Al momento della scelta dell'indirizzo di questo blog, dopo una serie di tentativi a vuoto alla ricerca di un nome semplice e pertinente, la sorpresa: "regola" era libero! L'architettura è oppressa da leggi e regolamenti, i termini più altisonanti della "creativa" cultura architettonica erano già occupati ma una parolina così semplice e antica e comprensibile da tutti, cioè "regola", era libera!
Questo blog parla appunto di "regole" contro la sregolatezza architettonica.


12 ottobre 2011

AUTOCENSURA

E’ troppo difficile commentare questo progetto senza rischiare la querela per uso eccessivo e reiterato di aggettivi oltraggiosi e d’altra parte affrontarlo in tono ironico potrebbe essere giudicato da qualcuno come superficiale e inadeguato alla gravità della situazione.
Avventurarsi in considerazioni troppo pensose, invece, può portare ad una grottesca situazione di esagerato contrasto con la quantità di pensiero presente nell’opera.
Inserire questo progetto nella storia dell’autore per inquadrarne il messaggio nel suo personale percorso progettuale, in ossequio alla concettualità dell’opera, potrebbe apparire un omaggio all’autore stesso e rischierebbe di indurre l’idea in qualche mente debole che vi sia anche del vero.
Provare a immaginare come potrebbe risolversi l’inserimento ambientale del Ponte sullo Stretto di Messina, di cui il nostro è incaricato, basandosi su questo disegno mi farebbe diventare per un paio di minuti l’idolo dell’opposizione parlamentare al gran completo, come con l'Arcuri, e di guai ne ho già troppi in casa per andarne a cercare anche fuori.
Osservare che questa nostra società occidentale ha un serio problema con Alzheimer che non lascia presumere niente di buono per il futuro è talmente ovvio che sarebbe inutile approfondire.
Dichiarare di pensare che quest’edificio ci fa sentire più vicini gli orrori della guerra potrebbe essere scambiato per retorica o, molto peggio, come la prova della giustezza del progetto, invece mi è solo balenato per la testa che di cose brutte, oltre alla guerra, in giro se ne cominciano a vedere.
Scrivere sulla degenerazione del fenomeno archistar è sotto gli occhi di tutti, o quasi, e non sarebbe originale.
Affrontare il tema del rapporto del progetto con il contesto o del dialogo tra nuovo e vecchio mi farebbe sentire alquanto scemo.
Mi resta solo la scelta di non scrivere niente e aspettare che qualche coglione di critico o di storico ce lo spieghi con dovizia di particolari e molte citazioni. Sai quanti se ne trovano nel web e pure nelle nostre facoltà!

8 commenti:

Anonimo ha detto...

Pietro, in realtà Libeskind non fa che inaugurare un nuovo filone che avrà come gli altri successo planetario: dopo il periodo famolo-strano, quello famolo-storto, quello famolo-e-basta, ecco il periodo famolo-con-l'origami.
Basta solo mettersi d'accordo su come appendere i quadri alle pareti.

Vilma

Pietro Pagliardini ha detto...

Vilma, sono totalmente d'accordo. Lo spirito è quello giusto, cioè ignorarlo come la tanta spazzatura mediatica. Magari a Dresda sarà un po' più difficile fare finta che non esista.
Però devo correggerti un errore: questa serie l'aveva già inaugurata a Ontario, Canada, se non vado errato, e non adesso. Quindi la serie è ri-famolo-con-l'origami:
http://www.schinnerer.com/blogs/rm/2008/04/17.html
Ciao
Pietro

ettore maria ha detto...

Che i militari e le guerre siano orribili, nessuno lo mette in dubbio, che però si debbano "violentare visivamente" le persone mi sembra una cosa molto vile. Un Museo, AL SUO INTERNO, può raccontare ciò che vuole (ricordandosi però, in caso di mancanza di rispetto del bene comune, di non farlo con soldi pubblici), e chi vuole vedere e sapere può andare a visitarlo e, se è il caso, apprezzare e/o soffrire. Quando però si viola il senso del bene comune e quello che il Codice di Procedura Civile Italiano definisce il "possesso" di uno spazio, allora si compie un reato. Possedere non significa essere proprietario di un qualcosa, ma possederla perché vi si transita vicino. Il Piano per Bari Vecchia di Concezio Petrucci e Gustavo Giovannoni aveva un articolo che si chiamava "diritto Architettonico" e che ammoniva: "il proprietario di un edificio deve sempre considerare che una facciata non appartiene a lui ma all'intera collettività e, come tale, deve rispettare tutti" Questa, per me, è la summa della "civiltà" in campo architettonico

biz ha detto...

Secondo me, a differenza di altre volte, e forse per puro caso, questo progetto ha senso.
Continuo a pensare una soluzione in cui non avesse fatto questo "gestaccio". E sarebbe venuta fuori una cosa insignificante. Così invece è forte, significativa. Insisto. E che faccia incazzare così tanto è indice del fatto che colpisce nel segno.

Pietro Pagliardini ha detto...

biz, non capisco. Per fare quel progetto occorrono queste condizioni: incarico, cinismo e voglia di stupire. Punto.
Ma cosa c'è da stupirsi d'altro ancora?
Io conosco molte persone che hanno fama di essere "molto intelligenti". Guarda caso, queste persone sono terribilmente ciniche ed egocentriche. Mi sono fatto la convinzione, negli anni, che se una persona è normalmente intelligente ma terribilmente cinica, la sua normale intelligenza viene enormemente sopravvalutata fino a diventare degna di grande rispetto.
Questo è il caso, in architettura ovviamente, di Libeskind.
Ciao
Pietro

Anonimo ha detto...

biz, un progetto, come un quadro o una scultura, è sempre la traccia, l'impronta, il gesto di qualcuno, significativo di qualcosa comunque sia e chiunque l'abbia fatto. Per affermare con forza un messaggio si può anche dire una parolaccia o fare un gestaccio, ma quando il gestaccio 'è' il messaggio c'è qualcosa che non quadra, non è più un modo di comunicare col resto del mondo, è un modo autoreferenziale di parlare di sé.
A me personalmente non interessa la psiche più o meno complessa di Libeskind, non mi interessa come individuo solitario, ma mi interesserebbe come singolo che ha il privilegio, la capacità e la cultura per potersi connettere con una collettività il più allargata possibile.
E' questa la magia dell'arte, e anche dell'architettura.

Vilma

Anonimo ha detto...

Caro Piero,
l’inserzione di Libeskind nel German military museum in Dresden fa parte della cosiddetta edilizia “nodale” di una città che ha ricostruito con precisione il suo Duomo, con tanto di lanterna sommitale regalata da un orefice inglese che pilotava un bombardiere tra i tanti che rovesciavano pillole in gran quantità.
Tra le città tedesche Dresda è quella ricostruita in modo più fedele. Nonostante questo, però, l’hotel dove ho soggiornato io aveva sul tetto un enorme omone stilizzato con un gran pisellone a ciondoloni che attirava i commenti negativi delle signore. Anche quella è edilizia “nodale”...
Nel caso del puntuto intervento di Libeskind, per me non è possibile giudicare la qualità intrinseca dalle foto presenti nel Ciberspazio. Io penso, però, che una città come Dresda possa sopportare anche oggetti strampalati poiché il suo tessuto urbano e la sua edilizia complessiva sono molto tradizionali e solidi.
A Berlino, per fare un paragone, l’Interbau, fatto di pezzi famosi e “storici”, risulta nel complesso molto più confusionario del museo militare di Dresda post Libeskind. Lo stesso vale per Posdamer Platz fatto di edifici anche molto belli ma nell’insieme troppo eterogei come linguaggio. Perfino l’isolato di Aldo Rossi lungo la Friedrich Strasse appare più strampalato anche se è rigidamente ritagliato lungo gli allineamenti stradali.
Libeskind , in genere, quando infila i suoi ufo-robot nelle città genera confusione e fa incavolare. Secondo me a Dresda, a occhiometro, quei vetri, quelle travi d’acciaio (o calcestruzzo?), gli spazi dirompenti e i volumi super inclinati e sfaccettati sono invece sopportati, dall’edificio preesistente, con sufficiente tranquillità.
Un caro Saluto
Alessandro

Pietro Pagliardini ha detto...

Alessandro, non conosco Dresda ma a occhiometro quell'aggeggio non mi sembra un gran progetto. E credo che quand'anche l'edificio esistente fosse in grado di assorbirlo, e ci vuole uno stomaco di ferro, non credo sarà facile farlo assorbire agli abitanti di Dresda, anche se nella storia ne hanno digerite tante.
Ciao
Pietro

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