ratzinger, che va oltre le angustie sia della percezione pre-conciliare rubricista (che tendeva a ghettizzare il dato nella norma scritta), sia di quella post-conciliare (esposta al rischio di squalificare lo stesso dato, nel sospetto di paganesimo).

Il libro ha suscitato polemiche dure, ma ha prodotto anche ulteriori significative riflessioni (ad es.: Uwe Michael Lang “Rivolti al Signore” Cantagalli; Steven J. Schloeder “L’architettura del corpo mistico” L’Epos). Ma è opportuno sottolineare che, via Bouyer, anche un liturgista tutt’altro che tradizionalista come Crispino Valenziano ha sostenuto l’opportunità del recupero dell’orientamento celebrativo tradizionale.
Importante è anche la precisazione ufficiale della Congregazione per il Culto Divino (2000).

Da questo punto di vista, non deve essere passato sotto silenzio un importante testo che riassume la problematica teologico-liturgica dell’edificio ecclesiale; parlo di V. Sanson “Architettura sacra del Novecento” di recente edito dall’EMP (dunque espressione eminente di importanti - e progressiste - facoltà teologiche del Triveneto), segnatamente nelle riflessioni conclusive. Come dire che, con Pasolini, “solo la rivoluzione può salvare la tradizione”.
I termini del discorso sono di conseguenza ben chiari: altro è l’ “atteggiamento spirituale”, altra la disposizione corporeo-spaziale; ma, al contempo, questa disposizione non è irrilevante dal punto di vista teologico. Anzi, se è valido ancora l’aureo principio “caro salutis cardo”, si pone come dato “teologico” acquisito e ineludibile. È stato merito del card. Ratzinger aver riproposto il tema e il magistero liturgico di Benedetto XVI ne testimonia la vitalità.

Pietro Pagliardini ha detto...

Segnalerò il suo documentatissimo commento a Ciro Lomonte che credo vorrà risponderle.
Io non ne sono certo all'altezza e non lo vorrei comunque fare al posto suo.
La ringrazio molto.
Pietro

Anonimo ha detto...

Riguardo al primo commento: sapevo della scomparsa di Gabetti, ma ho frettolosamente inviato a Piero questa recensione, così com’era stata pubblicata nel 2001, senza precisazioni ulteriori. Lo stesso vale per la recensione del libro di Frédéric Debuyst.

Al dotto excursus di Luigi Puddu posso aggiungere qualche spunto di riflessione.
Il Movimento Moderno si è compiaciuto di fare tabula rasa delle tradizioni, architettoniche e non. Una di queste era l’orientamento delle chiese, regola non sempre applicata in passato. Non si trattava banalmente di collocare il presbiterio in direzione dell’est geografico: esistono chiese moderne in cui è difficile assistere a messa la mattina, perché il sole abbaglia i fedeli attraverso le enormi vetrate poste dietro l’altare. Si trattava piuttosto di disegnare l’edificio con l’analemma vitruviano. Il che comportava, fra l’altro, che l’abside fosse orientata verso il punto esatto in cui sorgeva il sole nel giorno del santo a cui era dedicata la singola chiesa. Inoltre la navata fungeva da orologio e calendario.
Non erano stratagemmi per stupire, né ricorso alla magia. Erano metodi di contestualizzazione basati sulla conoscenza del cosmo, dell’uomo, di Dio. Detto con parole di Schloeder, è un modo di rendere sacramentale lo spazio, cioè segno sensibile delle realtà soprannaturali che avvengono nella celebrazione. La bellezza che ne risulta è frutto della ricchezza della metafisica.
La povertà dei risultati architettonici propugnati dal Movimento liturgico è dovuta all’ossessione della orizzontalità. L’assemblea è diventata più importante del Corpo Mistico di Cristo. Si è deliberatamente messo da parte l’incrocio dinamico fra le direzioni orizzontali e quelle verticali dello spazio sacro, il suo rimando alla trascendenza di Dio che incontra l’uomo nel Figlio.
La questione non si risolve semplicemente orientando le chiese e tornando all’altare “versus ad orientem”, con il celebrante che dà le spalle al popolo. Il sacerdote, mentre celebra la messa, è “alter Christus, ipse Christus”. Se egli si attiene alle rubriche anche la sua persona acquista un ruolo sacramentale, perché in quel momento agisce “in persona Christi capitis” e coinvolge profondamente il popolo nella ripresentazione del sacrificio del Calvario. Se invece fa il pagliaccio, interpreta a modo suo i testi, sperando di coinvolgere i fedeli, ridotti a spettatori, tradisce il proprio compito senza ottenere neppure il risultato da lui sperato.
Per riprendere a costruire chiese, allo stesso tempo belle e adeguate ai riti, occorre affrontare l’inadeguatezza dell’architettura odierna, iconoclasta alle sue radici, come lo è in genere tutta l’arte contemporanea. Ma bisogna anche superare l’eccessivo populismo della liturgia attuale, fra l’altro non gradito dai fedeli.

Ciro Lomonte

m.l. ha detto...

invito, per chi fosse interessato, ad approfondire a riguardo del nuovo complesso parrocchiale di Gesù Redentore, nella città di Modena, del maestro Galantino


http://nuovarchitettura.blogspot.com

Anonimo ha detto...

Non vorrei sembrare irriverente nei confronti del maestro Galantino, ma esaminando le facce nelle foto di
http://www.gesuredentore.it/Comunita/IG/080504/index.htm
non sembra che i fedeli siano particolarmente entusiasti di trovarsi dentro questo spazio minimalista all'ennesima potenza.

Pietro Pagliardini ha detto...

In effetti, dalle foto non mi sembra che vi siano volti gioiosi ma alquanto smarriti.
Inoltre, senza volere e sapere affrontare argomenti più seri come hanno fatto il prof. Luigi Puddu e Ciro Lomonte, direi che da quelle foto si potrebbe anche arguire che il Maestro Galantino abbia progettato una palestra. Bella e luminosa in verità, e con tanto di tribune per il pubblico.
Pietro

Anonimo ha detto...

http://archiwatch.it/2013/05/28/chiese-e-torcicollo

A distanza di anni il maestro Galantino continua a suscitare entusiasmo!

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