Giulio Rupi
Parte prima: Le figure della natura
Da frequentatore di questo Blog, che pure spazia su tutti i molteplici aspetti del dibattito architettonico, provo la vaga sensazione di un’assenza...
L’assenza è quella di un termine quasi mai nominato, un termine che invece dovrebbe essere preso a riferimento, nel pro e nel contro, delle idee contrapposte nel vivacissimo scontro tra modernisti e antimodernisti; il termine è: “FIGURA”.
Si condensano in questa parola tutta una serie di concetti, molteplici e tra loro concatenati, che attingono all’idea di natura e di necessità, di bellezza naturale e di bellezza artificiale, di figuratività e di astrattezza, concetti che si rivelano utilissimi a discernere e chiarire i reali antagonismi posti alla base di questa diatriba.
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Cos’è dunque la figura?
Un tempo, ai primordi della televisione in bianco e nero, ci si doveva spesso sintonizzare con fatica sull’unico canale disponibile, ed ecco che, girando lentamente la manopola della lunghezza d’onda, da un brulicare indistinto e frenetico di puntolini bianchi e neri (quasi l’immagine di una miscela gassosa) si iniziavano a intravedere delle strisciate o delle macchie bianco grigie, le immagini di una composizione astratta, che infine si ricomponevano, in un sospiro di sollievo degli astanti, nella FIGURA nitida del mezzobusto intento a leggere le pagine del telegiornale.
Probabilmente ognuno di noi, quando appena uscito dal ventre materno apre gli occhi su un mondo fatto di suoni e di luci indistinte, impara poi a riordinarli nelle figure e nelle voci della madre, del padre, della pallina appesa alla culla e, piano piano, degli oggetti di tutto il suo mondo.
Ma così facendo noi non facciamo altro che adeguarci, riconoscendolo, al processo con cui la natura si è lentamente organizzata in forme riconoscibili, cioè in figure.
E’ il processo attraverso il quale da un pianeta giovane, caratterizzato da una forte indifferenziazione (quali oggi sono, ad esempio, la Luna, o Venere o via dicendo) si è passati alla formazione di oceani e terreferme, di pianure e di montagne, di fiumi, di laghi, di alberi, di animali e infine di esseri umani. La formazione di differenze dall’indifferenziato porte con se la formazione di figure riconoscibili.
Osservando una montagna ne percepiamo la FIGURA come effetto di un lentissimo contrasto tra le immani forze sotterranee che dal basso spingono la crosta terrestre a formare le catene montuose e, di contro, le azioni del clima, che tendono altrettanto lentamente a disgregare ogni asperità e a portare a valle polveri e detriti.
Osservando una pianta secolare percepiamo la necessità di una forma a simmetria circolare, indifferente alle direzioni in quanto immobile sul terreno, mentre osservando un animale percepiamo la necessità di una simmetria rispetto a un piano verticale, ma con un davanti e un dietro, in quanto questa creatura è adattata a muoversi in una direzione e quindi a concentrare su una parte del corpo (il “davanti”) gli organi sensori più raffinati.
E dunque se questa natura si è organizzata in FIGURE, seguendo lentamente la spinta della NECESSITA’, il concetto di Figura e quello di Necessità sono fortemente collegati.
Ma ecco che, di fronte a qualsiasi manifestazione di una natura incontaminata noi percepiamo una quasi automatica sensazione di bellezza, perché il “brutto naturale” non può esistere “per definizione”. Cosicché finiamo per associare, in natura, il concetto di Bellezza al concetto di Figura e al concetto di Necessità.
Insomma: la Necessità fa si che la lenta evoluzione delle cose pori alla creazione di Figure e che queste figure siano per ciò stesso espressione della Bellezza del mondo naturale, sia “animato” che “inanimato”.
Ma questo concetto va ulteriormente definito e meglio dimostrato “a contrario”, cioè attraverso il suo opposto, perché non è sempre così, perché ci sono dei frangenti in cui questo ragionamento non vale per nulla, dei frangenti in cui la natura non si organizza per figure ma si struttura in ambienti e paesaggi che non sono fatti di figure, bensì di forme astratte.
Questo avviene nei casi particolari in cui i fenomeni naturali si presentano con un’accelerazione improvvisa e “catastrofica”: la colata lavica dopo l’eruzione di un vulcano, il paesaggio dopo un terremoto, una frana, un’alluvione, la concrezione di un geyser (l’Islanda è un campionario di paesaggi astratti).
In questi casi la necessità naturale non ha avuto il tempo di tradursi lentamente in figure riconoscibili e ha creato ambienti e paesaggi del tutto particolari.
Sono paesaggi astratti che hanno altrettanto fascino di quelli figurativi formatisi in milioni di anni, ma che da questi ultimi distano di quanto un quadro di Pollock dista da una Madonna del Beato Angelico.
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Siamo quindi giunti al termine della prima parte del ragionamento: il “brutto” in natura non esiste perché l’adesione spontanea della nostra mente alla necessità naturale che si organizza in figure fa tutt’uno con quello che siamo usi chiamare il sentimento della Bellezza.
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Vedremo nel proseguo come questo collegamento tra necessità, figura e bellezza, possa essere esteso dal naturale all’artificiale, dalle opere della natura alle opere dell’uomo, e come anche qui possano esservi da una parte opere che, pur frutto dell’artificio, possono ricondurre al concetto di figura naturale e di necessità e, dall’altra parte, opere che, simili alla natura quando questa si presenta in forme “catastrofiche”, si astraggono dalla necessità della figura per vivere in un universo solo concettuale.
L’assenza è quella di un termine quasi mai nominato, un termine che invece dovrebbe essere preso a riferimento, nel pro e nel contro, delle idee contrapposte nel vivacissimo scontro tra modernisti e antimodernisti; il termine è: “FIGURA”.
Si condensano in questa parola tutta una serie di concetti, molteplici e tra loro concatenati, che attingono all’idea di natura e di necessità, di bellezza naturale e di bellezza artificiale, di figuratività e di astrattezza, concetti che si rivelano utilissimi a discernere e chiarire i reali antagonismi posti alla base di questa diatriba.
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Cos’è dunque la figura?
Un tempo, ai primordi della televisione in bianco e nero, ci si doveva spesso sintonizzare con fatica sull’unico canale disponibile, ed ecco che, girando lentamente la manopola della lunghezza d’onda, da un brulicare indistinto e frenetico di puntolini bianchi e neri (quasi l’immagine di una miscela gassosa) si iniziavano a intravedere delle strisciate o delle macchie bianco grigie, le immagini di una composizione astratta, che infine si ricomponevano, in un sospiro di sollievo degli astanti, nella FIGURA nitida del mezzobusto intento a leggere le pagine del telegiornale.
Probabilmente ognuno di noi, quando appena uscito dal ventre materno apre gli occhi su un mondo fatto di suoni e di luci indistinte, impara poi a riordinarli nelle figure e nelle voci della madre, del padre, della pallina appesa alla culla e, piano piano, degli oggetti di tutto il suo mondo.
Ma così facendo noi non facciamo altro che adeguarci, riconoscendolo, al processo con cui la natura si è lentamente organizzata in forme riconoscibili, cioè in figure.
E’ il processo attraverso il quale da un pianeta giovane, caratterizzato da una forte indifferenziazione (quali oggi sono, ad esempio, la Luna, o Venere o via dicendo) si è passati alla formazione di oceani e terreferme, di pianure e di montagne, di fiumi, di laghi, di alberi, di animali e infine di esseri umani. La formazione di differenze dall’indifferenziato porte con se la formazione di figure riconoscibili.
Osservando una montagna ne percepiamo la FIGURA come effetto di un lentissimo contrasto tra le immani forze sotterranee che dal basso spingono la crosta terrestre a formare le catene montuose e, di contro, le azioni del clima, che tendono altrettanto lentamente a disgregare ogni asperità e a portare a valle polveri e detriti.
Osservando una pianta secolare percepiamo la necessità di una forma a simmetria circolare, indifferente alle direzioni in quanto immobile sul terreno, mentre osservando un animale percepiamo la necessità di una simmetria rispetto a un piano verticale, ma con un davanti e un dietro, in quanto questa creatura è adattata a muoversi in una direzione e quindi a concentrare su una parte del corpo (il “davanti”) gli organi sensori più raffinati.
E dunque se questa natura si è organizzata in FIGURE, seguendo lentamente la spinta della NECESSITA’, il concetto di Figura e quello di Necessità sono fortemente collegati.
Ma ecco che, di fronte a qualsiasi manifestazione di una natura incontaminata noi percepiamo una quasi automatica sensazione di bellezza, perché il “brutto naturale” non può esistere “per definizione”. Cosicché finiamo per associare, in natura, il concetto di Bellezza al concetto di Figura e al concetto di Necessità.
Insomma: la Necessità fa si che la lenta evoluzione delle cose pori alla creazione di Figure e che queste figure siano per ciò stesso espressione della Bellezza del mondo naturale, sia “animato” che “inanimato”.
Ma questo concetto va ulteriormente definito e meglio dimostrato “a contrario”, cioè attraverso il suo opposto, perché non è sempre così, perché ci sono dei frangenti in cui questo ragionamento non vale per nulla, dei frangenti in cui la natura non si organizza per figure ma si struttura in ambienti e paesaggi che non sono fatti di figure, bensì di forme astratte.
Questo avviene nei casi particolari in cui i fenomeni naturali si presentano con un’accelerazione improvvisa e “catastrofica”: la colata lavica dopo l’eruzione di un vulcano, il paesaggio dopo un terremoto, una frana, un’alluvione, la concrezione di un geyser (l’Islanda è un campionario di paesaggi astratti).
In questi casi la necessità naturale non ha avuto il tempo di tradursi lentamente in figure riconoscibili e ha creato ambienti e paesaggi del tutto particolari.
Sono paesaggi astratti che hanno altrettanto fascino di quelli figurativi formatisi in milioni di anni, ma che da questi ultimi distano di quanto un quadro di Pollock dista da una Madonna del Beato Angelico.
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Siamo quindi giunti al termine della prima parte del ragionamento: il “brutto” in natura non esiste perché l’adesione spontanea della nostra mente alla necessità naturale che si organizza in figure fa tutt’uno con quello che siamo usi chiamare il sentimento della Bellezza.
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Vedremo nel proseguo come questo collegamento tra necessità, figura e bellezza, possa essere esteso dal naturale all’artificiale, dalle opere della natura alle opere dell’uomo, e come anche qui possano esservi da una parte opere che, pur frutto dell’artificio, possono ricondurre al concetto di figura naturale e di necessità e, dall’altra parte, opere che, simili alla natura quando questa si presenta in forme “catastrofiche”, si astraggono dalla necessità della figura per vivere in un universo solo concettuale.
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