Al momento della scelta dell'indirizzo di questo blog, dopo una serie di tentativi a vuoto alla ricerca di un nome semplice e pertinente, la sorpresa: "regola" era libero! L'architettura è oppressa da leggi e regolamenti, i termini più altisonanti della "creativa" cultura architettonica erano già occupati ma una parolina così semplice e antica e comprensibile da tutti, cioè "regola", era libera!
Questo blog parla appunto di "regole" contro la sregolatezza architettonica.


28 agosto 2008

ORGANISMO E AUTOSOMIGLIANZA: UN'ANTINOMIA NON RISOLTA

Pietro Pagliardini

Nel blog sono apparsi di recente due post apparentemente diversi: uno sosteneva che la città è simile ad un organismo vivente, l’altro trattava dei frattali e dell’autosomiglianza in architettura.
L’autore del post sui frattali, intellettualmente molto esigente, comparando i due post si è posto però, con ciò ponendolo anche a me, questo dilemma:
“Il fenomeno dell’autosomiglianza appartiene all’architettura tradizionale e classica ma si può estendere anche alla città e nel post ci sono anche alcuni accenni . Ma i frattali non sono organismi, anzi sembrano l’esatto opposto, e allora come è possibile che da due procedimenti logici che partono da principi opposti si arrivi alle stesse conclusioni? Se la città è assimilabile ad un organismo come è possibile che presenti anche caratteristiche della geometria dei frattali?”.

Quesito difficile che, se non risolto, potrebbe indurre anche alla conclusione che l’uso che abbiamo fatto di queste metafore non siano tanto astrazioni della mente utili a ricavarne leggi sull’essenza e sul funzionamento dell’architettura e della città quanto espedienti letterari e narrativi privi di corrispondenza alla realtà, frutto di elucubrazioni intriganti ma fuorvianti.
Mi azzarderò a tentare una parziale risposta sperando di soddisfare il rigoroso interlocutore.
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Nei due post si sostiene che la città per funzionare deve essere simile ad un organismo vivente complesso e, contemporaneamente che una forma architettonica o urbana per essere riconosciuta come bella dall’uomo, deve riprodurre, in forma astratta, le forme della natura le quali sono, in moltissimi casi, identiche a sé stesse via via che si scende di scala.

Entrambe le due condizioni convergono (o forse sono strumentalmente utilizzate dai due diversi scriventi) verso la stessa visione di un ritorno alla storia sia in urbanistica che in architettura, portano cioè acqua al mulino di un ambiente urbano tradizionale e/o classico.

Tuttavia sembra di essere in presenza di una antinomia cioè di quella condizione che sfugge al principio di non contraddizione in base al quale o è vera A o è vera non-A mentre in questo caso sembrerebbero vere sia A che non-A.
Può darsi che uno dei due procedimenti logici parta da un principio sbagliato, per cui, ad esempio:
non è necessariamente vero che la città sia assimilabile ad organismo;
oppure:
non è necessariamente vero che l’architettura debba essere costruita con il principio dell’auto-somiglianza a causa della “necessità per la mente e il corpo dell’uomo di un rapporto di continuità con le forme della natura e dell’ambiente” che, perciò, risulterebbe falso.

Un bel problema che, logicamente, è fuori della mia portata. Per dare una risposta occorre però verificare, innanzi tutto, se entrambe gli assunti iniziali siano veri, o almeno verosimili.

Lo farò non ripetendo le stesse cose già dette nei due post precedenti ma appellandomi alla forza dell’analisi e della teoria di Caniggia e Maffei, i quali, sulla scia di Saverio Muratori, hanno studiato il processo evolutivo “dell’ambiente antropico”, dalla scala del tipo edilizio fino alla scala del tipo territoriale, nel loro “Lettura dell’edilizia di base”, Alinea

LA CITTA' COME ORGANISMO

Tutto lascia presumere che la città si evolva e si modifichi secondo principi analoghi a quelli degli organismi viventi: in particolare si consideri la “legge dei raddoppi” che vale ad ogni scala: dalla matrice elementare edilizia di circa 5/6 metri per circa 5/6 metri avviene il raddoppio in altezza; successivamente avviene il raddoppio in pianta, passando al tipo edilizio di base di circa 5/6 metri per circa 10/12 metri e per due piani, successivamente ancora alla casa in linea e così via in un processo di tipo organico per le sue forti somiglianze con il processo biologico cellulare

Ma c’è tutto il processo di crescita e modificazione “dell’ambiente antropico” a confermare il comportamento organico: “ Qual'è dunque la spinta alla crescita del tipo; a che è dovuta la necessità di acquisizione di spazio maggiore, in relazione allo sviluppo di una civiltà? Sembra evidente che, da uno spazio a uso indifferenziato, che già assolve e riassume tutte le funzioni di una casa odierna in poca superficie, il “tipo base”, vengono di volta in volta separate le funzioni che l’uomo ha progressivamente ritenuto di dover separare, attribuendo a ciascuna uno spazio proprio, specializzato ad assolvere quella determinata funzione.” (Caniggia-Maffei- Lettura dell'Edilizia di base - Pag. 98)

Cioè l’organismo da semplice e indistinto si specializza, come nel processo evolutivo della natura.

Questo per quanto attiene alla crescita, ma esiste anche la funzionalità della città e anche qui l’assimilazione all’organismo è dato dalla presenza di “organi, o altre parti che lavorano insieme per svolgere i vari processi della vita” (definizione tratta da www.thefreedictionary.com/organism).
Come negare l’esistenza di organi diversi e collaboranti nella città! Le varie polarità urbane, ciascuna con funzione specifica ma integrata, il rapporto tra le strade e la piazza, i temi collettivi, che integrano e servono la residenza, le connessioni stradali che, similmente al corpo umano, devono essere ridondanti per evitare che il blocco di una sola di ese causi il blocco di tutto il flusso.

Se poi qualcuno ritenesse che il corpo umano è assimilabile e ad una macchina (o meglio, l’inverso) si entrerebbe in questo caso in problematiche filosofiche diverse che esulano da questo post. Ciò che conta è che la città, nel suo complesso e a tutte le scale cresce e si comporta in modo simile ad un organismo vivente, almeno a livello di “coscienza spontanea”. Inutile tornare sul confronto delle favelas o delle borgate romane abusive che, planimetricamente, sono città migliori di molte tra quelle pianificate.

LA CITTA' COME AUTOSOMIGLIANZA

Che "l’ambiente antropico" si sia sviluppato secondo un disegno che si avvicina molto a quello dei frattali, lo dice la modularità, dalla scala edilizia a quella urbana, per cui “una città grande finisce per essere costituita dall’associazione gerarchizzata di tante città piccole, una piccola da un’associazione organica di paesi, un paese da una società di villaggi a loro volta fatti da una gerarchia, sia pur minima, di case. Tutto ciò implica che una metropoli dovrà essere letta attraverso un mondo di moduli progressivamente comprendenti moduli più contenuti, a loro volta fatti di moduli ancor più piccoli, ecc; ciascuno comunque rappresentativo di un organismo relativamente autosufficiente, gerarchizzato, ossia fornito di ruolo peculiare.....”(Lettura dell'edilizia di base- pag.178). In questo brano si descrive il fenomeno dell'autosomiglianza di un organismo. E’ d’altronde facile, a livello intuitivo, verificare questo fenomeno: basta solo visitare i siti Google Earth o Visual Earth, posizionarsi su una città e zoomare a scatti fino a che lo consente il software e, ad ogni vista, si possono osservare forme di aggregazione simili a quelle della vista precedente (vedi immagini di Siena all'inizio).

Allora, se Caniggia e Maffei hanno ragione, sembrerebbero veri entrambe gli enunciati (e loro non si sono posti il problema dei frattali, la cui prima pubblicazione è del 1975 in inglese, mentre i loro studi sono precedenti e contemporanei, né dovevano dimostrare che la città è un organismo ma lo hanno dedotto dalla lettura dei tessuti edilizi).

Siamo d’accapo: com’è possibile? Per tentare (ancora!) di spiegarlo devo ricorrere ad un’altra metafora, quella del corpo umano.

"Il corpo umano è un organismo perché risponde alla seguente definizione:
Una forma individuale di vita, come una pianta, un animale, un batterio ecc; un corpo costituito da organi, o altre parti che lavorano insieme per svolgere i vari processi della vita
" (definizione tratta dal sito www.thefreedictionary.com/organism).

Il corpo umano è appunto costituito da organi (cuore, polmoni, neuroni, vasi sanguigni, ecc.) diversi che lavorano insieme. Il corpo umano, nella sua forma esterna ha ben poco di frattale, come invece avviene nel caso degli alberi o del cavolo. Ma i singoli organi hanno geometria frattale: i polmoni è il caso più evidente, ma anche il cuore e l’intestino.
Dunque vi è apparentemente una differenza tra la scala grande e la scala piccola. Ma è in fondo, la stessa differenza che c’è tra la simmetria e la asimmetria nel corpo umano: mentre il corpo umano è, all’esterno e frontalmente, simmetrico, la sua anatomia interna lo è molto meno, a parte la colonna vertebrale e gli organi doppi.

Ma per quello che riguarda la percezione umana l’anatomia interna non conta niente, conta ciò che si vede e l’astrazione della forma che viene elaborata dal cervello. Chiedete ad un bambino di disegnare un uomo e, somigliante o meno alla realtà, sarà certamente simmetrico.
Anche gli alberi sono, nella percezione immediata, simmetrici ma lo sono molto meno, se non affatto, nella realtà.

Dunque, se all’interno del corpo umano, che possiamo definire l’organismo per definizione in quanto è il più complesso, convivono anche forme frattali (forse solo forme frattali) credo che sia a maggior ragione possibile nell’ambito della città.
Sulla problematica dei frattali legati all’architettura e all’urbanistica resta il dubbio del perché l’ambiente antropico dovrebbe svilupparsi secondo processi di questo tipo, come se ammettere questo presupponesse una sorta di determinismo, di fede o di qualcosa di magico.

Anche a questo però rispondono bene i soliti Caniggia e Maffei:

Al confronto con altri comportamenti non antropici, nel campo della biologia o della struttura della materia, possono notarsi sorprendenti analogie. Riteniamo che ciò non debba stupire poiché l’uomo non è “altra cosa” dal mondo della natura, non ne sta al di fuori: il suo modo di organizzare l’ambiente è sostanzialmente fondato sui medesimi presupposti e sulle medesime leggi che governano i processi biologici unitamente ai processi di progressiva formazione e mutazione della materia. In sostanza , quando l’uomo agisce, si assume il carico di partecipare al sistema di globale divenire di tutta la struttura del reale, quindi è intrinsecamente “naturale” anche quando attua le sue strutturazioni dotate di un alto grado di “artificialità”: lavora sulla materia che esiste, e non può che aderire, anche se non lo sa e non lo vuole, alle leggi formative della natura. Omissis.
In sintesi la nostra lettura porta alla comprensione di una globale organicità del reale: come parte di questo la realtà edilizia, “spontanea” o “pianificata” che sia ……… è fittamente strutturata, non nasce né si modifica casualmente, ma deriva da una costante evoluzione guidata da un sistema unitario di leggi di formazione e mutazione che costituisce quel che chiamiamo “processo tipologico dell’ambiente”, in tutte le sue possibili e molteplici diramazioni.
Caratteristica intrinseca a ogni fase di tale processo è la presenza di un sistema di progressive modularità tra ciascuno dei termini scalari, dall’arredo al territorio: così che la partecipazione individuale dell’uomo al suo mondo strutturato è connessa alla molteplicità degli uomini e delle cose mediante una progressione di grandezze crescenti, ciascuna comprensiva e compresa dalle altre
”. (Lettura dell'edilizia di base . Pag.259)

Come si vede, senza conoscere la geometria dei frattali, erano giunti alle stesse conclusioni.

A chi poi facesse il prevedibile richiamo alla teoria del caos, che tanto piace evocare a molti architetti contemporanei, per affermare che proprio i frattali dimostrano l’impossibilità di determinare leggi universali per la città, essendo nel campo dei sistemi non lineari, faccio osservare:

a) Che caos non significa necessariamente confusione ma è il nome di un ordine di tipo diverso, molto più complesso. “Lo studio del caos ci consente di conoscere in quali condizioni il sistema si comporterà in un dato modo.” La definizione di Teoria del caos, da un punto vista scientifico si chiama Teoria dei Sistemi Dinamici non lineari. Anche i nomi contano.
b) Che le mele cascano sempre dagli alberi e le leggi sulla gravitazione dei corpi celesti, che si basa sui sistemi lineari, consentono sempre di determinare l’esatta posizione di un astro in un momento definito, per cui non si tratta di rinnegare secoli di ricerca scientifica e filosofica che hanno prodotto grandi scoperte nelle leggi della natura, ma prendere atto che esiste una complessità maggiore del previsto. D’altronde “l’indeterminismo di fatto, ma non di principio, non è eliminabile, dato che in un sistema numerico è comunque necessario fissare un certo grado di precisione non infinito e qualsiasi grado anche più alto di precisione produrrà storie dinamiche differenti. Questo è il cosiddetto caos deterministico, dove il sistema ha un comportamento complessivamente regolare ma irregolare nel dettaglio, e quindi è impossibile prevedere il suo comportamento negli istanti futuri.”. Questa definizione, che fa chiarezza su certe semplificazioni, è tratto da http://www.dti.unimi.it/~pizzi/TESI_ECG/1%20Teoria%20del%20caos.pdf

Certamente la teoria del sistemi dinamici non lineari ha rimesso in discussione il pensiero scientifico e filosofico precedente ma questo non autorizza ad utilizzarla strumentalmente e semplicisticamente per giustificare la dissoluzione della città e dell’architettura in un “caos” appunto, in cui ognuno possa fare ciò che crede con un automatismo deterministico, appunto, tra teoria del caos e teoria della confusione urbana.

Che le attività e gli eventi all’interno di una città appartengano al genere sistemi dinamici non lineari, credo sia abbastanza semplice da comprendere, ma che la sua forma, per questo, debba essere inevitabilmente caotica, per coerenza ad un sistema scientifico, mi sembra possa rientrare nell'ambito della scelta e non della necessità.

Basti un’osservazione elementare: il fatto che i sistemi dinamici non lineari siano stati scoperti qualche decennio fa non significa che prima i comportamenti non lineari della natura non esistessero, significa solo che erano sconosciuti; allora perché, pur vigendo ovviamente quel tipo di comportamento "caotico", le città medievali, rinascimentali, barocche si sono organizzate in quel determinato modo, che oggi si dice superato dalla “scoperta” della teoria del caos?
Anche quelle città si sono organizzate, in maniera "ordinata", in presenza del “caos”, solo che non se conosceva la teoria.

Conclusioni

La città, o meglio “l’ambiente antropico”, si sviluppa come un organismo e contemporaneamente prende forma seguendo il fenomeno dell’autosomiglianza, cioè dei frattali. Anche il corpo umano presenta queste medesime caratteristiche.

L’antinomia non è però risolta.

Ma, a questo punto, domando all’amico ingegnere e a chi avesse la soluzione: esiste davvero l’antinomia?



N.B. I riferimenti al numero delle pagine del libro di Caniggia e Maffei sono quelli della vecchia edizione di Marsilio editori e non a quella in vendita di Alinea.
Le immagini aeree sono tratte da Visual earth di Microsoft

8 commenti:

Anonimo ha detto...

ANTINOMIE
Organismo e organo.

Certamente il corpo umano è un organismo ma non è autosomigliante.

Certamente alcuni organi del corpo umano, ad esempio il sistema circolatorio, sono autosomiglianti.

Certamente la città di Muratori, con i suoi meccanismi di crescita costanti ad ogni scala, produce dei risultati di autosomiglianza, ma è una città dinamica, in espansione, mai compiuta, quindi non è un organismo.

Quindi nessuna antinomia in questa città, che è autosomigliante ma nel suo insieme non può essere definita un organismo.

Nulla vieta tuttavia di conciliare l’antinomia progettando una città in se compiuta (e quindi senz’altro un organismo) che al suo interno si articoli in parti, quartieri, isolati, tra loro autosomiglianti.

Per adoperare termini alla moda, un misto tra disegno intelligente dall’alto e evoluzione spontanea dal basso.

Ma andrebbe progettata così in partenza, perché per sola crescita spontanea, del tipo muratoriano, non mi pare che ne possa venir fuori una città organismo.

Giulio Rupi

Pietro Pagliardini ha detto...

A Rupi. Forse ho esagerato nel dire che la città "E'" un organismo, avrei dovuto dire che "si comporta" come un organismo. Detto questo tu intendi per organismo come una cosa compiuta, a me sembra che caratteristica di un organismo sia la continua crescita ed evoluzione (e così la intendono Caniggia e Maffei).
Per cui, ad esempio, una città ideale, quindi progettata ed eseguita "sincronicamente", al termine della sua costruzione è un manufatto, il prodotto dell'ingegno umano; è, in fondo, come un'opera d'arte.
Se resta ferma a quello stadio è una testimonianza storica ma non è città, è morta, se si evolve diventa un organismo.
Un esempio è San Giovanni Valdarno, città progettata e fondata: tra il disegno originale e lo stato attuale sono stati "intasati"tutti gli spazi liberi entro gli isolati.
Quanto al'antinomia, beh, l'avrai capito, era un ottimo appiglio per parlare della città, ma sopravvivo anche senza risolverla.
Saluti
Piero

Anonimo ha detto...

Mi pare una falsa antinomia: ci sono innumerevoli esempi in natura che possono essere descritti come frattali.
La vera antinomia, presente anche nella storia delle teorie della architettura, è fra città e edifici come "animali" (organismi) o come "macchine".

Pietro Pagliardini ha detto...

E' vero, biz. La città macchina è quella che non solo nasce come progetto autoritario ad opera di una singola persona, cosa probabilmente inevitabile, ma che richiede anche l'intervento dall'alto per la sua modificazione.
La città organismo può anche nascere da un progetto ma è quella che ha la possibilità di crescere e modificarsi da sola, dietro la spinta dei bisogni dei cittadini e che perciò consente il maggior numero di scelte e di gradi di libertà.
E' chiaro che i due progetti originari sono totalmente diversi.
Saluti
Piero

Anonimo ha detto...

Forse peccherò di ingenuità ma non vedo nessuna contraddizione. I frattali seguono delle regole imposte dall’oggetto, matematiche se consideriamo l’insieme di Mandelbrot, fisiche se consideriamo quelli naturali, ma sempre la fisica segue la matematica e a sua volta la biologia segue la fisica.
Negli organismi viventi i prodotti della fisica sono sottoposti al vaglio della necessità e si mantengono le strutture più vantaggiose indipendentemente dalla loro natura.

Nel caso delle città le regole che formano il primo insediamento si ripetono creando di per se una geometria che non lascia spazio a forme diverse; se è conveniente fare case tonde sarà naturale e forse necessario disporle in tondo piuttosto che in quadro.
Paragonare la città ad un organismo vivente è possibile solo perché ci sono in essa dei viventi e sono questi che dettano le regole; se si considerasse una città abbandonata istantaneamente dagli abitanti e si andasse a vedere in che modo procede il disfacimento, certo questo non seguirebbe le stesse regole della costruzione ma quelle della fisica degli elementi che la compongono.
Troppo semplice? Può essere, ma attenzione che i ragionamenti non diventino dei frattali.

Pietro Pagliardini ha detto...

Caspita, la semplicità è sintesi e meglio non potevi sintetizzare!
Due cose hai detto fondamentali: che la forma generale dipende dalla prima necessità (prima casa tonda, insediamento circolare; infatti molti villaggi africani sono così perchè il procedimento costruttivo si presta al cerchio) e l'organicità della città dovuta alla presenza degli esseri viventi.
Intuizione o meglio ragionamento profondo e, credo, anche vero.
Ma tu hai studiato Caniggia e Maffei dalle elementari che lo hai capiti così bene?
Saluti
Pietro

Anonimo ha detto...

Mi sembra molto pertinente questo stralcio di un’intervista a Roger Penrose fatta da Paolo Marocco in occasione del Festival della Scienza del 2005, che indica una interpretazione di largo respiro su “l'evoluzione naturale delle forme e quella culturale”: lo sguardo di un grande scienziato sull'incompatibilità fra il determinismo delle leggi naturali e le possibilità creative e l’aspirazione all’autonomia tipiche dell’agire umano.

Paolo Marocco: Lei è un appassionato di frattali, quella figura geometrica che sebbene non sia impossibile tout court, è tuttavia impossibile da cogliere visivamente nella sua completezza, dato che continua a ripetersi identica nell'infinitamente piccolo. Lei equipara i frattali a figure platoniche, che esistono da sempre, e fanno parte della natura dell'universo, ma che solo ora l'uomo sta scoprendo. Qual è il loro influsso nella cultura contemporanea?

Roger Penrose : I frattali sono un ottimo soggetto di indagine, rappresentano una idea platonica di bellezza e contemporaneamente di controllo matematico di questa stessa idea: il loro carattere ideale è evidente, nessun disegno umano potrebbe rappresentare un frattale, e nemmeno un'immagine realizzata da un computer estremamente potente ne sarebbe capace. Sia l'uomo che il computer potrebbero darne solo una versione somigliante e finita, mentre le caratteristiche proprie dei frattali, come l'auto-similarità, sono significative in una visione infinita delle cose. Si tratta di idee molto potenti, e di acquisizioni applicative troppo recenti perché sia possibile capire fino in fondo quale sia il loro impatto nella cultura e nell'arte.

P.M. : Il matematico Benoit Mandelbrot dice che la Tour Eiffel è un ottimo esempio dell'adozione dei frattali nel campo della architettura. Tuttavia rimane un esempio isolato, infatti l'architettura contemporanea non soltanto non guarda ai frattali, ma anzi adotta concetti in qualche modo opposti. Come mai?

R.P.: Il discorso è complesso, credo che ci siano grosse differenze tra l'evoluzione naturale delle forme e quella culturale. I frattali possono essere visti come curve ideali di forme geologiche, quali le coste frastagliate, oppure simulare i rami degli alberi, mentre l'architettura del `900 ha seguito percorsi che non necessariamente imitavano la natura, direi anzi che non la imitavano affatto. La Tour Eiffel, quando è stata progettata, poteva effettivamente rappresentare bene concetti meccanici quali la stabilità e l'economia della struttura, senza perciò farli diventare dei forti indicatori artistici o di organizzazione dello spazio urbano.

Saluti
Vilma

Pietro Pagliardini ha detto...

Se ho capito bene, ma non è detto, da questo stralcio di intervista, mi sembra che Penrose affermi che è l'architettura del '900 ad avere abbandonato l'imitazione della natura, con ciò dando per scontato che quella precedente, viceversa, aveva a modello la natura.
Molto forte l'espressione dei frattali come idea platonica di bellezza guidata da un controllo matematico; in fondo è come dire che nell'uomo l'idea di bellezza proviene dalla natura, dalla sua osservazione e dal fatto che anche l'uomo essendo natura, la bellezza, per essere riconosciuta come tale, deve mostrarsi con forme umane, cioè figurative.
Se è così corrisponde a quello che ha scritto Giulio Rupi nel post precedente a questo.
Grazie della segnalazione, cercherò l'intervista completa.
Saluti
Piero

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