Al momento della scelta dell'indirizzo di questo blog, dopo una serie di tentativi a vuoto alla ricerca di un nome semplice e pertinente, la sorpresa: "regola" era libero! L'architettura è oppressa da leggi e regolamenti, i termini più altisonanti della "creativa" cultura architettonica erano già occupati ma una parolina così semplice e antica e comprensibile da tutti, cioè "regola", era libera!
Questo blog parla appunto di "regole" contro la sregolatezza architettonica.


7 luglio 2008

UN COMMENTO DI SERGIO PORTA SU NIKOS SALÍNGAROS

Qualche settimana fa Nikos Salìngaros è stato in Italia per presentare il suo nuovo libro ANTIARCHITETTURA E DEMOLIZIONE, traduzione italiana di Anti-Architecture and Deconstruction.
È stato a Milano, Roma, Firenze e Palermo, salvo altre città delle quali non sono al corrente.
Nikos Salìngaros, insegna matematica a San Antonio presso l’Università del Texas e, proprio in virtù di queste sue radici scientifiche, ha sviluppato una teoria urbanistica, legata allo studio delle reti nel suo libro Principles of Urban Structure, e una teoria architettonica nel suo libro A Theory of Architecture, legata allo studio dei frattali.

Ha contribuito alla stesura dell’opera The Nature of Order di Christopher Alexander, edita in quattro volumi, collaborando a tutti i volumi nel ruolo di editore, come ha tenuto correttamente a precisare lui stesso a Firenze.
Salìngaros, pur avendo stretti legami con il mondo culturale che ruota intorno a Léon Krier e al Principe Carlo d’Inghilterra e la sua fondazione, a Andrés Duany e al New Urbanism americano, per citare solo i più famosi, non è portatore, al pari di Alexander, di uno “stile” architettonico particolare ma conduce una sua battaglia, rigorosa e difficile proprio perché priva di un modello stilistico da sbandierare, per l’affermazione di un’urbanistica e di un’architettura in armonia con la natura e con l’uomo, avendo riconosciuto nel modernismo e soprattutto nel de-costruttivismo un virus che mina alla base il rapporto percettivo dell’uomo con il suo ambiente.

Salìngaros non sottovaluta affatto la potenza attrattiva esercitata nella mente umana prima dal modernismo e poi, con potenza amplificata, dal suo esito finale, il decostruttivismo, e ne conosce anche il potere di influenza a livello mediatico globale, ma non rinuncia per questo a denunciarne le false idee scientifiche sulle quali questo basa il suo “culto”. È anche perfettamente consapevole del fatto che l’ironia e la supponenza che spesso riceve da parte del mondo accademico (non tutto però) fa parte appunto del "culto" creato ad arte per non dare spazio alla razionalità. Ma egli sa che, se sottoposto ad un’analisi razionale basata su basi matematiche e biologiche, il culto decostruttivista perde il suo fascino “scientifico” e mostra quello che effettivamente è: un fenomeno mediatico-economico, governato dall’alto e totalmente lontano dai bisogni della gente e per questo il termine “battaglia”, che sembra eccessivo per portare avanti un’idea di architettura, è invece adeguato in quanto l’obbiettivo è del tutto simile all’estirpazione di una malattia dal corpo umano, diffusa a livello planetario.

Prima del suo viaggio in Italia sono apparsi suoi articoli nel Corriere della Sera, Il Domenicale, Il Giornale e Libero. Una gran parte del bel saggio del filosofo Roger Scruton contro gli archistar apparso su Il Foglio è dedicato proprio alle teorie di Salìngaros.
Nel mondo dei blog si è interessato a lui, oltre a questo naturalmente, Archiwatch del prof. Giorgio Muratore con una serie di commenti e scritti, alcuni dei quali appunto ironici, altri supponenti ma, guarda caso, proprio da parte di chi ha potuto e voluto andare ad ascoltarlo, anche di grande attenzione e interesse.
Perciò, dopo questa necessaria premessa, riporto di seguito un commento lasciato da Sergio Porta, ricercatore di ruolo al Politecnico di Milano proprio nel blog Archiwatch, perché ha il merito di sintetizzare in poche righe gran parte dei problemi cui Salìngaros intende dare risposta.


Sergio Porta
Cari tutti, un paio di parole su Salìngaros, visto che è stato ospite al mio laboratorio di progettazione urbanistica a Milano prima di venire a Roma.
Esiste una intera area della ricerca in architettura e, specialmente, in urban design, che si occupa da molti anni di costruire un effettivo superamento del moderno, visto che la storia dei molti post-moderni architettonici non ha fatto altro che replicarne alcune caratteristiche di fondo trovando, infatti, esiti del tutto conseguenti.
Quali sono queste caratteristiche di fondo?
Un atteggiamento “eroico” verso se stessi e la propria missione nel mondo, un approccio “artistico” all’architettura, che ha trasformato un’arte pratica (e una scienza sperimentale) in una pura arte visiva, un sostanziale distacco verso l’esito sociale, ora perfino teorizzato, perfino insegnato. Questo ha contribuito, ritengo in modo essenziale, a costruire la città disumana del secondo novecento.

Nell’urban design si vede con grande chiarezza come l’insegnamento modernista abbia consapevolmente sovvertito gli elementi chiave della struttura dello spazio tradizionale (dimensione degli isolati, dimensione dei lotti, allineamento edificio strada, rapporto lotto-strada e edificio-lotto, rapporto centralità-usi, processo urbanistico congiunto invece che disgiunto, auto-organizzazione, evoluzione e complessità del tessuto…) e come questo abbia, in modo del tutto pratico, prodotto guasti evidenti.

Alcuni dei più noti disastri urbanistici del secolo scorso sono stati disegnati dai più celebrati maestri del modernismo, anzi mi pare innegabile che ci sia una sorta di progressivo ritiro della nostra disciplina in se stessa, una disciplina che ha dimenticato di operare il confronto con gli esiti dei propri principi, con la pratica dei comportamenti e con la soddisfazione degli utenti (cioè degli uomini e delle donne che abitano le città).

Questo deve fare riflettere. Questo ci deve fare riflettere. Salìngaros ci fa riflettere su questo.

Ma Jane Jacobs, Oscar Newman, Allan Jacobs, Peter Bosselmann, Jan Gehl, Chris Alexander, Peter Newman, Richard Rogers, LLewelyn-Davies, Sjoerd Soeters, tanto per andare dagli anni Sessanta ai giorni nostri, per incrociare scale e esperienze anche molto diverse e per dimenticarne altri 100, tutti NON tradizionalisti nello stile architettonico, sono compagni di strada di Salìngaros.

Poi possiamo continuare a credere alle caricature e alle semplificazioni, che è tanto più comodo perché ci divertiamo e evitiamo le sfide vere (anche intellettuali). Però non serve.



Links e bibliografia:

Nikos Salìngaros

http://www.technepress.nl/publications.php?id=5

http://www.umbau-verlag.com/SHOP2.html

http://zeta.math.utsa.edu/~yxk833/socialhousing.pdf

http://zeta.math.utsa.edu/~yxk833/arch-biologicalform.html

http://archnet.org/library/documents/one-document.jsp?document_id=10066

http://archnet.org/library/documents/one-document.jsp?document_id=10330

Chistopher Alexander

http://www.natureoforder.com/index.htm

15 commenti:

Anonimo ha detto...

Daccordo che le diverse correnti architettoniche del secolo scorso, Modernismo, Post.Modernismo, Supermodernismo, Decostruttivismo, ecc., hanno tentato chi più chi meno, di imporre la loro ideologia; questo è l'unico filo conduttore. Ma affermare che il decostruttivismo sia la naturale evoluzione del modernismo è un po eccessivo! E' ormai opinione diffusa che con il post-modern si è avuta una rottura netta con il M.M. , e che l'affermarsi del post-modern e della sua carica simbolica, si sia esaurità ad opera di alcuni architetti, negli anni ottanta, in un nuovo simbolismo, che cerca di cogliere nel linguaggio, quella che Derridà chiama la "differance". E' vero che A.Rossi etichettava Le Corbusier come simbolista storico, forse per paragonarsi al maestro, ma non sono daccordo con le affermazioni del matematico che fa di ogni movimento una evoluzione dell'altro. Gli esiti storici sono ben altra cosa.

Anonimo ha detto...

Caro Furnitto.com lasciatelo dire ma sei completamente fuori strada.

Ma Philip Johnson non lo conosci? (1)

Lascia stare che i nomi degli pseudo movimenti siano diversi e diverse siano le dichiarazioni di facciata dei promotori di tali cose.

Io sono dell'avviso che il decostruttivismo sia il COMPLETAMENTO della strada intrapresa del modernismo.


Cordialità.
Mr.Peter

(1) http://en.wikipedia.org/wiki/Philip_Johnson

Anonimo ha detto...

Caro mr.Peter, se ti riferisci all'internationational style, è chiaro che percorre la stessa strada del modernismo.Ma riguardo il Decostruttivismo, mi sa che tu sei ad essere fuori strada. Ma se le critiche ad esso nascono dal fatto che spesso si propone come firma personale di questo o di quell'altro architetto? Ma che ci azzecca col moderno o con l'international Style da te citato?

Anonimo ha detto...

Dimenticavo! E' chiaro che se andiamo a fare una valutazione "rigida" della storia. Esiste sempre una matrice comune; sarebbe come definire uno spazio storico della modernità. Io parlo di quello che i movimenti singolarmente hanno postulato. Se siamo daccordo sul simbolismo rappresentato dal linguaggio del post-modern piuttosto che il decostruttivismo. Saremo sicuramente in accordo che il movimento moderno o l'international style non si siano distinti per questo. Pentimenti di qualche architetto a parte.

Pietro Pagliardini ha detto...

Il de-costruttismo è la naturale evoluzione del MM non sotto il profilo "stilistico", e questo è del tutto evidente, ma dal punto di vista ideologico, nel senso che il MM ha distrutto, consapevolmente le regole, c'è stato il tentativo di sostituirle con altre che, evidentemente non troppo valide, si sono perse o sono rimaste quà e là come fatto di maniera (anche perchè all'università si insegnavano quelle) ma, il fatto di rompere ogni canone necessariamente porta ad una "liberazione dell'individualità", alla fantasia più sfrenata. Ognuno adopera le regole che vuole perchè ogni architetto è un "artista", un "creativo", uno "sperimentatore" e se si sperimenta si può trovare di tutto.
Il decostrutivismo è una forma "sperimentale" estrema della "rottura della scatola" ma i nomi non contano, domani potrà chiamarsi in altro modo e avere stramberie maggiori, ma sempre quella è l'origine.
Per fare un paragone sociologico, se si ammette che non esistono più generi (maschile e femminile) oppure come dice l'ONU ne esistono sei (quali siano non so) è evidente che non esiste più la famiglia tradizionale e si danno mammo e babba, mamma e babbo, mamma e mamma, babbo e babbo ecc. (o forse prima non esiste la famiglia e poi si eliminano i generi, non so dire la priorità).
Fatte le dovute differenze il processo mi sembra del tutto simile.

Anonimo ha detto...

Caro Furnitto, non so più come riuscire a spiegarmi.
Lo dice anche Pietro Pagliardini.


Praticamente credo che le cose stiano più o meno cosi' (in soldoni):

1)Il movimento moderno traccia la strada, fa da apripista per la rivoluzione architettonica*
*(che inizia però già prima della scoperta del cls e dei nuovi materiali/tecniche costruttive....)

2)Il decostruttivismo è la metà, l'obiettivo fissato, il punto di arrivo ovvio della ricerca dei modernisti.

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Philip Johnson (1), te l'ho suggerito perchè può essere la chiave di lettura di tutta la questione e smontare la tesi di facciata (che tu riprendi) che vuole questi tre stili indipendenti.
Dato che non ti è servito ti consiglio di documentarti sul movimento decostruttivista (2).


Cordialità.
Mr.Peter


(1)http://en.wikipedia.org/wiki/Philip_Johnson
(2)http://it.wikipedia.org/wiki/Decostruttivismo

Anonimo ha detto...

Il metodo impiegato per orchestrare il debutto sulla scena mondiale dell'architettura moderna americana con una memorabile conferenza al MOMA di New York ad opera di Philips Johnson che presenta al mondo i suoi gioielli (Frank O. Gehry, Daniel Libeskind, Peter Eisenman, Bernard Tschumi, Zaha Hadid e il gruppo Coop Himmelblau ) è sovrapponibile a quello usato per l'arte, quando nel 1965, la rassegna ‘The Responsive Eye’, organizzata sempre al MOMA e sempre da Philips Johnson, lancia sul fronte internazionale l'Espressionismo astratto americano, con il quale la giovane America pone le basi per la costruzione di una tradizione artistica autoctona ed autonoma, finalmente liberata dall'influenza della cultura della vecchia Europa.
Va sottolineato che non è un caso che il boom della pittura contemporanea americana coincida con una fase di espansione dell'economia, la ben nota Reaganomics, e non è certamente una novità il fatto che il potere abbia ancora una volta strumentalizzato e sfruttato la cultura come mezzo di affermazione politica o economica. Negli anni’60, così come alla fine degli ’80, l’America rinverdisce così, dando vita ad una cultura che finalmente la rappresenta, l'immagine che vuol dare di sé al resto del mondo, quella di un paese libero e democratico, nel quale l'individualismo ed il soggettivismo hanno possibilità di esprimersi come in nessun’altra nazione del mondo: l’Espressionismo si contrappone allora all’arte costruttivista dei paesi totalitari oltre la cortina di ferro, essendo i tempi della guerra fredda, il Decostruttivismo si contrappone adesso alla autoritaria influenza della tradizione architettonica dei paesi europei (Palladio è ancora vivo nell’immaginario americano, a ricordare una dolorosa dipendenza culturale e psicologica). In entrambi i casi alla base sta la volontà di affermare la supremazia americana rispetto al resto del mondo, in tutti i campi e con tutti i mezzi. Nel nome di ogni libertà che pare abitare a buon diritto solo in America, prima Pollock inventa, realizza e vende a caro prezzo le sue grandi tele all over, abolendo l’iconicità, il centro del dipinto, il verso della composizione, de-regolando la pittura e trasformandola con l’action painting in un campo di battaglia del sentire personale, oggi gli architetti decostruttivisti praticano un’architettura soggettiva e fuori dalle regole prevedibili, che gioca pesantemente sulla destabilizzazione percettiva del fruitore, l’equivalente dell’Espressionismo astratto (‘action architecture’ l’ha chiamata Bruno Zevi).
Tant’è che l'architettura americana, che non ha capito a suo tempo che la via dell’indipendenza passava attraverso la valorizzazione dell'opera di Wright e non ha avuto reale coscienza della superiorità del funzionalismo americano nei confronti del razionalismo europeo, si affranca oggi finalmente dall'Europa a seguito di un vasto programma di diffusione e promozione della sua architettura decostruttivista e dei suoi rappresentanti, colonizzando culturalmente vasti spazi del vecchio continente con musei, mausolei e grattacieli decostruttivisti spesso chiaramente fuori luogo, fuori tempo e fuori contesto. Naturalmente quella culturale è solo una delle tante forme di colonizzazione messe in atto dalla potenza più ricca del mondo, più evoluta tecnologicamente e in possesso della maggior parte delle risorse del pianeta, per la quale la supremazia culturale è strumentale ad altri scopi.
Con questo affrettato discorso, che forse equivale un po’ alla scoperta dell’acqua calda, vorrei dire che il ‘fallimento’ del viaggio in Italia dell’apostolo dell’anti-decostruttivismo è in realtà un fallimento annunciato: il decostruttivismo, così come l’anti-decostruttivismo non sono fenomeni che coinvolgono la sola architettura, siamo davanti ad “un fenomeno mediatico-economico, governato dall’alto e totalmente lontano dai bisogni della gente”.
Ecco, questa cinica versione dei fatti mi pare il punto nodale di tutto il disquisire sul decostruttivismo e metta in secondo piano la sua reale o presunta derivazione da correnti precedenti (modernismo, postmodernismo ecc). D’altra parte, un po’ di coda di paglia i teorici del Decostruttivismo ce l’hanno, altrimenti non avrebbero fatto i salti mortali per trovarsi un padre putativo nei panni di un filosofo francese che applica la procedura decostruttivista al linguaggio, pervenendo alla demolizione del logocentrismo, e traducendola arbitrariamente (lo stesso Derrida ne prende le distanze) in un processo di smantellamento delle relazioni gerarchiche fra le varie parti architettoniche, disturbate nella loro precostituita armonia e nelle loro possibilità organizzative di stabilità, continuità e coerenza.
Una forzatura che fa acqua come un colabrodo per fornire basi teoriche a un movimento altrettanto pieno di buchi.
vilma

Anonimo ha detto...

Mi sarò sicuramente espresso male se ho la sensazione che parliamo della stessa cosa ma sembra non sia così. Per me un linguaggio o stile che sia o esprimersi in un linguaggio a casaccio (decostruttivismno) oppure in "gramelot" è una cosa, l'ideologia un'altra! E' il linguaggio con la sua grammatica e sintassi che è riconoscibile. Mi dite se esiste movimento nel novecento che non abbia tentato di imporsi ideologicamente? Esempio: nel 1892 nasce il partito socialista dei lavoratori italiano, successivamente gli altri movimenti; allora se mi date del democristiano o fascista per questo mi i....zo.
E poi con tutto il rispetto all'architetto Pagliardini che stimo per la sua professionalità ed esperienza (che io non ho), ma che vuol dire: "Lo dice anche Pietro Pagliardini"....

Pietro Pagliardini ha detto...

Iniziando a leggere questo commento credevo fosse dello stesso autore precedente, eppure mi sembrava di essere in buona parte d'accordo. Poi ho letto il nome e ho capito il perchè mi piaceva. Se mi posso permettere però una obiezione: sarà vero che il fenomeno de-costruttista non riguarda la sola architettura però nell'arte (scusa la mia grettezza) danni ne fa ben pochi ma nel costruire edifici ne fa e tanti e mi sembra che anche tu sia d'accordo su questo.
E'probabile che io sia troppo impermeabile al rapporto arte-architettura, forse perchè ritengo l'arte contemporanea un fenomeno esclusivamente economico e di moda (da tempi ben precedenti agli archistar), ma mi piace tenere ben separate le discipline. Mi dirai che non è stato mai così, ed è vero, ma in questa marmellata in cui tutto si confonde, come fare a discriminare tra il buono dal cattivo? L'unica sarebbe stare sempre in Internet a seguire qualche buon sito che spiega l'arte alle casalinghe di Voghera ma davvero manca il tempo, anche perchè io non sono una casalinga e non sono di Voghera. Dunque resto con la mia grettezza (espressione sincera e non ironica) e mi tengo le mie differenze e le mie piccole certezze e ostinatamente continuo a pensare che tra MM e de-costruttivismo c'è una continuità assoluta.
Al massimo posso riconoscere che esistono anche altre cause al fenomeno che vanno ritrovate in una società totalmente aperta e priva di riferimenti ideologici, che ha liberato tutti: tutti i cittadini, tutti gli artisti (ma quelli lo sono sempre stati) e tutti gli architetti. Solo che mi sembra che questa estrema libertà sia solo solitudine. In questo senso il de-costruttivismo è lo specchio di una società ma il fatto è che siamo così liberi ma così liberi che anche una pernacchia è considerata espressione artistica.
Saluti
Piero

Pietro Pagliardini ha detto...

Furnitto, ti ringrazio per la stima, e penso che occorre contenere la discussione entro limiti di rispetto delle idee altrui. Qui non dobbiamo convincerci l'un l'altro, nessuno cerca voti. Credo che il tono di di mr. peter non volesse essere offensivo per nessuno, gli è solo scappato un "non so come riuscire a spiegarmi" di troppo e mi ha attribuito una autorevolezza che certamente non ho.
Tanto per capire quanto poco io sia autorevole basta andiate su Archiwatch a leggere, se l'hanno già pubblicato, il mio commento sul post di oggi su Eisenman nel quale dichiaro di non aver capito assolutamente niente. Ed è proprio vero.
Saluti
Piero

Anonimo ha detto...

Sono in accordo con te; spesso si cade nelle proprie convizioni. Purtroppo poichè non si nasce "imparati" ognuno di noi si lascia suggestionare dalle poche letture che ha fatto. Probabilmente le mie sono state poco autrorevoli; se riesco a recuperarle vi fornirò la fonte.
ps. cmq personalmente il decostruttivismo a me non piace; mi piace la sobrietà ed il minimalismo. Ricordate una puntata dei Simpson, dov'è presente gehry che raccoglie un pezzo di carta accartocciato gettato via per prenderne spunto?

Anonimo ha detto...

Caro Furnitto, bhè adesso sono io che trovo offensiva la frase "... lascia suggestionare dalle poche letture...ecc..".... (scherzo, non mi offendo per cosi' poco!!)

Comunque sia non è questione di punti di vista differenti, o sbagliamo entrambi (probabile) oppure uno di noi due (delle ns tesi) ha ragione e l'altro torto: cioè esiste una verità della questione.
Può darsi che sbagli io e tu abbia ragione e per l'esistenza di questa possibilità di errore io voglio continuare a indagare e studiare, voglio la verità e punto.
Non mi lascio certo suggestionare da una lettura, aderendo supinamente, come invece mi sembra che tu faccia prendendo per buoni i manifesti (di facciata) degli pseudo movimenti.

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Ciao Pietro Pagliardini, scusa ma il tuo post delle 10:28 a chi si riferisce?


Cordialità
Mr.Peter

Anonimo ha detto...

A scanso di equivoci, comunico a mr.peter che l'affermazione sulle letture era rivolta a me stesso, nel senso che non mi considero ne un grande lettore ne un'accademico della disciplina. Dico che è evidente che la formazione continua è indispensabile, e che purtroppo spesso accade che si proferisce quasi qsclusivamente sulla base della formazione scolastica. Cmq. è cosa buona e giusta citare eventuali fonti nel caso non siano chiavi di lettura personali, sempre se si ha la maturità di un'analisi cosi approfondita.
Cordialmente, Furnitto.

Anonimo ha detto...

Caro Furnitto, vedi secondo me un difetto di internet è che comunicando in questo modo è facile creare equivoci: anche io quando ho scritto "lo dice anche Piero", non l'ho scritto con il tono che invece potrebbe sembrare di avere..... Quanto è migliore la conversazione a voce!

Concordo con te riguardo alla ricerca continua, anche perchè la formazione scolastica o comunque "UFFICIALE" non mi sembra che poi molte volte dica il vero... (rivoluzioni varie...) E poi la storia la scrivono i vincitori...

Ti suggerivo Philip Johnson, che conoscerai senz'altro, perchè è un personaggio interessante... Fonda (decreta) sia lo stile internazionale che lo stile decostruttivista, ma prima ancora è a Berlino dove sbarca con decappottabile e mamma al fianco, e poi conosce Mies....

Forse il post-moderno (Venturi & co.) è quello che si "discosta maggiormente" dallo stile moderno, senza però oltrepassare MAI il recinto di confine imposto dalla conventicola dei modernisti.

Pietro P. che ne pensa? Soprattutto riguardo al post-moderno quale è la tua opinione?

Cordialità
Mr.Peter

Pietro Pagliardini ha detto...

Mr.Peter, tu mi dai troppo credito perchè io non sono un critico di architettura e non ho un'idea chiara su tutto. Da architetto penso che il post-modern ha avuto il merito di evocare, ma solo evocare, forme classiche, ma, in fondo, ha lasciato ben poco, è passata come una delle tante mode. Io credo che il problema non sia stilistico e non sia esclusivamente legato all'architettura quanto alla città nel suo complesso, cioè all'urbanistica. Il disastro delle nostre periferie non sono solo gli edifici scadenti ma la pessima qualità dell'ambiente urbano, anzi dell'ambiente "non urbano" e o credo che una buona urbansitica sostiene brutti edifici ma una pessima urbanistica con buoni edifici è comunque inemendabile.
Per questo il New Urbanism, Lèon Krier, Nikos Salingaros e tutto il gruppo che, in qualche modo, fa riferimento alla fondazione del Principe Carlo, rappresenta la vera novità in quanto ha una visione globale, come ce l'aveva il MM, ma opposta, in cui la strada diventa elemento ordinatore, gli isolati non sono più i lotti con gli edifici al centro, per cui vengono ricostituiti i fronti stradali, la commistione delle funzioni contro lo zoning, ecc. con in più alcuni elementi di novità quali ad es. la pedonalità.
In questo senso il post modern poco ha detto (la Strada Novissima era una rassegna di architettura ma con la città c'entrava ben poco)e meno ha fatto.

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