Sabato 15 ottobre si è svolta la festa per il 30° anniversario dell’istituzione dell’Ordine degli Architetti di Arezzo. Oltre al riconoscimento ad un gruppo di decani, del quale mi onoro di non fare ancora parte ma a cui auspico fortemente di arrivare a farne parte … il più tardi possibile, c’è stata una tavola rotonda di colleghi di ogni età, ognuno a rappresentare un modo diverso di svolgere la professione di architetto.
Non farò un resoconto completo che sarebbe lungo e fuori tema ma mi soffermerò su due giovani, laurea nel 1998, un uomo e una donna (par condicio e pari opportunità e pari tutto puramente casuale) proiettati con successo in un genere di attività professionale che non ha confini, in senso fisico, vale a dire nel mondo: il primo, Maurizio Meossi, è Lead architect nello studio di Zaha Hadid e attualmente segue il cantiere CityLife a Milano; la seconda, Simona Franci, fa parte di una corporate (è lei che la chiama così) che, tanto per inquadrare il livello, ha come cliente, tra gli altri, il gruppo Ferrari per cui cura gli allestimenti dei vari “negozi” (e mi scuso perché non si chiamano così, ma non si chiamano nemmeno concessionarie, si chiamano in altro modo che non ho capito). Non si tratta di 4 o 5 negozi, ma di 300 in tutto il mondo e attualmente sono circa 60 in allestimento. Il bello è che lei vive ad Arezzo, è sposata ed ha un figlio, viaggia spesso ma la sua base operativa è ad Arezzo. A quello che ho capito praticamente lavora in casa grazie all’informatica. Incidentalmente, è anche piuttosto bella. Fantastico!
Fino a qui la premessa, non breve ma necessaria. L’architetto Meossi ci ha raccontato, oltre al suo percorso post laurea e del suo master a Londra, della esperienza in atto nello studio della Hadid, con circa trecento addetti nelle varie parti del mondo, del fascino della persona, dell’amore e della dedizione che egli ha per la sua professione, della dimensione internazionale dello studio, del processo di elaborazione del progetto che naturalmente non è paragonabile a quello di uno studio di provincia.
Io, dopo avergli esternato i miei sinceri complimenti per la sua attività che per molti colleghi è un traguardo inarrivabile, gli ho chiesto se non ritenesse che quel tipo di processo progettuale avesse più a che fare con il sistema produttivo tipico di un brand, di una griffe, cioè di un’industria che deve garantire un prodotto riconoscibile con un certo standard e ho concluso chiedendo che cosa resti alla fine dell’architettura. Domanda brutale, mi rendo conto, ma i tempi erano contingentati. E’ chiaro che volevo significare il fatto che se lo scopo, la mission è tenere alto il marchio, l’architettura intesa come progetto prodotto per quello scopo in quel determinato luogo c’entra poco mentre c’entra moltissimo l’oggetto in sé, esattamente come un paio di scarpe, una borsa, un abito. Lui mi ha risposto laconicamente: “La risposta è nel cantiere di CityLife che io seguo”.
Risposta intelligente e abile, senza dubbio, che dimostra attaccamento e fedeltà al proprio lavoro ma che elude chiaramente il problema.
Alla mia domanda ha però risposto indirettamente e molto bene l'architetto Franci, entusiasta quanto Meossi, ma del tutto calata, senza infingimenti, nella realtà industriale e d’immagine in cui lei opera. Ha detto che nel suo lavoro non ha mai fatto uso del timbro professionale, che l’unica volta che l’ha utilizzato è stato per casa sua, che lei non conosce, e si vanta di non conoscere una legge una (oh, che invidia!), che non le vuole conoscere perché non le servono, che il suo lavoro consiste nel soddisfare il cliente fornendogli dettagli anche in scala 1:1 che siano perfetti, che ognuno dei trecento progetti sarà diverso nell’adattamento alle singole “locations” dall’altro ma il concetto è sempre lo stesso.
Mi pare chiaro che i due lavori, pur con organizzazioni diverse e nella diversità dell’oggetto prodotto, sono sostanzialmente analoghi quanto a finalità, obiettivi e processo di produzione. I progetti della Zaha Hadid poco hanno a che fare con l’architettura (questo è il mio parere, ovviamente), anche se una volta realizzati sono, purtroppo, architetture. Dico purtroppo perché restano e perché vengono considerate e venerate come tali dagli architetti. Sono invece, io credo, oggetti artigianali nel processo costruttivo (il cantiere edile non è mai industria) il cui processo progettuale è invece industriale e in questo io trovo molta più coerenza intellettuale nella collega, consapevole e soddisfatta del proprio ruolo e priva di qualsiasi intenzione di lasciare un segno che non sia quello prettamente d’immagine per l’azienda prestigiosa per la quale opera.
Lei sa di fare parte di un segmento importante, e suppongo e spero per lei, anche redditizio, della professione di architetto ed anche ad altissimi livelli, ma non ha minimamente ammantato il suo racconto di quel velo di romanticismo architettonico, di mitizzazione del proprio prodotto in quanto Architettura che deve fare scuola e passare alla storia. Ha solo mostrato un grande e legittimo entusiasmo per il suo successo professionale, consapevole del ruolo che lei svolge nel mondo dell’industria per l’immagine di un marchio come la Ferrari.
Non so se l’architetto Simona Franci diventerà presto archistar, ma se lo diventasse mantenendo questo stile, distruggerebbe l’immagine stessa delle archistar come si intendono comunemente perché farebbe comprendere a tutti di cosa si parla. A meno che anche in lei non risorga quel tarlo che tutti gli architetti hanno nascosto dentro di voler murare, di voler lasciare nel territorio un segno concreto e duraturo del loro passaggio su questa terra.
Credits:
La foto dell'Arch. Meossi è tratta dal sito ufficiale di Zaha Hadid
La foto di Simona Franci è tratta dal sito della società Fortebis Group
4 commenti:
Gentilissimo Pietro!
Grazie per il link e per i contenuti del suo scritto.
Riguardo alle critiche, sono dell'opinione che siano molto più utili dei complimenti!
Spero di aver modo di incontrarla presto, per rispoendere con maggiore dettaglio alle sue domande!
saluti,
Maurizio
Sono io che ringrazio l'architetto Meossi il quale dimostra che la diversità e anche il contrasto delle opinioni non esclude il reciproco rispetto.
Saluti
Pietro
Carissimo Pietro,
mi hanno inviato ieri il Link ed e' stata davvero una piacevole sorpresa.
Sei stato molto gentile, assolutamente generoso e in alcune parti mi hai fatto sorridere.
Ti ringrazio molto!
Un caro saluto, Simona
Vorrà dire che se diventerai una archistar, nelle tue memorie (perché le archistar scrivono sempre memorie se non muoiono prima di scriverle) mi citerai e anch'io avrò il mio piccolo posto nella storia.
E' politicamente scorretto dire che sicuramente saresti una "bella archistar"?
Così continuo a farti sorridere.
Ciao
Pietro
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