Al momento della scelta dell'indirizzo di questo blog, dopo una serie di tentativi a vuoto alla ricerca di un nome semplice e pertinente, la sorpresa: "regola" era libero! L'architettura è oppressa da leggi e regolamenti, i termini più altisonanti della "creativa" cultura architettonica erano già occupati ma una parolina così semplice e antica e comprensibile da tutti, cioè "regola", era libera!
Questo blog parla appunto di "regole" contro la sregolatezza architettonica.


1 novembre 2011

IL MASCHERAIO

L’architettura è arte e quindi l’architetto è un artista”.
Questa è la convinzione, in alcuni profonda e motivata, nei più accettata acriticamente, in quasi tutti divenuta luogo comune, frase fatta.
Prestinenza Puglisi è, ad esempio, uno dei più convinti (link all'articolo).
Quindi in Italia ci potrebbero essere circa 140.000 artisti, oltre a quelli dediti ad altre arti e a tutti quelli che si sentono artisti della domenica, a riprova del detto che il nostro è “ Un popolo di poeti di artisti, di eroi, di santi, di pensatori di scienziati, di navigatori, di trasmigratori” come scolpito nel Colosseo quadrato.

Quest’idea dell'architettura come arte è il fondamento ideologico per giustificare i peggiori progetti, il ruolo dell’archistar, la libera creatività dei 140.000. Dietro c'è una visione dell’architettura come fatto puramente concettuale senza riferimento alcuno alla realtà, la sconfessione dell’essenza dell’architettura, che è arte sì, ma civica.

Vorrei però non farla lunga, visto che l’ha spiegato benissimo questa mattina un mascheraio alla radio.
Ascoltando la trasmissione Chiodo fisso su Radio3, dedicata questo mese al teatro, ho sentito Ferdinando Falossi, storico del teatro e mascheraio, cioè il costruttore di maschere teatrali, spiegare in cosa consiste il suo lavoro. Questo il cuore di quanto ci interessa:

La maschera non è una costruzione artistica tout court perché si lavora al servizio di un regista e di un attore quindi il costruttore di maschere è il costruttore di uno strumento di lavoro per qualcun altro che poi dovrà viverci dentro, dovrà abitare la maschera, dovrà sudarci, dovrà farci le prove, dovrà lavorarci.
Il mascheraio ha poco da fare l’artista e non potrà mai dire: “ma io la vedo così”, perché il mascheraio deve confrontarsi con qualcun altro. Quindi è una dimensione artigianale, di fatica artigianale che porta alla costruzione di un prodotto
”.

Sostituisci mascheraio con architetto, regista e attore con committente ed ecco spiegato. Inutile aggiungere altro, solo che questo è il link alla trasmissione, avvertendo che vale la pena ascoltarla tutta a prescindere, ma la parte specifica è compresa nei primi 3 minuti circa.
Buon ascolto

19 commenti:

ettore maria ha detto...

Caro Pietro,
sei sempre molto opportuno. Il riferimento al mascheraio è perfetto!
Quanto a Prestinenza Puglisi, anni fa l'ho aspramente criticato su Exibart dove, parlando dell'estensione della Galleria d'Arte Moderna di Roma, sosteneva la necessità di buttare giù la parte originale di Cesare Bazzani, e di restaurare quel cesso di addizione fatta da Cosenza, estensione che, oltre ad offendere l'edificio di Bazzani, deturpa anche l'intera area di Valle Giulia. Considerato il contesto, questo la dice lunghissima su quella che può essere la sua capacità critica nel campo dell'Architettura. La cosa tristissima è che tanti "giovani" architetti gli vanno dietro ... ovviamente per paura di essere stroncati dall'"illustre critico". Stendiamo un velo pietoso.

Pietro Pagliardini ha detto...

Caro Ettore
per caso su Archiwatch ci sono stamani due post in cui si assimila molta architettura decostruttivista e comunque moderna alla pittura di Picasso. Ho lasciato un commento perché è la riprova che tenere insieme arte e architettura, e anzi considerare l'architettura come forma d'arte, senza alcun vaglio critico, è davvero pericoloso.
Prestinenza Puglisi di questa associazione ne fa un cavallo di battaglia, addirittura.
Ciao
Pietro

ettore maria ha detto...

caro Pietro,

ho visto i post su Picasso e decostruttivismo, o meglio "unfolded design" ed ho lasciato un commento su quello in cui Picasso invoca di "fermare sti cazzari" (ambasciator non porta pene). M'è parso di capire che Muratore stia criticando anche lui un certo modo di fare edilizia (non riesco ad utilizzare il termine architettura per certe cose), pensavo che la motivazione non fosse collegata all'anniversario, ma a qualche progetto stile Liebskind che vorrebbe sfregiare un edificio legato all'artista celebrato

Anonimo ha detto...

Pietro, a me pare che il testo di Puglisi non voglia affermare che “L’architettura è arte e quindi l’architetto è un artista” , se non attraverso una lettura preconcetta. Voglio dire, tu sei allergico all'arte moderna, quindi il solo accostarla all'architettura ti fa venire l'orticaria. Ma questo è un problema tuo.
Nel testo di Puglisi io ci leggo un'analisi allargata della cultura visiva moderna, una visione necessariamente 'globalizzata' del sapere umano per la grande quantità di scambi di informazioni che inevitabilmente inducono a confronti, contaminazioni, ibridazioni: tutto ciò che vediamo entra inevitabilmente a far parte del nostro patrimonio cognitivo, ormai sono tutti d'accordo sul fatto che vedere è conoscere, che ogni esperienza ci cambia, persino modifica plasticamente il nostro cervello, ci rende continuamente altri.
Se un architetto mentre progetta si ricorda di un quadro o una scultura, se un artista mentre dipinge si ricorda di un palazzo o di una città, se ciò inevitabilmente connota la loro cultura quindi le loro idee quindi le loro opere, che cosa c'è di male o di anomalo? Anche il mascheraio nelle sue maschere, che indubbiamente servono a scopi pratici, ci mette altrettanto indubbiamente la sua cultura, il suo vissuto, le idee che si è fatto vivendo, guardando, sperimentando, costruendo, tant'è che le sue maschere sono, appunto, sue, diverse da altre, perché lui è diverso da altri.
Prova a rivedere il tuo sillogismo: “L’architettura è arte, quindi l’artista è architetto”.
Se cancelliamo la categoria degli artisti e li chiamiamo architetti, la ‘artisticità’ può essere un’attribuzione dell’architettura, può essere semplicemente la bellezza dell’architettura, antica o moderna che sia, messa così non fa più paura ………

Vilma

Pietro Pagliardini ha detto...

Vilma, la mia non è lettura preconcetta e te lo dimostro.
Questo una parte del commento di Alessio Lenzarini tratto dal blog amatelarchitettura:
..dopo tutte queste chiacchiere mi concedo ovviamente anch’io all’ineffabile piacere di vagheggiare il mio tipo di concorso ideale. e lo faccio stralciando un pezzo da un mio intervento su una presSTletter di svariati anni fa (l’argomento erano sempre i concorsi, allora come ora LPP aveva proposto un decalogo), perché tanto la penso sempre così:
“ritengo che la pratica del concorso di architettura dovrebbe rappresentare un momento ‘eversivo’ di differenza rispetto al consolidato sistema socio-economico in cui normalmente si attua l’edilizia. Poiché l’architettura è una disciplina che può essere arte ma che nelle sue manifestazioni più frequenti non lo è (per mille motivi intrinseci alla natura stessa della disciplina), l’obiettivo dichiarato del concorso dovrebbe risultare proprio quello di garantire che almeno un’opera pubblica sia sempre arte e non solo buona edilizia. Ovverosia lo Stato, prendendo atto dell’importanza culturale dell’architettura come disciplina artistica, dovrebbe assumersi la responsabilità di obbligare se stesso (nella veste dei suoi enti ramificati) al piacere/dovere della qualità artistica nella costruzione delle proprie sedi. E dovrebbe farlo tramite una pratica del concorso appositamente concepita e strutturata per cercare di perseguire questo tipo di intenzionalità e di risultato. Mi sembra, in termini di principio, tutto molto semplice. E tutto, in termini reali, il contrario della Merloni

Quest'altra la risposta di qwfwq:
"Ottimo Alessio mi piace molto questa tua definizione “dell’architettura come disciplina artistica” a cui consegue “la responsabilità di obbligare (…) al piacere/dovere della qualità artistica nella costruzione”
Le città che hanno paura di esprimere le loro esigenze artistiche sono città che a lungo andare risultano aride o (nel caso di città fortmente storicizzate) finiscono per musealizzarsi
".
Anche Marco Romano ne "La città come opera d'arte", riferendosi alla città medioevale afferma l'intenzione "estetica" nella costruzione dei grandi temi collettivi, ma l'intenzione estetica nel progettare l'architettura non coincide con l'arte come categoria storico-critica. Ora leggendo i due commenti mi sembra chiaro come viene interpretato il pensiero di LPP, e non solo dai due citati. E viene interpretato così perché è quella l'interpretazione autentica che sta al fondo del discorso.
L'interpretazione che tu ne dai è condivisibile ed è anche vero che la mia “idiosincrasia” per l'arte contemporanea è un problema mio che non ha a che vedere con il principio in sé. Come è ancora più vero che l'architettura e l'arte non possono piegarsi ai miei desideri. Però non vedo perché dovrebbero piegarsi a quelli di LPP o degli altri (oggi Muratore ha fatto due post in cui si mostrano alcune architetture che sono derivazione dal cubismo di Picasso).
Ma dato che il mascheraio afferma che l'artista (leggi:architetto) non potrà mai dire "ma io la vedo così" (espressione d’artista) perché la maschera (leggi:architettura) non appartiene alla libera scelta del suo autore ma deve confrontarsi con .... qualcuno che ne dovrà fare uso, allora non conta molto l'idea, il vissuto del progettista ma conta quello dell'utente e quindi solo rimettendo all'utente la scelta potrà emergere il sentiment, lo spirito dell'epoca che viviamo, proprio perché l'architettura è per tutti e di tutti. L’architetto non perde affatto il suo ruolo, che oggi è visto come impositivo ma non è sempre stato così. Carlo Scarpa, non Vitruvio, progettava con i suoi clienti.
Più passa il tempo e più mi convinco che per ridare dignità e legittimazione, anche estetica e artistica, ma soprattutto etica all'architettura, diventa determinante il giudizio degli utenti.
Ciao
Pietro

Anonimo ha detto...

Pietro, che i due commentatori citati diano l'unica interpretazione autentica del pensiero di LPP mi sembra altamente improbabile, anche se tu mostri di esserne assolutamente ed antidemocraticamente certo, così come è del tutto opinabile il parere di Muratore che fa derivare dal cubismo alcune architetture presentate sul suo blog.
Il punto critico sul quale inciampano tutte le discussioni di questo tipo e su questo argomento è sempre lo stesso, la sostanziale impossibilità e quindi la vana pretesa di fare dei distinguo tipo “l'architettura è/può/deve essere arte? esiste un piacere/dovere della qualità artistica dell'architettura? l'estetica dell'architettura può/deve coincidere con l'arte?”
La preoccupazione è sempre una: categorizzare, catalogare, distinguere, separare, dimenticando sistematicamente che sia l'arte che l'architettura la fanno gli artisti e gli architetti, uomini, persone, mortali che, fortunatamente come tutti, non nascono con stampigliato in fronte 'artista', 'architetto', 'medico', 'musicista', 'metalmeccanico' e che riversano nei loro prodotti tutto quello che posseggono, conoscenza, cultura, storia, esperienza, nevrosi, difetti e manie.
Visto che citi Scarpa, non mi risulta che si sia mai laureato in architettura (ebbe una laurea honoris causa, che non si nega a nessuno), ha studiato all'accademia di belle arti, ha progettato per vetrai e paesaggisti, per l'oggettistica e l'arredamento, progettando, come dici, con i committenti e soprattutto con la sua grande sensibilità artistica.
Certo sai che Michelangelo fu pittore, scultore e architetto, che Brunelleschi fu architetto, scultore, e persino orafo e scenografo, che Maitani fu scultore e architetto, come Francesco Laurana e Bernini, che Leonardo fu artista e ingegnere, che Loos fu architetto, designer, arredatore e stilista, che Nervi fu ingegnere e architetto, che Gio Ponti fu architetto e disegnatore di piastrelle, che Morris fu architetto, artigiano e disegnatore di carte da parati …… come li classifichiamo, tutti costoro? Artisti?Architetti? i giorni dispari artisti e quelli pari architetti? Chissà se Brunelleschi, quando ha progettato la sua anomala Cappella Pazzi fuori regola ha esclamato "ma io la vedo così", dando inizio al Rinascimento …..

Vilma

Pietro Pagliardini ha detto...

Vilma
io ho scritto di attribuire ai due commentatori l’interpretazione autentica di LPP e sono stato impreciso. Voglio dire che, qualunque sia il significato autentico del ragionamento di LPP, la sua ricaduta sugli architetti è nella stragrande maggioranza dei casi quella. Non conta molto ciò che dovrebbe essere ma ciò che è. La realtà si fa beffa delle intenzioni.
Saprò poco, ma, credimi, gli architetti “al vero” e quelli “virtuali” in rete ne conosco parecchi. Non sono antidemocratico ma un certo sforzo di sintesi nel giudicare la realtà lo ritengo necessario. Senza sintesi non si affronta la realtà, non si assumono decisioni, ma le si subiscono, non si prendono responsabilità.
Più o meno so che Michelangelo era tante cose, ma, questa volta sono io a dirlo, il mondo è cambiato ed esiste la figura dell’architetto, cioè colui che, a torto o a ragione, è autorizzato per legge, a produrre progetti. Se poi un architetto è anche artista, buon per lui, ma la specializzazione dell’architetto, da circa un secolo, richiede che si applichi alla sua disciplina secondo i principi e le leggi proprie dell’architettura. E ancora, se qualcuno, come Scarpa, è/era molto bravo anche senza essere laureato, averne di gente così, figuriamoci se io mi scandalizzo per questo dettaglio (sono per l’abolizione del valore legale del titolo di studio). Ad Arezzo esiste un progettista che credo sia geometra il quale fa progetti di gran lunga migliori di quelli di molti architetti. Ben vanga pure lui.
Ma il fatto è che siamo 140.000 autorizzati e se solo la metà di questi pensasse di comportarsi come Michelangelo senza ovviamente, per ovvio dato statistico basato sulla curva di Gauss, averne le doti…… lascio immaginare.
Questo nostro confuso mondo è allo stesso tempo il luogo della specializzazione ma anche il luogo in cui tutti si occupano di tutto. Io invece mi riferisco all’architetto-tipo, che esiste, non è una mia mania classificatoria, ed è quello che è soggetto a regole e leggi e che può lavorare e mettere la sua firma indipendentemente dalle sue capacità, dandosi per scontato (ipocrisia, ma la legge non può distinguere) che tutti siamo sullo stesso piano.
La professione di architetto necessita di regole, di ogni tipo: deontologiche, amministrative ma anche disciplinari. Ce l’hanno tutte le professioni: gli ingegneri seguono le leggi della statica e le leggi dello Stato, poi ci sono quelli più creativi, più capaci, più intuitivi, più geniali ma, per fortuna nostra, le regole le devono seguire anche loro. E infatti raramente si manifestano crolli e giustamente fanno notizia.
.........continua

Pietro Pagliardini ha detto...

......continua.

Cosa abbiamo di diverso noi architetti? Il fatto che abbiamo tra i nostri avi Michelangelo, Leon Battista Alberti, Palladio! Ma anche gli ingegneri possono vantare Brunelleschi nell’albero genealogico, perché la separazione delle due professioni non è antica. L’unità delle arti non c’è più da tempo, perché non c’è più unità del pensiero, ma chi dice che andrebbe ritrovata, se pur idealmente, come principio ispiratore, viene tacciato di passatismo, antichismo e reazione. Oggi è necessaria una base culturale comune e condivisa e non può certo essere la qualità artistica questo comun denominatore. Semmai deve essere la coscienza critica, intesa nell’accezione di Caniggia, che molto poco lascia all’estro e moltissimo alla lettura e alla interpretazione di ciò che è e di ciò che sarà con il progetto.
Fare un progetto richiede, tra gli altri requisiti, la capacità di saper “prevedere” ciò che accadrà, non tanto attraverso un rendering, che pure serve, ma soprattutto “a regime”, cioè dopo che il bene sarà stato utilizzato; dovrà prevedere come esso interagirà con i suoi abitanti o semplicemente con chi ci entra in contatto a qualsiasi titolo. Solo allora il progetto potrà essere giudicato in ogni suo aspetto, solo dopo potremo valutare la distanza tra progetto (previsione) e realtà (risultato). Se la previsione si basa su principi sbagliati, è altamente probabile che il risultato sarà pessimo. Se si basa su principi giusti, non è detto che il risultato sarà buono, tanto è difficile.
Su questi, sui principi fondanti, il dibattito è acceso. Su quanto l’ambiente, la città, l’architettura influenzi i comportamenti umani, individuali e sociali, vi è dibattito e scontro. E da qui quali siano le caratteristiche che architettura e urbanistica debbano possedere per rispondere a questa domanda. L’estetica è certamente fattore importante, ma sempre in relazione a quel risultato.
L’elemento artistico, se c’è, è un quid plus accessibile a pochi, è l’eccezione. Ma non credo si possa fondare una disciplina sulle eccezioni.
Ciao
Pietro

biz ha detto...

Secondo me in tutto questo è sbagliata la concezione di arte, se non implica anche che il mascheraio e l'architetto siano artisti.
E' sbagliato pensare all'artista come ad una persona che vive di arbitrio, di deliri personali, che non ha referenti, pubblico, committenti.
Chi ha detto che l'artista è questo, ossia, sostanzialmente, una testa di cazzo?

Pietro Pagliardini ha detto...

Non conosco il mondo dell'arte ma credo che il referente del pittore sia sostanzialmente il gallerista.
Quello che non comprendo è chi compri opere tipo quelle esposte al MAXXI, o meglio chi siano i committenti di quelle opere. Non credo vi sia alcun riferimento con le logiche di mercato e con i gusti del pubblico.
Per avere un'idea più precisa ci dovrebbe venire in soccorso Vilma Torselli. Se vuoi un altro tipo di opinione puoi cercare gli scritti di Gabriella Rouf su il Covile.
Comunque sia mi sembrano due committenze di tipo del tutto diverso quelle dell'architetto e dell'artista, come del tutto diverse sono le spinte a costruire o ad acquistare un quadro o una statua.
Ciao
Pietro

biz ha detto...

Pietro, ormai è da un po' di anni che uso il termine "artista" in senso piuttosto "laico", e mi trovo benissimo. Per me un artista è uno che è bravo nella sua arte (e intendo per arte una attività che consiste nel realizzare un certo genere di oggetti, ben preciso: utile o anche puramente di godimento). Per me l'artista è solo quello.
Devo dire che mi trovo bene a usare il termine in questo modo. E pazienza se qualcuno che viene ritenuto un artista per me non lo è, e viceversa.

Pietro Pagliardini ha detto...

biz, capisco, però le parole servono a comprendersi l'un l'altro e quindi...bisogna rispettare certe convenzioni.
Anch'io, ad esempio, quando dico architetto, senza aggettivi, intendo generalmente una figura che raramente corrisponde alla maggior parte di quelli che conosco. E non mi capisce quasi nessuno.
Quindi se per artista tu intendi quello che hai detto, sono d'accordo con te.
Ciao
Pietro

ettore maria ha detto...

qualche settimana fa ero a cena con i miei colleghi in un ristorante "in" di via Rizzoli a Bologna. Al tavolo accanto al nostro c'erano due coppie che parlavano animatamente di "arte contemporanea". In pratica discutevano di come avevano investito un bel po' di soldi comprando opere "quotate", parlavano di galleristi che sapevano bene indirizzarti nell'acquisto di questo o di quell'artista che, in breve tempo, poteva aumentare di valore.
In pratica non ho sentito una sola parola di apprezzamento relativamente ad una sfumatura di colore, o ad un'emozione suscitata da un'opera artistica, ho sentito solo ed esclusivamente schifosissimi discorsi di soldi. Questa è l'arte contemporanea, altro che bravura. Quand'è che si smetterà di dar credito ai "critici" ed agli "artisti" che nulla hanno a che fare con l'arte? Perché continuare ad accettare questa tirannia "culturale"?

Anonimo ha detto...

concordo assolutamente con biz, è ora di ammettere il definitivo tramonto del mito ottocentesco che vuole l'artista tormentato e dannato,"che vive di arbitrio, di deliri personali," uno stereotipo che oggi ha lasciato il posto alla figura di un operatore culturale attento all'evoluzione del costume ed ai significati del mondo contemporaneo. L'instaurarsi di un "regime del consumo" parallelamente ad un "regime di comunicazione", come acutamente analizzato da Anne Cauquelin ("L'arte contemporanea" 1992) fa dell'arte "un sistema autoproducentesi e autodigerentesi; in ultima istanza coloro che la producono sono anche coloro che la consumano....", un fenomeno che ci riguarda tutti, perfettamente coerente con il mondo in cui avviene, del resto l'aveva capito già Duchamp quando diceva "L'arte è una condizione, una condizione eraclitea di continuo mutamento".

Mi lascia perplessa un'affermazione contro "critici" ed "artisti" che nulla hanno a che fare con l'arte, perché paradossalmente parte dal presupposto di sapere perfettamente cosa sia l'arte, e quindi cosa siano (o non siano) i suoi critici ed artisti, mentre in realtà l'arte non esiste se non in funzione di artisti che la producano ed eventualmente di un pubblico, magari anche di critici, che la fruiscono.Il percorso da farsi sarebbe quindi quello inverso.

Perché "l'arte è quello che gli uomini chiamano arte", nulla di più né di meno.

Vilma

Pietro Pagliardini ha detto...

Vilma, postando però il tema dal produttore (artista) al prodotto (oggetto d'arte), rimane il dato sulla qualità del prodotto e non sulla "definizione" di artista.
Il post è solo uno spunto per significare che il mascheraio, il quale è più un artigiano che un artista, perché deve dare risposta ad una domanda reale e predeterminata (diversamente dall'oggetto d'arte il cui mercato ha una quota di incertezza), ha cioè un committente preciso, esercita un lavoro simile a quello dell'architetto. O meglio, sarebbe bene che l'architetto adottasse nei confronti del progetto lo stesso atteggiamento del mascheraio, abbandonando proprio la visione dell'architetto "che vive di arbitrio, di deliri personali," come dici giustamente te.
Converrai che quello che vale per l'artista vale esponenzialmente più per l'architetto.
Ciao
Pietro

Pietro Pagliardini ha detto...

pardon: all'inizio ho scritto "postando" ma volevo scrivere "spostando".
Si capisce, solo che postando ha anche un significato autonomo.
Scusate

ettore maria ha detto...

Cara Vilma,
tu dici, riferendoti al mio commento:
"Mi lascia perplessa un'affermazione contro "critici" ed "artisti" che nulla hanno a che fare con l'arte".
Ciò che ti sfugge è che il mio riferimento è relativo a coloro i quali (pseudo-artisti e pseudo-critici) confondono l'arte con il consumismo.
Ciò che mi lascia esterrefatto, più che perplesso, è invece la tua affermazione secondo la quale "in realtà l'arte non esiste se non in funzione di artisti che la producano ed eventualmente di un pubblico, magari anche di critici, che la fruiscono"
Ma di che cosa stai parlando??? Vengo da una famiglia di artisti, che, secondo l'araldica, per ramificazioni arriva fino al Parmigianino. Mio nonno faceva acquarelli meravigliosi, mio padre dipinge ad olio e a gessetto, io stesso mi diletto abbastanza bene, tuttavia le opere di mio padre e mio nonno non sono sono mai state concepite come dei "prodotti" per critici e pubblico, perché le hanno fatte per il piacere di farle. Ciò che sfugge a chi "produce" e "giudica" in funzione del mercato è che, quando si crea un'opera senza intenti lucrosi, si ricerca una dimensione del piacere che è difficile da potersi descrivere a parole, e che nulla ha a che fare con la mercificazione futura di quell'opera.

Anonimo ha detto...

Ettore, mi spiace che tu abbia interpretato in modo personale il mio commento, in realtà mi riferivo a diffusi luoghi comuni, vecchi e superati, non avevo alcuna intenzione di suscitare una tua risposta.

Mi spiace per l'equivoco
Vilma

LdSnob (sine nobilitate) ha detto...

madre casalinga con quinta elementare. padre impiegato con due anni di superiori. entrambi di origine contadina. tutti venetissimi. araldica: non pervenuta.

robert

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