Il post precedente, immediata risposta a quello di amatelarchitettura su Gubbio, merita un approfondimento, anche alla luce di un primo commento, molto ideologico, lasciato in quel blog.
In particolare è dell’architettura del complesso del Palazzo dei Consoli, costituito dal Palazzo dei Consoli vero e proprio, dalla piazza posta a livello della via dei Consoli, che costituisce copertura per un edificio di due piani, e il Palazzo dei Priori, che mi interessa sottolineare la grande “modernità”, elemento questo che può avere tratto in inganno l’autore del post di amatelarchitettura.
Certo bisogna intendersi sul termine modernità, non quella legata al periodo storico di sviluppo della società industriale, che ha trovato la sua espressione architettonica nel Movimento Moderno, rimasto congelato in un modernismo d’antiquariato e conservatore che ha perso ogni rapporto con la realtà dell’abitare individuale e collettivo, con l’architettura e la città, che ha mummificato l’idea della “tabula rasa” rispetto ai canoni di cui si era alimentata la tradizione, che ha perduto la spinta originaria, sbagliata ma comprensibile per le mutate condizioni economiche e sociali e l’impetuoso urbanesimo, e che ha perduto la percezione stessa del motivo per cui esiste la città e le parti che la compongono, cioè l’ambiente di vita più adatto all’uomo, al suo creatore cioè.
Per modernità, riferita all’architettura, intendo ciò che ancora oggi è attuale e vitale, indipendentemente dall’età anagrafica del manufatto, e che risponde alle varie esigenze della vita individuale e collettiva: modernità dell’essere e non dell’apparire.
Ebbene io credo che l’autore del post di amatelarchitettura, Qfwfq, abbia avuto una suggestione, abbia intuito la modernità del Palazzo dei Consoli, ma abbia avuta questa intuizione guardando il progetto di Koolhaas a Porto e, da questo abbagliato per puri motivi formali, abbia sentito il bisogno di giustificare quel progetto, diversamente privo di alcun significato se non di pura autoreferenzialità, appoggiandosi alla modernità di Gattapone, l’architetto del 1300. Ha insomma voluto fornire un sostegno di dignità storica e culturale alla Casa della Musica, ha compiuto un’operazione inversa, forse per non sentirsi troppo fuori moda, e ha ribaltato la realtà, facendo di Gattapone una archistar ante literram, piuttosto che di una archistar un improbabile seguace di Guattapone. Avrebbe cioè finito per dare dignità culturale al Palazzo dei Consoli grazie a…Rem Koolhaas. Io credo che Rem Koolhaas sarebbe il primo a contestare del tutto questa idea, intanto perché è ideologicamente indifferente al contesto, “’fanculo il contesto” è la sua cifra, e poi perché non credo sia affatto ignorante o stupido e saprebbe leggere con maggiore acume il complesso del Palazzo dei Consoli.
In vero, la forma vagamente psicanalitica di questa mia analisi, è solo un artificio retorico per esprimere in maniera discorsiva un concetto, rimanendo cioè nel rapporto dialogico tra due persone e tra due idee, e quindi non è riferita direttamente a quella specifica persona, Qfwfq, ma ad una forma mentis diffusa tra gli architetti, una rappresentazione di due modi opposti di attribuire significati alle medesime architetture. Nè vale discutere troppo sulla forma ironica e/o provocatoria di quel post, ancorchè stimolante, perchè ciò che emerge chiaro anche dai commenti è una interpretazione molto "seria" di quanto affermato.
Perché dunque il Palazzo dei Consoli “è” e “appare” moderno, tanto da meritare un confronto - e resto nel gioco surreale del ribaltamento dei meriti - con la Casa della Musica?
Cominciamo “dall’apparire moderno".
Se si astrae il complesso dal suo contesto, come nella foto iniziale, un plastico tratto da l’Italia in miniatura ed elaborato al computer per ridurlo alle sue linee essenziali, privarlo di decorazione, smaterializzarlo insomma per renderlo astratto secondo il gusto modernista, si può comprendere che:
si tratta di una “piastra” di due piani dalla quale spiccano due “torri” parallelepipede - e pure con poche finestre, che è il massimo per l’architettura del purismo - e con una decorazione misurata in una delle due e quasi assente nell’altra.
Quanti progetti moderni, in senso cronologico, di questo tipo esistono! Due esempi famosi, la Lever House di SMO, con una sola torre, e la Biblioteca Nazionale di Francia a Parigi, con quattro torri.
Il complesso “Palazzo dei Consoli” è tipologicamente una piastra ridotta ai suoi elementi essenziali e quindi niente di strano che questo insieme offra suggestioni all’architetto modernista, anche se di questo suo aspetto tipologico colpisce più il parallelepipedo che emerge e svetta su tutta Gubbio piuttosto che il sistema nel suo insieme.
E veniamo “all’essere moderno".
Se è vero che il progetto è una piastra, è però vero che la forma in cui si presenta oggi questa tipologia è del tutto diversa ed opposta. Si faccia una ricerca su google con le chiavi “edifici a piastra immagini” e appariranno: ospedali, sedi di grandi aziende, università, grandi complessi commerciali, edifici fieristici, vale a dire edifici specialistici. Ma non basta, perché tutti presentano una caratteristica comune: sono complessi unitari a sé stanti, sono oggetti “calati dall’alto”, questi sì, come scrive Qfwfq nel suo post, che vivono di vita propria e potrebbero essere collocati ovunque. E’ l’idea stessa di piastra a richiederlo: il piano terra, la piastra vera e propria, contiene la distribuzione e tutti i servizi comuni necessari e al servizio delle funzioni svolte negli edifici specializzati a torre.
Il Palazzo dei Consoli no, perché la piastra non è una scelta tipologica coscientemente teorizzata ma è la risoluzione straordinaria di un problema urbano e architettonico che appartiene a quel luogo e solo a quello. La piastra di due piani è utile ad assorbire il forte dislivello tra la strada maestra superiore e quella parallela inferiore e per creare una piazza pubblica pianeggiante, e allo stesso tempo terrazza panoramica sulla città, al livello di via dei Consoli, nel luogo centrale in cui convergono le due strade principali e dove, per questo, si incontrano tutti i quartieri. Non solo: al piano strada inferiore vi sono fondi di servizio alla strada stessa, più che agli edifici sovrastanti.
Quello è il luogo sacro, - in senso civile - della comunità, è lo spazio pubblico in cui tutti si potevano riconoscere e si riconoscono tutt’ora, che meritava due palazzi che eccellessero anche in dimensioni, con uno spazio pubblico aperto, la piazza, e uno pubblico interno, l’Arengo al piano primo del Palazzo dei Consoli, una vera e propria piazza al coperto unita a quella all’aperto dalla splendida scalinata:
A questo punto passiamo al termine di paragone, alla Casa della Musica di Rem Koolhaas.
Architettonicamente siamo in presenza di un’astronave, oggetto quindi caduto dall’alto, che ha aperto il portello e ha allungato la scala. Mi pare sia del tutto evidente la simbologia, chiamiamola così, l’idea guida. La forma esterna suggerisce certamente la presenza al suo interno di almeno una sala pubblica (che sia musica, o convegni o altro bisogna saperlo, ovviamente). Ma dove è atterrata questa astronave? In uno spazio indifferenziato, come se avesse scelto quello più adatto ad un atterraggio sicuro. La sua unica relazione è con il terreno, nel senso letterale del termine, perché sembra esserci letteralmente penetrata con la carena.
Questa la descrizione che ne fa l’autore nel suo sito:
“La localizzazione della Casa della Musica è stata la chiave dello sviluppo del pensiero di OMA; abbiamo scelto di non costruire la nuova sala concerti sull’anello di vecchi edifici che definiscono la Rotonda, ma di creare un edificio isolato che si appoggia su un piano di travertino davanti al Parco della Rotonda, confinante con un quartiere operaio. Con questo concetto, i problemi del simbolismo, la visibilità e l'accesso sono state risolte in un solo gesto”.
Fantastica descrizione! Nella prima parte è chiara la volontà di non trovare alcuna relazione con la Rotonda e con la città, di rifiutare cioè l’anello, l’elemento urbanistico forte di quell’area. Nella seconda mi sembra vi sia una fumosa accondiscendenza al “sociale” non ben comprensibile, mentre è chiarissimo l’atteggiamento progettuale riassumibile nel “gesto”. Quindi inutile perdersi in discussioni sull’inserimento perché, quand’anche non ce lo avesse spiegato l’autore, basta questa foto a spiegarla.
Sull’edificio che altro dire! E’ instabile, come si conviene ad una astronave senza gambe appena atterrata e conficcatasi al suolo.
Siamo agli antipodi di Gubbio, proveniamo da un altro pianeta e qui non ci troviamo molto a nostro agio.
Perché andare a cercare relazioni inesistenti e impossibili quando lo stesso progettista le rifiuta per scelta? Siamo nella modernità apparente, nella modernità modaiola il cui valore sta al massimo nella funzione che vi si svolge, merito questo, e onere, del committente e del gestore, non dell’architetto, cui è demandato il compito, che spero sia stato assolto, di risolvere la funzionalità interna. Siamo nel campo del rifiuto preconcetto della città a favore dell’oggetto singolare e “diverso”. Siamo nel campo dell’immagine, dell’effimero, del provvisorio.
Il Palazzo dei Consoli invece sta là da 700 anni, saldamente ancorato al suolo e legato alle strade, alla città, alla comunità; funziona ancora, è il simbolo di una città per i suoi cittadini e per chi la visita.
Ma di cosa stiamo parlando, in effetti?
Credits:
Immagini tratte da:
Italia in miniatura, Bings map, Sito ufficiale OMA
7 commenti:
Caro Pietro,
mi sembra che tu abbia inquadrato perfettamente la situazione, confermando la mia pesante critica all'articolo apparso su "amatelarchitettura".
Il paragone e' del tutto fuori luogo e, confermo, in malafede.
Purtroppo c'e' in giro troppa gente che, senza conoscerla, abusa della storia dell'architettura per manipolarla a proprio piacimento. Un paio di anni fa, a Londra, mi sono scontrato personalmente con Patrick Shumacher, alter ego di Zaha Hadid, il quale fece, a modo suo, una panoramica offensiva della storia dell'architettura, a partire dall'antico Egitto, per arrivare a dimostrare che tutta la storia antica sia immondizia, e che l'unica speranza sia riposta nel "parametricismo" (che pero' non ci spiego' perche', disse, era troppo complicato da spiegarsi), destinato a divenire la "tradizione egemone"!! L'incontro/scontro avvenne in occasione di una conferenza dove il RIBA aveva messo a confronto cinque "custodi della tradizione" e cinque "guru del modernismo" ... a me tocco' fare il gioco sporco e cantargliele di santa ragione .. cosa che feci con gran piacere. Alla fine Schumacher non fu in grado di replicare in nessun modo alle questioni che gli posi e che, strano a dirsi visto l'ambiente, vennero moltiplicate dalla platea. Detto cio' penso che, se lo pseudo-Italo Calvino di amatelarchitettura si fosse limitato a fare un articolo di elogio all'obbrobrio di Koolhaas, non mi sarei mai sognato di attaccarlo come ho fatto, ma vista la cialtronata su Gubbio non me la sono sentita di far passare la cosa in cavalleria.
Buon ferragosto dalla fredda, piovosa e ventosa Irlanda.
Ettore
Il parametricismo....praticamente un software, niente di più. Io lavoro con un software parametrico, anche se suppongo Shumacher si riferisse ad altro software finalizzato più a creare curve complesse che non ad ottimizzare le prestazioni e ad avere un maggior controllo sul progetto.
Bene. Portiamo alle sue conseguenze logiche l'affermazione di Shumacher.
Se fosse vero ciò che lui afferma (da prendere come assioma perchè non ha spiegato un piffero) allora non serve l'architetto, serve il software e chi lo sa usare con destrezza. Quindi il software con la sua equipe di operatori, tutt'uno inscindibile, diventa il progettista. Quindi, cosa ci stanno a fare la Zaha Hadid e Shumaker? Niente, evidentemente, non certo l'inserimento nel contesto che non conta niente. Sono inutili, sono uomini immagine e basta. Ma l'ingegnere però serve ancora perchè le strutture poi vanno calcolate e possibilmente stare in piedi e, nel caso di zone sismiche, sopportare qualche scossa. Quindi si prospetterebbe un futuro in cui il progetto è solo frutto di software e ingegneri.
Quindi gli architetti si danno la zappa sui piedi, dato che occorrono società di capitali per organizzare il sistema software+equipe di operatori, anche perchè i software si evolvono e occorre una manutenzione continua e molto costosa.
Allora, da un lato gli architetti rifuggono come il demonio le società di capitali, dall'altro osannano quel tipo di "progettazione" che esalta la presenza del capitale ed esclude, addirittura l'architetto, se non come firma e faccia (la faccia serve per le riviste, per dare una parvenza di sostanza al mito).
Il software si sarebbe evoluto da strumento a soggetto attivo. Siamo passati da "il medium è il messaggio" a "il software è il progetto".
Il povero Gehry è perciò un vecchio babbione superato dagli eventi, ahimè, visto che lui, provenendo dalla scultura, dice di lavorare con la carta o con altri materiali, quindi nello spazio, e poi c'è chi gli mette il progetto nello strumento parametrico. Ma la Hadid cosa fa che lavora con gli schizzi? Dice, ma l'architetto conta sempre, è lui che fa il progetto, almeno l'idea! Bene, ma allora il software parametrico torna ad essere strumento e non vero e proprio progettista.
E allora come la mettiamo, caro Shumacher? E' vera la prima o la seconda delle ipotesi?
L'unica cosa vera è che Schumacher ci campa bene e ci riempie di progetti assurdi, per il resto non credo sia in grado di rispondere altro
Ciao
Pietro
Caro Pietro,
infatti la progettazione parametrica è quella che dici tu, e gli "schizzi" di Zaha possono tramutarsi in "architetture" grazie agli schiavetti che sanno gestire il software. In pratica i sindaci affamati di fama spendono una barca di soldi pubblici per avere la "griffe" dell'archistar di turno che, però, non sa nemmeno come il suo progetto sia venuto fuori, e gli ingegneri che (come nel caso del MAXXI) sono riusciti a farlo stare in piedi, resteranno degli illustri sconosciuti pur essendo i reali realizzatori dell'opera. Agli architetti incapaci - come Zazà e Schumacher - di progettare in maniera rispettosa della tradizione, che condannano chi lo faccia di falsificare la storia, o di essere passatisti, non comporta invece alcun senso di colpa realizzare opere che, oltre a non essere state disegnate da loro, risultano anche essere il clone di porcherie simili, poiché esse sono il risultato dell'uso di softwares che, come tali, tendono a lavorare per modelli precostituiti. Ecco il perché il MAXXI e l'obbrobrioso museo di Liverpool sembrano essere usciti dallo stesso stampo. In pratica, siamo davanti ad un modo molto facile per potersi sentire architetti, anche se si è incapaci di progettare, è la legge parassita della nostra società, una società basata sul principio del "massimo del guadagno con il minimo dello sforzo". ... Forse Schumacher intendeva questo quando ha affermato che il "parametricismo" sarebbe divenuto la "tradizione egemone" ... le colonie di parassiti infatti, come le cellule cancerose, quando vengono a trovarsi all'interno dell'ambiente adatto, si moltiplicano a dismisura a danno delle cellule sane e, se non si provvede a fermarle in tempo, finiscono per distruggere ciò che le circonda! Mi dispiace per l'orrendo paragone, ma la vedo proprio così.
Ciao
Ettore
Caro Pietro
le cose che tu dici riguardanti la bellezza incredibile di Gubbio sono vere e la ricerca di una architettura autentica non può passare altro che dalla nostra tradizione umanistica e rinascimentale.
Il progetto del Palazzo della Musica in sè è anonimo però vorrei potere aggiungere che l'idea di astronave che cala nel contesto ci rimanda anche essa alla lezione rinascimentale come puoi vedere nella costruzione del palazzo cubico per esempio di Palazzo Strozzi che è talmente perfetto da dominare gli edifici circostanti come appunto una grande astronave che si posa sul suolo e da cui hanno preso esempio tanti e successivi riferimenti, forse anche quello di Rem.
A me non sembra proprio così. Palazzi Strozzi è un parallelipedo come gli altri edifici intorno, solo che essendo edificio specialistico ha misure e dignità maggiore, una cura del dettaglio e della pelle di livello superiore ma parla la stessa lingua degli edifici cui si affianca. Solo che è una lingua più colta e ricca. Il palazzo della musica per scelta dialoga solo con sé stesso, ha la forma di una astronave e si pone volutamente senza le relazioni spaziali con la città che invece qualificano Palazzo Strozzi
A me non sembra proprio così. Palazzi Strozzi è un parallelipedo come gli altri edifici intorno, solo che essendo edificio specialistico ha misure e dignità maggiore, una cura del dettaglio e della pelle di livello superiore ma parla la stessa lingua degli edifici cui si affianca. Solo che è una lingua più colta e ricca. Il palazzo della musica per scelta dialoga solo con sé stesso, ha la forma di una astronave e si pone volutamente senza le relazioni spaziali con la città che invece qualificano Palazzo Strozzi
Caro Pietro
volevo completare a mio parere il discorso riguardante un ipotetico confronto Palazzo Strozzi per esempio preso come palazzo rinascimentale e il Palazzo della Musica di Rem.
Verissimo che ci si trova difronte a una misura e dignità superiore, una cura della pelle superiore un massimo rapporto con il contesto però forse il progetto di Rem si rifà anche se in maniera completamente distorta a quella sorta di poliedri platonici di cui le massime testimonianze si hanno avute nei secoli passati.
Ciao
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